Introduzione
4
Capitolo primo: i fondamenti delle quattro dimensioni sociologiche
del complotto
1.1: Un’introduzione alle radici strutturali del modello complottista: il
complottismo cattolico e la caccia alle streghe
9
Capitolo secondo: Massoneria e Rivoluzione francese.
Complottismo giacobino e complottismo clerico\monarchico a
confronto
2.1: Paradigmi complottisti antichi e moderni
21
2.2: Origine, evoluzione e prerogative dell'istituzione Massonica
282.3: Illuminismo e Massoneria: dal Cercle Social all'egemonia
giacobina
432.4: Il complotto contro-rivoluzionario nella cultura giacobina
50
2.5: Gli Illuminati di Baviera: il grande prototipo del complotto
rivoluzionario giacobino e del meta-complotto moderno
Capitolo terzo: I Protocolli dei Savi Anziani di Sion.
Il complottismo abbraccia in pieno la modernità
3.1: Background storico, sociale e culturale
67
3.2: Il diffondersi delle tesi complottiste e lo smascheramento dei
Protocolli
78
3.3: Utilità, modernità e universalità dei Protocolli
83
Capitolo quarto: il complotto tra populismo e ideologia
4.1: un'introduzione ai concetti di populismo e psicologia delle folle
94
4.2: Populismo e complottismo: convergenze e omologie strutturali
107
4.3: Un esempio italiano di moderno ibrido populistico-complottista: il
Movimento a 5 stelle
121
Conclusioni
140Bibliografia
142INTRODUZIONE
Immaginate un paesaggio verdeggiante e idilliaco, sovrastato da un manto
cri-stallino le cui uniche screziature sono date da qualche cirro vagabondo.
Immagi-nate di essere sdraiati sul prato, intenti a gustarvi un panino e la compagnia della
vostra dolce metà, con lo sguardo piacevolmente proiettato verso il veleggiare
delle nuvole. L’aria è fitta di profumi inebrianti e una brezza squisita rende
l’atmosfera ancora più amena e carezzevole. Il flebile boato di qualche aereo
–che sfreccia in lontananza fino a diventare un puntino impercettibile nell’oceano
di azzurro
–è l’unico rumore umano udibile in chilometri e chilometri di placida
quiete bucolica. Nulla potrebbe perturbare l’assoluto riserbo d’ un’oasi
paradisia-ca del genere, pensate, quando all’improvviso dei tizi visibilmente agitati
emer-gono dalla macchia boscosa, urlando come ossessi. Hanno un’aria piuttosto
ano-nima, insignificante, e indicano qualcosa di terribile nel cielo, sfoderando una
serie di sguardi tra lo sgomento e l’inquisitorio. Li sentite farfugliare
incompren-sibili astrusità come “geoingegneria clandestina” e “aerosolterapia”, mentre
–ancora mezzi rintronati dal sonno, dalla sorpresa e dal tepore
–vi sforzate di
ca-pire il motivo di tanto apparentemente ingiustificato allarmismo. Se fate notare ai
misteriosi figuri che ciò che si scorge nel cielo, dal vostro punto di vista, sono
solo normalissime nuvole o al limite innocue scie di condensazione, la reazione è
brusca e apocalittica: i vostri interlocutori si fanno beffe di voi, sostengono che
quelle che appaiono nubi sono in realtà il sostrato di venefiche sostanze sparse
nel cielo da infidi aerei militari, pilotati da diaboliche quanto famigerate
organiz-zazioni occulte volte alla distruzione del genere umano. In tutto ciò, voi siete i
complici inconsapevoli e acquiescenti di una abominevole macchinazione
cal-deggiata dal silenzio criminale delle principali istituzioni statali e dai media di
regime.
La grottesca situazione che ho appena descritto, indubbiamente inverosimile
se trasposta nel mondo reale, rispecchia in modo fedele quanto succede
quotidia-namente su migliaia di blog e pagine di social network. Senza tregua, una massa
spropositata e crescente di individui produce e immette a ritmi vertiginosi, sui
principali circuiti informativi odierni e in particolar modo su internet,
un’impressionante quantità di materiale fotografico amatoriale riguardante cieli e
formazioni nuvolose, al fine di sostenere e fomentare una teoria
–la cosiddetta
teoria delle scie chimiche
–che se fosse attribuita ad una singola mente o a un
gruppo ristretto di individui verrebbe bollata senza troppi tentennamenti come
psicotica. Parlerò diffusamente di questa e di altre teorie del complotto, figlie o
meno della modernità, nel corso della mia tesi. Quanto mi preme sottolineare in
quest’introduzione è che viviamo in un momento storico che ha del prodigioso.
Sguazziamo in un sistema socioeconomico il cui transito di beni materiali, servizi
e informazioni è teso verso un’irresistibile liquefazione, con conseguente
sovrab-bondanza e dispersione degli output, eppure una considerevole percentuale
d’utenti dei maggiori mezzi di comunicazione di massa si può ritenere alla
stre-gua d’un esercito di analfabeti semantici, incapace di cogliere e decodificare in
maniera corretta la sconfinata ricchezza di immagini, simboli e segni più o meno
manifesti da cui siamo subissati incessantemente. Nell’ambito di una società
tec-nocratica improntata alla sistematica soppressione di qualsiasi elemento sia
intri-so di misticismo, magia e superstizione, germogliano epidemiche e inarrestabili
delle forme relativamente nuove di pensiero magico: le teorie complottistiche.
I cosiddetti complottisti hanno una spiccata tendenza ad attribuire a specifici
avvenimenti, a sfondo microsociale o perfino mondiale, una determinazione
–o
una concatenazione di determinazioni fra loro interconnesse
–che presenta una
scarsissima aderenza ai fatti o alla logica. Si potrebbe essere portati a pensare che
costoro siano individui paranoici, dotati di scarsa cultura e magro intelletto e
pri-vi di quegli strumenti scientifico\cognitipri-vi che permettano di discernere
critica-mente una spiegazione attendibile di un fenomeno da un’altra strampalata e
in-sussistente, ma non è così. L’intero percorso dell’umanità è costellato di visioni
del mondo di carattere onnicomprensivo, paranoide e irrazionale,
indipendente-mente dalle latitudini, dalla eterogeneità delle culture e dalle epoche storiche di
riferimento. Con ciò non si vuole destituire di fondamento qualsiasi visione della
realtà e della sua inesauribile complessità che esuli dal senso comune o dalle
tan-to vituperate “versioni ufficiali”, ma solo porre l’accentan-to sulle degenerazioni più
macroscopiche e perverse d’un trend potenzialmente dannoso per la stessa tenuta
del tessuto sociale. E’ un dato di fatto che mai come negli ultimi 50 anni ci sia
stata una proliferazione così accentuata di questa tendenza a elaborare
spiegazio-ni “alternative” dei fenomespiegazio-ni mondiali, in alcuspiegazio-ni casi tanto assurde quanto
stra-ordinariamente pittoresche e fantasiose. Da queste considerazioni si può dedurre
che nella natura umana esista una qualche tendenza innata, o per meglio dire
ar-chetipale, a costruire mitologie basate su un’idea strisciante di macchinazioni
occulte e oscuri e indecifrabili intrecci, attribuiti a enti o soggetti sempre diversi
ma in ogni caso finalizzati allo sradicamento di un sistema di valori o un regime
istituzionale ben consolidati. Allo stesso modo, però, ci si deve chiedere quali
siano state le condizioni specifiche, intervenute nell’arco dell’ultimo secolo, tali
da favorire e amplificare quei fattori psicosociali da cui scaturisce la genesi e la
diffusione incontrollata delle idealizzazioni cospirazioniste.
Ciò che mi propongo di fare con la stesura di questa tesi è fornire un’analisi
esaustiva del fenomeno complottista in tutte le sue declinazioni più importanti
–storiche e contemporanee
–per poi pervenire ad un modello interpretativo che
fornisca allo studio dell’argomento una prospettiva multisfaccettata. Partendo da
un ambito storico\sociologico, che ritengo possa afferrare solo alcune dimensioni
del problema, intendo abbracciare altre discipline maggiormente idonee a
decodi-ficarne i meccanismi più radicati e ricorsivi.
Nel primo capitolo analizzerò uno dei fondamentali prototipi del complotto: la
cospirazione contro la cristianità. In seguito, isolerò e descriverò quei pilastri
concettuali che permettono di schematizzare le meccaniche di funzionamento di
qualsiasi tesi complottista.
Nel secondo capitolo dedicherò il mio studio ai complottismi di contrapposto
orientamento politico sorti contestualmente alla Rivoluzione Francese (il
com-plotto massonico per scardinare le monarchie clericali e il comcom-plotto
cristiano-monarchico per restaurare l’ancien régime). Qualche pagina sarà spesa nello
stu-dio della Massoneria, dal momento che è impossibile separare le intricate
vicen-de che hanno vicen-determinato questo fondamentale snodo vicen-della movicen-dernità dall’agire,
spesso sotterraneo, di quelle società di liberi pensatori, intellettuali e philosophes
d’ispirazione o natura massonica. L'indagine si articolerà su una duplice
dimen-sione:
1) storico\culturale: come agenzia di potere clandestina opposta
tradizional-mente al Vaticano e artefice di occulte macchinazioni verso il regime economico
e il potere costituito.
2) mitologico\funzionale: come ente ad altissimo tasso evocativo accorpato
–nell’immaginario comune e non solo
–alle più disparate teorie del complotto, a
causa della sua ambigua natura esoterica o per mere ragioni ideologiche e
stru-mentali.
Nel terzo capitolo focalizzerò l'attenzione su quella che può esser letta come la
prima vera teoria del complotto moderna: i Protocolli dei Savi di Sion. Sebbene
si tratti di un falso storico oramai incontestabile, elaborato dall’autocrazia russa
in funzione antiebraica, esso ha ottenuto una diffusione talmente capillare da
ac-quistare una vita propria in ciascuno dei contesti nazionali in cui ha attecchito, al
punto da costituire anche oggi l’ossatura di molteplici teorie del complotto
d’impronta ideologica trasversale. Per spiegare questo formidabile successo,
ana-lizzerò i suoi caratteri avveniristicamente “moderni”, come ad esempio la visione
del mondo totalitaria\distopica e il riferimento ai popoli come “masse”
suscettibi-li di divenire una risorsa posuscettibi-litica se adeguatamente manipolate. In seguito
cerche-rò di evidenziare, parlando delle logiche strutturali del totalitarismo, quanto di
religioso e dogmatico vi sia nella visione del mondo complottista in seno ad essi
e quanto di ideologico, al contrario, sussista nei complottismi d’ispirazione
reli-giosa.
Nel quarto capitolo cercherò d’inquadrare concettualmente e storicamente il
fenomeno del populismo, evidenziandone le caratteristiche precipue ed
estrapo-lando quegli elementi strutturali che ne fanno un perfetto complemento, o un
humus favorevole, al dilagare del complottismo. Come referente attuale e
prag-matico della mia analisi prenderò in considerazione un prodotto relativamente
nuovo del laboratorio politico italiano: il Movimento a 5 stelle, con particolare
enfasi sul suo marcato accento personalistico. Vista l’impossibilità di scindere
l’analisi del grillismo da uno studio sui nuovi mezzi di comunicazione di massa,
intorno ai quali il movimento è stato edificato, mi sforzerò di relazionare il
popu-lismo alle nuove prospettive multimediali e interazionali offerte dal web 2.0, al
fine di soppesarne pro e contro ed eventuali effetti collaterali nella nascita e
dif-fusione incontrollata di letture complottistiche della realtà.
Il mio obiettivo finale è dimostrare l'idea alla base di questa tesi: l’inclinazione
alla mentalità cospiratoria - di qualsiasi segno, orientamento, epoca storica sia -
si può sempre ricondurre ad una forma, spesso dissimulata, di teismo.
L’anti-scientismo tornato in auge negli ultimi decenni, il riproporsi di forme arcaiche di
pensiero magico pagano e pre-pagano e la diffusione di teorizzazioni new age e
nostalgie primitivistiche sempre più accentuate, sono altre sfaccettature di questo
fenomeno, inscindibili l’una dall’altra e necessarie per comprendere
l’inarrestabile vena complottista e irrazionalistica che pervade il nostro tempo.
Capitolo primo: i fondamenti delle quattro dimensioni sociologiche del
complotto
1.1: Un’introduzione alle radici strutturali del modello complottista: il complottismo cattolico e la caccia alle stregheCome ho accennato nel prologo, le teorie del complotto non sono un lascito
del ventesimo secolo, ma affondano le loro radici profonde in determinati sistemi
valoriali e mitologici antichi più o meno quanto l’umanità intera. Per identificare
e smascherare le omologie strutturali che fondano concezioni del mondo
superfi-cialmente anacronistiche, dobbiamo come prima cosa rivolgere uno sguardo al
passato al fine di individuare un possibile modello universale\archetipico che
sostanzi l’ossatura di qualsiasi tendenza cospirazionista sia stata mai osservata. In
primo luogo si deve sottolineare che il complottismo è sempre connotato di
sfu-mature ideologiche. Accantonando per un attimo la cornice e la struttura portante
di tutte le teorie del complotto, è facile dimostrare che ognuna di esse fiorisce a
partire da un humus sociopolitico o socioculturale di un certo tipo. Potremo così
avere, storicamente, teorie cospiratore di impronta clerico-reazionaria, altre di
retaggio ateo-materialista e altre ancora che attingano a elementi di entrambi i
modelli per approdare a un ibrido orientato verso l’una o l’altra direzione - a
se-conda delle circostanze e delle epoche storiche. Ciò che importa è che una teoria
del complotto fornisca a una oligarchia di qualche tipo o a una determinata
cate-goria di persone un formidabile strumento al fine di perpetuare ed espandere la
detenzione del potere o limitare il potere e le rivendicazioni altrui. Da questi
po-chi cenni si può già intuire come la presenza di un intero sistema di
rappresenta-zioni pregiudiziali sia connaturata implicitamente alla stessa idea base di
com-plottismo. Laddove si parla di cospiratori, deve esistere per forza di cose anche
un’entità, individuale o collettiva, che si sia macchiata dell’onta di aver
cospira-to, al fine di scardinare a proprio esclusivo vantaggio uno stato di cose
preesi-stente. Quanto appena esposto ci permette di tracciare in modo sommario il
pri-mo e fondamentale nucleo dell’ottica complottista: la presenza irrinunciabile di
un capro espiatorio.
Non importa che la fabbricazione dell’oggetto da “demonizzare” (un termine,
come vedremo, non utilizzato a caso) sia deliberata e quindi totalmente arbitraria
–
come avviene nel caso dei Protocolli dei Savi di Sion
–o si regga su una serie
di interpretazioni fallaci della realtà scaturite dal pregiudizio, dalla malafede o da
altri fattori; ciò che conta è la trasversalità del capro espiatorio in quanto figura
costitutiva. Che si parli di cospirazioni reazionarie attribuite ai gesuiti
(complotti-smo di orientamento illuminista\progressista o anche cristiano\clericale) o di altre
sataniche ad impronta massonica (complottismo di orientamento
cristia-no\reazionario), abbiamo sempre e comunque un’idealizzazione al contrario di
tipo proiettivo. Coloro che sono additati come cospiratori vengono investiti di
caratteristiche, qualità e prerogative che incarnano il concetto di male assoluto
della loro controparte complottista. Perfino nel caso di teorie cospiratorie
moder-ne riguardanti elementi fantastici o extramondani, ad esempio quella ufologica,
vi è sempre una componente politica e accusatoria di questo tipo (il governo
fe-derale che nasconde colpevolmente l’esistenza degli alieni o che è addirittura in
combutta con loro). In poche parole, il meccanismo complesso e stra-abusato del
complottismo consiste, prima di ogni altra cosa, nello stigmatizzare un’alterità
che si percepisce come infida, odiosa o intrigante, attribuendo a essa la
responsa-bilità di tutti i disfunzionamenti e i mali sociali, o perfino una connotazione
ma-lefica in senso ontologico.
complottismo che ci siano pervenute è anche una delle più archetipiche in
assolu-to, se non la più archetipica per via della natura del “capro” espiatorio: il
com-plotto ai danni della cristianità (secolo XIV). Il fatto che questo spauracchio
ve-nisse agitato, ciclicamente, contro una gamma di categorie che andava dai
leb-brosi agli ebrei “deicidi”, è cosa che passa in secondo piano rispetto alla figura
prototipica del grande cospiratore: il demonio. Le categorie sociali su cui veniva
apposto lo stigma (che in questo caso assumeva i tratti di un vero e proprio
mar-chio d’infamia) non erano altro che un pallido riflesso dell’operato del maligno,
la grande eminenza, occulta ma potentissima, che in ogni momento tesseva trame
spregevoli per precipitare il mondo intero nel caos e nella perdizione. Il Diavolo
–
o come viene emblematicamente definito tutt’oggi l’Avversario
–è l’untore
supremo, ovvero la personificazione più calzante di quell’entità malevola
–in-tangibile, inafferrabile ed eterna
–che costituisce la scintilla della fascinazione
mitologica alla base di tutte le teorie complottiste. Molti uomini di chiesa amano
citare la massima di Baudelaire secondo cui “la più grande astuzia del Diavolo è
stata far credere che non esiste”. Applicando questo concetto all’avversario
codi-ficato di qualsiasi modello interpretativo basato sulla cospirazione, potremmo
facilmente identificarlo con qualunque entità oppositiva, dal fantomatico Nuovo
Ordine Mondiale ai Savi di Sion, giacché ogni cospiratore, in quanto tale, non è
interessato a rendere manifesti i suoi piani, che così facendo sarebbero sventati,
ma solo ad orchestrarli nell’ombra con metodicità paziente e "diabolica".
Nell’arco degli ultimi due secoli, di pari passo con la nascita e la diffusione
delle scienze sociali, molti studiosi e umanisti, da Hanna Arendt a (come
vedre-mo nel dettaglio più avanti) Karl Popper, hanno individuato alla radice delle
teo-rie cospirative quel genere d’impronta mentale, tutt’altro che laica, che pretende
di svilire la complessità del mondo e dei fenomeni sociali attribuendone la causa
ad una "onnipotenza" che tutto sa e tutto comprende in sè, ovvero ad una sorta di
determinismo onnisciente e (semi)infallibile che manovrerebbe le redini degli
eventi, trascendendo il dispiegarsi delle coscienze e delle azioni individuali ma
allo stesso tempo influenzandolo secondo direttive “misteriose” e insondabili. Il
caso viene trasfigurato nella causalità; le coincidenze diventano dimostrazioni
inconfutabili di presunte leggi, oscure ai più, che governano i destini umani; la
realtà
–confusionaria e astrusa per definizione
–acquisisce una forma
maggior-mente o totalmaggior-mente “strutturata” (in particolar modo nei modelli cospirativi di
orientamento ideologico totalitario o religioso), facendosi più elementare e
rassi-curante a scapito della verità fattuale.
Il pensiero magico, che si credeva debellato quasi del tutto grazie
all’illuminismo e alla Rivoluzione Industriale, rientra nelle ultime decadi del
se-colo scorso dalla finestra posteriore dell’irrazionalismo antiscientifico. Laddove
una società è altamente specializzata
–e vi è una elevatissima settorializzazione
produttiva per cui ognuno deve educarsi a svolgere un compito specifico e
stret-tamente tecnico, ignorando gli ambiti che esulano dalle proprie competenze
spe-cialistiche
–è facile per una vasta moltitudine d’individui cedere alla seduzione
di prospettive semplicistiche e talvolta superstiziose su cui adagiarsi per leggere
la realtà. Più il mondo è dispersivamente compartimentizzato e foriero d’una
marcata stratificazione socio-lavorativa, più quelle spiegazioni o “soluzioni” che
diluiscano in modo elementare temi che richiederebbero anni di studio per essere
anche solo dibattuti, vengono risolte in una manciata di credenze intrise di magia.
Questo assunto, come approfondirò nei prossimi capitoli, è a maggior ragione
veritiero se si pensa all’immane flusso di notizie, nozioni, conoscenze
–spesso e
volentieri imprecise o fallaci
–da cui siamo bombardati senza tregua tramite i
medium di massa.
C’era una volta il servo della gleba, la cui breve vita si snodava
esclusivamen-te nei dintorni del villaggio natale, attraverso una sequenza meccanica d’atti
ri-correnti e facilmente padroneggiabili. Il servo della gleba era la pedina
acquie-scente di un sistema giusnaturalistico in cui la stabilità della visione del mondo
condivisa era garantita da un corpus armonioso di leggi universali e immutabili.
Religione, società, gilde e potere monarchico coesistevano e si compenetravano:
il bracciante medioevale era analfabeta e viveva in uno stato di abbruttimento
impensabile per quelle che sono le capacità ideativo\cognitive dell’uomo
moder-no, eppure la sua Weltanschauung, nell’ingenuità delle proprie schematizzazioni
arcaiche, era strutturata con fermezza intorno a dei pilastri intangibili.
L’uomo moderno
–e ancora più quello postmoderno
–si ritrova in parte
orfa-no della “solidità” taken for granted dell’uomo antico: di fronte ad un flusso
d’informazioni soverchiante come quello che ci travolge nel quotidiano è
spauri-to e disorientaspauri-to. E’ così che quella tendenza di cui parlavo a incasellare gli
av-venimenti e le notizie quotidiani in uno schema caratterizzato da dicotomie
infan-tili e semplificazione esasperata, oggigiorno è al suo apice sia quantitativo che
qualitativo.
Il mondo è sempre più complesso, le dinamiche sociali sono sempre più
con-torte, la realtà è sottoposta ineluttabilmente a un elemento caotico ingestibile: per
un’immensa moltitudine di persone tutto ciò costituisce una mole di sfide
cogni-tive troppo difficile da fronteggiare con la necessaria lucidità e consapevolezza.
Questo è uno dei motivi della notevole adesione che i movimenti politici
populi-sti, con i loro slogan altamente seduttivi e le loro ricette preconfezionate per la
risoluzione di tutti i mali sociali, stanno riscuotendo nel mondo occidentale (basti
pensare ai tea party statunitensi o al movimento a 5 stelle nel caso dell’Italia -
argomento di cui discuterò nei prossimi capitoli).
Vi è quindi un inestirpabile manicheismo strutturale in tutti coloro che si
pro-fessano seguaci di qualche teoria del complotto, da cui deriva la semplicistica
suddivisione del mondo in buoni o cattivi, cultori del bene ed emissari del male.
Parlerò più avanti di come questo “teismo mascherato” sia imprescindibile per la
comprensione della forma mentis del complottista medio, e di come e perchè
possa essersi generato. In questo frangente mi limiterò a dire che l’irrazionalità
delle teorie cospiratorie ha una logica, invero, altamente razionale e operativa.
Esse sono perfettamente compiute e coerenti da una prospettiva
logico-autoreferenziale, al punto da potersi rifare perfino a dei paradigmi scientifici, ma
allo stesso tempo non sono suscettibili di alcuna confutazione scientifica. E’
pos-sibile scardinarne determinati presupposti fallaci, anche ricorrendo a evidenze
empiriche irrefutabili, ma il modello teorico a tutto tondo non è demolibile:
sa-rebbe come pretendere di dimostrare l’inesistenza di Dio o del Diavolo.
In sintesi, per penetrare analiticamente il fenomeno in oggetto non possiamo
scinderlo dalla sua identificazione con una sfera di attinenza mitologica, ovvero
con una serie di principi ultimi e autosufficienti che diano conto delle cose
se-condo un loro ordine, fortemente causale, che precede l’empiria. Perfino i miti
della politica e dell’ideologia moderna, per persistenza ambiguità e incisività,
non si differenziano molto dai miti sacri delle società tradizionali e non
secola-rizzate.
Un primo esempio storico di mito complottista perfettamente funzionale a un
modello interpretativo diffuso su scala europea è la credenza nelle streghe. Come
si è detto, le streghe
–al pari degli ebrei “perfidi” e dei lebbrosi
–rientravano,
nella mentalità cristiana dell’epoca, in un piano di ampio respiro predisposto dal
Diavolo per riconquistare il potere e il regno perduti. Esse quindi non rilevavano
se non come strumenti “umani” di una volontà diabolica, manipolatrice e
ultra-terrena, in grado d’inoculare la propria corruzione tra le anime deboli o votate al
male.
Il modo attraverso cui le streghe esercitavano la loro nefasta influenza su
uo-mini e animali era il maleficio, ovvero il ricorso alle arti magiche o ad oggetti
investiti di particolari poteri come talismani o amuleti. Il concetto di maleficio
s’inscrive alla perfezione nella mentalità magica, sebbene ammantata di dottrina
e filosofismi, dell’epoca tardo-medioevale in cui la persuasione nel complotto
stregonesco prese piede. Un testo fondamentale e straordinariamente suggestivo
per comprendere i cardini della mentalità superstiziosa in relazione al presunto
fenomeno stregonesco è il Malleus maleficarum (1487),
ad opera dei frati
dome-nicani Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, destinato a restare per quasi due secoli
il più consultato manuale teologico sulla caccia alle streghe, tanto per gli
inquisi-tori cattolici quanto per i giudici protestanti.
Alcuni passaggi dell’imponente trattato esprimono perfettamente l’idea delle
streghe come strumenti manipolati dal demonio
–il grande cospiratore
–per i
suoi fini:
"Così sostiene sant’Agostino:
Tutte le cose visibili e tangibili che accadono possono (si crede) essere l’opera dei poteri inferiori dell’aria. Ed appunto i mali del corpo e disturbi non sono certo invisibili, anzi, sono evidenti per i sensi, perciò possono essere causati dai diavoli. Inoltre si apprende dalle Sacre Scritture delle catastrofi che si abbatterono su Giobbe, come il fuoco che cadde dal cielo e divorò le pecore ed i servi ed il vento violento che fece crollare la casa in modo che cadde sui suoi bambini e uccidendoli tutti. Il diavolo, senza la cooperazione di streghe, sia pure col permesso di Dio, da solo è stato in grado di realizzare tutti questi disastri. Perciò egli può certamente fare molte cose che sono spesso attribuite all’agire delle streghe (...) (tuttavia) si può dire che il diavolo fa uso di una strega non perché ne abbia effettivamente bisogno, ma perché vuole ottenere la perdizione dell’anima della strega. Sul punto si può fare riferimento a quanto dice Aristotele nel libro III della sua Etica. Il male è un atto volontario, il che è provato dal fatto che nessuno esegue un’azione ingiusta facendo del male meramente fine a se stes-so. Un uomo che commette, ad esempio, uno stupro lo fa per il piacere".
Le streghe, quindi, contribuiscono grandemente al piano demoniaco volto ad
annichilire la bontà delle potenze celesti, eppure, al contrario dei normali
stru-menti “impersonali”, sono dotate d’una volontà propria, il che ne fa delle figure
passibili di condanna spirituale e temporale, dal momento che hanno scelto
deli-beratamente di compiere il male attraverso un uso deteriore del proprio libero
arbitrio. Ne deriva che le streghe sono tutte accomunate da apostasia e deviazione
volontaria dalla retta fede cristiana, da sancirsi attraverso il patto col Diavolo.
Il patto col Diavolo viene siglato durante rituali satanici definiti come sabba,
nei quali l’asservimento al male dell’aspirante strega si consuma tramite atto
ses-suale con i demoni. Questa componente di promiscuità sesses-suale e misoginia,
evi-denziata dal fatto che le streghe sono assunte in numero di gran lunga superiore
rispetto agli stregoni, è una sfumatura ideologica della mentalità cristiana delle
origini, alimentata teologicamente dall’idea di Tommaso d’Aquino (ereditata da
Aristotele) secondo la quale la donna è un mas occasionatus, ovvero un maschio
fallito, strutturalmente imperfetta, quindi, e incapace in quanto tale di controllarsi
ed esercitare in modo corretto e pieno la propria razionalità umana. La donna,
inoltre, per via delle sue arti seduttive, è vista come una potenziale pervertitrice
della natura del maschio e quindi come un insidioso agente di disordine e
corru-zione.
processo e successivamente affidata al braccio secolare. Le confessioni delle
ac-cusate, estorte spesso e volentieri col supplizio e la tortura, assurgevano a prove
inconfutabili della verità del teorema accusatorio e quindi dell’inattaccabilità del
complotto. Il demonio, però, poteva annidarsi anche nelle aule dei tribunali,
eser-citando la sua influenza sui magistrati preposti a giudicare le imputate. Questo
elemento di potenziale complicità delle figure istituzionali, curiosamente simile a
molte idee complottiste moderne, rendeva il complotto qualcosa di onnipervasivo
e quasi inestirpabile, dal momento che anche le personalità più solide,
insospet-tabili e devote potevano soggiacere alle tentazioni del maligno e divenire parte
integrante dei suoi disegni cospiratori. Una corruzione inarrestabile resa
autoevi-dente dal semplice fatto che, nonostante l’acuirsi delle persecuzioni e dei
proces-si, il numero delle streghe condotte al patibolo continuava ad aumentare
espo-nenzialmente.
Col tempo a finire sotto processo e sul rogo non furono più le sole streghe ma
anche una moltitudine di altre categorie sociali: filosofi, intellettuali, magistrati,
figure ecclesiastiche e giudici. Nella sua compiuta autoreferenzialità, il modello
del complotto stregonesco aveva alimentato propulsivamente se stesso fino al
punto di sfuggire di mano ai suoi stessi ideatori e trasfigurarsi in un corpo dotato
di dinamiche proprie, cangianti e autonome. Quella che potremmo definire come
un’aberrante psicosi di massa, trovò il suo apice verso la metà del XVII secolo,
per poi smorzarsi gradualmente in corrispondenza delle prime avvisaglie
illumi-nistiche.
Ricapitolando quanto esposto finora a proposito della prima mitologia
com-plottista che abbia raggiunto in Europa lo status di modello interpretativo,
pos-siamo isolare in modo sommario quattro dimensioni strutturali che ad un’attenta
analisi si ritrovano in innumerevoli altre teorie del complotto, anche le più
mo-derne:
1) Una dimensione teologica\teistica: costituisce la cornice, o meglio la griglia
interpretativa, alla base d’una visione del mondo di carattere globale e talvolta
metafisico. Si tratta del livello di complessità più alto, in quanto definisce la
fon-te
–la radice primigenia e fondamentale
–del complotto vero e proprio. Nel caso
della cospirazione stregonesca, questo ente è incarnato dal demonio. Le streghe
fungono da personificazione tangibile di ciò che altrimenti sarebbe nebuloso e
inafferrabile (i demoni, Satana). In accordo col meccanismo del capro espiatorio
a cui si è già fatto riferimento, la cattura delle streghe con relativa condanna è
l’unico sistema attuabile dagli uomini per contrastare i piani fumosi e
imperscru-tabili del maligno. Estendendo il discorso ad altri teoremi cospirativi, va fatto
notare che “il Diavolo” non deve avere necessariamente una natura metafisica e
sovrumana, giacchè la sua incarnazione potrebbe presentarsi sottoforma di
qual-cosa di molto più terreno ma altrettanto immateriale e impalpabile. Ad esempio,
se prendessimo in considerazione le teorie cospirazioniste elaborate dal
bolscevi-smo sovietico, ci accorgeremmo che dietro la pretesa di ateibolscevi-smo e materialibolscevi-smo
scientifico si annida, sotto altre forme, un vero e proprio culto teistico del
com-plotto, sostanziato di propri riti e dogmi. Il male, in questo caso, combacia
perfet-tamente con il capitalismo internazionale a sfondo imperialistico, un’entità
astrat-ta e proteiforme, priva di referenti identificabili in modo univoco, perfetastrat-ta per
aizzare mobilitazioni popolari e invocare contromisure drastiche nei riguardi
dell’intrigante “nemico” celato nell’ombra. Da notare che in questo caso la
di-mensione teistica del complotto viene a sovrapporsi impeccabilmente con quella
ideologico\politica su cui mi pronuncerò fra qualche riga.
2) Una dimensione epistemologica: come si è detto, l’uomo è impossibilitato a
comprendere il funzionamento di qualsiasi aspetto del reale e necessita di
formu-lare vari tipi di scorciatoie conoscitive, tra le quali rientrano anche ipotesi
indi-mostrabili credute per fede al fine di orientarsi nell’irriducibile complessità del
mondo. In epoca tardo-medioevale, prima che il metodo scientifico-sperimentale
diventasse il paradigma di ogni razionalità analitica, esisteva una vastissima
gamma di fenomeni suscettibili di venir letti sotto l’ottica della superstizione e
del dispiegarsi di poteri occulti inesplicabili e ultraterreni. Sempre nel Malleus
"Ci sono alcune cose in natura che sono dotate di poteri occulti la cui ragione l’uomo
ignora: un esempio è la calamita che attira l’acciaio e molte altre cose del genere, che S. Agostino cita nel libro 20 della Città di Dio".
Da questo punto di vista, l’esistenza delle streghe poteva costituire la lente
e-splicativa per afferrare una serie di manifestazioni naturali che altrimenti
sareb-bero risultate del tutto indecifrabili e ancora più spaventose. Una malattia
menta-le, quindi, poteva essere indice di possessione diabolica, così come un disturbo
organico sconosciuto dalle conseguenze appariscenti, dei fenomeni meteorologici
insolitamente distruttivi e spettacolari o una terribile carestia, potevano essere
sussunti come conseguenze d’un maleficio stregonesco. Semplificare sottoforma
di schemi ciò che è intricato e forse incomprensibile è un tipo di strategia
adatti-va vincolata alla natura umana. La sua utilità è fuori discussione, basti pensare a
quanto risultano efficaci e irrinunciabili gli stereotipi e i pregiudizi
nell’interpretazione dinamica del mondo. Illudersi di padroneggiare determinate
situazioni che sfuggono alla nostra immediata comprensione è qualcosa
d’individualmente “benefico”, nel momento in cui ci si persuade di esercitare un
controllo fittizio sul fenomeno in oggetto. Ciò vale anche nel caso in cui il
feno-meno in questione sia percepito come ostile e non si possa direttamente agire su
di esso. Si arriva dunque al paradosso per cui sistemi di credenze irrazionali,
no-nostante amplifichino un senso preesistente di precarietà e minaccia,
attecchisca-no con estrema facilità in quanto soattecchisca-no in grado di ridurre sensibilmente
l’impenetrabilità del mondo
3) Dimensione legittimista\autoassolutoria: questa dimensione è un corollario
delle due precedenti. Dal momento che esistono aspetti della realtà su cui non ci
si può pronunciare, gli uomini subiscono delle situazioni che non ritengono
d’aver meritato. Ognuno di noi, tendenzialmente, è convinto di risiedere nel
giu-sto, di tenere perlopiù un comportamento buono e rispettoso e di vivere nella
mi-gliore delle società auspicabili, coltivando il più retto dei culti religiosi possibili,
ragion per cui le sventure in cui potremmo incappare giorno per giorno vengono
percepite come un’ingiustizia, un’iniquità, un male tanto più inspiegabile quanto
più il nostro stile di vita ci appare integerrimo. Individui fortemente religiosi
so-no in grado d'introiettare queste sciagure nell’ottica di un disegso-no diviso-no volto a
temprare la loro fede, vivendole con acquiescenza e sopportazione, ma altri
anco-ra
–religiosi o meno
–potrebbero considerarle il prodotto di qualche agente
e-sterno votato a danneggiarli sistematicamente per perseguire un proprio infido
tornaconto. Questi agenti esterni sono varie forme di alterità
–individui, gruppi,
comunità, etnie, categorie politiche
–investite di caratteristiche peculiari che ne
fanno i soggetti più adatti a incarnare il ruolo di capro espiatorio. Da un lato,
quindi, si giustificano “razionalmente” sciagure più o meno casuali che si
riten-gono immeritate da un punto di vista morale, dall’altro il complottista riscontra in
questo meccanismo una piena soddisfazione al suo bisogno inespresso di
com-pensare fallimenti individuali, comunitari o nazionali. Aderendo a una
prospetti-va autoassolutoria che ignora le disfunzioni in seno all’apparato sociale o alla
persona stessa, egli scarica tutte le responsabilità su un “altro” stigmatizzato, in
modo che la propria dissonanza cognitiva non ne sia scalfita o sia ridotta al
mi-nimo. Gli ebrei, per via di alcuni fattori etnici tra cui il cosmopolitismo e
l’auto-ghettizzazione, sono un bersaglio perfetto per vocazioni cospiratorie vecchie e
nuove.
Come vedremo, i populismi e i totalitarismi di estrema destra condividono con
la forma mentis complottista la tendenza a scaricare all’esterno del popolo o della
comunità-stato tutte le colpe dei malfunzionamenti sociali.
4) Dimensione ideologica: anche questa si compenetra e sovrappone con
quel-le sviscerate sinora. Come esposto in precedenza, ogni teoria del complotto non
può prescindere da sfumature politico\ideologiche di qualche tipo. Un paragone
che ritengo appropriato è quello tra alcune implicazioni delle moderne leggende
metropolitane e quelle delle teorie del complotto. Pur non raggiungendo la
com-plessità della griglia concettuale con cui le teorie complottistiche leggono il
dive-nire storico, le leggende metropolitane definiscono una visione mitologica
em-brionale che sottende una visione del mondo ben precisa. Non è rilevante il fatto
che esse siano state fabbricate artificialmente e con piena coscienza da alcuni
buontemponi. Si vedrà che la teoria cospiratoria dei Protocolli di Sion è stata
ide-ata e diffusa con fini operativi ben precisi. Ciò che conta è l’idoneità di talune
rappresentazioni favolistiche ad attecchire o meno in un background ben preciso.
Queste visioni del mondo, una volta sondate obiettivamente dal sociologo, non ci
fanno capire come funzionino realmente le cose, ma in compenso ci dicono
tan-tissimo su quali siano le paure e i nodi problematici insiti nella percezione
collet-tiva o nell’ottica del potere costituito (basti pensare alle leggende metropolitane a
sfondo razzistico o tecnologico). Tornando al modello complottistico basato
sull’esistenza delle streghe, potremmo porre l’accento sulla percezione misogina
del ruolo sociale della donna, come codificato dai culti religiosi e dal clima
cultu-rale dell’epoca, o ancora indagare il modo in cui lo spauracchio del complotto sia
stato agitato intenzionalmente per eliminare personaggi o fazioni scomode dal
punto di vista politico, al fine di monopolizzare la gestione del potere. Ogni
complotto, in altre parole, ha sempre una valenza strumentale di contestazione
mirata, opportunità politica o conflitto ideologico.
Capitolo secondo: Massoneria e Rivoluzione francese. Complottismo
giacobino e complottismo clerico\monarchico a confronto
2.1: Paradigmi complottisti antichi e moderni
Una considerazione illuminante estrapolata da un articolo di Karl Popper ci
per-mette di fare il punto della situazione e d’introdurre nel migliore dei modi questo
nuovo paragrafo:
"Illustrerò brevemente una teoria che è largamente condivisa, ma che presuppone quello che considero precisamente il contrario del vero fine delle scienze sociali: quella che chiamo «la teoria cospiratoria della società». Essa consiste nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno (talvolta si tratta di un interesse nascosto che dev’essere prima rivelato) e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo.
Questa concezione dei fini delle scienze sociali deriva, naturalmente, dall’erronea teoria che, qualunque cosa avvenga nella società – come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie, che la gente di solito detesta – è il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti. (...) Nelle sue forme moderne esso è (...) il tipico risultato della secolarizzazione di una superstizione religiosa. La credenza negli dèi omerici le cui cospirazioni spiegano la storia della guerra di Troia è morta. Gli dèi sono stati abbandonati. Ma il loro posto è occupato da uomini o gruppi potenti – sinistri gruppi di pressione la cui perversità è responsabile di tutti i mali di cui soffriamo – come i famosi saggi di Sion, o i monopolisti, o i capitalisti, o gli imperialisti.
Io non intendo affermare, con questo, che cospirazioni non avvengano mai. Al contrario, esse sono tipici fenomeni sociali. Esse diventano importanti, per esempio, tutte le volte che pervengono al potere persone che credono nella teoria della cospirazione. E persone che credono sinceramente di sapere come si realizza il cielo in terra sono facili quant’altre mai ad adottare la teoria della cospirazione e a impegnarsi in una contro-cospirazione contro inesistenti cospiratori. Infatti la sola spiegazione del fallimento del loro tentativo di realizzare il cielo in terra è l’intenzione malvagia del demonio che ha tutto l’interesse di mantenere vivo l’inferno.
Cospirazioni avvengono, bisogna ammetterlo. Ma il fatto notevole che, nonostante la loro presenza, smentisce la teoria della cospirazione, è che poche di queste cospirazioni alla fine hanno successo. I cospiratori raramente riescono ad attuare la loro cospirazione. Perché accade questo? Perché le realizzazioni differiscono cosí profondamente dalle aspirazioni? Perché ciò è quanto normalmente avviene nella vita sociale, ci siano o non ci siano cospirazioni. La vita sociale non è solo una prova di forza fra gruppi in competizione, ma è anche azione entro una piú o meno elastica o fragile struttura di istituzioni e tradizioni, azione che provoca – a parte qualsiasi contro-azione consapevole – molte reazioni impreviste, e alcune di esse forse anche imprevedibili, in seno a questa struttura.
Cercare di analizzare queste reazioni e di prevederle per quanto possibile è, a mio giudizio, il compito essenziale delle scienze sociali. È il compito di analizzare le
inintenzionali ripercussioni sociali delle azioni umane intenzionali, quelle ripercussioni la cui importanza è trascurata sia dalla teoria della cospirazione che dallo psicologismo, come abbiamo già indicato. Un’azione che si attui in piena armonia con l’intenzione non crea problemi per la scienza sociale (...). Una delle piú elementari azioni economiche può servire da esempio al fine di rendere chiarissima l’idea delle conseguenze inintenzionali delle nostre azioni.
Se un uomo desidera acquistare subito una casa, possiamo tranquillamente presumere che egli non desidera certo far salire il prezzo del mercato delle case. Ma il semplice fatto che egli si presenti sul mercato in qualità di acquirente, tenderà a far salire i prezzi di mercato. E osservazioni analoghe valgono per il venditore. Oppure prendiamo un esempio da un campo assolutamente diverso: se un uomo decide di assicurarsi sulla vita, è improbabile che abbia l’intenzione di incoraggiare certa gente a investire il loro denaro in azioni di compagnie assicurative. ma egli nondimeno farà proprio questo.
Noi vediamo già chiaramente che non tutte le conseguenze delle nostre azioni sono conseguenze intenzionali: e quindi che la teoria cospiratoria della società non può esse-re vera perché equivale all’asserzione che tutti i risultati, anche quelli che a prima vista non sembrano premeditati da alcuno, sono i risultati intenzionali delle azioni di perso-ne che sono interessate a tali risultati".
In sostanza, anche Popper ritiene le mitologie complottistiche delle fantasie
imperniate su una forma rinnovata di superstizione e su schematizzazioni binarie
e semplicistiche della realtà (in ossequio alla logica amico-nemico di cui si è già
detto). Il riferimento di Popper alle “forme moderne” di complottismo è rivolto,
neanche troppo velatamente, alla scia di complottismi scaturiti dalla Rivoluzione
Francese, ovvero dalle macerie dell’ancien règime, con tutto il loro lascito in
termini di secolarizzazione e fermento politico\culturale "contemporaneo". A
risaltare è l’idea in base alla quale uno dei meccanismi mentali che innescano il
fideismo cospiratorio consiste in una sorta di visione irrealisticamente
razionali-stica della realtà: la ragione
–se ben organizzata e indirizzata da singoli individui
o gruppi di potere
–potrebbe plasmare qualsiasi aspetto del mondo umano. Tale
infantile convinzione pretende d’ignorare in maniera grossolana quanto
frasta-gliate, astruse e imprevedibili siano le dinamiche socio-istituzionali nel loro
e-volversi progressivo e ingovernabile. Per quanto possano esistere abili
manipola-tori trincerati dietro fantomatiche organizzazioni mondiali occulte, nessuna
piani-ficazione, anche la più accorta e minuziosa, è in grado di esaurire l’inestricabile
complessità e variabilità delle strutture sociali, considerate anche solo in base al
dualismo antagonistico “tradizione\tensione verso il progresso”. Naturalmente,
più una società è articolata al suo interno (in termini di ramificazione economica,
sociale, politica e così via) e interconnessa con altre dimensioni sociali, minori
sono le possibilità di pilotarne con successo i futuri sviluppi.
Se un gigantesco tifone colpisce una zona caratterizzata da abusivismo
dila-gante, corruzione amministrativa e proliferazione architettonica non a norma,
causando danni ingenti e vittime incolpevoli, il fanatico complottista
(coerente-mente con la dimensione legittimista\autoassolutoria di cui si è già parlato) non
imputerà la colpa alla malagestione politica del territorio, ma inveirà verso
inesi-stenti progetti di modificazione clandestina del clima mirati a causare cataclismi
artificiali. Il fine di questi progetti non è importante, tant’è che non esiste un
con-senso unanime su quali sarebbero i reali obiettivi delle entità diaboliche che vi si
celano dietro. Si è detto che le scie chimiche
1generino temporali, ma anche che
diradino le nuvole; che creino devastanti acquazzoni artificiali, ma anche siccità
indotte a tavolino; che avvelenino l’atmosfera, le coltivazioni e gli esseri umani,
ma anche che combattano l’effetto serra introducendo schermature nuvolose
con-tro le radiazioni solari. Ciò che conta è l’impostazione psicologica di base,
ana-loga a quella che in epoca medioevale condusse alla sanguinosa persecuzione
delle streghe o che nel secolo scorso determinò i pogrom europei sulla scia
dif-famatoria della pubblicazione dei falsi Protocolli.
La devastante alluvione che ha funestato la Sardegna il 19 Novembre 2013, in
seguito al passaggio del ciclone d’origine africana Cleopatra, è perfettamente
funzionale a dimostrare questa tesi. Ho assistito di persona, nelle ore
immediata-1 La teoria del complotto sulle scie chimiche (inglese: chemtrails conspiracy theory) sostie-ne che alcusostie-ne scie di condensaziosostie-ne visibili sostie-nell'atmosfera terrestre siano composte da agenti biologici o chimici spruzzati in volo attraverso ipotetiche apparecchiature montate sui velivoli aerei. L'operazione farebbe parte di un complotto globale portato avanti da autori misteriosi per motivi sconosciuti; a tal riguardo sono state avanzate le ipotesi più diverse, la più comune delle quali è quella secondo cui si tratterebbe di un "piano" di irrorazioni con sostanze in grado di alterare il clima terrestre o di avvelenare indiscriminatamente i popoli. Nella comunità scientifi-ca non è stata prodotta una sola prova in grado di dimostrare la diversità delle presunte scie chimiche da normali prodotti di scarto degli aerei.
mente successive al cataclisma, ad un proliferare isterico di immagini, link, teorie
complottiste volte a dimostrare l’artificialità dell’evento. La sera stessa della
tra-gedia, Rosario Marcianò, guru italiano delle tesi sciachimiste nonchè presidente
del comitato Tanker Enemy, tuonava dal suo profilo Facebook, allegando
un’immagine spettrografica diffusa dalla protezione civile:
"Omicidio volontario e strage in Sardegna. Fenomeno artificiale. Si noti il cono con origine sulle coste dell’Africa. Nessuna fonte anticiclonica sul Tirreno. Non a caso il fenomeno indotto è stato chiamato “Cleopatra”. I meteorologi e le autorità preposte mentono!".
La responsabilità della strage, secondo Marcianò, sarebbe da imputare a non
meglio identificate sperimentazioni di geoingegneria clandestina operate in area
mediterranea dalla NATO con la complicità di settori deviati della politica
italia-na. L’accusa gravissima è stata rimbalzata sui social network, nell’arco di poche
ore, da migliaia di sostenitori della teoria delle scie chimiche. E’ significativo che
su pagine non strettamente complottiste ma di area cattolico-integralista
l’immane acquazzone sia stato interpretato come un segno di castigo divino da
antico testamento.
Come ho precedentemente accennato, qualsiasi forma di complottismo è
su-scettibile di essere letta come una sorta di teismo camuffato da qualcos’altro. La
cosa è esplicitata ancora di più, in questo caso, dallo spettro archetipico del
dilu-vio universale. Lo stesso Popper riscontra un’innegabile analogia tra il
richiamar-si a Dio o agli dei o al Diavolo
–come causa unica e indubitabile di fenomeni
naturali percepiti come anomali e significativi
–e il modo complottista di leggere
la realtà. Questo richiamo alla divinità
–anche laddove il ruolo della divinità è
ricoperto da forze assunte come terrene ma inconoscibili nella loro essenza
–è
tipica e rivelatrice del nesso che lega le religioni monoteistiche alla teoria del
complotto. Un esempio emblematico di tutto ciò lo si può ravvisare in uno dei
testi cospirazionisti storicamente più celebri e diffusi: Mémoires pour servir à
Amburgo dopo che si erano avvicendati la fase di dittatura giacobina, il Terrore e
il Termidoro. L’ex gesuita, costretto ad abbandonare l’Austria in seguito allo
scioglimento della Compagnia di Gesù, ripiegherà in Francia fino alla fine del
‘700, per poi fuggire di nuovo, stavolta in Inghilterra, a causa dei moti sovversivi
che convergeranno nella Rivoluzione Francese. Nella sua opera principale, la cui
stesura definitiva si articola in ben 4 libri di circa 500 pagine ciascuno, il suo
im-pegno era interamente teso a dimostrare l’esistenza di un immane complotto in
scala europea per il rovesciamento dell’ancien règime.
I due cardini fondamentali attorno a cui ruotava il pensiero complottista e
dot-trinario di Barruel si possono sintetizzare nella tesi dell’agire provvidenziale e in
quella della responsabilità massonica dietro le destabilizzazioni giacobine.
Se-conda la prima, tutti i mali della Francia
–comprese le carestie, la miseria
dila-gante e gli sfaceli finanziari
–erano stati voluti da Dio come somma punizione
verso la decadenza morale e intellettuale del paese (già in questo emerge quella
tendenza complottistica a cui si è accennato a sminuire il ruolo di determinanti
storiche, economiche e contingenti nella genesi dei fenomeni sociali). In
quest’ottica, la stessa rivoluzione si prospetta come una maledizione divina
lan-ciata sul popolo francese a fini “correttivi”.
Come per Omero, che concepiva il potere degli Dei in modo che tutto ciò che
accadeva nella pianura antistante Troia fosse un riflesso delle molteplici
macchi-nazioni tramate nell’Olimpo (un luogo, per sua natura, inaccessibile agli umani e
collocato in una dimensione fumosa e trascendente), Barruel era dell’avviso che
la rivoluzione che imperversava in Francia fosse un ennesimo e più potente
se-gno divino. Il presunto complotto dei filosofi e dei massoni
–rivoluzionari
cor-rotti dal materialismo e dal razionalismo dilaganti
–diviene così uno strumento
indiretto attraverso cui Dio esplica la sua volontà punitrice e salvifica. Tutto
quello che è accaduto, tutte le perversioni e le storture rivoluzionarie, vengono
fatte risalire alle trame diaboliche di occulti cospiratori, agiti da
un’imperscrutabile saggezza ultraterrena.
so-stenere il trono. Senza dogmi universali la legge risulta inefficace o iniqua e i
malvagi non potrebbero avere né freni né inibizioni. Il re di Francia
–ma il
di-scorso è estendibile a qualsiasi autorità istituzionale sedimentata
–è il
rappresen-tante di Dio in terra e la nazione è assimilabile a una famiglia da esso
saggiamen-te amministrata in vessaggiamen-te di padre
–un riflesso del paternalismo divino. Si tratta
dell’esatto contrario delle pretese individualistiche avanzate dai giacobini. Il
do-vere di un padre di famiglia consiste nell’educare, allevare ed eventualmente
pu-nire i propri figli; allo stesso modo il re-Dio-padre doveva esercitare sulla
nazio-ne-famiglia un’autorità “benevola” e pedagogica, sforzandosi di perseguire il suo
stesso interesse. Nell’ambito di questo quadro reazionario e fortemente intriso di
misticismo, anche la decadenza del clero, impotente di fronte all’incedere della
rivoluzione, diviene la dimostrazione inconfutabile della provvidenza di un Dio
adirato.
Il contratto sociale come inteso da Rosseau
–uno dei numi ispiratori dei
filo-sofi rivoluzionari e in particolar modo della dottrina ideologica degli Illuminati di
Baviera
–in Barruel non è suscettibile di elevare l’uomo da uno stato naturale a
uno sociale, essendo indotto dalla mera volontà popolare piuttosto che
dall’indispensabile volontà di Dio.
Il corpus della massima opera barrueliana si può suddividere idealmente in 3
tronconi principali, ognuno dedicato allo smascheramento di uno dei 3 pilastri
rivoluzionari:
1) La cospirazione contro il cristianesimo ad opera dei sofisti dell’incredulità e
dell’empietà.
2) La cospirazione contro i re ad opera dei sofisti della ribellione.
3) La cospirazione dei sofisti dell’empietà e dell’anarchia (una combinazione
organica delle precedenti due).
Nella sua opera “Il complotto massonico e la rivoluzione francese
2” Zeffiro
Ciufoletti riporta corposi stralci dal monumentale trattato di Barruel, alcuni dei
quali fortemente indicativi del suo pensiero anti-massonico e ultraconservatore:
"Sotto il disgraziato nome di Giacobini, una setta comparve ne’ primi giorni della rivo-luzione francese, la quale insegnava che gli uomini sono tutti eguali e liberi; che a nome di questa eguaglianza e di questa libertà disorganizzatrice rovesciava gli altari e i troni, e invitava a questo medesimo titolo tutti i popoli ai disastri della ribellione e agli orrori dell’anarchia. Dai primi istanti della sua comparsa, si trovo questa setta forte di trecen-tomila seguaci, e sostenuta da due milioni di braccia che faceva muovere in tutta l’estensione della Francia, armati di fiaccole, di picche, di mannaie e di tutt’i fulmini della rivoluzione de’ suoi vescovi, de’ suoi sacerdoti, de’ suoi nobili, de’ suoi ricchi signori, de’ suoi cittadini di ogni ordine, di ogni età, di ogni sesso. Sotto gli auspici, e per i movimenti, l’impulsione, l’influenza e l’attività di questa setta, si sono commesse tutte quelle grandi atrocità che hanno inondato un vasto impero nel sangue (...)
Col mezzo loro la Rivoluzione Francese è diventata il flagello d’Europa, e il terrore delle potenze combinatesi indarno per mettere un termine ai progressi di queste armate rivoluzionarie più numerose e devastatrici che non fu l’inondazione dei Vandali. Chi sono dunque questi uomini usciti, per così dire, d’improvviso dalle viscere della terra con i loro dogmi e i loro fulmini, con tutti i loro progetti, tutti i loro mezzi, e tutta la risoluzione della loro ferocia? Qual setta divoratrice è questa? (...) Quale fu la loro scuola e quali i loro maestri? Quali sono i loro progetti ulteriori? (...)
Ciò che avrò da dire più specificatamente non è quanto fecero le infernali legioni dei Marat, dei Robespierre, dei Sieyes, dei Filippi d’Orleans, ma sibbene le cospirazioni, i sistemi, le scuole, i maestri, tutto insomma quello che li ha formati e che sta preparando tuttavia a qualunque popolo dei nuovi Marat e dei nuovi Robespierre (...)
Il risultato di queste ricerche, e di tutte le prove, tratte particolarmente dagli archivi dei Giacobini e dai loro primi maestri si fu, che la loro setta e le loro cospirazioni non sono in sè stesse che l’unione e la coalizione di tre sette cospiratrici, nelle quali molto prima della rivoluzione, si tramò e si trama ancora la rovina dell’altare e del trono, e di tutta la civile società.
1) Molti anni avanti la rivoluzione francese alcuni uomini che si fecero chiamare filosofi cospirarono contro il Dio del Vangelo, contro tutto il Cristianesimo senza eccezione, senza eccezione del Protestante, dell’Anglicano o del Presbiteriano. Questa cospirazione aveva per oggetto essenziale di distruggere gli altari di Gesù Cristo, e fu quella dei Sofisti dell’incredulità e dell’empietà.
2) A questa scuola de’ sofisti empii non tardano a formarsi i Sofisti della ribellione, e costoro alla cospirazione dell’empietà contro gli altari di Gesù Cristo, aggiungendo quella contro tutti i troni dei re, si riunirono all’antica setta delle infami logge de’ Liberi Muratori, che in progresso di tempo si burlò dell’onesta stessa de’ suoi primi seguaci
2 Zeffiro Ciufoletti, Il complotto massonico e la Rivoluzione Francese (Edizioni Medicea, 1989).
riservando agli eletti degli eletti il secreto del suo odio profondo contro la religione di Cristo e contro i monarchi.
3) Dai sofisti dell’empietà e della ribellione nacquero i sofisti dell’empietà e dell’anarchia; e costoro cospirarono, non più solamente contro il Cristianesimo ma con-tro qualunque religione, senza escludere la naturale; non concon-tro i re soltanto, ma concon-tro ogni governo, contro tutte le società civili, e sino contro ogni specie di proprietà”.
La teoria cospiratoria di Barruel è il prototipo di qualsiasi modello cospirativo
basato sulla Massoneria, nonchè l’anello di congiunzione, non a caso di epoca
illuministica, tra l’antico manicheismo religioso fondato sullo scontro tra Dio e
Diavolo e dualismi cospiratori d'impronta radicalmente più moderna.
Tornerò in seguito sull'argomento del complottismo giacobino e
anti-giacobino: nelle prossime pagine la mia analisi sociologica sarà circoscritta alla
Massoneria. Prima di procedere, infatti, è indispensabile domandarsi: in cosa
consiste di preciso? Quando è nata, quali propositi di rinnovamento ha e a quale
requisiti devono rispondere i suoi adepti per farne parte? Inoltre qual è stato,
sto-ricamente e culturalmente, il peso autentico della Massoneria nel determinare i
tumultuosi eventi che condussero alla Rivoluzione Francese e al disgregamento
dell’ancién regime?
Uno studio approfondito sulla simbologia massonica e i suoi riti, oltre ad
esse-re un lavoro immane e dispersivo a causa della molteplicità di Logge massoniche
esistenti, esula di gran lunga dagli obiettivi di questa tesi. Il sottoscritto,
d’altronde, non è affiliato ad alcuna società di estrazione massonica, nè potrebbe
far parola delle proprie conoscenze nel caso lo fosse, essendoci il vincolo del
se-greto iniziatico.
Nell’ambito di questa tesi mi limiterò a delineare a grandi linee e il più
obiet-tivamente possibile l’evoluzione dell’istituzione massonica nella storia, la sua
filosofia fondante e l’indirizzo ideologico che la contraddistingue. Per districarmi
in questo tortuoso percorso, vista la scarsità di letteratura sull’argomento, dovrò
prendere in considerazione anche opere di moderni storici della Massoneria come
Achille Pontevia, cercando di smussarne gli ardori partigiani.
2.2: Origine, evoluzione e prerogative dell'istituzione Massonica
Nel capitolo sulla genesi della Massoneria, Pontevia scrive:
"Uno dei principi fondamentali della Massoneria è quello “non credere ma essere con-vinti”, e conseguentemente non conoscere ma sapere (...) (essa) è basata sulla conoscen-za, che considera come mezzo indispensabile alla conservazione della fede, la quale non nasce da una cieca credenza, ma da una conoscenza razionale mediante un processo di selezione intellettuale; pertanto questi principi potranno essere passibili di trasformazio-ne o di evoluziotrasformazio-ne, ma trasformazio-nella loro sostanza, che è quella che conta, rimarranno immuta-bili"3.
Possiamo individuare già da queste righe striminzite il riferimento a un
indivi-dualismo conoscitivo di fondo connaturato alla stessa essenza della forma mentis
massonica, tale da discostarla dalle grandi religioni monoteistiche. Un
individua-lismo, come vedremo, non inteso nei termini di un solipsistico ripiegarsi sul
pro-prio ego, ma come un’attitudine a disconoscere il dogmatismo delle religioni
tra-dizionali a favore di un percorso esistenziale ed esoterico che sia centrato sulle
specificità, anche religiose, del singolo.
Laddove i pilastri del Cattolicesimo dottrinale si fondano su un magistero
se-dimentato in secoli di elaborazione teologica da parte degli apostoli di Gesù e dei
padri della chiesa, il pensiero massonico affonda le sue radici,
convenzionalmen-te, in una costellazione di personalità eminenti riconducibili agli albori del
pen-siero filosofico e umanistico (Pitagora e il neoplatonismo di Plotino sono due
esempi di referenti culturali massonici). Quanto accomunava questi pensatori del
passato era la persuasione che ciascuna dottrina e religione
–dalle forme più
in-genue e mitologiche a quelle più complesse e strutturate, come il Cattolicesimo o
l’Islamismo
–avessero dei comuni punti d’identificazione e convergenza. La
struttura ideologica e spirituale della Massoneria (conosciuta anche come “libera
muratoria”) attinge parimenti ad un ricchissimo nucleo di principi basilari e
pra-3 Achille Pontevia, Cattolicesimo e Massoneria: considerazioni umane, pag. 44 (Roma: Atanòr, 1977).
tiche iniziatiche derivato da pilastri mistici di dottrine antiche e quanto mai
ete-rogenee (Zoroastrismo, Ebraismo, culti egiziani, cinesi ecc). Nell’assimilare
par-zialmente un corpus di sistemi, simboli e riti mutuato da retroterra così variabili,
essa ritiene di assurgere ad un’autentica universalità, dal momento che qualsiasi
uomo
–indipendentemente dalla sua collocazione geografica, dalla sua epoca,
dalla sua etnia e dalla sua condizione
–vi può riscontrare una sapiente
armoniz-zazione delle proprie idee con quelle di altri uomini. Le origini remotissime di
questo universalismo vengono fatte risalire da Pontevia alle associazioni di liberi
muratori (all’epoca non ancora riunite sotto la denominazione di Massoneria).
Fin dagli albori del mondo, una delle prime esigenze che hanno assillato gli
esse-ri umani, oltre al procacciarsi un sostentamento biologico che la terra poteva
an-che offrire spontaneamente sottoforma di frutti, è stata quella di fabbricarsi
un’abitazione affidabile per trovare riparo dal freddo, dai predatori e dalle
intem-perie. L’arte di erigere costruzioni ha goduto di notevole considerazione presso
tutti i popoli e tutti i tempi. I membri di queste “gilde”, tramandatesi attraverso
gli anni, erano soliti riunirsi in occasione d’incontri ammantati di mistero, di
ro-mantico e di segreto, circoscritti ai soli praticanti dell’arte muratoria
–l’equivalente arcaico della moderna architettura. Essi ebbero uno stile di vita
de-finibile come nomade, in quanto i particolari servizi che offrivano erano richiesti
nei più svariati paesi, a seconda della fama delle loro competenze. Tutto ciò ne
fece degli individui avvezzi a conciliare le più opposte mentalità, privi di un vero
e proprio concetto di patria o nazione.
Sempre Pontevia scrive:
"L’avvento del Cristianesimo e la sua affermazione rafforzarono sempre più queste socie-tà perchè le costruzioni delle chiese e dei monasteri aumentavano di giorno in giorno. Le crociate poi aiutarono ad allargare i loro orizzonti intellettuali; il fascino del misticismo orientale che i secoli avevano sopito, i suoi segreti, le sue magiche formule esoteriche, conquistarono il loro spirito e iniziarono quella lenta trasformazione che avrebbe condotto i liberi muratori dal campo del lavoro manuale a quello dell’indagine speculativa nel campo scientifico, religioso e filosofico. La crisi poi determinata nel loro campo dalla Riforma protestante, che diede il colpo di grazia alle associazioni muratorie intese come associazioni di lavoro, consolidò quella natura intellettuale che stavano assumendo. In-cominceranno con l’ammettere nelle proprie congreghe degli intellettuali estranei all’arte muratoria, considerati tecnici della mente in contrapposizione ai tecnici del mestiere,