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II cardo

Garzanti, Milano 1961, 1987, ed. orig.

1958, trad. dal turco di Giuseppe Cittone,

pp. 379, Lit. 25.000

Da una dura infanzia in un villaggio dell'altopiano, sottomesso all'arbitrio e alla crudeltà di un miserabile capo, Abdi Ago, il giovanissimo Ince Memed si riscatta nell'unico modo possibile nella Turchia ancora feudale dell'epoca, diventando un bandito. Strappata la sua donna, Hatce, al carcere dove è stata ingiustamente rinchiusa, si rifugia sulla montagna e comincia una lunga lotta il cui scopo non è tanto la vendetta — cui si trova, alla fine, malvolentieri costretto — quanto la

restituzione alla sua gente dei diritti e della dignità perduti contro un potere che li schiaccia e che si serve per questo sia dello Stato che di bande armate di fuori-legge. Simbolo di quel potere, che graffia e uccide — come dell'aridità del suolo — è la distesa di altissimi cardi che circonda il villaggio e che Memed farà incen-diare quando raggiungerà il suo obiettivo: i contadini avranno la terra ed egli scomparirà nel nulla, come tutte le figure mitiche. L'annuale incendio dei cardi prima dell'aratura renderà testimonianza da ora in poi della liberazione. Il bandito gentiluomo che difende gli oppressi e rappresenta gli elementari diritti del popolo contro lo Stato alleato dei ricchi non è, evidentemente, una novità nella letteratura e in particolare in quella dei paesi più o meno sottosviluppati. Contro la banalità del tema il romanzo di Yashar Kemal ha dalla sua un tono epico avventuroso che si distende felicemente nel fresco realismo con cui sono trattati protagonisti e

per-sonaggi di contorno, indenni da pesanti psicologismi

ottocenteschi e se mai affini ai personaggi classici dei racconti orientali. Il piacere del racconto prevale in-somma sulla schematicità della trama. Apparso quasi trent'anni fa e immediatamente accolto dal successo e tradotto in varie lingue, questo romanzo appartiene al filone della cosiddetta "letteratura di villaggio" che,

ne-gli anni '50, diede impulso in Turchia ad un nuovo realismo, impegnato nella critica e nella denuncia so-ciale dell'emarginazione contadina. In questa direzione vanno anche gli altri romanzi, mai tradotti in Italia — mentre alcuni sono apparsi da Gallimard — di Yashar Kemal, che nel 1969 ha pubblicato una seconda parte di "Ince Memed" (e questo il titolo originale del libro), per il quale è stato più volte candidato al Nobel. Nato in Anatolia nel 1922, noto giornalista e autore di

impor-tanti inchieste e ricerche sul folklore, Yashar Kemal è considerato lo scrittore più importante della Turchia di

A. Baggiani

SISTINA FATTA DELLA FRATTA,

Quando si cantava "Giovinez-za", La Luna, Palermo 1987, pp. 138, Lit. 18.000.

Si potrebbe dire, di questo libro, che ogni capitolo è un quadro, per il risalto pittorico e cromatico di ogni scena. Il che non sorprende, poiché Sistina Fatta è una pittrice e dipinge, più che scrivere, il diario di oltre vent'anni della sua vita. Dal-l'infanzia vissuta in una dimensione lenta e assolata come il clima in cui si svolge, quello di una Sicilia insie-me arcaica e cosmopolita per i pri-vilegi garantiti dall'appartenenza ad un'antica famiglia nobile, all'età adulta, cui l'autrice approda dopo la guerra, consapevole di quanto e an-dato cambiando dentro e intorno a lei. Una folla di parenti e servitori anima la prima parte del libro, muo-vendosi tra le pagine con lo stesso fruscio con cui scivolano le crinoli-ne tra le porte delle case di città e di campagna, lungo stradine polve-rose, nel rispetto di riti consolidati da tradizioni secolari, di differenze sociali apparentemente immutabili. Frattura dolorosa e rimossa, la mor-te della madre non inmor-terrompe il quieto trascorrere dei giorni, né lo altera in profondità il progressivo affermarsi della dittatura fascista. Unisce il prima e il dopo la bella figura del padre, "serafico" interpre-te di una poetica continuità, smenti-ta dalle macerie finali, dai palazzi devastati del cuore di Palermo, dove gli Americani guardano alla popola-zione "come a fantasiosi misteri, iso-le galiso-leggianti in un mare di fango

ai miseria .

A. Nadotti

FRANCESCO ALGAROTTI, Pensie-ri diversi, a cura di Gino Ruozzi. Franco Angeli, Milano 1987, pp. 256, Lit. 25.000.

Francesco Algarotti fu tra i lette-rati italiani più felicemente inseriti nello spirito della cultura del suo tempo, senza dubbio tra i più letti in Europa, come dimostrano le oltre trenta edizioni della sua famosa opte-rà Dialoghi sopra l'ottica newtonia-na, che nel XVIII secolo fu tradotta persino in olandese, svedese e porto-ghese. I Pensieri sono l'obera matu-ra, che l'autore non potè conclude-re, destinata a raccogliere e fissare quella prodigiosa versatilità alla base della fortuna incontrata dal Venezia-no presso i contemporanei. Il culto della citazione è il filo conduttore — spesso capziosamente peregrino — eli un mosaico fortemente rappre-sentativo dell'erudizione settecente-sca. I Pensieri diversi ebbero scarso successo editoriale (a tutt'oggi resta-va unica, in volume a sé, la pubbli-cazione livornese del 1784, ristampa dell'editio princeps della Coltellini), non solo perché apparvero lo sbiadi-to impiansbiadi-to aforistico di una cultura irrimediabilmente superata. Secon-do un'acuta ipotesi del curatore Gi-no Ruozzi, infatti, vi è una speciale diffidenza, nell'ambito della cultura italiana, per il genere aforistico che tuttavia è presenza costante e fecon-da, nei corsi dei secoli, nella filigrana delle nostre lettere. E un paradosso che può rendere particolarmente sti-molante la lettura di quest'opera "minore", così presente al Leopardi dello Zibaldone.

G. Spampinato

VITTORIO ALFIERI, Esquisse du Jugement universel, a cura di Daniele Gorret, SE, Milano 1987, pp. 109, Lit. 13.000.

"La divagazione somma e conti-nua, la libertà totale, le donne, e i cavalli". È questo lo scenario della "vita giovanile oziosissima" che Al-fieri trascorre a Torino negli anni 1973-74. Uno scenario animato, tra l'altro, da un incontro settimanale di un ristretto numero di amici che si riuniva per leggere componimenti satirici e burleschi — anonimi e in francese — come scanzonata parodia della vita di corte e della nobiltà sa-bauda. L'Esquisse — ripubblicata ora isolatamente dagli altri scritti giova-nili — è frutto di queste serate. Scrit-to d'occasione quindi, e dell'occa-sione rispecchia il tono mondano e polemico. E trasparente nell'impo-stazione l'influsso dei philosophes, anche se l'operetta ha il tono del di-vertissement intellettuale più che della satira di costume. Sotto forma di abbozzo teatrale sfilano al Giudi-zio ministri e funGiudi-zionari, parassiti e cortigiane, ritratti con impietoso e grottesco realismo, tutti con il loro carico di ipocrisia, di inettitudine, di disonestà. Ma per noi l'Esquisse è particolarmente interessante per l'u-so anarchico e scorretto che è pro-prio del francese di Alfieri. Del re-sto la lingua che poco tempo dopo sarà ripudiata perché "spiacevole e meschina", si rivela in realtà uno strumento eccellente per il taglio mordente del testo grazie alla co-struzione lineare e concisa del perio-do.

E. Soletti

H U G O VON H O F M A N N S T H A L ,

L'Avventuriero e la Cantante, a cura di Enrico Groppali, SE, Mi-lano 1987, ed. orig. 1898, pp. Ili, Lit. 13.000.

Protagonisti della vicenda sono un Barone nel quale è facile riconoscere Casanova e una Cantante di nome Vittoria. L'intreccio, senza elementi di particolare originalità, consente a Hofmannsthal di disegnare un'inte-ressante serie di ritratti, sbozzati sul-la scorta di suggestioni che proveni-vano al poeta dalle sue esperienze personali di quegli anni. Quel che fa

dell'opera un piccolo capolavoro è la presenza di Venezia. Oltre allo sce-nario consueto dei calli, campielli e laguna a impressionare il lettore è un'acquaticità diffusa, un'atmosfera ora diafana ora stagnante che vela le sale barocche e il carattere dei perso-naggi, primo fra tutti quello, riusci-tissimo, della Cantante. I protagoni-sti, tesi fra apparenza e realtà, sono artefici coscienti di una finzione che è condizione del loro esistere: è il caso del Barone, che deve celare la propria identità, o della Cantante, che mediante l'artificio sconfigge il tempo e la memoria. A. Rizzati N E L L E

MIGLIORI

L I B R E R I E Giovanni Dall'Orto

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