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Indagine molecolare sulla diffusione di Escherichia coli verocitotossici in uccelli selvatici

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Indagine molecolare sulla diffusione di Escherichia

coli verocitotossici in uccelli selvatici

Candidato Relatore

Errica Lunardo Dott.ssa Valentina Ebani

Correlatore

Dott. Fabrizio Bertelloni

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A nonno Egidio e nonna Titina, i pilastri della mia vita.

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Indice

RIASSUNTO E ABSTRACT pag. 5 1. INTRODUZIONE pag. 6 2. ESCHERICHIA COLI pag. 7 2.1 Eziologia pag. 7 2.2 Ceppi ETEC pag. 10 2.3 Ceppi EPEC pag. 10 2.4 Ceppi EIEC pag. 11 2.5 Ceppi EAEC pag. 12 3. CEPPI VEROCITOTOSSICI pag. 13 3.1 Generalità pag. 13 3.2 Principali sierotipi pag. 13 3.3 Epidemiologia pag. 15 3.4 Patogenicità pag. 17 3.5 Sintomatologia pag. 19 4. SANITÀ PUBBLICA pag. 22

4.1 Fonti di contaminazione pag. 22 4.2 Episodi in Europa pag. 22 4.3 Episodi in Italia pag. 25

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4 5. VTEC IN VARIE SPECIE ANIMALI pag. 29

5.1 VTEC nei mammiferi pag. 29 5.2 VTEC negli uccelli pag. 31 6. DIAGNOSI pag. 36 7. TERAPIA pag. 41 8. PROFILASSI pag. 43 RICERCHE PERSONALI

1. OBIETTIVI pag. 46 2. MATERIALI E METODI pag. 47 2.1 Campionamento pag. 47 2.2 Estrazione del DNA pag. 48 2.3 Polymerase Chain Reaction pag. 49 3. RISULTATI pag. 52 4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI pag. 54

≈≈≈

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RIASSUNTO

Escherichia coli produttori di verocitotossine (VTEC) sono batteri patogeni zoonotici che hanno

assunto importanza crescente per la gravità delle patologie che possono causare nell’uomo, come la colite emorragica e la sindrome uremica emolitica. La replicazione di questi microrganismi avviene

nell’intestino di diverse specie animali, ma soprattutto dei bovini. Durante la presente tesi si è cercato di verificare la presenza di VTEC nell’intestino di uccelli

selvatici, al fine di valutare il ruolo di tali animali nella diffusione di questi patogeni. Lo studio è stato realizzato eseguendo diversi protocolli di PCR sul DNA estratto da campioni intestinali prelevati da 100 uccelli selvatici appartenenti a specie diverse, per individuare i geni stx1 e stx2 codificanti per le verocitotossine, il gene eaeA (intimina) e il gene hlyA (emolisina). È risultato positivo per almeno uno dei geni ricercati il 16% degli animali, mentre è risultato positivo per i geni stx1 e/o stx2 l’8% degli animali. Un campione prelevato da una civetta è risultato positivo per tutti i quattro geni. Sulla base dei risultati ottenuti appare che gli uccelli selvatici hanno un ruolo come diffusori non solo di ceppi VTEC, ma anche di ceppi E. coli enteropatogeni ed enteroemorragici.

Parole chiave: uccelli selvatici, Escherichia coli, VTEC, ceppi enteroemorragici, ceppi

enteropatogeni.

ABSTRACT

Verocytotoxic Escherichia coli (VTEC) are zoonotic bacteria able to determine severe pathologies in humans, such as haemorrhagic colitis and haemolytic uremic syndrome. The replication of these microorganisms occurs in the intestines of several animal species, mainly cattle. The aim of this study was to verify the presence of VTEC in the intestine of wild birds and the role of these animals as spreaders of these pathogens. The investigation was carried out performing different PCR assays on DNA extracted from intestinal samples of 100 wild birds belonging to different species to detect stx1 e

stx2 genes coding for verocytotoxins, eaeA gene (intimin), and hlyA gene (haemolysin). The 16% of

animals was positive for one or more genes whereas the 8% was positive for stx1 and/or stx2 genes. One sample, collected from an owl, was positive for the four investigated genes. On the basis of these results, it seems that wild birds may excrete with their feces, not only VTEC, but enteropathogenic and enterohaemorragic E. coli strains too.

Key words: wild birds, Escherichia coli, VTEC, enterohaemorrhagic strains, enteropathogenic

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1. INTRODUZIONE

I ceppi verocitotossici di Escherichia coli (VTEC) rappresentano un rilevante problema per la sanità pubblica, in quanto sono batteri patogeni zoonotici che possono causare alcune patologie molto gravi nell’uomo, quali la colite emorragica negli adulti e la sindrome uremica emolitica nei bambini (HUS). Si tratta di patologie particolarmente pericolose per soggetti più vulnerabili come bambini, anziane e persone immunodepresse. I principali portatori di questi microrganismi sono i ruminanti domestici, soprattutto i bovini, da cui l’uomo contrae l’infezione, ingerendo

alimenti contaminati in fase di produzione o trasformazione. Oltre agli alimenti di origine animale, come carni crude o poco cotte e

latte crudo, possono essere fonte di infezione anche prodotti vegetali come ortaggi e verdura coltivati su terreni fertilizzati con letame bovino

e/o irrigate con acque contaminate da ceppi VTEC. Negli ultimi anni è stato supposto che anche gli uccelli selvatici abbiano

un ruolo non indifferente nella diffusione di ceppi VTEC. Gli uccelli infatti possono ospitare tali microrganismi nell’intestino e agire come specie serbatoio, favorendo così la diffusione dei ceppi VTEC nell’ambiente. Gli uccelli sono in grado di volare per lunghe distanze anche in un solo giorno, passando da luoghi con fattorie, allevamenti o pascoli in cui sono presenti animali eliminatori di VTEC e dove possono contrarre

l’infezione, ad aree frequentate da altri animali recettivi e/o dall’uomo. Scopo della presente tesi è stato eseguire un’indagine, tramite metodiche

molecolari, sulla diffusione dei ceppi VTEC negli uccelli selvatici, al fine di meglio comprendere il ruolo epidemiologico di tali animali.

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2. ESCHERICHIA COLI 2.1 Eziologia

Theodor Escherich segnalò per primo l'isolamento e la caratterizzazione di piccoli bastoncini sottili che ha chiamato “Bacterium coli comune”, nella sua pubblicazione del 1885. L'organismo è stato descritto in seguito da altri ricercatori che gli hanno attribuito molteplici denominazioni, infatti il nome Escherichia coli non è stato pienamente riconosciuto fino al 1954. E. coli è un batterio Gram negativo appartenente al genere Escherichia, che a sua volta fa parte della famiglia delle Enterobacteriaceae. Essendo presente comunemente nel tratto gastroenterico, questo germe viene isolato da campioni fecali e risulta, dal punto di vista microbiologico, talvolta capsulato e prevalentemente mobile per la presenza di flagelli peritrichi. Misura 1,1-1,5 x 2,0-6,0 μm ed è un anaerobio facoltativo, cioè possiede un metabolismo respiratorio e anche fermentativo. La variazione di pH dovuta alla fermentazione del lattosio può essere sfruttata per distinguere ceppi lattosio-fermentanti e non lattosio-fermentanti, infatti le colonie lattosio-positive appariranno rosse o rosa su terreni come MacConkey agar (Croxen et al., 2013).

La temperatura ottimale di crescita è 37°C, fermenta il glucosio ed altri carboidrati, con produzione di acido e gas; è asporigeno, le colonie sono basse, convesse e lisce.

Dal punto di vista biochimico questo germe dà reazione negativa al citrato, all’urea, alla lipasi e alla formazione di acido solfidrico. Riduce i nitrati a nitriti ed è ossidasi negativo, catalasi positivo e rosso-metile positivo.

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8 La struttura antigenica è rappresentata dagli antigeni somatici O, che sono costituiti da polisaccaridi, sono componenti della parete cellulare e sono termostabili (di questi se ne conoscono 171 tipi diversi); antigeni H che sono localizzati sui flagelli, sono di natura proteica e dunque termolabili (con 56 differenti tipi antigenici); antigeni capsulari K che sono costituiti da polisaccaridi e si trovano sulla superficie della cellula batterica, sono termolabili (con 80 differenti tipi antigenici), inibiscono la fagocitosi e facilitano l’adesione; antigeni fimbriali F, che sono fondamentali per l’adesione del germe alle cellule e, insieme agli antigeni K, sono associati al potere patogeno in quanto consentono al corpo batterico di sfuggire ai meccanismi difensivi aspecifici dell’organismo, come il movimento ciliare dell’apparato respiratorio e la peristalsi intestinale.

Gli antigeni K, per la propria localizzazione, possono mascherare la presenza degli antigeni O sottostanti e provocare reazioni crociate con altri microrganismi (per cui vengono inattivati con il riscaldamento).

E. coli si ritrova normalmente nella flora microbica dell’intestino di tutti

i mammiferi, dove è considerato un commensale ad eccezione di alcuni ceppi che sono patogeni:

 Ceppi enterotossigeni (ETEC)  Ceppi enteropatogeni (EPEC)  Ceppi enteroinvasivi (EIEC)  Ceppi enteroaggreganti (EAEC)  Ceppi aggreganti diffusi (DAEC)

 Ceppi verocitotossici (VTEC, detti anche STEC Shiga

toxin-producing E. coli) che comprendono anche la categoria di E. coli enteroemorragici (EHEC) (EFSA Panel on Biological

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9 Questi ceppi risultano patogeni per l’uomo a causa di molteplici fattori di virulenza che sono:

Adesività: ne sono provvisti i ceppi ETEC, VTEC ed EPEC, i

quali presentano le adesine (rappresentate da pili o fimbrie) che gli permettono di aderire alle cellule dell’epitelio intestinale. Si tratta di antigeni formati da proteine termolabili aventi un’origine genetica, infatti vengono codificate dai plasmidi posti sul cromosoma batterico. Aderendo alla mucosa, i germi non vengono rimossi dai movimenti associati alla peristalsi intestinale;

Invasività: proprietà dei ceppi EIEC, permette a questi germi di

aderire, invadere e, dopo essersi moltiplicati, distruggere, la mucosa intestinale. Il grado di invasività dipende dai geni che controllano la sintesi proteica della membrana esterna del coli;

 Produzione di tossine: enterotossine ST termostabili, enterotossine LT termolabili, verotossine, citotossine necrotizzanti;

 Meccanismo di adesione e distruzione (attaching/effaching): associato a ceppi ETEC e EPEC che si attaccano ai microvilli delle cellule enteriche distruggendoli, sono causa di diarrea;

 Produzione di aerobactina: prodotta da ceppi EIEC, i quali, tramite questa sostanza (che è un sideroforo), introducono ferro nel citoplasma cellulare dell’ospite, sottraendolo al siero dell’animale;  Resistenza al complemento e alla fagocitosi: proprietà esplicabile

grazie alla presenza di alcune strutture di superficie come la capsula K1 e i lipopolisaccaridi (LPS) che consentono di ottenere tale resistenza (Zavanella et al., 2009).

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2.2 Ceppi enterotossigeni (ETEC)

Hanno azione a livello dell’intestino tenue dove producono, e poi agiscono, due tipi di tossine, alcune termolabili (LT-I e LT-II) e altre termostabili (STa e STb). Le prime sono composte da una sub-unità A e cinque sub-unità B con le quali si attaccano al ganglioside GM1e alle glicoproteine di superficie che sono i recettori presenti sulle cellule epiteliali dell’intestino tenue. Successivamente, la sub-unità A penetra nelle cellule e attiva l’ADP–ribossil-transferasi, reagisce con la proteina di membrana Gs e fa aumentare l’adenilato-ciclasi. Di conseguenza si ha una eccessiva produzione di adenosina monofosfato che altera gli scambi ionici, infatti dalle cellule fuoriesce cloro ed entra una minor quantità di sodio. In questo modo si va incontro a diarrea acquosa causata da un’ingente fuoriuscita di liquidi che risulta aggravata dall’infiammazione della mucosa, a sua volta causata dalla tossina stessa che fa produrre alle cellule sostanze pro-infiammatorie (prostaglandine e citochine). Le tossine termostabili, invece, si legano alla guanilato-ciclasi, facendo aumentare il guanosin-monofosfato, responsabile dell’ipersecrezione di fluidi (Sears et al., 1996).

2.3 Ceppi enteropatogeni (EPEC)

Escherichia coli enteropatogeno è una causa importante di diarrea

profusa e acquosa nell’uomo, è un problema di salute pubblica globale ma soprattutto per i neonati che vivono nelle regioni in via di sviluppo ed è una delle cause di mortalità nei bambini sotto i 5 anni. La trasmissione avviene principalmente per il consumo di acqua contaminata o per

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11 I ceppi tipici di EPEC (tEPEC) possiedono un plasmide di virulenza, mentre gli isolati clinici correlati che non dispongono del plasmide (pEAF) sono chiamati EPEC atipici (aEPEC). tEPEC e aEPEC tendono a causare rispettivamente infezioni acute o croniche, poiché il plasmide

pEAF codifica un fattore di attacco che favorisce la distruzione dei

microvilli, l’alterazione degli scambi ionici e la perdita di acqua (Mellies et al., 2017). Formano microcolonie che aderiscono all’epitelio dell’intestino tenue grazie a delle particolari adesine come l’intimina. Invadono la mucosa dell’intestino e distruggono i villi senza produzione di tossine. Per eludere la risposta immunitaria dell’ospite ed aggredire con successo le cellule intestinali, viene comunemente usato da questi batteri un sistema di secrezione (T3SS), esercitando così un effetto

inibitorio sulla risposta infiammatoria (Zhuang et al., 2017). Gli anticorpi anti-intimina sono importanti per la protezione dalle

infezioni enteropatogene di E. coli, in quanto inibiscono l’adesione batterica e compromettono la fase iniziale della patogenesi. Studiando il trasferimento di anticorpi anti-intimina attraverso il colostro di madri brasiliane, è stato visto che questi anticorpi vengono trasferiti dalle madri ai neonati anche attraverso la placenta e rafforzano la protezione fornita dall’allattamento al seno contro le infezioni da E. coli (Altman et al., 2017).

2.4 Ceppi enteroinvasivi (EIEC)

Possiedono un gruppo di geni collocato su un plasmide che gli permette di invadere l’epitelio del colon. I batteri entrano nelle cellule, si moltiplicano nel citoplasma e migrano verso altre cellule adiacenti

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seguendo dei percorsi formati da filamenti di actina. La distruzione delle cellule epiteliali può portare alla perforazione del

colon. Sono responsabili di malattia in popolazioni dei paesi sottosviluppati, provocando febbre, crampi e diarrea acquosa che può divenire sanguinolenta (Zavanella et al., 2009).

2.4 Ceppi enteroaggreganti (EAEC)

Per la presenza di fasci di fimbrie, denominate AAF-1 e AAF-2, si dispongono nel tipico modo di “mattoni ammassati” e stimolano la produzione di muco grazie al quale formano un biofilm stratificato sulle cellule dell’intestino tenue. Inoltre ne consegue un accorciamento dei microvilli, un’infiltrazione di mononucleati ed emorragie (Wilson et al., 2001). Non è stata dimostrata la presenza di tossine (Shazberg et al., 2003). Sono responsabili nell’uomo di diarrea acquosa persistente con vomito e febbre lieve. Un sottogruppo è rappresentato dai ceppi aggreganti diffusi (DAEC), i quali sono in grado di aderire alle cellule epiteliali dell’intestino tenue, dove possono formare aggregati di batteri. Stimolano l’allungamento dei microvilli e provocano diarrea acquosa nei bambini da 1 a 5 anni (Zavanella et al.,2009).

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3. CEPPI VEROCITOTOSSICI 3.1 Generalità

Questi ceppi sono caratterizzati dalla produzione di una potente citotossina che inibisce la sintesi proteica nelle cellule eucariotiche, questa è chiamata verocitotossina (VT), perché se messa a contatto con un monostrato cellulare di cellule della linea VERO ne provoca la distruzione; è conosciuta anche come Shiga tossina (Stx), per la somiglianza con la tossina prodotta da Shigella dysenteriae. EHEC invece è un sottogruppo di VTEC, che, oltre ai geni che codificano per la produzione delle tossine VT, sono provvisti anche dei geni responsabili del meccanismo di adesione e distruzione (attaching/effaching-A/E) e per il quadro clinico associato all’infezione sono detti appunti E. coli enteroemorragici (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ)2013).

3.2 Principali sierotipi

Il sierotipo più frequentemente isolato è O157:H7. È stato riconosciuto per la prima volta nel 1982 come patogeno umano associato a focolai di diarrea sanguinolenta in Oregon e Michigan, U.S.A. (Lim et al., 2010).

E. coli O157:H7 esprime l'antigene somatico (O) 157 e l'antigene

flagellare (H) 7, inoltre presenta caratteristiche di fermentazione di D-sorbitolo ritardata (> 24 h) e incapacità di produrre β-glucuronidasi. In considerazione di queste caratteristiche metaboliche, per la rilevazione di

E. coli O157:H7 è spesso utilizzato Sorbitol MacConkey Agar (SMAC)

addizionato con MUG (4-metilumbelliferil-beta-D-glucuronide); inoltre per aumentare la selettività di questo terreno vengono aggiunti cefixime, tellurito di potassio e vancomicina, per inibire altri germi Gram-negativi.

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14 Per la conferma dell’appartenenza degli isolati a questo sierotipo viene spesso impiegato un saggio di agglutinazione inversa passiva al lattice,

disponibile in commercio.

(Lim et al., 2010). Altri sierotipi identificati come patogeni per l’uomo sono:

 VTEC O26, che è considerato un patogeno diarroico consolidato e spesso legato a focolai e casi di sindrome uremica emolitica (HUS). Si è visto che il piccolo numero di focolai analizzati fino ad oggi abbia origine dagli alimenti piuttosto che dal contatto diretto o indiretto con gli animali o le loro feci. L'aumento della consapevolezza della presenza di VTEC O26 nell'ambiente ha coinciso con lo sviluppo di nuove tecniche che hanno migliorato la capacità di rilevare e caratterizzare questo patogeno (Jenkins et al., 2008);

 VTEC O104, in particolare VTEC O104:H4, che nel 2011 ha causato un grave focolaio di gastroenterite in Germania (Arvand et al., 2015);

 VTEC O91:H14, che è stato isolato durante uno screening di individui a rischio per l'acquisizione dell' E. coli O104: H4, dalle feci di un uomo (questo aveva viaggiato in India 6 mesi prima

dell'isolamento dei ceppi E. coli) (Arvand et al., 2015);  VTEC O145, di cui il 2 ottobre 2007, sono stati riportati 3 casi,

segnalati dal Laboratorio Federale di Riferimento Belga per E. coli al dipartimento di Antwerp di Controllo delle Malattie Infettive. I ceppi sono stati isolati da pazienti ospedalizzati con HUS e che vivono nella parte settentrionale della provincia di Antwerp (Belgio). Tutti e tre i soggetti avevano mangiato gelato prodotto

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15 con latte proveniente dalla stessa fattoria ed entro otto giorni avevano sviluppato sintomi gastrointestinali (De Schrijver et al., 2008);

 VTEC O111 che è l'agente eziologico di circa il 4% dei casi di infezione da EHEC in Giappone. Nel corso del periodo 2006-2010 sono stati registrati 83 epidemie da EHEC in Giappone di cui sei di questi focolai sono stati causati da ceppi EHEC O111, tre con ceppi EHEC O111 stx1 e gli altri tre con ceppi EHEC O111 stx1 stx2 (Watahiki et al., 2014).

Altri sierotipi individuati, anche se con minor frequenza, sono riconducibili a O5, O8, O18ab, O20, O21, O22, O45, O75, O103, O113, O118.

3.3 Epidemiologia

La maggior parte dei casi in tutto il mondo è causata da ceppi di sierotipo O157, ma infezioni causate da sierotipi diversi, inclusi O26,

O111, O103, O104 e O145 sono sempre più spesso segnalate. Ceppi VTEC raramente causano malattie negli animali. I ruminanti sono

riconosciuti come il loro principale serbatoio naturale, in particolare i bovini sono considerati la principale fonte animale di VTEC virulenti per

l’ uomo, soprattutto E. coli O157 (Caprioli et al., 2005). Negli Stati Uniti un programma chiamato “Foodborne disease active

surveillance network” (FoodNet) fornisce una vigilanza attiva sulle malattie alimentari, segnalando nel 2011 463 casi di VTEC O157:H7 (0.97 per 100.000 persone) e 521 non-O157 VTEC (1,10 /100.000), ma la mortalità per O157: H7 era circa 2 volte più alta rispetto a E. coli

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non-16 O157 VTEC, è stato tuttavia osservato che l'incidenza di VTEC O157:H7 è sceso del 42% nel 2011 rispetto all'incidenza nel periodo

compreso tra il 1996 al 1998 (FoodNet, 2012). In Europa, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle

malattie (ECDC) e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), hanno riferito che l'incidenza complessiva di VTEC nel 2009 per l'Unione europea era 0,75 / 100,000 abitanti. L'Irlanda e la Danimarca presentano tassi di incidenza significativamente superiori a quelli degli altri paesi (Rispettivamente 5,33 e 2,90 / 100.000) (European Centre for Disease Prevention and Control and European Food Safety Authority, 2011). Ceppi VTEC sono diffusi anche in paesi in via di sviluppo, dove è presente la più alta incidenza di HUS nei bambini al di sotto dei 5 anni ( Rivero et al., 2010). Ciò può essere dovuto all'esposizione eccessiva ai fattori di rischio associati alle infezioni da VTEC, come il consumo di carne cruda o la scarsa igiene personale

(Bentancor et al., 2012). I focolai di VTEC O157:H7 e non O157 continuano ad essere segnalati

in tutto il mondo: E. coli VTEC O111 è stato fonte di malattia per 341 persone in Oklahoma nel 2008 ed è stato riportato come il più grande focolaio O111 negli Stati Uniti (Bradley et al., 2012). La Norvegia è stata colpita dalla diffusione di un raro sierotipo, VTEC O103:H25, che ha portato ad una elevatissima incidenza di HUS (Schimmer et al., 2008). Inoltre O157 ha causato una epidemia in Germania nel 2002 con

un tasso di mortalità dell’11% (Alpers et al., 2009). Nel 2015 il tasso di notifica dell’Unione Europea è stato di 1,27 casi per

100.000 abitanti, che è stato leggermente più basso rispetto al 2014. Il più alto tasso di notifica è stato osservato in Irlanda, Svezia, Olanda e Danimarca (rispettivamente 12,92, 5,65, 5,08 e 3,06 casi per 100.000

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17 abitanti), invece 9 stati (Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia) hanno riportato meno di 0,1

casi per 100.000 abitanti. La maggior parte dei casi VTEC riportati in UE ha contratto l’infezione

all’interno del proprio territorio (64,4% casi domestici, 13,8% casi

associati ai viaggi, 21,8% casi di origini sconosciute). La Finlandia ha riportato la più alta proporzione (56,8%) di casi associati

al viaggio (European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control, 2016).

3.4 Patogenicità

I ceppi VTEC sono distinti in due categorie, in base alla loro capacità o meno di danneggiare i microvilli intestinali tramite meccanismo di adesione e distruzione (attaching and effacing), i cui geni responsabili si trovano in una regione detta “locus of enterocyte effacement” (LEE). Questa isola di patogenicità è presente anche nei ceppi EPEC ed è ben noto che la presenza del LEE è fortemente associata alla malattia. Il LEE di E. coli O157:H7 è di 43 kb e contiene una sequenza aggiuntiva di 7,5 kb rispetto ai ceppi EPEC. Il ruolo di questa sequenza aggiuntiva non è chiaramente definito. Oltre a VT e al LEE, E. coli O157: H7 contiene un plasmide altamente conservato, denominato pO157, che codifica per fattori di virulenza quali fimbrie ed enteroemolisine e ne controlla

l’espressione (Lim et al., 2010). I ceppi VTEC che hanno questa proprietà (detti AEEC:

Attaching-Effacing E. coli) appartengono ai sierogruppi O5, O26, O111, O118 e O157, i quali colonizzano la parete intestinale prima mediante

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18 un’adesina (EPEC adherence factor o EAF), poi attraverso una proteina (intimina) che favorisce la stretta aderenza delle cellule batteriche alle cellule della parete intestinale. Tali ceppi sono inoltre produttori, nella maggioranza dei casi, della verocitotossina VT1; tra questi alcuni producono anche la tossina VT2. I ceppi VTEC non AEEC appartengono principalmente ai sierogruppi O8, O20 e O22 e producono le tossine VT1 e/o VT2 (Zavanella et al. , 2009). La VT1 è praticamente identica alla tossina prodotta da Shigella dysenteriae, da cui differisce per un solo amminoacido e la VT2 presenta solo il 56% di omologia con la VT1 (Melton-Chelsa et al., 1998). Le VT sono costituite da due subunità principali, A e B, strutturate in modo che la A si leghi in modo non covalente alla B, che è un pentamero di 5 subunità identiche. La subunità A danneggia i ribosomi, inducendo così una risposta nelle cellule chiamata “ribotoxic stress response” che è sia infiammatoria sia pro-apoptotica, inoltre blocca la sintesi proteica delle cellule targets. Il polimero B ha la funzione di legarsi al recettore delle cellule globotriaosilceramide (Gb3), che si trova soprattutto sulle cellule

endoteliali (Melton-Celsa, 2014). Sono state identificate solo due varianti della VT1: VT1c e VT1d, che si

distinguono da VT1 per l’aspetto immunologico e che sono state trovate

raramente nel corso di malattie associate all’uomo. La VT2 presenta, invece, una variante considerata molto importante per

l’infezione nell’uomo: VT2c, questa mostra una ridotta citotossicità sulle cellule Vero e reagisce in modo diverso rispetto alle altre VT2 nei confronti di alcuni anticorpi monoclonali. Un’altra variante di VT2 è VT2d, che è associata alla più grave manifestazione dell’infezione da VTEC, la HUS. Anche questa mostra una ridotta sensibilità per le cellule Vero. Inoltre esistono VT2e, VT2f, VT2g, associate a VTEC negli

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19 animali; di queste solo VT2e comporta malattia nell’animale infetto, in particolare causa malattia degli edemi nel suino, una rara ma grave

patologia neurologica che spesso risulta fatale (Melton-Celsa, 2014). È accertato che tutte le azioni delle verocitotossine dipendono dalla

interazione con il recettore Gb3 sulle cellule eucariotiche, in seguito a questa interazione la tossina è internalizzata tramite endocitosi (che è appunto mediata dal recettore), è trasportata lungo l’apparato di Golgi, attraversa il reticolo endoplasmatico, viene rilasciata nel citoplasma dove inibisce la sintesi proteica (Obata et al., 2014). Le tossine vengono poi traslocate dall'intestino al sistema circolatorio e trasportate dai leucociti nelle cellule endoteliali dei capillari dei glomeruli renali e in altri organi (Karmali , 2004). I reni e il cervello sono i primi due organi target

(Trachtman et al., 2012). Queste tossine prodotte da E .coli possono causare varie forme di

malattia di diversa gravità: dalla diarrea non grave a una forma di colite emorragica, che può sfociare nella sindrome emolitica uremica (HUS), caratterizzata da anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia e insufficienza renale acuta molto grave (European Centre for Disease Prevention and Control and European Food Safety Authority, 2011).

3.5 Sintomatologia

L’infezione nell’uomo, causata dai ceppi VTEC, si può manifestare con una sintomatologia che varia dalla diarrea mediamente acquosa alla diarrea sanguinolenta (colite emorragica) e presenta un rischio per lo sviluppo della HUS. La malattia si manifesta solitamente dopo 3-4 giorni di incubazione con il primo sintomo che generalmente è la diarrea, che

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20 può essere accompagnata da febbre, crampi addominali, vomito. Nei giorni a seguire, da 1 a 5 giorni dopo l’inizio della diarrea, i pazienti possono presentare colite emorragica, che si pensa sia provocata maggiormente da VTEC O157 (Croxen et al., 2013). È possibile riscontrare una forma incompleta di HUS, denominata ARF (acute renal failure), in cui insieme all’insufficienza renale acuta è presente o anemia emolitica o trombocitopenia. Inoltre l’HUS si classifica in due sottogruppi: quello tipico (D+HUS), che si verifica a seguito di un episodio di diarrea e quello atipico (D-HUS), sporadico, non associato a diarrea. La HUS tipica è più frequente nei mesi estivi e si verifica più frequentemente nei bambini di età inferiore a 3 anni, questi presentano una diarrea sintomatica prodromica nel 91% dei casi e la diarrea sanguinolenta nel 57% . L'insufficienza renale acuta può manifestarsi in modo da variare da semplice ematuria, proteinuria a severa oliguria. ARF con anuria è stata riportata nel 40% dei casi e fino al 61% dei soggetti colpiti deve subire la dialisi. Altri apparati interessati includono il sistema nervoso centrale, il tratto gastrointestinale, il fegato e il pancreas. In un ampio studio è stato osservato che fino al 25% dei pazienti ha manifestato sintomi neurologici, tra cui episodi di convulsioni e stupore, e ipertensione (Amirlak et al., 2006). Il tratto gastrointestinale può mostrare coinvolgimento dall’esofago all'area perianale e può includere la colite emorragica, la necrosi dell’intestino, l'intussuscezione e la perforazione intestinale. L'epatomegalia e/o un aumento dei livelli di transaminasi sono frequenti indicazioni di coinvolgimento epatico. Il coinvolgimento del pancreas, indicato dall'intolleranza al glucosio, è di solito limitato alla fase acuta e si

(21)

21 La forma atipica invece è stata vista in uno studio retrospettivo, dove sono stati confrontati il decorso clinico e i risultati di laboratorio tra HUS atipico e tipico: i pazienti atipici HUS avevano un numero molto più basso di globuli bianchi e di concentrazione di creatinina sierica (1,2 vs 2,2 mg/dL), meno frequenti soggetti con oliguria (28% vs 58%) e anuria (21% vs 47%) e il 6% non presentavano trombocitopenia. Molti meno pazienti con HUS atipica hanno richiesto la dialisi (21% vs 47%) e

la recidiva di malattia è stata osservata nel 18% (Amirlak et al., 2006). Il coinvolgimento neurologico è la complicazione maggiormente

riscontrata e può provocare morte improvvisa. Si verifica nel 20-25% dei pazienti con VTEC-HUS. La malattia è associata ad una vasta gamma di disturbi neurologici, tra cui letargia, apnea, coma, convulsioni, cecità corticale e emiparesi. Alcuni studi indicano che la frequenza e la gravità delle complicanze neurologiche potrebbero essere correlate all'intensità dell'enterite antecedente, evidenziata dal grado di diarrea sanguinolenta e sintomi gastrointestinali. Le manifestazioni neurologiche rappresentano un effetto combinato di lesioni vascolari indotte dalle verocitotossine, disfunzioni endoteliali, ipertensione e disturbi elettrolitici (Trachtman et al., 2012).

(22)

22

4. SANITÀ PUBBLICA 4.1 Fonti di contaminazione

I ceppi VTEC sono patogeni zoonotici che si ritrovano nell’intestino di numerose specie animali, ma i ruminanti (soprattutto bovini, ma anche pecore, capre, ruminanti selvatici, bufali) sono stati identificati come i principali portatori di questi microrganismi, in particolare VTEC O157 (Caprioli et al., 2005). L’uomo contrae l’infezione tramite trasmissione oro-fecale che si concretizza quando vengono ingerite carni crude o poco cotte, contaminate durante la macellazione. Altre fonti di contaminazione sono i prodotti lattiero-caseari non pastorizzati, o se pastorizzati, che sono stati contaminati a seguito del trattamento termico, durante la trasformazione, negli stabilimenti di ristorazione, nella vendita al dettaglio o in casa. Inoltre possono essere veicoli di trasmissione i prodotti con basso pH come salami fermentati, maionese e yogurt, ma anche frutta e verdura per le quali o è stato utilizzato fertilizzante derivante da feci di ruminanti o è stata utilizzata per l’irrigazione acqua contaminata. Infatti, oltre agli alimenti anche l’acqua funge da veicolo di trasmissione di VTEC, in particolare nelle aree rurali (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007). Dunque risulta possibile contrarre l’infezione mediante contatto diretto o indiretto con gli animali o anche tra persone, in situazioni di scarsa igiene e fecalizzazione ambientale.

4.2 Episodi in Europa

Nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009 gli Stati membri Europei

hanno comunicato 16.263 casi di infezione da VTEC nell’uomo. Il tasso di notifica di VTEC O157 è stato più alto nei bambini al di sotto

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23 dei 5 anni (7,2 casi per 100.000 abitanti). Durante il periodo 2007-2009, i casi di HUS sono stati per lo più segnalati in infezioni dovute al

sierogruppo O157 (N = 282) e il sierogruppo O21 (N = 60). Un totale di 211 focolai di origine alimentare e 13 focolai collegati

all’uso di acqua contaminata da E. coli , tra cui VTEC, sono stati riportati dagli Stati membri dell'UE nello stesso periodo. Tra i focolai di origine alimentare, 16 erano dovuti al consumo di carne (soprattutto bovina), 9 a prodotti lattiero-caseari e i rimanenti 15 focolai ad altri alimenti. Per il periodo 2004-2006 invece, sono stati riportati dagli Stati membri 195 focolai causati da E. coli VTEC per trasmissione alimentare e in tre di questi, verdure e insalate sono state segnalate come il cibo responsabile di epidemia: due in Svezia nel 2005 e uno in Portogallo nel 2006. Quella svedese nel 2005 ha interessato 135 persone, che avevano

consumato lattuga in ristoranti e in famiglia. Il focolaio portoghese nel 2006 ha interessato 10 persone, che avevano

mangiato verdure nella mensa di una scuola materna. Inoltre c’è stato un focolaio in Danimarca nel 2006 associato al consumo

di erbe e spezie (pesto e basilico importato) e sono state colpite 250 persone. La maggior parte delle infezioni è attribuibile a E. coli O157, ma con il passare degli anni, il sierotipo O104 che prima era più raro, sta

espandendosi sempre di più. Dieci casi di VTEC O104 sono stati segnalati negli Stati membri dell'UE

nel periodo 2004-2010, in particolare in Austria (un caso nel 2010), Belgio (un caso nel 2008), Danimarca (un caso nel 2008), Finlandia (un caso nel 2010), Francia (un caso in 2004), Norvegia (un caso nel 2006 e tre casi nel 2009) e Svezia (un caso nel 2010). Sulla base dei dati noti, il 56% delle persone erano maschi e l'età variava da meno di 1 anno a 76

(24)

24 anni; in quattro casi (44%) l’infezione era stata contratta in viaggio e i paesi di origine dell'infezione erano Afghanistan, Egitto, Tunisia e Turchia. Solo due casi di VTEC O104 erano dovuti in particolare al sierotipo VTEC O104:H4 (in Finlandia nel 2010 e in Francia nel 2004). Quest’ultimo era già stato isolato due volte in Germania nel 2001 e una volta in Corea nel 2005 (European Centre for Disease Prevention and

Control and European Food Safety Authority, 2011). Nell'estate del 2011, la Germania ha vissuto una grave epidemia a causa

di un'infezione alimentare causata da E. coli VTEC sierotipo O104:H4, in cui si è verificato un gran numero di casi di diarrea sanguinolenta e

sindrome uremica emolitica. In particolare sono stati osservati circa 3.000 casi di soggetti che hanno

contratto VTEC, con un'età media di 46 anni, di cui il 58% erano femmine. Tra questi, 855 pazienti hanno sviluppato HUS, più del 20% del numero totale di pazienti e si è arrivati a capire che tutte le 855 persone affette avevano consumato germogli di fieno greco (Trigonella

foenum-graecum). In totale sono stati registrati 18 decessi (0,6%),

mentre alcuni pazienti che sono sopravvissuti hanno mostrato una dispersione del patogeno per un lungo periodo di tempo, anche fino a 8

mesi (Burger, 2012). Nel periodo compreso tra il 2013-2015 gli Stati Membri che hanno

notificato più casi di infezione da VTEC sono riportati nella Tabella1, con il numero dei casi totali per anno.

(25)

25

2013 2014 2015

Numero dei casi confermati

Germania 1639 1663 1616

Paesi Bassi 1184 919 858

Irlanda 564 572 598

Svezia 551 472 551

Danimarca 191 229 173

Tabella1- Numero dei casi confermati dal 2013 al 2015 in alcuni Stati

Membri.

(European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control, 2016).

4.3 Episodi in Italia

In Italia, nel corso degli anni, si sono verificati diversi casi di infezione da ceppi VTEC, alcuni dei quali sono stati studiati ed analizzati al fine di conoscere nella maniera più approfondita possibile le caratteristiche

microbiologiche e patogenetiche del microrganismo. Tra il 1988 e il 2004, in Italia sono stati identificati 344 casi di infezione

umana da VTEC, che per la maggior parte sono stati sporadici, tranne nel caso di alcune epidemie registrate nel 1992, 1993 e 1997. È stata evidenziata una marcata stagionalità, in quanto il maggior numero di casi (67%) si è manifestato nei periodi più caldi, in particolare tra giugno e settembre con un picco nel mese di agosto. Dal punto di vista clinico la sintomatologia più frequente è quella della HUS, seguita da diarrea e poi da diarrea con sangue. Nell’87% dei casi è stato possibile determinare il sierogruppo del ceppo VTEC infettante: oltre a E. coli O157, che risulta

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26 essere il sierogruppo prevalente, gli altri ceppi enteroemorragici diagnosticati più frequentemente sono O26, O145 e O111

(ENTERNET-Italia http://www.simi.iss.it/enternet/dati_v.asp). Nel 2010 è stato pubblicato un articolo che ha esposto uno studio

retrospettivo, sui casi di HUS osservati presso l’unità di nefrologia

pediatrica dell’ospedale Meyer di Firenze. Dal gennaio 1997 al dicembre 2008 sono stati individuati 22 casi, con

un'incidenza annua di 0,05 casi per 100.000 abitanti e 0,34 casi per 100.000 bambini di età <15 anni. Il 60% dei pazienti era D + (HUS tipico) e il 40% era D- (HUS atipico), con una distribuzione di età da 12 giorni a 13 anni. Le indagini microbiologiche hanno mostrato un'associazione di D + HUS con vari ceppi di E. coli che producono

verocitotossine nel 54% dei casi (Micheletti et al., 2010). Nell'estate 2013, un elevato numero di casi pediatrici di HUS in una

regione del Sud Italia, è stato associato a VTEC O26:H11. In particolare, l'infezione da E. coli O26 è stata identificata in 20 bambini (età media di

17 mesi), due dei quali con gravi sequele neurologiche. L’indagine epidemiologica ha mostrato un'associazione tra l'infezione da

VTEC O26 e il consumo di prodotti lattiero-caseari provenienti da due

stabilimenti locali (Germinario et al., 2016). Nel Nord Italia è stato condotto uno studio per valutare il rischio di

contrarre la HUS in relazione al consumo di latte crudo venduto in distributori automatici. La valutazione ha riguardato lo stato microbiologico delle aziende casearie, la contaminazione del latte, le condizioni di conservazione a casa, la crescita microbica durante lo stoccaggio, la frequenza di consumo del latte crudo e l'età dei consumatori. È stato visto che per ogni 10.000 consumatori all’anno, consumando il latte stoccato e conservato nelle peggiori condizioni, si

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27 sono riscontrati 2,12 casi di campilobatteriosi e 0,02 casi di HUS nel gruppo di età da 0 a 5 anni e 0,1 casi di HUS nel gruppo di età superiore ai 5 anni. Si è concluso che il rischio di malattia legato al consumo di latte crudo non dovrebbe essere ignorato e potrebbe essere ridotto mediante alcuni accorgimenti: consumo del latte previa bollitura e controllo rigoroso delle temperature durante la distribuzione del latte

crudo (Giacometti et al., 2012). In un altro studio, eseguito tra ottobre 2012 e settembre 2013 in un

allevamento in Italia, è stata valutata la presenza di E. coli O157:H7 nelle feci di bovine produttrici di latte destinato alla vendita diretta per il consumo umano. Nel corso di questo studio l’allevamento presentava circa 140 animali, 70 vacche 70 vitelli. Sono stati selezionati casualmente 26 animali da entrambi i gruppi (vacche e vitelli) e prelevati campioni fecali direttamente dal retto con una frequenza di 6 volte a bimestre. In tutto sono stati raccolti 285 campioni fecali ed analizzati mediante RT-PCR e colture: 16 (5,6%) campioni erano positivi per

E. coli O157 tramite RT-PCR, mentre l’esame colturale ha evidenziato 9

(3,1%) campioni positivi; tutti i coli isolati erano positivi per i geni che codificano per VT1, VT2 e eae. Inoltre è emerso che il numero di batteri eliminati con le feci aumenta nei mesi più caldi, e questo può avere un impatto significativo sulla contaminazione ambientale e sulla sicurezza del latte crudo e dei suoi sottoprodotti. Questo lavoro ha inoltre dimostrato che non c’è differenza nella prevalenza di campioni fecali positivi tra animali giovani e adulti, e che esiste una relazione positiva tra la presenza di E. coli produttori di verocitotossine negli allevamenti di vacche da latte e le condizioni igieniche generali dell’azienda agricola, soprattutto per la grande capacità di E. coli O157 di sopravvivere nelle

(28)

28 Come descritto nella Tabella 2, in Italia dal 2011 al 2014 c’è stato un incremento di casi di infezione da VTEC, che si sono poi ridotti dal 2014 al 2015:

2011 2012 2013 2014 2015

Numero dei casi confermati

Italia 51 50 64 68 59

Tabella2- Numero dei casi confermati dal 2011 al 2015 in Italia

(European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control, 2016).

(29)

29

5. VTEC IN VARIE SPECIE ANIMALI 5.1 VTEC nei mammiferi

È presente una grande variabilità nella distribuzione di VTEC nei bovini, con occasionali aumenti o periodi di totale assenza. Nei bovini da latte la presenza del microrganismo nelle feci oscilla tra lo 0,2 ed il 48,8%. Negli Stati Uniti la percentuale di animali positivi oscilla tra lo 0,4 e il 40%, mentre in altri paesi (Canada, Italia, Giappone e Regno Unito) i valori variano tra l’1,7 e il 48,8%, con una maggiore prevalenza negli animali giovani e in condizioni di temperature elevate. In Italia è stato visto che la presenza di VTEC a livello intestinale tra i bovini macellati varia dallo 0 al 16,5% e dipende dall’età, dallo stato di nutrizione e dalla

stagione (Cravero et al., 2014).

E. coli O157:H7 non risulta patogeno per il bovino adulto, in cui si

localizza nel tubo digerente e si comporta da commensale, al contrario del vitello dove gli E. coli VTEC possono causare diarrea e i sierotipi implicati sono O5, O26, O111, O118 (che sono associati a malattia

anche nell’uomo) (Cravero et al., 2014). L’eventuale presenza e diffusione di E. coli O157 nelle aziende

zootecniche possono essere influenzate dalla durata e dalla quantità di microrganismi eliminati, ma anche dalle condizioni ambientali e

igieniche dell’allevamento. All’interno di una mandria sono presenti animali classificabili come

eliminatori in elevate quantità (super shedders), ossia che eliminano una quantità di E. coli superiore a 10³ ufc/g di feci: sono quei soggetti nei quali E. coli colonizza il tratto terminale del retto. Negli animali semplicemente portatori, invece, non c’è una vera colonizzazione dell’epitelio intestinale. È fondamentale individuare i super shedders in

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30 stalla in modo da provvedere a bloccare l’ulteriore diffusione del microrganismo e, di conseguenza, prevenire l’infezione nell’uomo

(Cravero et al., 2014). I bovini adulti risultano asintomatici per l’assenza dei recettori vascolari

per le verocitotossine (Gb3) che quindi non possono essere trasportate ad altri organi che possono essere ad esse sensibili (Persad et al., 2014). Oltre al bovino, E. coli O157 può essere presente anche in piccoli ruminanti e suini, infatti in uno studio eseguito in Gran Bretagna nel 2003, risultava positivo per E. coli O157 al momento della macellazione il 4,7% dei bovini, lo 0,7% delle pecore e lo 0,3% dei suini esaminati

(Cravero et al., 2014). In particolare pecore e capre sono importanti serbatoi di E. coli O157 e

come i bovini hanno la tendenza ad essere asintomatiche; nell’uomo molto spesso l’infezione si contrae consumando latte non pastorizzato o formaggi. Nei suini invece la situazione è diversa dai ruminanti, in quanto possiedono i recettori vascolari sensibili alle verocitotossine, per cui dopo la colonizzazione intestinale dei ceppi VTEC che producono VT2e (è il sottotipo di VT2 più frequentemente isolato dalle feci suine) si può sviluppare la malattia degli edemi, che si manifesta con edemi sottocutanei, atassia, incoordinazione, stupore. In questi casi la morbilità è bassa mentre la mortalità risulta molto alta e i suini che sopravvivono

presentano dei deficit neurologici permanenti (Persad et al., 2014). I fattori di rischio per la diffusione di E. coli VTEC in allevamento sono:

 La stagione: l’eliminazione con le feci è più imponente nella stagione calda;

 L’età: animali giovani sono più suscettibili alla colonizzazione da parte del microrganismo;

(31)

31  L’utilizzo del letame: per lo spandimento del letame sui pascoli e

la conseguente infezione da parte del bestiame;

L’acqua di abbeverata: risulta frequentemente positiva per E. coli O157;

 I mangimi .

E. coli O26 VTEC è stato riscontrato anche nel latte di bufale, che

dunque potrebbero rappresentare un’ulteriore serbatoio per questo

microrganismo (Lorusso et al., 2009). Anche i ruminanti selvatici hanno un ruolo nella trasmissione di E. coli

VTEC. In uno studio recente, è stato esaminato il contenuto intestinale di cervi, camosci e caprioli abbattuti o ritrovati morti nelle province di Trento e Pordenone ed alcuni soggetti (0,3% di caprioli e 1,5% di cervi) sono risultati positivi per VTEC O157 (Cravero et al., 2014).

5.2 VTEC negli uccelli

Oltre ai ruminanti si è visto che anche gli uccelli possono avere un ruolo nella trasmissione di E. coli verocitotossici: questi sono in grado di ospitare numerosi microrganismi nel loro tratto gastrointestinale e agiscono come ospiti-serbatoio di VTEC. Gli uccelli selvatici sono stati identificati per la prima volta come potenziale fonte di infezione di VTEC nel 1997, nel Regno Unito, dove è stata intrapresa un’indagine sugli uccelli selvatici come vettori di E. coli O157. Da allora sono stati isolati VTEC da storni, passeri, piccioni e altre specie aviari. Molte specie di uccelli possono essere ritrovate in vicinanza delle fattorie, dove possono facilmente ritrovare fonti di cibo da cui sono attratti. La possibilità di alcuni uccelli di migrare e quindi la capacità di attraversare

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32 lunghe distanze in un solo giorno, consente la trasmissione di VTEC tra aziende agricole e all’interno delle stesse. Inoltre gli uccelli migratori possono interagire con gli uccelli più vicini all’uomo come per esempio i piccioni e propagare così i ceppi VTEC anche all’uomo (Persad et al., 2014). Ceppi di E. coli che producono una variante della tossina VT2, designata Vtx2f, sono stati osservati nelle feci di piccione. Durante il periodo 1997-1998, 649 piccioni sono stati intrappolati in tre diverse piazze di Roma. Da ognuno di questi sono stati raccolti campioni di feci ed esaminati per ricercare la presenza di VT mediante colture di arricchimento delle feci e test su cellule Vero. Gli E. coli che producono VT sono stati isolati dalle colture positive e sottoposti a sierotipizzazione e PCR per la ricerca di geni VT e di altri geni correlati alla virulenza: i geni responsabili della produzione delle verocitotossine sono stati rilevati nel 10,8% delle colture di arricchimento delle feci. La percentuale degli uccelli positivi non variava in maniera significativa per i tre luoghi considerati e per la stagione della raccolta dei campioni, ma variava per l’età, infatti, la presenza di VTEC era significativamente più frequente nei giovani rispetto agli uccelli adulti (17,9% contro 8,2%). Nessuno degli uccelli esaminati mostrava segni di malattia. In totale sono stati identificati 6 sierogruppi, ma la maggior parte degli isolati

apparteneva a O45, O18ab e O75 (Morabito et al., 2001). Anche gli uccelli acquatici come oche e anatre possono essere fonte di

ceppi VTEC, soprattutto per la contaminazione delle acque superficiali che poi possono essere utilizzate per l’irrigazione dei campi (Persad et al., 2014). Ulteriori serbatoi di VTEC potrebbero essere pollo e tacchino, in cui sono state trovate prevalenze rispettivamente fino all’1,5% e al 7,5

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33 In Brasile, da settembre 2010 ad aprile 2012, sono stati fatti tamponi cloacali e orofaringei di uccelli selvatici e piccioni e sono stati trovati due tipi di VTEC e cinque tipi di EPEC dagli uccelli selvatici, mentre dai piccioni sono stati isolati quattro tipi di EPEC. La crescente interazione dei piccioni urbani e degli uccelli selvatici con uomini e con animali potrebbe rappresentare un rischio per la sanità pubblica. Infatti in questo studio è emersa la presenza, negli E. coli patogeni trasportati dagli uccelli, di sierogruppi e geni di virulenza implicati nello sviluppo della forma tipica di malattia che si manifesta a seguito dell’infezione da

VTEC e EPEC nell’uomo e negli animali (Borges et al., 2017). In uno studio eseguito in Scozia, dove E .coli VTEC O157 è molto

diffuso e gli uccelli di solito presenti in giardino hanno frequenti possibilità di contatto, seppure indiretto, con le persone, sono stati raccolti 231 campioni di feci di uccelli selvatici durante un periodo di 36 mesi, nel 2002, da un giardino in cui era presente una stazione di alimentazione. Sono stati raccolti campioni due volte al giorno e i numeri e le specie di uccelli che hanno visitato l’area sono stati registrati. I campioni poi sono stati portati in laboratorio e analizzati: è risultato positivo per E. coli O157 un solo campione. Questo era stato raccolto nel giugno 2002, quando gli uccelli presenti in quell’area erano merli (Turdus merula), passeri domestici (Passer domesticus), verdoni

(Carduelis chloris), fringuelli (Fringilla coelebs) (Foster et al., 2006). In un altro studio, eseguito nel 2002 in Danimarca, sono stati esaminati

gli animali selvatici (uccelli, ratti, lepri, cani, gatti, cinghiali, pecore, capre) che vivevano in prossimità di alcune fattorie ospitanti bovini e maiali; in particolare dagli uccelli selvatici sono stati raccolti 244 campioni (tamponi cloacali), di cui 6, provenienti dallo storno (Sturnus

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34 feci dei bovini della fattoria corrispondente, dimostrando così che uccelli selvatici possano contrarre il microrganismo dai mammiferi e viceversa, avendo dunque un ruolo nella trasmissione (Nielsen et al., 2004). La trasmissione di tali ceppi anche all’uomo, è stata considerata possibile nel momento in cui si sono verificati degli episodi di infezione umana legata agli uccelli. Nel luglio 2002 a Gloucestershire (Inghilterra) si è verificato un focolaio in una fattoria a conduzione familiare, che ha colpito due sorelle, che presentavano diarrea sanguinolenta, e la madre. Le due bambine (di 4 anni una e 9 mesi l’altra) non avevano nessun contatto diretto con gli animali d’allevamento e non avevano visitato nessuna fattoria prima di sviluppare la malattia. Il padre lavorava come guardaboschi e circa un mese prima aveva intrappolato 100 corvi. Entrambi i genitori erano asintomatici; la famiglia non aveva animali da compagnia e consumava latte pastorizzato. Sono stati prelevati campioni di feci e sottoposti a screening, inizialmente presso il “Goucester Public Health Laboratory” , dove presunti E. coli O157 sono stati isolati e poi inviati al “Laboratory of enteric pathogens” (LEP) per la conferma e per verificare la presenza di geni per la produzione di verocitotossine. Dopo 10 giorni dall’identificazione del microrganismo sono stati prelevati in azienda 85 campioni e sottoposti a indagini di laboratorio. Di questi 58 provenivano da feci di bovino, 5 da acqua, 19 da feci di coniglio e 1 da feci di corvo. E. coli O157, con geni per VT2, sono stati isolati da tutti e tre i casi umani e dalle feci del corvo, mentre non sono stati ritrovati nei campioni provenienti da bovini, conigli e acque. Le evidenze microbiologiche suggeriscono che in questo focolaio, il contatto indiretto con le feci dei corvi, possa essere un fattore di rischio per l’acquisizione dell’infezione umana da VTEC O157, con possibile trasmissione da

(35)

35 persona a persona. Le figlie possono aver avuto un contatto indiretto con le feci degli uccelli attraverso le scarpe da lavoro sporche del padre o le tute contaminate, infatti le linee guida per il controllo delle infezioni da VTEC suggeriscono che le scarpe dovrebbero essere tenute lontano dalle principali aree abitate della casa e gli abiti da lavoro dovrebbero essere lavati separatamente. (Ejidokun et al., 2006).

(36)

36

6. DIAGNOSI

Generalmente, la diagnosi di VTEC è laboriosa e attualmente non ci sono metodi semplici e poco costosi disponibili per l'isolamento routinario dei ceppi VTEC. Il gold standard prevede, dopo l’isolamento su terreni selettivi/differenziali e una prima identificazione attraverso test di agglutinazione, la messa in evidenza della produzione di verocitotossine impiegando cellule Vero; possono, inoltre, essere utilizzate anche altre linee cellulari, per esempio le cellule HeLa. Inoltre sono stati sviluppati dei metodi di rilevazione sierotipo-specifici, dove i ceppi sono isolati sulla base del loro antigene O e successivamente analizzati per la produzione di VT o la presenza di geni vtx (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007). I metodi per rilevare i ceppi VTEC sono:

1. Isolamento

2. Prove di citotossicità su cellule Vero 3. Metodi immunologici

4. Metodi molecolari 1. Isolamento:

 Isolamento di VTEC O157 → VTEC di solito possiedono caratteristiche fenotipiche che sono indistinguibili da quelle degli altri E. coli, tuttavia, VTEC O157 è di solito incapace di fermentare il sorbitolo entro 24 ore dall’incubazione e manca dell’attività β-gucuronidasica. Queste caratteristiche vengono sfruttate routinariamente per l’isolamento selettivo di VTEC O157. Il mezzo solido più diffuso per rilevare la non fermentazione del sorbitolo

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37 è il Sorbitol MacConkey Agar (SMAC), contenente peptone, lattosio, sali biliari, sodio cloruro, rosso neutro, cristal violetto e agar. La selettività di questo terreno può essere migliorata mediante l'uso di gli agenti selettivi: i più frequentemente usati sono il cefixime, una cefalosporina di terza generazione e il tellurio di potassio (CT-SMAC). Ciò nonostante, alcuni ceppi VTEC O157 sono sensibili al cefixime e al tellurio di potassio e pertanto non possono essere rilevati su CT-SMAC, per cui l’uso di antibiotici potrebbe aumentare il rischio di avere dei falsi negativi. Dopo l'incubazione, le singole colonie che si sospettano essere VTEC O157 sono saggiate per la conferma del sierotipo: devono essere testate per l'antigene O157 tramite anticorpi per O157, quelli che risultano agglutinati con l’antisiero O157 devono essere confermati come E. coli da reazioni biochimiche. Mentre i campioni di feci umane di soggetti con forme cliniche di malattia vengono esaminate mediante semina diretta su Agar selettivi e differenziali, feci animali, campioni alimentari e ambientali, che di solito contengono un basso numero di VTEC O157 insieme ad una abbondante flora microbica, richiedono un arricchimento selettivo. Sono ampiamente utilizzati per l'arricchimento di VTEC O157 il Tryptic Soy Broth (TSB) (principalmente per il cibo) e acqua peptonata tamponata (per le feci umane e animali). Questi brodi possono essere integrati con diversi agenti selettivi come novobiocin, vancomicina, cefsulodina, cefixime e sali biliari. Normalmente la temperatura di incubazione è 37 ° C - 42 °

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38 C per un tempo che va da 6-8 ore fino a tutta la notte per tutti i tipi di campioni.

 Isolamento di VTEC non O157 → la crescente preoccupazione per l’associazione tra VTEC non O157 e infezioni umane, insieme alla limitata specificità dei metodi di coltura per questi altri sierotipi, ha portato alla fornitura di anticorpi rivolti all'antigene O di altri VTEC, compresi O26, O103, O111 e O145. La rilevazione basata su IMS (Separazione Immunomagnetica) di sierotipi diversi da O157 è simile a quella per la rilevazione di E.

coli O157. Molti sierotipi VTEC non-O157 (O5:H-,

O26:H-, O26:H11, O91:H21, O111:H-, O111:H8, O104:H11, O113:H21 e O157:H8) sono in grado di crescere su terreni colturali con vancomicina, cefixime e cefsulodina. In particolare per l’isolamento di VTEC O26 viene utilizzato come terreno colturale il Rhamnose MacConkey Agar (RMAC), in cui rispetto allo SMAC è presente il ramnosio al posto del sorbitolo essendo questo sierotipo incapace di fermentare tale zucchero. Anche in questo caso l’aggiunta di cefixime e tellurio di potassio rende il terreno più selettivo per l’isolamento (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007).

2. Prove di citotossicità su cellule Vero: utilizzate per la ricerca di VT libera in modo da evidenziare la presenza dell’infezione a partire dai campioni fecali, alimentari o ambientali. Tuttavia l'applicazione più comune del test delle cellule Vero è per confermare la produzione di tossine da colture pure (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007). Infatti i ceppi VTEC

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39 inducono un effetto citotossico sulle cellule Vero: l’attività delle tossine è stata saggiata mediante l’utilizzo di piastre multipozzetto di plastica al cui interno vengono fatte crescere le colture cellulari. A 0,5 ml di coltura cellulare vengono aggiunti 0,05 ml di filtrato batterico, poi il tutto incubato a 36°C per 4 giorni. In questo periodo l’effetto citotossico diventava sempre più visibile, con cambiamenti morfologici delle cellule Vero che risultano raggrinzite con la superficie irregolare (Konowalchuk et al., 1977).

3. Metodi immunologici: questi sono ampiamente usati per la rilevazione di VT e prevedono l’utilizzo di anticorpi poli- o monoclonali specifici per VT. Comprendono il test ELISA e l'agglutinazione inversa passiva al lattice (RPLA). Il primo è un metodo utilizzato in diagnostica per studiare le interazioni antigene-anticorpo, il secondo invece utilizza delle sfere di lattice rivestite con antigene o con anticorpo e l’agglutinazione delle particelle sta ad indicare un risultato positivo. I metodi immunodiagnostici sono generalmente affidabili e la maggior parte è semplice da eseguire nei laboratori e non richiede attrezzature costose.

4. Metodi molecolari: consistono nel mettere in evidenza i geni associati alla virulenza, ossia vtx1 e vtx2 che codificano rispettivamente per VT1 e VT2, il gene eaeA che codifica per l’intimina (Blanco et al., 2003) e il gene hlyA, che codifica per un’emolisina (Kerényi et al., 2005). È molto importante la ricerca di tali geni in modo da avere conferma che i ceppi isolati di E.

coli siano VTEC e viene messa a punto mediante PCR ma anche

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40 nucleici". I metodi di rilevazione molecolare possono essere applicati a partire da colture pure o miste (EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ), 2007).

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7. TERAPIA

Il decorso dell'infezione da VTEC nell’uomo di solito è auto-limitante e si risolve spontaneamente dopo circa una settimana, ma nel caso di peggioramento delle manifestazioni cliniche non c'è modo di impedire lo sviluppo di HUS, i cui fattori di rischio sono riconducibili agli effetti

delle tossine VT a livello sistemico. Alcune linee guida per la gestione clinica delle infezioni da VTEC,

suggerite da Holtz et al. (2009), promuovono l'uso di soluzioni endovenose, il monitoraggio costante della funzionalità renale e delle piastrine, mentre sconsigliano l’uso di farmaci antimotilità, farmaci per

la riduzione del dolore e antibiotici (Rocha et al., 2012). La citotossicità di VT1 e VT2 potrebbe essere neutralizzata con

globotrioso (composto da due residui di galattosio e un residuo di glucosio) coniugato al chitosano, che lega così la tossina (Li et al.,

2012). Altre strategie che vengono valutate in laboratorio coinvolgono

probiotici, come le molecole secrete da Lactobacillus acidophilus, che produce sostanze (molecole probabilmente di natura proteica) in grado di inibire l'adesione di VTEC O157:H7 alle cellule epiteliali in vitro

(Medellin-Peña et al., 2009). Anche Bifidobacterium spp. e Lactobacillus spp. sembrano in grado di

inibire la crescita di VTEC O157: H7 almeno in vitro (Mogna et al., 2012). Inoltre è stato mostrato in alcuni studi come lo ione Mn2+ sia in grado di impedire la morte cellulare indotta da VT1 e possa dunque essere utilizzato come potenziale sostanza terapeutica contro la verocitotossina

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42 Alcuni antibiotici (trimetoprim, ciprofloxacina, norfloxacina, fosfomicina, ceftazidima) (Lino et al., 2011) non sono raccomandati per il trattamento di VTEC, poiché innescano la risposta S.O.S. che è attivata in caso di danno al DNA, in seguito allo stress cellulare causato dall’invasione e colonizzazione batterica, in cui il ciclo cellulare viene arrestato ed è indotta la riparazione del DNA. In aggiunta a ciò questi promuovono la trascrizione dei geni vtx1 e vtx2 e dunque la produzione di tossine. Per di più, durante l’infezione, la lisi batterica indotta dagli antibiotici può aumentare il livello di VT libere disponibili per l’assorbimento sistemico (Donnenberg, 2013). Inoltre molti sierotipi mostrano resistenza a vari antimicrobici, come alla sulfonamide e alla tetraciclina, ma anche ad ampicillina, streptomicina e trimetoprim (Croxen et al., 2013).

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8. PROFILASSI

La diffusione di VTEC da persona a persona rappresenta sempre un rischio, qualunque sia la fonte primaria. Le misure di controllo per prevenire la diffusione da persona a persona vengono raggruppate in tre aree:

1. Igiene personale, in particolare lavaggio delle mani, soprattutto in seguito ad episodi di diarrea che rende più probabile la diffusione di questi microrganismi.

2. Controllo dell’infezione e pulizia ambientale: il controllo dell'infezione è importante nel contesto domestico, nonché nelle strutture per l'infanzia e l'assistenza sanitaria, inclusi gli ospedali e le case di cura. Se si è verificato un caso nell'ambito domestico, è fondamentale assicurarsi che i membri della famiglia siano informati e mettano in atto adeguate misure di controllo dell'infezione. I soggetti convalescenti dall'infezione da VTEC dovrebbero evitare la preparazione di alimenti per altre persone.

3. Esclusione dei contatti che rappresentano un rischio speciale di diffusione dell'infezione, fino a clearance microbiologica, ossia fino a quando risultano negativi due campioni fecali presi a distanza di 24 h (GI Programme Board VTEC working group (HQSD), 2011).

Nel 2009 l’EFSA ha proposto procedure specifiche per il monitoraggio e la segnalazione dei VTEC negli animali e negli alimenti, già a partire dall’ambiente di macellazione, dove gli operatori devono prestare attenzione, dopo il dissanguamento e prima della scuoiatura, a possibili

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44 contaminazioni dovute alla presenza di E. coli O157 sulla pelle dei giovani bovini (che si presume siano il serbatoio più importante). Il risk

assessement ha dimostrato che le pelli e il vello dei giovani ruminanti

rappresentano una fonte di contaminazione per le carcasse più importante rispetto alle feci. È anche utile estendere il monitoraggio ai sierogruppi di VTEC O26, O103, O111 e O145, causa di infezioni nell’uomo. Si esegue il campionamento su bovini tra i 3 e 24 mesi e ovini tra i 4 e 12 mesi di età, nel periodo compreso tra il 1°aprile e il 1°ottobre e dal momento che non è previsto che la prevalenza di VTEC nella popolazione si modifichi nell’arco di 1-2 anni, l’EFSA raccomanda

di effettuare il monitoraggio ad intervalli di almeno tre anni. Per quanto riguarda gli alimenti, l’EFSA propone linee guida generali

per condurre indagini specifiche sulle categorie di alimenti che con maggiore probabilità sono fonti di infezioni da E. coli VTEC O157 e non O157 nell’uomo. Queste comprendono: carni fresche, carni macinate e preparazioni di carni (in special modo di bovino, consumate crude o dopo una minima cottura) e alimenti pronti al consumo, come prodotti a base di carne fermentati, ortaggi, legumi freschi, germogli e insalate, latte non pastorizzato, prodotti lattiero-caseari derivati da latte crudo o trattato termicamente (EFSA, 2007).

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1. OBIETTIVI

Lo scopo del lavoro di tesi è stato la ricerca di E. coli produttori di verocitotossine nel contenuto intestinale di uccelli selvatici per verificare il ruolo di questi animali come diffusori di tali patogeni. In particolare sono stati ricercati i geni stx1 e stx2, che codificano per la produzione delle verocitotossine rispettivamente VT1 e VT2, il gene eaeA, che codifica per l’intimina e il gene hlyA che codifica per un’emolisina.

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