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5. VTEC IN VARIE SPECIE ANIMALI 1 VTEC nei mammifer

5.2 VTEC negli uccell

Oltre ai ruminanti si è visto che anche gli uccelli possono avere un ruolo nella trasmissione di E. coli verocitotossici: questi sono in grado di ospitare numerosi microrganismi nel loro tratto gastrointestinale e agiscono come ospiti-serbatoio di VTEC. Gli uccelli selvatici sono stati identificati per la prima volta come potenziale fonte di infezione di VTEC nel 1997, nel Regno Unito, dove è stata intrapresa un’indagine sugli uccelli selvatici come vettori di E. coli O157. Da allora sono stati isolati VTEC da storni, passeri, piccioni e altre specie aviari. Molte specie di uccelli possono essere ritrovate in vicinanza delle fattorie, dove possono facilmente ritrovare fonti di cibo da cui sono attratti. La possibilità di alcuni uccelli di migrare e quindi la capacità di attraversare

32 lunghe distanze in un solo giorno, consente la trasmissione di VTEC tra aziende agricole e all’interno delle stesse. Inoltre gli uccelli migratori possono interagire con gli uccelli più vicini all’uomo come per esempio i piccioni e propagare così i ceppi VTEC anche all’uomo (Persad et al., 2014). Ceppi di E. coli che producono una variante della tossina VT2, designata Vtx2f, sono stati osservati nelle feci di piccione. Durante il periodo 1997-1998, 649 piccioni sono stati intrappolati in tre diverse piazze di Roma. Da ognuno di questi sono stati raccolti campioni di feci ed esaminati per ricercare la presenza di VT mediante colture di arricchimento delle feci e test su cellule Vero. Gli E. coli che producono VT sono stati isolati dalle colture positive e sottoposti a sierotipizzazione e PCR per la ricerca di geni VT e di altri geni correlati alla virulenza: i geni responsabili della produzione delle verocitotossine sono stati rilevati nel 10,8% delle colture di arricchimento delle feci. La percentuale degli uccelli positivi non variava in maniera significativa per i tre luoghi considerati e per la stagione della raccolta dei campioni, ma variava per l’età, infatti, la presenza di VTEC era significativamente più frequente nei giovani rispetto agli uccelli adulti (17,9% contro 8,2%). Nessuno degli uccelli esaminati mostrava segni di malattia. In totale sono stati identificati 6 sierogruppi, ma la maggior parte degli isolati

apparteneva a O45, O18ab e O75 (Morabito et al., 2001). Anche gli uccelli acquatici come oche e anatre possono essere fonte di

ceppi VTEC, soprattutto per la contaminazione delle acque superficiali che poi possono essere utilizzate per l’irrigazione dei campi (Persad et al., 2014). Ulteriori serbatoi di VTEC potrebbero essere pollo e tacchino, in cui sono state trovate prevalenze rispettivamente fino all’1,5% e al 7,5

33 In Brasile, da settembre 2010 ad aprile 2012, sono stati fatti tamponi cloacali e orofaringei di uccelli selvatici e piccioni e sono stati trovati due tipi di VTEC e cinque tipi di EPEC dagli uccelli selvatici, mentre dai piccioni sono stati isolati quattro tipi di EPEC. La crescente interazione dei piccioni urbani e degli uccelli selvatici con uomini e con animali potrebbe rappresentare un rischio per la sanità pubblica. Infatti in questo studio è emersa la presenza, negli E. coli patogeni trasportati dagli uccelli, di sierogruppi e geni di virulenza implicati nello sviluppo della forma tipica di malattia che si manifesta a seguito dell’infezione da

VTEC e EPEC nell’uomo e negli animali (Borges et al., 2017). In uno studio eseguito in Scozia, dove E .coli VTEC O157 è molto

diffuso e gli uccelli di solito presenti in giardino hanno frequenti possibilità di contatto, seppure indiretto, con le persone, sono stati raccolti 231 campioni di feci di uccelli selvatici durante un periodo di 36 mesi, nel 2002, da un giardino in cui era presente una stazione di alimentazione. Sono stati raccolti campioni due volte al giorno e i numeri e le specie di uccelli che hanno visitato l’area sono stati registrati. I campioni poi sono stati portati in laboratorio e analizzati: è risultato positivo per E. coli O157 un solo campione. Questo era stato raccolto nel giugno 2002, quando gli uccelli presenti in quell’area erano merli (Turdus merula), passeri domestici (Passer domesticus), verdoni

(Carduelis chloris), fringuelli (Fringilla coelebs) (Foster et al., 2006). In un altro studio, eseguito nel 2002 in Danimarca, sono stati esaminati

gli animali selvatici (uccelli, ratti, lepri, cani, gatti, cinghiali, pecore, capre) che vivevano in prossimità di alcune fattorie ospitanti bovini e maiali; in particolare dagli uccelli selvatici sono stati raccolti 244 campioni (tamponi cloacali), di cui 6, provenienti dallo storno (Sturnus

34 feci dei bovini della fattoria corrispondente, dimostrando così che uccelli selvatici possano contrarre il microrganismo dai mammiferi e viceversa, avendo dunque un ruolo nella trasmissione (Nielsen et al., 2004). La trasmissione di tali ceppi anche all’uomo, è stata considerata possibile nel momento in cui si sono verificati degli episodi di infezione umana legata agli uccelli. Nel luglio 2002 a Gloucestershire (Inghilterra) si è verificato un focolaio in una fattoria a conduzione familiare, che ha colpito due sorelle, che presentavano diarrea sanguinolenta, e la madre. Le due bambine (di 4 anni una e 9 mesi l’altra) non avevano nessun contatto diretto con gli animali d’allevamento e non avevano visitato nessuna fattoria prima di sviluppare la malattia. Il padre lavorava come guardaboschi e circa un mese prima aveva intrappolato 100 corvi. Entrambi i genitori erano asintomatici; la famiglia non aveva animali da compagnia e consumava latte pastorizzato. Sono stati prelevati campioni di feci e sottoposti a screening, inizialmente presso il “Goucester Public Health Laboratory” , dove presunti E. coli O157 sono stati isolati e poi inviati al “Laboratory of enteric pathogens” (LEP) per la conferma e per verificare la presenza di geni per la produzione di verocitotossine. Dopo 10 giorni dall’identificazione del microrganismo sono stati prelevati in azienda 85 campioni e sottoposti a indagini di laboratorio. Di questi 58 provenivano da feci di bovino, 5 da acqua, 19 da feci di coniglio e 1 da feci di corvo. E. coli O157, con geni per VT2, sono stati isolati da tutti e tre i casi umani e dalle feci del corvo, mentre non sono stati ritrovati nei campioni provenienti da bovini, conigli e acque. Le evidenze microbiologiche suggeriscono che in questo focolaio, il contatto indiretto con le feci dei corvi, possa essere un fattore di rischio per l’acquisizione dell’infezione umana da VTEC O157, con possibile trasmissione da

35 persona a persona. Le figlie possono aver avuto un contatto indiretto con le feci degli uccelli attraverso le scarpe da lavoro sporche del padre o le tute contaminate, infatti le linee guida per il controllo delle infezioni da VTEC suggeriscono che le scarpe dovrebbero essere tenute lontano dalle principali aree abitate della casa e gli abiti da lavoro dovrebbero essere lavati separatamente. (Ejidokun et al., 2006).

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6. DIAGNOSI

Generalmente, la diagnosi di VTEC è laboriosa e attualmente non ci sono metodi semplici e poco costosi disponibili per l'isolamento routinario dei ceppi VTEC. Il gold standard prevede, dopo l’isolamento su terreni selettivi/differenziali e una prima identificazione attraverso test di agglutinazione, la messa in evidenza della produzione di verocitotossine impiegando cellule Vero; possono, inoltre, essere utilizzate anche altre linee cellulari, per esempio le cellule HeLa. Inoltre sono stati sviluppati dei metodi di rilevazione sierotipo-specifici, dove i ceppi sono isolati sulla base del loro antigene O e successivamente analizzati per la produzione di VT o la presenza di geni vtx (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007). I metodi per rilevare i ceppi VTEC sono:

1. Isolamento

2. Prove di citotossicità su cellule Vero 3. Metodi immunologici

4. Metodi molecolari 1. Isolamento:

 Isolamento di VTEC O157 → VTEC di solito possiedono caratteristiche fenotipiche che sono indistinguibili da quelle degli altri E. coli, tuttavia, VTEC O157 è di solito incapace di fermentare il sorbitolo entro 24 ore dall’incubazione e manca dell’attività β-gucuronidasica. Queste caratteristiche vengono sfruttate routinariamente per l’isolamento selettivo di VTEC O157. Il mezzo solido più diffuso per rilevare la non fermentazione del sorbitolo

37 è il Sorbitol MacConkey Agar (SMAC), contenente peptone, lattosio, sali biliari, sodio cloruro, rosso neutro, cristal violetto e agar. La selettività di questo terreno può essere migliorata mediante l'uso di gli agenti selettivi: i più frequentemente usati sono il cefixime, una cefalosporina di terza generazione e il tellurio di potassio (CT-SMAC). Ciò nonostante, alcuni ceppi VTEC O157 sono sensibili al cefixime e al tellurio di potassio e pertanto non possono essere rilevati su CT-SMAC, per cui l’uso di antibiotici potrebbe aumentare il rischio di avere dei falsi negativi. Dopo l'incubazione, le singole colonie che si sospettano essere VTEC O157 sono saggiate per la conferma del sierotipo: devono essere testate per l'antigene O157 tramite anticorpi per O157, quelli che risultano agglutinati con l’antisiero O157 devono essere confermati come E. coli da reazioni biochimiche. Mentre i campioni di feci umane di soggetti con forme cliniche di malattia vengono esaminate mediante semina diretta su Agar selettivi e differenziali, feci animali, campioni alimentari e ambientali, che di solito contengono un basso numero di VTEC O157 insieme ad una abbondante flora microbica, richiedono un arricchimento selettivo. Sono ampiamente utilizzati per l'arricchimento di VTEC O157 il Tryptic Soy Broth (TSB) (principalmente per il cibo) e acqua peptonata tamponata (per le feci umane e animali). Questi brodi possono essere integrati con diversi agenti selettivi come novobiocin, vancomicina, cefsulodina, cefixime e sali biliari. Normalmente la temperatura di incubazione è 37 ° C - 42 °

38 C per un tempo che va da 6-8 ore fino a tutta la notte per tutti i tipi di campioni.

 Isolamento di VTEC non O157 → la crescente preoccupazione per l’associazione tra VTEC non O157 e infezioni umane, insieme alla limitata specificità dei metodi di coltura per questi altri sierotipi, ha portato alla fornitura di anticorpi rivolti all'antigene O di altri VTEC, compresi O26, O103, O111 e O145. La rilevazione basata su IMS (Separazione Immunomagnetica) di sierotipi diversi da O157 è simile a quella per la rilevazione di E.

coli O157. Molti sierotipi VTEC non-O157 (O5:H-,

O26:H-, O26:H11, O91:H21, O111:H-, O111:H8, O104:H11, O113:H21 e O157:H8) sono in grado di crescere su terreni colturali con vancomicina, cefixime e cefsulodina. In particolare per l’isolamento di VTEC O26 viene utilizzato come terreno colturale il Rhamnose MacConkey Agar (RMAC), in cui rispetto allo SMAC è presente il ramnosio al posto del sorbitolo essendo questo sierotipo incapace di fermentare tale zucchero. Anche in questo caso l’aggiunta di cefixime e tellurio di potassio rende il terreno più selettivo per l’isolamento (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007).

2. Prove di citotossicità su cellule Vero: utilizzate per la ricerca di VT libera in modo da evidenziare la presenza dell’infezione a partire dai campioni fecali, alimentari o ambientali. Tuttavia l'applicazione più comune del test delle cellule Vero è per confermare la produzione di tossine da colture pure (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007). Infatti i ceppi VTEC

39 inducono un effetto citotossico sulle cellule Vero: l’attività delle tossine è stata saggiata mediante l’utilizzo di piastre multipozzetto di plastica al cui interno vengono fatte crescere le colture cellulari. A 0,5 ml di coltura cellulare vengono aggiunti 0,05 ml di filtrato batterico, poi il tutto incubato a 36°C per 4 giorni. In questo periodo l’effetto citotossico diventava sempre più visibile, con cambiamenti morfologici delle cellule Vero che risultano raggrinzite con la superficie irregolare (Konowalchuk et al., 1977).

3. Metodi immunologici: questi sono ampiamente usati per la rilevazione di VT e prevedono l’utilizzo di anticorpi poli- o monoclonali specifici per VT. Comprendono il test ELISA e l'agglutinazione inversa passiva al lattice (RPLA). Il primo è un metodo utilizzato in diagnostica per studiare le interazioni antigene-anticorpo, il secondo invece utilizza delle sfere di lattice rivestite con antigene o con anticorpo e l’agglutinazione delle particelle sta ad indicare un risultato positivo. I metodi immunodiagnostici sono generalmente affidabili e la maggior parte è semplice da eseguire nei laboratori e non richiede attrezzature costose.

4. Metodi molecolari: consistono nel mettere in evidenza i geni associati alla virulenza, ossia vtx1 e vtx2 che codificano rispettivamente per VT1 e VT2, il gene eaeA che codifica per l’intimina (Blanco et al., 2003) e il gene hlyA, che codifica per un’emolisina (Kerényi et al., 2005). È molto importante la ricerca di tali geni in modo da avere conferma che i ceppi isolati di E.

coli siano VTEC e viene messa a punto mediante PCR ma anche

40 nucleici". I metodi di rilevazione molecolare possono essere applicati a partire da colture pure o miste (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007).

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7. TERAPIA

Il decorso dell'infezione da VTEC nell’uomo di solito è auto-limitante e si risolve spontaneamente dopo circa una settimana, ma nel caso di peggioramento delle manifestazioni cliniche non c'è modo di impedire lo sviluppo di HUS, i cui fattori di rischio sono riconducibili agli effetti

delle tossine VT a livello sistemico. Alcune linee guida per la gestione clinica delle infezioni da VTEC,

suggerite da Holtz et al. (2009), promuovono l'uso di soluzioni endovenose, il monitoraggio costante della funzionalità renale e delle piastrine, mentre sconsigliano l’uso di farmaci antimotilità, farmaci per

la riduzione del dolore e antibiotici (Rocha et al., 2012). La citotossicità di VT1 e VT2 potrebbe essere neutralizzata con

globotrioso (composto da due residui di galattosio e un residuo di glucosio) coniugato al chitosano, che lega così la tossina (Li et al.,

2012). Altre strategie che vengono valutate in laboratorio coinvolgono

probiotici, come le molecole secrete da Lactobacillus acidophilus, che produce sostanze (molecole probabilmente di natura proteica) in grado di inibire l'adesione di VTEC O157:H7 alle cellule epiteliali in vitro

(Medellin-Peña et al., 2009). Anche Bifidobacterium spp. e Lactobacillus spp. sembrano in grado di

inibire la crescita di VTEC O157: H7 almeno in vitro (Mogna et al., 2012). Inoltre è stato mostrato in alcuni studi come lo ione Mn2+ sia in grado di impedire la morte cellulare indotta da VT1 e possa dunque essere utilizzato come potenziale sostanza terapeutica contro la verocitotossina

42 Alcuni antibiotici (trimetoprim, ciprofloxacina, norfloxacina, fosfomicina, ceftazidima) (Lino et al., 2011) non sono raccomandati per il trattamento di VTEC, poiché innescano la risposta S.O.S. che è attivata in caso di danno al DNA, in seguito allo stress cellulare causato dall’invasione e colonizzazione batterica, in cui il ciclo cellulare viene arrestato ed è indotta la riparazione del DNA. In aggiunta a ciò questi promuovono la trascrizione dei geni vtx1 e vtx2 e dunque la produzione di tossine. Per di più, durante l’infezione, la lisi batterica indotta dagli antibiotici può aumentare il livello di VT libere disponibili per l’assorbimento sistemico (Donnenberg, 2013). Inoltre molti sierotipi mostrano resistenza a vari antimicrobici, come alla sulfonamide e alla tetraciclina, ma anche ad ampicillina, streptomicina e trimetoprim (Croxen et al., 2013).

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8. PROFILASSI

La diffusione di VTEC da persona a persona rappresenta sempre un rischio, qualunque sia la fonte primaria. Le misure di controllo per prevenire la diffusione da persona a persona vengono raggruppate in tre aree:

1. Igiene personale, in particolare lavaggio delle mani, soprattutto in seguito ad episodi di diarrea che rende più probabile la diffusione di questi microrganismi.

2. Controllo dell’infezione e pulizia ambientale: il controllo dell'infezione è importante nel contesto domestico, nonché nelle strutture per l'infanzia e l'assistenza sanitaria, inclusi gli ospedali e le case di cura. Se si è verificato un caso nell'ambito domestico, è fondamentale assicurarsi che i membri della famiglia siano informati e mettano in atto adeguate misure di controllo dell'infezione. I soggetti convalescenti dall'infezione da VTEC dovrebbero evitare la preparazione di alimenti per altre persone.

3. Esclusione dei contatti che rappresentano un rischio speciale di diffusione dell'infezione, fino a clearance microbiologica, ossia fino a quando risultano negativi due campioni fecali presi a distanza di 24 h (GI Programme Board VTEC working group (HQSD), 2011).

Nel 2009 l’EFSA ha proposto procedure specifiche per il monitoraggio e la segnalazione dei VTEC negli animali e negli alimenti, già a partire dall’ambiente di macellazione, dove gli operatori devono prestare attenzione, dopo il dissanguamento e prima della scuoiatura, a possibili

44 contaminazioni dovute alla presenza di E. coli O157 sulla pelle dei giovani bovini (che si presume siano il serbatoio più importante). Il risk

assessement ha dimostrato che le pelli e il vello dei giovani ruminanti

rappresentano una fonte di contaminazione per le carcasse più importante rispetto alle feci. È anche utile estendere il monitoraggio ai sierogruppi di VTEC O26, O103, O111 e O145, causa di infezioni nell’uomo. Si esegue il campionamento su bovini tra i 3 e 24 mesi e ovini tra i 4 e 12 mesi di età, nel periodo compreso tra il 1°aprile e il 1°ottobre e dal momento che non è previsto che la prevalenza di VTEC nella popolazione si modifichi nell’arco di 1-2 anni, l’EFSA raccomanda

di effettuare il monitoraggio ad intervalli di almeno tre anni. Per quanto riguarda gli alimenti, l’EFSA propone linee guida generali

per condurre indagini specifiche sulle categorie di alimenti che con maggiore probabilità sono fonti di infezioni da E. coli VTEC O157 e non O157 nell’uomo. Queste comprendono: carni fresche, carni macinate e preparazioni di carni (in special modo di bovino, consumate crude o dopo una minima cottura) e alimenti pronti al consumo, come prodotti a base di carne fermentati, ortaggi, legumi freschi, germogli e insalate, latte non pastorizzato, prodotti lattiero-caseari derivati da latte crudo o trattato termicamente (EFSA, 2007).

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