• Non ci sono risultati.

Il padre tra normativita' ed affettivita'. Ruolo e funzione paterna in rapporto alla disabilita' del figlio : uno sguardo pedagogico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il padre tra normativita' ed affettivita'. Ruolo e funzione paterna in rapporto alla disabilita' del figlio : uno sguardo pedagogico"

Copied!
235
0
0

Testo completo

(1)

DOTTORATO DI RICERCA IN PEDAGOGIA E SERVIZIO SOCIALE

SCUOLA DOTTORALE IN PEDAGOGIA XXVII ciclo

IL PADRE TRA NORMATIVITÀ ED AFFETTIVITÀ.

Ruolo e funzione paterna in rapporto alla disabilità del figlio: uno sguardo pedagogico.

Settore Disciplinare M-Ped 03

Dottoranda

Dott.ssa Francesca Maria Corsi

A.A. 2013/2014

Docente Tutor Prof. Fabio Bocci

Docente Co-tutor

Prof.ssa Barbara De Angelis Coordinatore

(2)
(3)

INDICE

PROBLEMA DI RICERCA ... 6  

INTRODUZIONE ... 12  

CAPITOLO I - UN BREVE EXCURSUS SULLA FAMIGLIA ... 15  

1.CENNI SULLA NASCITA DELLA FAMIGLIA DALL’EPOCA MODERNA AD OGGI ... 15  

1.2PRESUPPOSTI PER ELABORARE UN PROGETTO DI COPPIA “SUFFICIENTEMENTE” EFFICACE .. 21  

2.LA FAMIGLIA ... 30  

2.1.IL RUOLO DEI GENITORI NELLO SVILUPPO DELL’IDENTITÀ DEL FIGLIO ... 35  

2.2LA FAMIGLIA SEPARATA ... 38  

2.2.2LE CONSEGUENZE DEL DIVORZIO SUI FIGLI ... 43  

2.3IL “TERZO” GENITORE ... 49  

3.LA MATERNITÀ OGGI ... 52  

CAPITOLO II - C'È ANCHE IL PAPÀ ... 58  

1.CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE PATERNA ... 58  

1.1.LA PATERNITÀ OGGI ... 62  

2.LA FUNZIONE NORMATIVA PATERNA ... 70  

2.1.IL PADRE E IL FIGLIO DISABILE ... 78  

2.2.IL PADRE E IL FIGLIO DISABILE TRA NORMATIVITÀ E AFFETTIVITÀ ... 88  

2.2.1.IL DOPO DI NOI ... 96  

2.2.2.INSETTOPIA: UN FUTURO PER I RAGAZZI/E DISABILI ... 102  

2.3.IL PADRE E IL FIGLIO DISABILE NELLE FAMIGLIE SEPARATE ... 106  

CAPITOLO III - I PADRI NEL CINEMA E IN LETTERATURA ... 115  

1.IL PADRE NEL CINEMA ... 117  

1.1.I PADRI DI FIGLI DISABILI E LE AUTOBIOGRAFIE ... 125  

CAPITOLO IV - LA PAROLA AI TESTIMONI: I PADRI DI FIGLI DISABILI SI RACCONTANO ... 151  

1. LA RICERCA ... 151  

1.1. MOTIVAZIONI ED OBIETTIVI ... 153  

2.LE INTERVISTE ... 156  

(4)

INTERVISTA 1 ... 162   INTERVISTA 2 ... 164   INTERVISTA 3 ... 167   INTERVISTA 4 ... 170   INTERVISTA 5 ... 171   INTERVISTA 6 ... 173   INTERVISTA 7 ... 177   INTERVISTA 8 ... 180   INTERVISTA 9 ... 182   INTERVISTA 10 ... 185   INTERVISTA 11 ... 186   INTERVISTA 12 ... 190   INTERVISTA 13 ... 192   INTERVISTA 14 ... 193  

2.2.ANALISI CON IL SOFTWARE N-VIVO ... 195  

CAPITOLO V - VERSO UN FUTURO CON I PADRI ... 218  

1.PROPOSTA PEDAGOGICA ... 218  

(5)

Mentre tenevo tra le mie braccia quella cosina minuscola, urlante, brutta e paonazza, sentivo chiaramente quale mutamento stava avvenendo in me. Per piccola, brutta e rossastra che fosse la cosa fra le mie braccia, da essa emanava una forza indicibile. E di più: era come se in questo povero tenero corpicino si fosse accumulata tutta la mia forza, come se tenessi in mano me stesso e il meglio di me J. Roth La Cripta dei Cappuccini

(6)

Problema di ricerca

La nostra società è stata recentemente caratterizzata da profonde trasformazioni che hanno condizionato, in particolare, l’evolversi dell’istituzione familiare.

Il ruolo del padre, ad esempio, sino alla prima metà del ‘900 era sottovalutato e subordinato alla primaria funzione educativa e di cura della madre. Proprio per questo si riteneva che i danni causati dall’assenza del padre nella vita del bambino fossero irrilevanti in confronto a quelli causati dalla deprivazione materna. Solo dagli anni ’70 in poi, grazie al contributo di alcuni studiosi, si è iniziato a dare attenzione al ruolo paterno nella vita del bambino e dell’adolescente e alle conseguenze derivanti dalla sua assenza.

Il lavoro di ricerca prende avvio proprio da questa riflessione: che ruolo ha il padre nella vita del figlio, oggi? Che funzione svolge ed è chiamato a svolgere dalla società? Che tipo di evoluzione c’è stata sino ad oggi in merito alla sua presenza/assenza? La sua funzione normativa esiste ancora o è venuta a mancare? In particolare, nell’ambito del percorso dottorale, abbiamo messo in luce cosa, come e se cambia la funzione educativa paterna in relazione ad un figlio disabile.

Lo sguardo con cui ci si predispone, ora, ad analizzare l’immagine paterna è quello inerente la prospettiva pedagogica e quindi le ricadute che, a livello educativo, potremmo riscontrare nel rapporto padre-figlio e padre-figlio disabile. Tale prospettiva è ovviamente supportata dalla letteratura scientifica di riferimento che muove i suoi passi anche all’interno di più discipline umanistiche, quali: la sociologia, l’antropologia, la psicologia e la filosofia.

(7)

In questo contesto risulta evidentemente essenziale il ruolo di genitore, anch’esso influenzato dalle recenti trasformazioni sociali e culturali, in base alle quali è sempre più chiara la responsabilità educativa connessa al mettere al mondo dei figli. È dunque importante domandarsi quale sia il motivo, la spinta propulsiva, il bisogno che spinge ad interrogarsi sul padre.

Ogni epoca ha avuto un’immagine paterna a cui far riferimento e, con l’evoluzione culturale e sociale, e quindi familiare, tale figura ha subito una trasformazione in seno ai ruoli, alle aspettative e agli immaginari che a questa si attribuivano.

Oggi è sempre più chiaro come la figura e la funzione del padre siano essenziali nella vita di un bambino nello sviluppo dell’autonomia, dell’identità, della relazione sociale e del funzionamento cognitivo. Dunque: chi sono i nuovi padri, oggi? Sono padri assenti o sempre più presenti nella vita coniugale e familiare? In che ambito intervengono con maggiore forza e dove, al contrario, tendono a negarsi? Le profonde trasformazioni sociali e culturali del secolo scorso hanno condotto al declino dell’immagine paterna tradizionale, che per tanto tempo ha fornito stabilità espressiva al ruolo del padre: tramonta la figura autoritaria e normativa del padre forte, che sancisce le regole, guida la famiglia ed accompagna i figli nel loro processo di socializzazione. A poco a poco si è venuto ad affermare un modello parentale di stampo materno, rafforzato da una presenza sempre più consistente del femminile in tutti gli ambiti della società. I padri di oggi sono alla ricerca di un ruolo nuovo, adeguato al contesto familiare e sociale di cui fanno parte.

Appare chiaro come, da siffatte premesse, non sia possibile tralasciare il discorso che racchiude in sé non solo le modifiche che la

(8)

famiglia tradizionale ha subito, ma anche, e soprattutto, la nascita e la presenza delle nuove forme familiari che vanno dalla famiglia divisa, alla famiglia con un solo genitore, a quella ricomposta.

Il lavoro di ricerca si articola pertanto in tre sezioni teoriche che hanno lo scopo di avviare il lettore alla comprensione delle dinamiche relazionali che incidono sui cambiamenti che vivono i padri di oggi fornendo, pertanto, una panoramica delle pluralità delle forme familiari implicate negli attuali mutamenti sociali.

La prima parte cerca di definire l’identità della famiglia, prima, e la pluralità delle famiglie, poi.

La prima questione da porsi riguarda cos’è e come si evolve il concetto stesso di famiglia. Sicuramente la famiglia come nucleo sociale è stato da sempre al centro dello sviluppo umano, e ha svolto in esso una molteplicità di funzioni: luogo di sostentamento e di sicurezza, ma soprattutto luogo di educazione privata, affettiva, relazionale e sociale. Senza dubbio, però, l’obiettivo principale che caratterizza la prima fase del ciclo di vita della famiglia è la costruzione dell’identità di coppia1. Le forme di relazione tra due persone, che costituiranno, in seguito, la famiglia, nascono fin dalle origini dell’uomo, come esigenza primariamente biologica, funzionale alla sopravvivenza della specie2. La famiglia rimane, pertanto, il punto/momento storico, culturale, esistenziale, in cui la vita da meramente biologica, diventa umana3.

La seconda parte si occupa prettamente della figura paterna declinata nelle diverse tipologie di famiglia sin ora citate. Emerge con forza che

1 P. Gambini, Psicologia della famiglia. La prospettica sistemico relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 118

2 F. Cambi, Dimensioni della pedagogia sociale, Carocci, Roma, 2010, pag. 88

3 P. Donati (a cura di), Identità e varietà dell’essere famiglia. Il fenomeno della “pluralizzazione”, San Paolo, Roma, 2001, pag. 25.

(9)

il padre assente è l’immagine di oggi. Assente perché si rifiuta di combattere nei rapporti; il padre non c’è anche quando abita nella stessa casa. Il padre non fa anche quando agisce4. Il primo quesito è difatto relativo all’impallidire dell’immagine paterna, per dirla con Mitscherlich in Verso una società senza padre, che sembrerebbe trovare la sua causa nell’essenza stessa della nostra civiltà, per quanto riguarda la funzione educativa del padre che sembra scomparire o quanto meno venire ignorata5. Fu evidenziato che il disagio della persona può nascere da un eccesso così come da una carenza della funzione normativa6. E poi, come scritto precedentemente, il suo ruolo all’interno della vita familiare. Eugenia Scabini nel 1985 in L’immagine paterna nelle nuove dinamiche familiari7 sottolineava la complessità dei connotati della figura paterna esplicando come il padre rimanga il nodo della normatività coniugale, genitoriale e familiare, ma in modo latente, nascosto. C’è un bisogno ineliminabile del padre e tuttavia il suo ruolo esplicito tende ad essere sottaciuto8. La società ha deciso di spogliare Ettore, come esemplifica in modo illuminante Luigi Zoja, perché non spaventi il bambino: quest’ultimo non avrà più paura, ma avrà ancora un padre? La rinuncia dell’armatura lo renderà simile alla madre, ma il bambino andrà alla ricerca di altre figure maschili dotate di armi. Forse alla contraddizione del padre non c’è soluzione: essa corrisponde proprio alla sua identità profonda. Il paradosso del padre, che illustreremo in seguito, sta proprio in questo: egli può essere con il

4 L. Zoja, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollingati Boringhieri, Torino, 2003, p. 270.

5 M. Andolfi, Vuoti di padre, in M. Andolfi (a cura di), Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in una prospettiva sistemico relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2001, p. 19.

6 C.M. Muttini, La funzione paterna nelle relazioni educative e di aiuto, Arakne, Roma, 2009, p. 16. 7 P. Donati, E. Scabini, L’immagine paterna nelle nuove dinamiche familiari, Vita e Pensiero, Milano, 1985.

(10)

figlio quando sa anche stare con l’armatura, può essere padre quando è anche guerriero. Non può fare una sola delle due cose, come la madre: se lo vede solo con le armi non lo riconosce, se non lo vede mai con le armi non lo riconosce come padre9.

La figura del padre cambierà connotati mano a mano che il lettore si addentrerà nella terza parte del lavoro dove verrà affrontato il delicato rapporto tra padri e figli disabili. Se, come abbiamo scritto, l’immagine paterna come tradizionalmente viene intesa tende sempre più ad essere confusa con quella materna, o ancor più, a scomparire, urge uno sguardo ancora più analitico e dettagliato in merito al rapporto con un figlio con esigenze e bisogni speciali. Se risulta scontato affermare che un buon clima familiare sia la premessa per un buon rapporto genitore-figli, si sono intensificati, a partire dagli anni ’70 in poi, gli studi e le ricerche per rilevare le conseguenze che la presenza di un figlio con handicap possa determinare a livello di vissuto dei genitori e di dinamiche relazionali che intercorrono tra i membri della famiglia e che si ripercuotono sulle modalità educative10. È in questo senso che la ricerca, avvalendosi e arricchendosi di contributi letterari e cinematografici, sonderà un terreno di difficile aratura.

Inoltre ci soffermeremo sulla pratica della “Pedagogia dei Genitori”11 che, dal 1995, propone di affiancare alla diagnosi la presentazione del figlio a motivo della presa di coscienza che i genitori che hanno i figli con disabilità devono essere più genitori degli altri, rispondere a sfide

9 L. Zoja, op. cit., p. 34.

10 S. Di Nuovo, S. Buono, Famiglie con figli disabili. Valori, crisi evolutiva, strategie di intervento, Città aperta Edizioni, Enna, 2004.

11 A. Moletto, R. Zucchi, Con i nostri occhi. Un itinerario di Pedagogia dei genitori, Supplemento Handicap e Scuola, Torino, 2006.

(11)

speciali, compiere scelte difficili, affrontare una realtà spesso impreparati12.

È in questo orizzonte prospettico che intendiamo muoverci nei capitoli appena sopra articolati: chi è il padre? Che ruolo e che dimensione dovrebbe assumere: normativa o affettiva? Davvero il padre per esistere deve scegliere se essere un mammo o mantenere salda l’armatura di Ettore?

Siamo giunti dunque, ancora una volta, di fronte a quello che sarà il nostro orizzonte di senso per comprendere i meccanismi relazionali e le dinamiche evolutive connesse alla figura paterna: il paradosso del padre che esiste solamente nell’abitare continuo tra la normatività e l’affettività.

(12)

Introduzione

La storia dell’educazione e del costume ci ha abituato, nel tempo, a differenti figure di padre. Sino a quasi ad una sua latitanza o pressoché scomparsa, che non solo per suo limite o per difetto, hanno avuto riflessi profondi e negativi sulla crescita dei figli e sul loro comportamento quanto anche sulla società nel suo complesso. Restringendo l’attenzione agli ultimi due secoli, a cominciare da quella pagina importante che è stato l’avvento della psicanalisi.

Freud, nel sottolineare l’importanza di entrambi i genitori per la formazione della personalità, lo sviluppo dell’infanzia e le successive fasi evolutive, ha attribuito ruoli rigidi, pur se complementari, al padre e alla madre. Con eccessiva enfasi nei confronti del ruolo materno. Comprensibile per due ordini di motivi.

Innanzitutto, per ragioni squisitamente culturali, anche di matrice marcatamente pedagogica.

Il XVIII e il XIX secolo hanno segnato il passaggio, in capo alla donna e alla madre, da avvertenze puramente biologiche, nutrizionali e di allevamento, al recupero e alla fondazione di un suo forte e incisivo spessore educativo. L’attribuzione, dunque, alla madre, di un ruolo di onnipotenza affettiva: la madre, donna e moglie, angelo del focolare, premurosa verso il marito ed i figli, ottima padrona di casa, vigile custode dei compiti pomeridiani, mediatrice eccellente tra cuore e ragione, pensieri, sentimenti e valori, è stata una caratteristica notevole che ha accompagnato almeno cento anni della nostra storia più recente, con non pochi sensi di colpa in buona parte del pianeta femminile. Il padre era tenuto, al contrario, ad incarnare, in questo bozzetto idilliaco ma severo, la norma, la legge, il dover essere e il dover fare, il castigo e

(13)

la punizione eccellente. Ma sempre un po’ in ombra, distante, lontano. Si pensi a tutta una generazione, non molto in là nel tempo, che potrebbe avere ancora nelle orecchie frasi del tipo: “lo dirò a tuo padre”, “se non fai il bravo lo racconto a tuo padre quando ritorna”, e la madre al padre “rimprovera tuo figlio che oggi non si è comportato bene”.

A sottolineare, così, un padre richiamato più al bastone che alla coccola, non intimo col figlio, e soprattutto assente: un padre che non c’è, che lavora, sempre in procinto di tornare, ma tardi. Un ruolo (o un’assenza) che dalla famiglia si sono poi estesi anche al tempo libero e alla scuola. Giardini affollati di madri con bambini e udienze scolastiche stracolme di donne con scarsi uomini. Parliamo, naturalmente dell’Occidente europeo e del mondo capitalista, che tra l’altro si conosce maggiormente ed è quello più indagato dalla cultura pedagogica prevalente. Sino ad arrivare alla patologia o alla patogenesi familiare, in cui il padre “grande assente” era incitato ad intervenire educativamente, salvo ricacciarlo immediatamente nell’angolo e nella zona buia tutte le volte che si dava il desiderio o il coraggio di pronunciarsi, anatemizzando il suo comportamento come foriero di maggiori disgrazie per le scelte e per l’avvenire dei figli. Dal matriarcato e dal maschilismo si arriva così alla già citata crisi degli anni ’60 e all’avvento del primo femminismo. E la scena familiare si svuota, in molti contesti, di tante madri e di troppi padri, tutti affannati e protesi verso l’ autorealizzazione di sé, il successo sociale e professionale, il benessere psicologico. Cucine, figli e udienze scolastiche, sono un intralcio o un’esperienza da prendere a piccole dosi. Con un passaggio dall’intimità all’intimismo, dall’educazione al

(14)

permissivismo, da una sana e corretta relazione complementare ad un rapporto pseudosimmetrico devastante ed iniquo13.

I successivi anni ’70 e ’80 hanno significato, invece, in antecedenza profetica o scatenante, di un secondo femminismo più quieto e razionale, e l’entrata in scena di un padre premuroso, coccolone, che ha deciso di imparare a destreggiarsi tra fornelli e pannoloni, biberon e compiti pomeridiani, che ama stare con i figli e godere della loro presenza, in reciproca intimità. Nasce, pertanto, una nuova figura di padre in sintonia con una ritrovata figura materna.

I figli per crescere bene hanno bisogno di un padre e di una madre efficaci ed efficienti, entrambi premurosi e cordiali, ma anche sempre educanti e contrattuali, che propongono stili, scelte e valori, nel dialogo e nella confidenza, riservandosi in corner il ricorso all’autorità e alla norma, quando, in quel preciso momento, tutte le possibili parole sembrano non volere e non poter essere ascoltate.

Sta venendo a galla un padre affettuoso o, come ha scritto Pino Pellegrino, “un papà salmone”14, che sa andare controcorrente, come i salmoni appunto.

Un papà, dunque, che sa anche dire di no.

13 P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma, 1971.

(15)

CAPITOLO I

Un breve excursus sulla famiglia

In questo capitolo ci soffermeremo, in particolare, sull’evoluzione della concezione di famiglia evidenziandone i tratti salienti che contraddistinguono quella odierna da quella del passato. In seguito analizzeremo l’identità di coppia come luogo degli affetti e delle relazioni primarie, per giungere poi all’analisi della famiglia tradizionale e delle nuove forme familiari esistenti. In ultima analisi ci soffermeremo, brevemente, sul ruolo della madre nello sviluppo identitario e affettivo del figlio, focalizzando l’attenzione sul cambiamento delle madri oggi, meditando sul pensiero della filosofa Elisabeth Badinter, la quale afferma che l'istinto materno non è un dato naturale e immutabile, che vive dentro ogni donna, ma un dato culturale, dettato dall'evoluzione e dalle organizzazioni sociali.

1. Cenni sulla nascita della famiglia dall’epoca moderna ad oggi

Nel corso del tempo la dimensione coniugale, e poi quella familiare, hanno subito diverse modifiche a livello sociale e culturale.

La costruzione coniugale ha assunto differenti forme e funzioni rispetto al periodo storico cui si fa riferimento: l’epoca moderna concepiva la coppia come una via per creare alleanze tra famiglie, in seguito, con l’avvio dell’industrializzazione, assume invece le caratteristiche di una sorta di

(16)

impresa privata, per diventare alla fine, uno spazio per la propria realizzazione personale15.

Il matrimonio non era quindi concepito come una possibilità di conquistare una vita affettivamente piena, ma come una forma di alleanza tra famiglie benestanti che potevano pertanto condividere un’ eredità (compito della famiglia dello sposo) e una dote (compito della famiglia della sposa). In quest’ottica si comprende quanto e in che misura il matrimonio possedesse un carattere prettamente economico basato su strategie di alleanze politiche in cui l’amore aveva ben poco spazio, per non dire nullo. Naturalmente la ricchezza rappresentava il prerequisito fondamentale perché l’unione matrimoniale avesse luogo: questo è tanto più vero se si pensa alle molte famiglie sprovviste di dote (perché una volta sposata la prima figlia non si aveva più a disposizione per le successive) la cui conseguenza era quella di non poter far sposare la ragazza. Le famiglie, pertanto, dovevano appartenere allo stesso ceto sociale per garantirsi, reciprocamente, una duratura alleanza tra gruppi16.

Tra il XV e il XIX secolo si assiste, dunque, all’instaurarsi di forme coniugali basate su un rapporto di scambio in cui la famiglia è intesa come un’unità produttiva in grado di soddisfare il perpetrare delle generazioni: questo è particolarmente vero per le famiglie contadine e artigiane come per l’aristocrazia e la borghesia urbana. Il padre, in questo caso, funge da amministratore sia dell’economia domestica che pubblica e finanziaria.

Per quanto riguarda l’Italia, lo studio di Barbagli17 fa risalire la comparsa della famiglia moderna, o famiglia coniugale intima, come la definisce

15 P. Gambini, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 112.

16 C. Levi- Strauss, Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano, 1984.

17 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Il Mulino, Bologna, 2013.

(17)

l’autore, tra gli ultimi decenni del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, prima dell’avvento dell’industrializzazione18. Tale fenomeno guida a un ridimensionamento della composizione familiare: dalla famiglia estesa si giunge alla famiglia coniugale- moderna19. Non a caso, dato il fenomeno dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, gli spostamenti sono consentiti con maggiore frequenza amplificando quindi le possibilità di sposarsi. Si giunge così a denominare i primi anni del Novecento: l’età d’oro della nuzialità20.

Dunque, nella società post industriale si enfatizza la dimensione privata della famiglia come luogo di affetto e di cura in cui le relazioni primarie sono la base per la costruzione della vita coniugale e familiare. Di fatto la famiglia, intesa non più come unità produttiva basata su un’alleanza meramente economica e politica, diviene, secondo la definizione di Parsons21, il luogo degli affetti e dei processi di socializzazione primaria e secondaria. In questo modo la famiglia inizia ad assumere sempre più la configurazione cui oggi siamo abituati a pensare: un luogo in cui le relazioni di cura e di aiuto divengono centrali per il benessere della coppia e dei figli che comporranno il nucleo familiare.

Per comprendere la famiglia, attualmente, ci si deve predisporre con uno sguardo focalizzato sulla relazione di coppia, all’interno della quale entrambi i partner possono sperimentare le proprie potenzialità e trovare risposte alle proprie attese, a cagione del fatto che la realizzazione e la felicità personale si realizzano altresì nel rapporto a due.

18 A.L. Zanatta, Nuove madri e nuovi padri. Essere genitori oggi, Il Mulino, Bologna, 2011, p.14. 19 P. Gambini, Psicologia della famiglia, op. cit., p. 114.

20 M. Segalen, Sociologie de la famille, Colin, Paris, 1981.

(18)

Per capire come sia avvenuto questo processo trasformativo di portata esistenziale è auspicabile rintracciare nel rapporto di coppia la prima vera legittimazione del matrimonio, inteso come amore romantico.

Di fatto, se dapprincipio il matrimonio era percepito primariamente come la sicurezza di un’assicurazione economica e il conseguirsi della naturale nascita dei figli, futura forza lavoro e conferma della prosecuzione del cognome, adesso la motivazione principale per cui due persone convolano a nozze è la realizzazione della propria felicità. Così fin da ragazzi gli individui vengono socializzati ad innamorarsi e a farsi guidare da questo sentimento nella scelta del coniuge22.

Anche per quel che riguarda la relazione di coppia, senza dovere andare troppo in là con i ricordi, vi è stata una trasformazione tangibile nel concepire la relazione: basti pensare che solamente nel secolo scorso i matrimoni continuavano ad essere combinati, o, nelle migliore delle ipotesi, il partner veniva scelto non in base a gusti e preferenze personali, bensì a seconda della posizione familiare di quest’ultimo, alle credenze religiose e politiche, e non da ultimo in merito alla posizione economica. Sempre più, come scrive Scabini, il fidanzamento ha perso i suoi connotati di alleanza ufficiale tra famiglie per divenire uno sfumato patto fiduciario tra due individui che si scelgono senza la presenza di testimoni23. Questo è tanto più vero se si pensa in che modo, e in che misura, sia mutato l’immaginario collettivo rispettivamente all’autonomia spaziale, economica e sociale dei partner in relazione alla famiglia di origine di ciascuno dei due. In questo senso si apre, per i giovani d’oggi, una forma d’amore, e di rapporto, libero e totalmente svincolata dalle famiglie di provenienza

22 W. Goode, The thereotical importance of love, American Journal of sociology, 24:38-47, 1959.

23 E. Scabini, Psicologia sociale della famiglia. Sviluppo dei legami e trasformazioni sociali, Boringhieri, Torino, 1995.

(19)

anche, e soprattutto, per i forti connotati erotici e sessuali che sono inclusi nell’ideologia dell’amore romantico. Lo spazio della coppia diviene, così, un luogo autonomo e privo di qualsivoglia forzatura da parte di agenti esterni, che siano la famiglia di lui/lei e/o fattori sociali e culturali che ne ostacolano la relazione. Ancora, come caldeggia nuovamente Scabini, la coppia sembra avere sempre maggiore preminenza sulla coniugalità24. Al centro di questa viene posto, dunque, il legame di coppia basato sulla reciprocità, sulla stima e sulla comprensione: le funzioni e i ruoli sono stabiliti dagli stessi partner senza far entrare in gioco aspetti legati ad una secolare tradizione. In questo modo la dimensione dell’amore resta l’unica via privilegiata per accedere al matrimonio, dimensione dicotomica rispetto a quell’ormai desueto “contratto formale” stipulato tra famiglie.

È evidente come intimità e formalità siano in antitesi tra di loro proprio perché il polo affettivo viene scisso indiscutibilmente da quello etico: l’impegno dell’uno nei confronti dell’altra, e viceversa, viene prima di ogni patto stabilito da famiglie d’origine, comunità o stirpi d’appartenenza.

Non si tratta, però, di incontrare la persona giusta, precisa Montuschi, ma di disporsi a costruirsi anima gemella, intenti a modificare se stessi per rendersi adatti all’altro, compatibili per una reale ed efficace interazione con la persona riconosciuta capace e interessata a condividere la propria esistenza. Ciò significa imparare a dare e a ricevere con la stessa facilità e naturalezza; significa sentirsi capaci di pensare, e anche di apprezzare i pensieri del proprio partner, stimare se stessi e stimare l’altro: nella reciprocità ciascuno è soddisfatto di com’è ed è soddisfatto di com’è l’altro25.

24 Ivi, p. 45.

25 F. Montuschi, Costruire la famiglia. Vita di coppia, educazione dei figli con l’analisi transazionale, Cittadella Editrice, Assisi, 2004, p. 19.

(20)

Quanto emerso, però, non mette in luce uno dei fattori, purtroppo attuale e in continua crescita, che mette a repentaglio proprio la durata e la stabilità della coppia: le alte aspettative, facilmente soggette a delusioni, che i coniugi hanno nei confronti del partner e della relazione; l’accresciuto bisogno di autorealizzazione, caratteristica pregnante della nostra cultura, lo sbilanciamento della relazione sul polo affettivo e, quindi, sull’intimità e l’espressione di sé, non adeguatamente controbilanciato da quello etico, cioè da un insieme di norme prestabilite, da un certo controllo sociale e da una maggiore forza del vincolo matrimoniale, rendono più fragile l’attuale coppia coniugale26. Come dichiara Saraceno,27 già si coglievano i primi segnali delle separazioni e dei divorzi, in Italia come in altri paesi europei. E’ chiaro, dunque, che ci sia bisogno, oggi, di una nuova e più attenta formulazione di politiche sociali volte a garantire quel benessere socio- economico che rappresenta lo sfondo integratore per una piena realizzazione personale e, di conseguenza, di coppia.

Siffatta considerazione viene formulata alla luce, però, di una consapevolezza che dovrebbe essere ben radicata in ognuno di noi: e cioè che un matrimonio umanamente felice, nel quale ognuno dei due è tenuto a veder rispettate le proprie esigenze di autonomia, di autoaffermazione e di crescita personale, non è un matrimonio senza problemi28, ma è quello che perdura nonostante i problemi. La speranza, intesa come risultato di una vera e propria decisione- e si ricordi che crisi è uno dei tanti nomi delle scelte e delle ridecisioni29-, di un atto della volontà che precede, accompagna e segue il modo di sentire e percepire se stessi e la realtà30.

26 P. Gambini, Psicologia della famiglia, op. cit., p. 117.

27 C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna, 2001.

28 M. Corsi, Il coraggio di educare. Il valore della testimonianza, Vita e Pensiero, 2003, Milano, p.77. 29 Ivi, p 128.

(21)

1.2 Presupposti per elaborare un progetto di coppia “sufficientemente” efficace

In riferimento al concetto appena esposto, e dunque che i matrimoni che durano non sono quelli senza problemi, ci preme sottolineare e definire in termini concreti i ruoli e le funzioni che i due partner dovrebbero auspicabilmene stabilire e negoziare per essere- e diventare- coppia.

Fino a qualche decennio fa non si sentiva il bisogno di concepire, in base alle esigenze dettate di volta in volta dalla quotidianità, ruoli e funzioni che non fossero già stati decretati dalla cultura di appartenenza. Alla donna, angelo del focolare, spettavano la cura della casa e della prole, mentre all’uomo, lavoratore onesto e stacanovista, il sostentamento economico familiare. Oggi, invece, l’ideale della parità tra i sessi e l’allargamento delle opportunità offerte alle donne hanno condotto a generare un nuovo modo di interpretare la differenza di genere all’interno della coppia. Sempre meno la costituzione della coppia coniugale è intesa come un processo insieme fusionale e asimmetrico, in cui il benessere e la riuscita dell’uomo diventano l’interesse della donna31.

Al contrario, oggi, mantenere intatta la propria individualità è diventato sempre più un valore fondamentale da tenere a mente. Kalin Gibran, nella sua celebre poesia sul matrimonio esemplifica egregiamente la strada per costruire fondamenta solide che diano sicurezza al palazzo che, in questo frangente, significa costruire la famiglia: riempia ognuno la coppa dell’altro, ma non bevete da una coppa sola. Scambiatevi il pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta. L’obiettivo del matrimonio è far risultare

ad 1+1 il numero 3. Neanche 2, ma 3. Non 2 perché altrimenti il tutto si

(22)

configura come un contratto commerciale o un’impresa dove ciascuno porta le sue quote e il suo maggior profitto, bensì 3, in cui i coniugi, mantenendo intatte le proprie radici sino allora cresciute distanti, svilupperanno, da quel momento in poi, una terza quantità di foglie che si stringeranno assieme per formare il noi, il terzo 1 di un processo di autonomia che si nutre di sane distanze e altrettanto sagge e volute prossimità32.

La coppia, come appena scritto, sperimenta la fase adulta e la pienezza dell’esercizio della propria libertà quando i singoli membri scoprono il noi: non più la somma di due singole manifestazioni di libertà, rese compatibili da accordi e stratagemmi, ma una nuova modalità di esercitare la libertà in comunione33.

Ma così come non si può improvvisare la costruzione della famiglia, non si improvvisa neppure l’essere coppia. Essere coppia, come più volte ribadito in questa sede, prevede una lotta continua tra il resistere e il cedere, tra il negoziare e il contrattare, rispettivamente a situazioni ed eventi- che siano essi improvvisi o quotidiani- che la coniugalità tenderà ad incontrare. L’obiettivo del matrimonio, ribadisce Théry, è quello di concepire uno spazio in cui ruoli e funzioni, all’interno della diade, vengano sottoposti a continue modifiche in relazione a situazioni e contesti, così da garantire ad entrambi i membri la piena espressione e valorizzazione di sè34.

Tuttavia, per la risoluzione di conflitti, passeggeri o profondi, vi è l’esigenza costante di una comunicazione a tutto campo. È facile comprendere come un buon dialogo e una comunicazione attiva siano i

32 M. Corsi, Il coraggio di educare, op. cit., p. 121. 33 F. Montuschi, Costruire la famiglia, op. cit., p. 33.

34 C. Théry, L’enjeu de l’égalité. Marriage e diférence des sexes dans la recherce du bonnheur par S. Covell, Esprit, 252, 1991.

(23)

presupposti cardine per elaborare un progetto di coppia sufficientemente efficace.

Per approfondire quest’ultimo concetto è utile rifarsi alla teoria introdotta dal gruppo di Palo Alto e in particolare da Paul Watzlawick e altri nel libro La pragmatica della comunicazione35. Secondo questi autori il primo assioma della comunicazione afferma, appunto, che non si può non

comunicare: tutto nell’individuo ha valore di messaggio. Il silenzio e la

postura fisica, che sia essa immobile o in tensione, comunica con l’altra persona che, a sua volta, non può non rispondere a queste comunicazioni con altrettanti messaggi verbali e non verbali. Pertanto numerose ricerche rivelano che le coppie soddisfatte del proprio rapporto hanno un livello di comunicazione migliore rispetto a quelle insoddisfatte. Per buona comunicazione si intende la capacità di fare buon uso delle parole: Montuschi nel suo libro Costruire la famiglia, illustra l’inganno che può celarsi dietro alla convinzione che il dialogo si costruisca e si esaurisca in uno scambio di parole, in un inesauribile, ininterrotto parlare36. In alcuni casi rappresentano solamente un innocuo passatempo per nascondere ed evitare parole che potrebbero scavare nella profondità di sé e dell’altra persona causando incomprensioni, senza capire, altresì, che proprio quel

bel giretto di parole vuote ma doppiate, come canta Samuele Bersani in un

suo noto testo musicale intitolato Giudizi Universali37, rappresenterà, a lungo andare, uno dei motivi che potrebbero rivelarsi letali per la fine di un rapporto.

35 P. Watzlawick, D.D. Jackson, J. Beavin, Pragmatica della comunicazione umana, Astralabio, Roma, 1971.

36 F. Montuschi, op. cit. p. 45.

37 È il terzo album dell'artista ed è intitolato semplicemente con tre asterischi. Pubblicato nel 1997, l'album contiene Giudizi universali, uno dei brani più intensi ed emozionanti scritti da Samuele Bersani con il quale nel 1998 si aggiudica il Premio Lunezia come miglior testo letterario.

(24)

Inoltre, la comunicazione non si articola tramite messaggi poco chiari e fraintendibili: non solo per non correre il rischio di essere travisati, ma anche per evitare di provare sentimenti frustranti determinati dalla condizione di non essere compresi dal partner.

Instaurare una conversazione, dunque, è la modalità migliore per esprimere sentimenti, emozioni, paure e gioie: è proprio nel momento della condivisione che le parole assumono un significato diverso e l’ascolto non rappresenterà più un semplice sentire, ma richiederà una partecipazione cognitiva e affettiva, ricercherà, cioè, un ascolto autentico.

L’ascolto attivo consta, a nostro avviso, di tre dimensioni collegate imprescindibilmente tra loro e senza le quali non si potrà avviare alcun processo di comprensione profonda dell’altro. La prima istanza che viene sollecitata è quella affettiva: è evidente che per contribuire e collaborare con la persona che sta manifestando un suo vissuto, una sua esperienza o un suo pensiero la vicinanza emotiva è la prima chiave di volta; l’ascolto empatico presuppone un’incompatibilità con sentimenti quali la sopraffazione e la prepotenza, ma agisce attraverso la tenerezza che, illustra Montuschi, significa condivisione e si conquista, difatti, con la pace, la comunione, lo scambio affettuoso e paritario dei sentimenti di accettazione, di valorizzazione, di gratitudine38.

Come seconda dimensione vi è sicuramente quella cognitiva che prevede, per così dire, un’affinità di testa. Per realizzare una comunicazione flessibile, non rigida, non egocentrica, è necessario un decentramento emotivo: la flessibilità cognitiva ci aiuta ad assumere il punto di vista dell’altro ed è infatti collegata a una disponibilità affettiva che possa investire in egual misura il sé e l’altro. Per ascolto, pertanto, non

38 F. Montuschi, op. cit., p. 53.

(25)

intendiamo tacere per permettere all’altro di parlare; l’ascolto attivo è un atto intenzionale che impegna la nostra attenzione a cogliere quanto l’altro ci riferisce sia in modo esplicito che in modo implicito39. Di fatto l’elemento centrale affinché l’ascolto possa instaurarsi risiede sempre nella comprensione: il pregiudizio rispetto a quello che si sta ascoltando o la volontà di convincere l’interlocutore a cambiare idea non possono- e non devono- rientrare a far parte di un ascolto autentico. L’ultima dimensione, che lega indiscutibilmente le prime due, abita nella relazione. La relazione, come in ogni presa in carico di un soggetto, è la condizione necessaria affinché si possa creare quel clima di fiducia e di abbandono all’altro che sono la garanzia per un rapporto vero e umanamente sereno.

È da sottolineare, in ultima analisi che, come ricorda Pati, anche il conflitto può essere utile allo stabilirsi di un vero rapporto di dialogo, purchè esso rimanga sempre su di un piano accettabile in cui il rispetto per l’interlocutore non venga mai meno40.

Ma il fenomeno dell’ “errore di persona” o i tanti impossibili “imprevisti” della vita coniugale e familiare appartengono alla storia umana, e talora fragile, delle persone41.

La coppia cova già al suo interno una realtà conflittuale in nome della sua stessa costituzione: due persone che, giorno dopo giorno, devono accordarsi sulle scelte e sulle soluzioni da mettere in atto, grandi o piccole che siano.

La rabbia è un sentimento molto comune che si sviluppa quando uno dei due partner mette in atto processi di prevaricazione e di prepotenza che,

39 C. R. Rogers, La terapia centrata sul cliente, La Meridiana, Molfetta (BA), 2007.

40 L. Pati, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, La Scuola, Brescia, 2004, p. 53.

41 M. Corsi, Saper stare in famiglia: la democrazia come scelta procedurale, in M. Corsi, M. Stramaglia, Dentro la famiglia. Pedagogia delle relazioni educative familiari, Armando, Roma, 2009.

(26)

solitamente, fanno sperimentare un senso di frustrazione e di inadeguatezza in che le riceve. Lampante è comunque l’idea che evitare la conflittualità non comporti un miglioramento della relazione, anzi. Le famiglie che hanno come mito quello della concordia e dell’unità, nelle quali è condannato, anche se velatamente, l’alzare la voce o esprimere contrarietà rispetto ad un dato evento o opinione, non svilupperanno mai un sentimento che invece risulta utile per tutti gli esseri viventi perché garantisce la sopravvivenza fisica e psichica42. Inoltre la paura di esprimere sentimenti di rabbia corrisponde, quasi sempre, ad una comunicazione non efficace: tacere e accumulare aggressività significherebbe poi esplodere di fronte all’ennesima questione in cui i due partner litigano senza ricordare l’oggetto e il motivo della discussione. Si perde così il valore dello scambio di idee e perciò, ricollegandoci a quanto sinora scritto, il valore che ha il costruire un progetto di coppia. Non concedersi la possibilità di testimoniare le proprie emozioni e visioni della realtà elimina, a pieno titolo, l’ascolto autentico ed empatico, personale e relazionale, mai critico e pregiudiziale, che non assume mai in alcun modo i panni della condanna e del rifiuto, nell’accettazione e nell’accoglienza, per discutere e dialogare tutto il tempo necessario, per essere in grado, insieme, di risalire dai tanti “tombini” di cui è disseminata la vita di ciascuno e per tornare, metaforicamente, a “rimirar le stelle”43.

Sperimentare la rabbia, a ben pensarci, può essere anche un modo per conoscersi meglio, per scavare nell’intimità dell’altro e per potere, in seguito, attenuare o smussare atteggiamenti che possono risultare poco piacevoli, per sostituirli, difatto, con comportamenti in cui ciascuno si senta riconosciuto. Interessante è quindi capire il come affrontare la collera e

42 F. Montuschi, op. cit., p.47.

(27)

esprimere il proprio sentimento, anche con forza e determinazione, senza però minacciare e/o aggredire l’interlocutore.

In linea generale la rabbia è accompagnata, come sostiene Johns44, da una specifica forma di paura che, se non esplicitata, può avere conseguenze anche molto distruttive. Nello specifico si configurano quattro tipi di paure:

La rabbia di impotenza, alimentata dalla paura di non essere capaci, da un senso di inadeguatezza nei confronti dell’altro e da una percezione di inferiorità e di insuccesso in rapporto alle situazione che si vivono;

• la rabbia di frustrazione è alimentata dalla paura di non riuscire, di fallire di fronte ad una difficoltà, di non essere all’altezza e quindi di essere giudicati negativamente dagli altri;

• vi è poi la rabbia di sfida, nutrita dalla paura che nulla abbia senso e valore: né gli altri né gli eventi che accadono, tantomeno la propria esistenza;

• in ultimo la paura chiamata di indignazione che risulta la più costruttiva: è infatti in seguito a torti o ingiustizie che le persone mettono in moto comportamenti di rivalsa per ristabilire uno stato di equità, per sé e per gli altri.

La rabbia sana è dunque assertiva e permette ai partner di ascoltare/si per meglio governare la vita insieme attraverso una democrazia coniugale che sappia accogliere e rimodellarsi rispetto al nuovo e all’imprevisto che incalzano, a vantaggio di persone perennemente creative e non rigide.

Inizia così, per mai più interrompersi, tutte le volte che ci si arena nell’incontro scarsamente improduttivo, la fatica del confronto, del dialogo

(28)

sincero a tutto campo, della comunicazione interpersonale e della fedeltà alle sue regole45.

È questa una sfida di vastissime proporzioni in merito tipicamente ai coniugi, ma che si può, e si auspica deve estendere poi a tutta la famiglia: avere il coraggio di uscire da una prospettiva autoreferenziale per aprirsi alla generatività in senso lato46.

Ognuno di noi è un intreccio inesauribile di persone incontrate ed eventi vissuti, più o meno favorevolmente nel corso dell’esistenza, e da cui siamo intimamente influenzati.

Elaborare un progetto comune assume, pertanto, un significato esistenziale di coppia poiché occorre ridefinire l’individuo adulto in nome delle sue tante scelte personali, a monte pur ottimali, con la speranza che non si rivelino fallimentari e prive di uno sguardo lungimirante e, in questo senso, pedagogico. Occorre, cioè, una pedagogia della famiglia che sappia orientare e promuovere scelte valoriali di senso atte a muovere la riscrittura di regole, di stili e contenuti a favore di una condivisione di coppia profonda e totale.

Abitare sotto uno stesso tetto non conduce di per sé a riconoscere una visione globale d’insieme in cui ogni singolo componente ha la possibilità di affermarsi e sentirsi sostenuto (quindi riconosciuto) in un’ottica familiare partecipata e partecipante. Il troppo decantato tempo qualità rischia, viepiù, di far soccombere, altresì, quella dimensione quantitativa che invece svolgerebbe la funzione dell’ esserci, della permanenza e della staticità- senza per questo irrigidirsi nei ruoli- che i coniugi, e i genitori poi, dovrebbero avviare nell’idea di costruire una famiglia che aspiri al

45 M. Corsi, M. Stramaglia, Dentro la famiglia…, op. cit. p. 57. 46 P. Gambini, Psicologia della famiglia…, op. cit. p. 125.

(29)

benessere e alla felicità. Tornare, cioè, a scegliere la stanzialità47, intesa non come immobilismo acritico, come paura del nuovo e del cambiamento, ma come scelta di benessere personale, dunque: familiare. La stanzialità percepita come istanza di miglioramento, per sé e per gli altri, e di allargamento lungimirante che si compie dal me per approdare al noi.

Secondo il pedagogista Pati, nella coppia l’amore non si esplicita solo come amore passione ma anche, e soprattutto, come amore progetto, pensiero di una relazione unica e gratuita proiettata alla costruzione di un nucleo familiare più vasto nel quale ognuno può trovare alimento per la propria crescita48. L’alterità si trova al cuore del riconoscimento di sé come soggetto capace: “è la considerazione altrui che creerà la nostra auto- rappresentazione, cioè l’immagine, la stima che si ha di sé stessi ed è questa che permetterà al giovane di sviluppare, o meno, i suoi progetti e le sue aspettative”49. Il riconoscimento è, peraltro, attribuzione di valore, forma d’amore che apre la strada all’incontro tra soggetti separati ma che condividono una stessa origine, una medesima appartenenza: l’umanità50.

Oggi, e ci avviamo alla conclusione, per operare autenticamente nel campo della formazione e dell’educazione si deve auspicare che l’originalità dei singoli soggetti venga promossa, per ricominciare ad analizzare e ipotizzare grandi scenari di cambiamento- e miglioramento- dell’umanità come sistema formativo integrato, iniziando, appunto, dalla famiglia.

47 M. Corsi, M. Stramaglia, Dentro la famiglia, op. cit. p. 43. 48 L. Pati, Progettare la vita, op.cit., p. 36.

49 J.P. Pourtois, H. Desmet, L’educazione implicita, Del Cerro, Pisa, 2007, p. 154.

50 P. Dusi, Il riconoscimento, in A. Mariani (a cura di), 25 saggi di pedagogia, FrancoAngeli, Milano, 2011, p. 34.

(30)

2. La famiglia

La realtà particolarmente complessa, che circonda e fa da sfondo al concetto stesso di famiglia, implica, per chi la studia come fenomeno sociale, culturale, politico e sociologico, un’attenta disamina a partire proprio dalla sua identità. Da tempo le ricerche storiche e antropologiche hanno messo in luce come non sia possibile slegare, dalla definizione di nucleo familiare, il contesto storico- geografico a cui questo appartiene.

È risaputo, e scientificamente provato, che gli uomini sono esseri sociali e culturali legati e radicati alla storia e alla tradizione51. Da qui emerge la difficoltà, velatamente celata, di attribuire valore e riconoscimento alla comparsa delle nuove forme familiari che caratterizzano, oggi, la società.

In questo paragrafo ci preme pertanto osservare la famiglia in maniera meno descrittiva e più come sistema di valori poiché il profilo e l’orizzonte di senso dentro al quale navighiamo rimane quello pedagogico-educativo.

Diamo avvio, dunque, al nostro discorso pedagogico attraverso uno slogan diffuso velocemente in tutto il mondo: educazione ai valori. Brezinka, teorico tedesco dell’educazione, riflette sul significato – a suo parere poco chiaro – del termine valore, vocabolo che si presterebbe a molteplici interpretazioni52. È evidente, comunque, che la famiglia, le istituzioni e la democrazia rappresentano, nella nostra società, dei valori.

Che cosa si deve dunque intendere con educazione ai valori? E chi deve educare ai valori?

Le domande, di natura provocatoria, paiono riflettere una crisi culturale moderna che ci condurrebbe a costatare una crisi a partire proprio dalle istituzioni. E, nello specifico, dell’istituzione famiglia. Eppure, proprio nel

51 W. Brezinka, Educazione e pedagogia in tempi di cambiamenti culturali, trad.it. Claudia Colombo, Vita e Pensiero, Milano, 2011.

(31)

momento storico in cui la famiglia raggiunge il punto più basso di stima sociale, quando viene meno la sua compattezza, quando l’immagine del nucleo familiare sembra sfilacciarsi sino a comporre trame intricate, ecco che proprio allora la famiglia si riabilita, disvela la sua virtù53.

Affermare che la famiglia è un valore, dunque, non significa ignorare le difficoltà a cui deve far fronte o illudersi che l’eterogeneità di comportamenti che vanno dalla scelta di non fare famiglia, a quella di interpretarla in forma omosessuale, a quella formata da un solo genitore e ancora da un terzo genitore, non sia una realtà con cui fare i conti. Annota Luciano L’ Abate: “Nonostante il fatto che le famiglie intatte stanno diventando una percentuale sempre più piccola in rapporto ai singoli, ai conviventi o alle famiglie monoparentali, molti di noi sono vissuti in famiglia e ne hanno creata un’altra, […] intatta o meno […]”54.

Il permanere della famiglia, afferma Stramaglia, è nella famiglia, a prescindere dalla morfologia storicamente connotata dalla stessa55. Per suffragare maggiormente tale tesi appare opportuno non tralasciare l’elemento che si propone come costante nella definizione di famiglia e cioè il suo essere relazione specifica e unica tra più persone. Gli studi psicologici hanno evidenziato che, proprio nella relazione primaria stabilitasi in famiglia l’individuo riuscirà a soddisfare i fondamentali bisogni di intimità56, di carezza e di tenerezza. In tale analisi riguardante le relazioni familiari Scabini57, attraverso un suo contributo, sostiene che la specificità insita della famiglia consiste proprio nel fatto che essa è

53 C. Xodo, Dopo la famiglia, la famiglia. Indagine sui giovani tra presente e futuro, Pensa Multimedia, Lecce, 2008, p. 23.

54 L. L’Abate, Famiglia e contesti di vita. Una teoria di sviluppo della personalità, trad. it., Roma, Borla, 1995, p. 98.

55 M. Stramaglia, Transitorietà in divenire. Il primato della pedagogia familiare, in M. Corsi, M. Stramaglia, Dentro la famiglia…, op. cit. p. 19.

56 D. W. Winnicott, Dal luogo alle origini, Cortina, Milano, 1990, p. 47. 57 E. Scabini, Psicologia sociale della famiglia., op. cit.

(32)

un’organizzazione di relazioni primarie tra persone, e non tra individui, come riesce a sintetizzare, in poche preziose battute, una delle voci più autorevoli del personalismo: «A volte si contrappongono tra di loro persona e individuo per distinguerli. […] Persona, infatti, si sviluppa purificandosi continuamente dall’individuo che è in lei, a ciò perviene non tanto con l’attenzione continua a sé stessi, ma piuttosto col rendersi disponibile quindi più trasparente, a sé stessa e agli altri»58.

Nonostante la crisi in cui versa la famiglia, è possibile pensare a quest’ultima come luogo ancora deputato all’educare59? La risposta è contenuta in un’espressione assolutamente veritiera: educare richiede coraggio60. Coraggio nel testimoniare – con il cuore e con la mente – il sapere, il potere e il volere guardare avanti verso un orizzonte comune, caratterizzato da sentimenti che hanno il loro centro propulsivo nel bene, inteso, quest’ultimo, come possibilità di realizzare il proprio progetto di vita, a partire dal riconoscimento delle situazioni originarie per giungere, attraverso obiettivi educativi definiti, al loro riconoscimento e, dunque, raggiungimento.

Ancora: educare è educare a decidere, educare alla maggiore consapevolezza e alla massima conoscenza delle opzioni esistenti e quindi percorribili. Ebbene: l’educazione è un sistema di scelte. Il matrimonio non si improvvisa, così come non si improvvisa un figlio senza prima averlo accolto dentro di sé come idea e aver accettato il progetto del figlio con se stessi61.

58 E. Mounier, Il personalismo, AVE, Roma, 1964, p. 47-48.

59 G. Galli, Educazione familiare e società complessa, Vita e Pensiero, Milano, 1990. 60 M. Corsi, Il coraggio di educare, op. cit. p. 29.

(33)

Il figlio diventa tale nella misura in cui l’adulto diviene e sa essere adulto. Lo psicanalista Erickson62 identifica lo status dell’età adulta con l’emergere di tre virtù: la generatività, la responsabilità, la gratuità. La generatività è dunque lo spazio privilegiato in cui la coppia si apre al nuovo, al terzo, al figlio, quando l’egoismo e il benessere personale vengono post posti per dare luogo alla relazione che sancisce la nascita della famiglia. Vi è poi la responsabilità, e educare alla responsabilità, che significa promuovere la capacità di rispondere delle azioni compiute. La consapevolezza per il bene rivestito dall’educazione muove dalla vita apprezzata come una risorsa e la possibilità di interpretare la finitezza della condizione umana rappresenta il principio della responsabilità educativa.63 E poi la dimensione della gratuità: la dimensione del dono, già cara alla riflessione filosofica di Maritain64, rimane il primo strumento, talvolta inconsapevole, di sostegno e guida nel processo di costruzione di un’identità personale filiale che diviene così oggetto di un riconoscimento autentico e disinteressato65.

I figli interpretati come soggetti della relazione genitoriale sanciscono la novità essenziale della famiglia moderna: “Noi siamo attaccati alla nostra famiglia perché siamo attaccati alla persona di nostro padre, di nostra madre, di nostra moglie, dei nostri figli. Un tempo era totalmente diverso: i legami che derivavano dalle cose primeggiavano su quelli che derivavano dalle persone; lo scopo primario di tutta l’organizzazione familiare era quello di mantenere nella famiglia i beni domestici, e rispetto a questi, ogni considerazione personale appariva secondaria”66.

62 E. H. Erickson, I cicli della vita. Continuità e mutamenti, Armando, Roma, 1999. 63 P. Malavasi, Vita, educazione, in “25 saggi di pedagogia”, op. cit. p. 50.

64 J. Maritain, L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia, 1981.

65 M. Peretti, La pedagogia della famiglia, La Scuola, Brescia, 1969, p. 229. 66 E. Durkheim, Per una sociologia della famiglia, Amando, Roma, 1999, p. 131.

(34)

È vero che, rispetto al passato, i padri e le madri della contemporaneità hanno come primo compito genitoriale la socializzazione primaria dei figli, che consiste appunto nella costruzione della loro personalità attraverso l’interiorizzazione della cultura della società in cui il bambino è nato67.

Dal pensiero sociologico di Parsons, che vedeva nel compiersi della famiglia moderna una naturale differenza di funzioni – per cui la madre era il leader espressivo e il padre il leader strumentale – approdiamo ad anni, più recenti, in cui la sua teoria viene sottoposta a critiche perché riproduce in modo assolutamente acritico gli stereotipi di genere considerati come dati immutabili.

A partire dalla metà del secolo appena trascorso, i grandi cambiamenti culturali e sociali avvenuti nell’Europa occidentale, hanno, ancora una volta, coinvolto la famiglia. Tra questi, una particolare riduzione delle nascite che, a fronte di motivi tipicamente di carattere economico, fa presagire un radicale mutamento di prospettiva rispettivamente all’idea di essere genitori: proprio perché avere figli non è più un destino obbligato, si rileva un forte senso di inadeguatezza e di ansia di fronte alle responsabilità legate al divenire padre e madre68, suffragate dalla comune sensazione che stimoli e agenti esterni entrino in conflitto con le norme valoriali che si cerca di trasmettere in famiglia.

In ultima ratio la genitorialità come scelta appare rischiosa, irreversibile: senz’altro coraggiosa.

La principale sfida delle moderne famiglie di fronte alla società complessa è, dunque, quella di legittimarsi quale luogo educativo di

67 A.L. Zanatta, Nuovi padri e nuove madri, op. cit. p. 26. 68 Ivi, p. 35.

(35)

“transizione”, e di “transizioni” maturative, pur essendo essa stessa “transitante”69.

2.1. Il ruolo dei genitori nello sviluppo dell’identità del figlio

Un prezioso distillato di idee ed esperienze, maturate nel corso della sua carriera professionale, provengono da uno dei padri della psicanalisi austriaca, Freud, attraverso uno dei più celebri volumi sul rapporto tra identità del bambino e ruolo genitoriale, in cui si afferma il fascino della quasi perfezione.

Ricollegandoci ad una delle tre dimensioni di cui si narrava poc’anzi, la gratuità si considera, nuovamente, alla base del progetto educativo e di amore del genitore verso il figlio.

L’intenzione che sottintende, pertanto, la scrittura di tale paragrafo muove dalla necessità di comprendere i meccanismi secondo i quali la scelta di avere un figlio implichi la messa in atto di uno stile relazionale ed educativo che possono praticare i genitori, che assuma i tratti dell’autoritarismo, del permissivismo, e/o, di contro, dell’autorevolezza.

Al contempo occorre avere la consapevolezza del diritto di tutti i genitori a essere sostenuti nel momento in cui iniziano a vivere l’esperienza della genitorialità e cominciano a sviluppare la relazione con i loro figli. «E aiutare la normalità significa sostanzialmente educare, educare secondo lo stile della conoscenza reciproca, della fiducia, della cooperazione e del coinvolgimento contro lo stile della delega, significa mettere in atto piani d’azione condivisi contro lo stile onnipotente dell’istituzione che fa tutto da sé, significa agire in una logica di partenariato, in un contesto di

69 M. Stramaglia, Transitorietà in divenire…, in M. Corsi, M. Stramaglia, Dentro la famiglia, op. cit., p. 20.

(36)

intersoggettività finalizzato a ridare senso di competetenza ai differenti attori, che, soprattutto, renda possibili percorsi di promozione e autonomia delle famiglie».70 In tutti i bambini sono presenti, già al momento della nascita, le impronte di quella che sarà la loro futura personalità. Occorreranno anni di vita e di esperienze perché questi primi accenni del carattere futuro incomincino a emergere come contorni di una personalità, e altri ancora ne dovranno trascorrere perché essa possa dirsi pienamente e saldamente formata. La partecipazione attiva dei genitori risulterà pertanto di fondamentale importanza perché, all’inizio, l’identità del bambino si forma esclusivamente in relazione a se stessi; la sua identità potrà essere positiva solamente se è in armonia con l’atteggiamento dei genitori verso di lui71.

I due stili educativi prima citati ripropongono un’immagine fedele dei contesti socio culturali di un periodo ormai auspicabilmente passato: l’autoritarismo si riconnette all’immagine dell’educando e del bambino come vaso vuoto da riempire o argilla da forgiare, nella negazione dell’altro come persona con cui lavorare e crescere insieme; la non discutibilità delle decisioni parentali, e in particolare la figura despota del padre, si rifà a siffatto concetto. Di contro, in particolare negli anni del boom del benessere economico, lo stile educativo improntato sul un laissez faire si incarna bene nel permissivismo, concetto che evidenzia il silenzio educativo dei genitori nei riguardi delle condotte più o meno responsabili dei figli72.

70 P. Milani, Vecchi e nuovi percorsi per la pedagogia della famiglia, in «Studium Educationis», n. 1., 2002, p. 20.

71 B. Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, trad. it. Adriana Bottini, Feltrinelli, Milano, 1987, pp. 189-190.

(37)

La storia più recente ha messo in luce il primo comportamento e stile educativo che, in termini di democrazia familiare, può trovare spazio nell’autorevolezza che equivale a cercare di comprendere le ragioni dei propri figli, mettersi nei loro panni, costruire con loro un rapporto di comunicazione emotiva e affettiva. L’approvazione dei genitori porta il figlio a viversi come un individuo riconoscibile, diverso da tutti gli altri, e diventa così l’incentivo per formare la sua personalità individuale73. Lo stile autorevole contiene in sé anche un altro sentimento che facilita il processo di crescita individuale, e poi sociale, della persona: l’empatia. Per comprendere ed entrare nella sfera intima che si cela nel profondo dei figli -nel caso del genitore, ma potremmo allargare il ragionamento includendo tutti i contesti in cui si educa,- dobbiamo affidarci alle nostre reazioni di empatia: mentre con la ragione cerchiamo di tradurre quello che i figli vogliono dirci attraverso le loro parole e azioni, il nostro inconscio cercherà di coglierli in rapporto ai nostri vissuti personali, passati e presenti74.

La madre e il padre contribuiscono, in egual misura, al benessere psico-fisico del figlio. Da Freud, sino agli odierni analisti, l’identificazione con entrambi i genitori, per il valore delle prime fasi di vita nell’avventura esistenziale di chiunque, ha assunto un significato di importanza primaria, a motivo del fatto che sono i gesti e i comportamenti, più che le parole, che educano, con il loro dire e il loro testimoniare.

Si è venuta delineando, dunque, una tendenza alla simmetria nelle funzioni legata a modificazioni culturali e sociali come il lavoro femminile e la maternalizzazione dell’atteggiamento paterno75.

73 B. Bettelheim, Un genitore…, op. cit., p. 190. 74 Ivi, p. 119.

(38)

2.2 La famiglia separata

Di quale famiglia parliamo? La domanda non è oziosa perché dalla definizione che si fornisce dipendono risorse, aiuti e sostegni economici.

Dal 1950, sia in Italia, sia negli altri Paesi, il numero delle istanze di separazione è in costante aumento. Secondo l’Istat nel 2011 in Italia si è separata una coppia su 4, in 35 anni i matrimoni si sono dimezzati. La separazione è un momento altamente traumatico, ancora di più rispetto al divorzio: con la separazione avviene la grande rottura, la lacerazione, la trasformazione del contesto di vita e l’esplosione della rabbia, dei conflitti e delle paure. Le forme familiari divengono, quindi, sempre più variegate: crescono i single, le coppie senza figli, le famiglie monogenitoriali, le coppie non coniugate, quelle ricomposte in cui i coniugi provengono da precedenti separazioni, le unioni omosessuali76. Per dirla con Donati bisognerebbe parlare ormai di pluralizzazione delle famiglie77.

In crisi non è dunque la famiglia in sé, ma una sua visione monolitica. Riportiamo, in merito a quanto appena scritto, una riflessione sulla famiglia condotta da Carlotta Zavattiero78 in rapporto al dramma dei padri separati. All’interno del volume “Poveri Padri” viene riportato un contributo del sociologo Pietro Boffi tenuto ad un convegno svolto a Verona nel 2010 ed intitolato “Sposarsi oggi: perché?”. Boffi ha il compito di perorare la difesa dell’istituto matrimoniale, sostenendo che cinquant’anni fa sposarsi “era nella natura stessa delle cose e lo si faceva per un’unica ragione: fare una famiglia”. Nel corso del convegno lo studioso ha comunque sottolineato che la famiglia, oggi, non è moribonda,

76 Fonte: ISTAT 2011.

77 P.P. Donati, La famiglia di fronte alla pluralizzazione degli stili di vita: realtà, significati e criteri di distinzione, in P. Donati (a cura di), La famiglia tra identità e pluralità, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001.

78 C. Zavattiero, Poveri padri. Allontanati dai figli, discriminati dalla legge, ridotti in povertà: la prima inchiesta a tutto campo sul dramma dei padri separati, Salani ed., Milano, 2012.

(39)

ma tende a nascere sempre più tardi, con sposi che arrivano alle nozze intorno ai trentadue anni e a quasi trent’anni le spose79.

Per comprendere la ragione di tale rallentamento nel formare una famiglia, la motivazione economica appare sempre più l’ostacolo che si contrappone tra i giovani e il matrimonio: spiegazione non plausibile per il sociologo. Per Boffi è limitativo far ruotare alcune scelte solo attorno a presupposti di carattere economico. Sarebbe invece lo stallo delle iniziative coraggiose da parte delle nuove generazioni a fermare i giovani a sposarsi: «Siamo formati anche dai problemi, che ci danno la voglia di superarli. Crescere dei figli facendo di tutto per evitare loro difficoltà non crea persone capaci. Ma è solo un’illusione, in quanto si rimanda più avanti e a un’età molto elevata il momento in cui inevitabilmente uno andrà a scontrarsi con i problemi»80.

Dunque, se da un lato il nostro immaginario ci spinge e ci porta ad avere rappresentazioni positive legate all’idea di famiglia, sul lato pratico viene a mancare quella spinta propulsiva che ci dà il coraggio di affrontare la vita a due.

Di fatto dal 1970, anno in cui è stato introdotto l’istituto del divorzio per la prima volta, stiamo assistendo ad un proliferarsi di separazioni, anche a poca distanza dal matrimonio.

Pertanto siamo interessanti a capire che tipi di ricadute abbia il divorzio, primariamente sulla coppia, emotivamente e psicologicamente, per poi comprenderne le conseguenze sui figli.

Come ben sappiamo, la separazione e il divorzio non sono eventi che si realizzano in tempi brevi. Essi comportano un vero e proprio percorso, una successione di fasi, che permetta alle persone implicate di elaborare

79 Ivi, p. 245.

Riferimenti

Documenti correlati

Parlando del poema eroico infatti afferma: «Intorno alla favola, stimavasi non possibile spiegare un’azzzione, e che un sol’huomo la conducesse a fine verisimilmente; ed

La questione è analizzata non come diritto del disabile alla sessualità ma nel suo esercizio: ovvero come negazione del diritto di sposarsi per l’interdetto

II terapeuta può invece accettare di farsi contenitore accogliente del disagio e dell'angoscia della paziente e, senza agire sul livello concreto proposto dalla ragazza masticando

Attraverso le pagine che seguono vediamo il giovane Jung interrogare il padre sul senso della vita, della morte, della fede, della coppia, ricevendone risposte che gli

Quindi: come essere genitori senza sostituirci ai nostri figli nel momento della scelta scolastica.. Noi genitori ci chiediamo come aiutarli ad individuare un indirizzo scolastico

For chronic total occlusions (CTOs), the only route to success passes through the use of multiple dedicated wires, guided by contralateral injection, and of over-the-wire (OTW)

2006) secondo cui la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha per presupposto che due fondi, appartenenti in origine allo stesso proprietario, siano

competenze dei genitori, nell’ordinamento canonico, per contro, si afferma la mutua implicazione tra le posizioni dei genitori e quelle dei figli. Proprio per ribadire il