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CAPITOLO III: LA SACRESTIA E LA CAPPELLA SARDI CAMPIGLI NELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO.

III.7 Il XIX secolo.

Torniamo adesso alle guide della città, precisamente a quella del Serri 246 del 1833. Egli, come abbiamo potuto leggere precedentemente, non fa cenno alla sacrestia, così come la guida del Grassi247, che riprende meramente le notizie dei suoi predecessori, aggiungendo veramente molto poco di suo.

Esse citano soltanto gli affreschi deperiti di Taddeo Gaddi e quelli del Capitolo di San Bonaventura di Niccolò di Pietro Gerini.

Nel 1848, come abbiamo visto nel primo capitolo, esce il commento alle Vite del Vasari di Milanesi: egli a proposito della chiesa di San Francesco non cita le pitture a fresco, ma soltanto la tavola che all’epoca del Milanesi non è più collocata al suo posto ma si trovava nella collezione privata di Moisè Supino.248

Ecco che arriviamo nel 1852, quando esce la terza edizione della guida del Nistri 249. Anch’egli non aggiunge niente di nuovo per quanto riguarda S. Francesco: si limita a prendere le informazioni che avevano riportato i suoi predecessori per ricavarne un testo che risulta una specie di copia e riassunto degli altri 250. Sulla sacrestia egli non riporta nessuna notizia, né degli affreschi della cappella, né della tavola che era situata sull’altare. Nel 1854 Milanesi pubblica i suoi Documenti per la Storia dell’Arte Senese 251, dove egli riporta tutte le fonti documentarie che riguardano gli artisti attivi a Siena; questa raccolta documentaria è importante poiché, alla luce dei testi archivistici, si sono sciolti alcuni nodi e corrette alcune notizie sbagliate,ad esempio, come abbiamo visto precedentemente, nel capitolo riguardante la vita del pittore, Milanesi riporta che Taddeo di Bartolo non era figlio di Bartolo di Fredi, ma di un barbiere252, tale Bartolo di Mino.

246 SERRI 1833, p. 194- 200.

247 GRASSI 1836, Vol. III, p. 102-110. 248 VASARI 1568, Ed. Consultata 1906, p. 37. 249 NISTRI 1852, p. 219-221.

250 Ibidem.

251 MILANESI 1854.

252 Ivi, p. 313, Vol. I, “E chosi m’obrigho io Tadeo sopradetto chon volontà di Bartalo del Maestro di Mino mio padre[…].”

In questa raccolta di documenti, il Milanesi inserisce anche le notizie relative a Giacomo di Castello 253, ed in nota riporta anche la notizia data dal Da Morrona, informazione che non aveva specificato all’interno del commento vasariano, pubblicato, come abbiamo detto precedentemente, nel 1848254.

Io non credo che gli eruditi che ne hanno scritto, come il Nistri, il Serri o il Grassi abbiano effettivamente visto la chiesa, in quanto essa era stata adibita ad uso militare. Credo piuttosto che essi abbiano raccolto notizie precedenti, poiché si discostano poco l’uno dall’altro; in tutto questo giocano un ruolo fondamentale le Lettere Sanesi di Della Valle e la Pisa Illustrata del Da Morrona: il senese è il primo che, dopo secoli, riporta che la cappella della sacrestia è affrescata con opere vicine al modo di dipingere di Taddeo di Bartolo, ed il Da Morrona riporta la descrizione minuziosa dell’ambiente.

Per quanto riguarda lo stato conservativo della decorazione, a tale data, si può solo ipotizzare che la parete di destra, quella ancor’oggi maggiormente deperita e quasi illeggibile, fosse stata coperta: in fondo la figura di Cristo sulla parete sinistra, che come abbiamo notato prevedeva l’apertura di una porta e quindi si trovava sulla parte sommitale di essa, in atto di accogliere l’anima della Madre, poteva essere lasciata come elemento devozionale, che ben s’intonava con la funzione nuova della cappella nella sacrestia, come luogo di confessione e penitenza.

Continuando con il nostro excursus narrativo, troviamo l’articolo estratto dall’ «Osservatore», firmato C. S., citato precedentemente; in esso troviamo solo un appello alla cittadinanza, alle forze politiche pisane, al buon senso comune, al fine di sensibilizzare la comunità per cercare di far partire nuovi restauri alla chiesa, gloria della città di Pisa, che sembra dimenticata.

Il nostro anonimo scrittore, non cita Taddeo di Bartolo come artista attivo all’interno della fabbrica, nominando solamente il Gaddi, Giotto e naturalmente Nicola Pisano al quale la tradizione vuole che si attribuisca la costruzione del tempio, e nemmeno si dilunga sulla sua decorazione interna, non donandoci informazioni sullo stato conservativo di essa.

253 Ivi, p. 311.

254 “Dice il Da Morrona nella sua Pisa Illustrata, che nella chiesa di San Francesco di quella città era una vetrata con l’Assunzione di M. Vergine, S. Francesco, S. Antonio, S. Gherardo, e sotto Donna Datuccia Sardi genuflessa. Eravi questa iscrizione HOC OPUS FECIT MAGISTER JACOBUS CASTELLI DE SENIS AN: D. 1391” . Ivi, p. 312.

Tra il 1878 e il 1885 il Milanesi pubblica la sua seconda edizione del commento alle Vite vasariane: qui troviamo ulteriori aggiunte rispetto all’edizione precedente

“Ora questa tavola (riferendosi a quella che vide il Da Morrona in situ) è a Vienna. Taddeo dipinse, per la stessa Donna Datuccia, la sagrestia di detta chiesa di San Francesco. Queste pitture stettero lungo tempo coperte di bianco. Nel 1852 furono in gran parte restituite alla luce, ed in uno dei pilastri si scoperse la seguente iscrizione: TADEUS BARTHOLI DE SENIS PINXIT HOC OPUS ANNO DÑI 1397; e nel pilastro di contro si legge: VEN. DÑA DATUCCIA DE SARDIS FECIT FIERI ISTAM CAPPELLAM PRO ANIMA VIRI SUI ET SUORUM.” 255

Milanesi non cita chi ha compiuto questo importante restauro, donando solamente la data dell’intervento, 1852. In questi anni tornano alla luce anche le due iscrizioni sui capitelli dei pilastri dell’arco, che prima erano coperti di bianco.

I successivi studiosi che trattano della decorazione della sacrestia di San Francesco sono i grandi Crowe e Cavalcaselle256: nella loro opera capitale, edita nel 1885, troviamo alcune pagine dedicate di Taddeo di Bartolo, riprendendo e correggendo il Vasari.

Di fatti, dopo aver citato la tavola commissionata al pittore per la cappella Sardi Campigli, Cavalcaselle e Crowe descrivono gli affreschi nel medesimo luogo, accompagnando il testo con una tavola che riproduce la scena della Visita degli Apostoli alla Vergine.257

“Questi affreschi, posti allo scoperto dall’imbiancatura che li ricopriva, sono in molte parti guasti e manchevoli. Le iscrizioni sui capitelli dei pilastri ci danno il nome di chi li commesse insieme con quello del pittore e l’anno in cui la Cappella fu dipinta. Da un lato si legge: TADE. BARTOLI. D. SENIS. PINXIT. HOC. OPU. ANNO. DMN. 1397. Nell’altro VEN. DNA. DATUCCIA. DE. SARDIS. FECIT. FIERI. ISTA CAPPELLAM. P. AIA. VIRI. SVI. ET. SVUORUM. Superiormente nella profondità dell’arco che mette alla cappella vendosi le mezze figure delle Sante Chiara, Caterina, Appollonia, Agnese, Lucia e Rosa. Nell’interno della cappella e sopra l’arco entro un tondo havvi San Francesco colla destra sollevata, mentre coll’altra si scopre il costato per mostrare le stimate. Sul muro opposto all’entrata havvi nella parete superiore l’Annunziazione dell’Angelo a Maria, e più in basso ai lati della finestra San Giovanni Battista e Sant’Andrea. Sulla parete a sinistra è dipinta nella lunetta la visita degli Apostoli alla Madonna e più in Basso la morte e i suoi funerali.” 258

I due studiosi, come già Milanesi aveva anticipato, ci forniscono la notizia della riscoperta degli affreschi, coperti da uno strato di bianco; questo restauro dovrebbe essere avvenuto tra il 1850 e il 1880, ad opera di Guglielmo Botti.259

255 VASARI 1568, Ed. Consultata 1906, p. 37. 256 CAVALCASELLE, CROWE 1885, VOL.III. 257 CAVALCASELLE, CROWE 1885, VOL.III, p. 263. 258 Ivi, pp. 263-268.

A questo proposito troviamo notizie discordanti: alcuni citano la rimozione della copertura bianca come opera avvenuta negli anni ’50 del XIX secolo, altri fanno risalire questo intervento importante negli anni ’70; credo che sia utile rimandarne la discussione tra poco, quando tutte le notizie sul luogo saranno complete, per cercare di donare una ricostruzione ragionata sugli avvenimenti che hanno portato alla copertura gli affreschi e alla loro riscoperta.

Nel 1894, Supino pubblica il suo Catalogo al Museo Civico260 dove, dopo aver illustrato la formazione della collezione e la motivazione della scelta del Convento di San Francesco come luogo più adatto all’esposizione delle opere, illustra sala per sala che cosa vi è conservato e che cosa già esisteva all’interno del luogo.

Apprendiamo così che nella Sacrestia261 era ospitato parte del pulpito per il Duomo lavorato da Giovanni Pisano. Dopo ciò troviamo scritto:

“In questa stessa Sacrestia è la Cappella ove si possono ammirare, ma pur in disgraziato modo ridotte, le pitture, che Donna Datuccia figlia di Ser Betto de’ Sardi fece fare a Taddeo Bartoli nel 1397, per l’anima dei suoi defunti, come si legge nelle due iscrizioni sulla faccia interna dei pilastri. A destra: VEN. DOMINA DATUCCIA DE SARDIS FECIT FIERI ISTAM CAPPELLAM PRO ANIMA VIRI SUI ET SUORUM.

A sinistra: TADEUS BARTOLI DE SENIS PINXIT HOC OPUS ANNO DOMINI 1397.

Nella grossezza dell’arco sono rappresentate a mezze figure: S. Chiara, S. Caterina, S. Apollonia, S. Agnese, S. Lucia, S. Rosa.

Nell’interno della cappella e sopra all’arco è dipinto in un tondo S. Francesco con la destra sollevata, mentre coll’altra mostra la ferita al costato. Ai lati della vetrata, un tempo a colori (ove erano rappresentati l’Assunzione della Vergine con Sant’Antonio, S. Lorenzo, S: Gherardo, e inginocchiata Donna Datuccia), son dipinti S. Giovanni Battista e Sant’Andrea: in alto l’Annunziazione. In ciascuno dei quattro scompartimenti della volta è espresso un Dottore della Chiesa e un Evangelista, coi rotoli in mano in atto di conversare. Nella parete sinistra della Cappella sono rappresentati La Visita degli Apostoli alla Vergine e i Funerali di Lei; in quella a destra: gli Apostoli che portano a spalla la bara ove è stesa la salma della Vergine e la Morte della Madonna.

Questi affreschi, che sono certo da ascriversi fra i più importanti lavorati dall’artista senese, stettero per lungo tempo coperti di bianco. Nel 1852 furono in gran parte restituiti alla luce.” 262

Anche Supino, quindi, descrive gli affreschi come molto guasti, coerentemente con Crowe e Cavalcaselle; non ci dona notizie più specifiche sulle opere, ma ci informa che

260 SUPINO 1894. 261 Ivi, pp. 4-10. 262 Ivi, pp. 9-10.

esisteva una “vetrata, un tempo a colori”263, la stessa che presumibilmente vide anche il Da Morrona.