PARIGI - I grandi del teatro si riconoscono subito, bastano poche parole, qualche gesto per restarne affascinati, e a volte un loro sguardo è sufficiente per far capire agli interlocutori un' idea, un' intenzione. Bob Wilson è certamente uno dei grandi e la calma, la semplicità, l' intelligenza con cui l' altra sera ha spiegato a un piccolo gruppo di giornalisti le sue idee su Mozart ha ammaliato tutti i presenti. Il regista americano sta preparando all' Opéra-Bastille la messinscena del Flauto Magico, in calendario dal 27 giugno al 19 luglio in una nuova produzione, direttore lo svizzero Armin Jordan, protagonisti David Rendall, Cynthia Haymon, Christian Boesch, Volker Vogel, Carsten Stabell, Ewa Malas-Godlewska e, soltanto per due repliche, Luciana Serra. Una produzione che costerà circa un miliardo di lire, di cui un terzo a carico di uno sponsor nipponico, la Nihon Keizai Shimbun. Wilson affronta per la prima volta il teatro musicale mozartiano, solo tre mesi dopo aver curato la regia del Parsifal ad Amburgo. Wagner e Mozart, due mondi lontani, ma non per Wilson, allettato proprio dall' idea di preparare i due lavori a poca distanza di tempo l' uno dall' altro: In Wagner è molto difficile sostenere il flusso ininterrotto, mentre nel Flauto magico si oppongono una linea esteriore ed una interiore ed è proprio questa costruzione ad avermi affascinato molto. Esistono cose simili in Parsifal e nel Flauto, anche fra le due storie. Nell' opera mozartiana c' è una superficie molto semplice, almeno in apparenza, mentre il lavoro è molto profondo. Questo intreccio fra semplicità e profondità è stato molto importante per me. Ma come affronta il teatro di Mozart uno come Bob Wilson, regista fuori dagli schemi, considerato un avanguardista per antonomasia? Le risposte di Wilson arrivano lentamente, come se ogni domanda lo costringesse a interrogarsi sul senso del suo lavoro, sul rapporto con la tradizione: Le forme classiche mi hanno sempre riguardato. Molti hanno chiamato il mio lavoro avanguardia, ma il vero significato di questa parola è la riscoperta del classico. In qualche modo il mio lavoro è classico. Mi avvicino alle cose con una certa distanza, perché altrimenti potrebbe essere pericoloso, rischierei di dare un' interpretazione troppo precisa. Nella piccola sala dell' Opéra-Bastille dove ci troviamo, Wilson sembra faticare per spiegare le sue idee, come se il suo teatro non avesse bisogno di alcuna spiegazione: Mi piace offrire uno spazio mentale al pubblico, perché il pubblico possa porsi delle domande. L' interpretazione non mi concerne, tocca al pubblico interpretare. Io come regista devo farmi delle domande, ma non devo imporre un punto di vista troppo preciso. Dobbiamo interrogarci, come Parsifal, la responsabilità del regista è simile a quella dei critici, non è quella del pubblico. Spetta a quest' ultimo cercare di interpretare e non a me fornire idee troppo precise. Ho pensato a tutta la messinscena del Flauto magico come a una danza, continua Wilson, facendo riferimento al No giapponese, un teatro in cui il significato passa attraverso il gesto, sentito molto vicino alla natura e in ciò contrapposto, per esempio, ai testi di Tennessee Williams, dov' è innaturale, quasi menzognero: Eppure, il teatro lo accettiamo perché c' è qualcosa di artificiale e in ciò individuiamo una verità. Per spiegare la sua messinscena Wilson non esita a recitare, a illustrare con il gesto quel che la parola non può far afferrare e il compito del cronista diventa difficile, perché il modo con cui Wilson si racconta rifiuta il testo scritto. La chiave della sua messinscena è proprio la gestualità, che spesso va contro la musica, la rafforza, come fosse uno strato
supplementare. I movimenti dice devono aiutare lo spettatore ad ascoltare la musica di Mozart, ma i gesti non devono illustrarla direttamente. Qui si arriva al nodo principale, al rapporto, difficilissimo nel Flauto magico, tra i passaggi parlati e quelli cantati, dove i tempi sono sfalsati. Ma per Wilson non è così, non c' è frattura. Per dimostrarlo si alza in piedi, mima i movimenti sul palcoscenico e parla del tempo nell' opera mozartiana affascinando il suo piccolo uditorio: Non c' è rottura, c' è sempre un filo continuo che sostiene tutto. La difficoltà in Mozart è che si passa dall' esteriorità all' interiorità senza che la linea si spezzi. La mano può fermarsi, ma il movimento continua. Pensate a Shakespeare, alla difficoltà che si incontra quando fate un movimento e spezzate questo filo che corre per tutta l' opera. E invece bisogna mantenere questa struttura continua,
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8/3/2014 BOB WILSON: 'UN FLAUTO ALLA CHAPLIN...' - la Repubblica.it
16 giugno 1991 36 sez. MUSICA
movimento, c' è sempre un rumore. Per me il silenzio non esiste. Wilson ripete quest' ultima frase più di una volta, come se fosse la sua preoccupazione principale, poi abbassa ancora il tono della voce, ritorna a quel distacco di cui aveva parlato in precedenza, dice che nel suo lavoro bisogna avere molto humour: Perciò, facendo Il Flauto magico ho pensato molto a Buster Keaton e a Charlie Chaplin.
di GIAMPIERO MARTINOTTI
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16 gennaio 2009 sez.