• Non ci sono risultati.

Hanif Kureishi fra tradizione e innovazione: una lettura di The Buddha of Suburbia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Hanif Kureishi fra tradizione e innovazione: una lettura di The Buddha of Suburbia"

Copied!
75
0
0

Testo completo

(1)

Introduzione p.1

I.

Una nuova concezione di Englishness p. 22

II. Lo Sviluppo dell’identità p. 40

III. Spazi a confronto p. 61

Bibliografia p. 71

Sitografia p. 74

(2)

1

Hanif Kureishi è un autore anglo-pakistano che può essere incluso fra gli artisti che hanno dato vita alla cosiddetta “black British literature”, secondo la definizione adottata da David Dabydeen e Nana Wilson-Tagoe.1 Il termine “black British”

inizialmente fu utilizzato dal Caribbean Artists Movement negli anni ’60; poi, con il tempo, ha finito col designare in senso più ampio gruppi di immigrati provenienti dall’India occidentale, Trinidad, Giamaica, Guyana e altri paesi, con diversi background. Dabydeen e Wilson-Tagoe, con questo termine, intendevano descrivere un panorama letterario di origine ed espressione inglese, orientato essenzialmente verso un pubblico inglese, ma prodotto da scrittori provenienti da altri paesi, nati e/o cresciuti in Inghilterra.2 Questi artisti si trovano in una posizione ibrida, a metà tra la cultura inglese e quella di origine, le quali hanno uguale importanza nella formazione dell’individuo, in quanto la prima rappresenta il contesto in cui essi sono nati o hanno trascorso gran parte della loro vita, la seconda invece ha a che fare con il passato, con la profondità delle radici: è la dimensione culturale delle famiglie, degli avi, la totalità delle usanze, credenze e tradizioni che caratterizzano il loro essere profondo.

Questa natura eterogenea include un grande ventaglio di possibilità di espressioni artistiche che difficilmente, però, potranno essere indicate con un unico termine, come Dabydeen e Wilson-Tagoe intendevano fare. Definire questa letteratura è quindi abbastanza controverso; ad esempio che cosa si intenda col termine “black” ?

1 In A Reader’s Guide to West Indian and Black British Literature, London, Hansib Publications, 1988. 2 «’Black British’ literature refers to that created and published in Britain, largely for a British

audience, by black writers either born in Britain or who have spent a major portion of their lives in Britain»; M. STEIN, Black British Literature: Novels of Transformation, Columbus, Ohio State University Press, 2004, p.8.

(3)

2

È il colore della pelle o il modo di pensare e vedere la realtà? E, eventualmente, che cosa ha a che fare il colore della pelle con la produzione letteraria?

Anche i contributi dei vari critici testimoniano la difficoltà di trovare un’unica definizione per la grande varietà espressiva a cui questi artisti danno vita. In particolare osserva Fred D’Aguiar: «There is no Black British literature, there is only literature with its usual variants of class, sex, race, time and place».3 Inoltre l’utilizzo

di un’etichetta onnicomprensiva sottintende un’omogeneità che di fatto manca; perché non esiste un solo gruppo sociale che condivida un background nazionale, culturale, etnico e regionale analogo: «Black British literature derives from its own space, yet this space is not homogenous in terms of time and culture or location, it is an imaged Experiential field of overlapping territories».4 Fra l’altro, irriducibile alla

black British Literature risulta ovviamente l’immensa varietà, pluralità di voci, ed esperienze che trovano espressione nella letteratura degli scrittori caraibici, trinidadiani, indiani e quel grande fenomeno che è stato etichettato col termine “letteratura femminile”; tutto questo patrimonio veniva definito con lo stesso termine, annullando in qualche modo le differenze che caratterizzavano ogni settore.

A inficiare l’efficacia del termine “black British Literature” c’è un ulteriore argomento, che sottolinea il carattere quasi razzista di tale definizione: « […] what he calls a “black experience” comes about in a racist or at least a racialist society; for him, labelling texts as “black” is a response to a racist society».5

3 Ibidem, p.10. 4 Ibidem.

5 F. D’AGUIAR, “Against Black British Literature”, in M. BUTCHER (ed.), Tibisiri: Caribbean Writers and

(4)

3

Gli scrittori come Kureishi hanno piena consapevolezza della loro posizione intermedia, di essere il frutto dell’interazione di due culture, ma non devono per questo essere ridotti a portavoce o reporter della difficile condizione degli immigrati nella società occidentale. Spesso, infatti, la terra di origine non rappresenta una felicità perduta e non più raggiungibile, opposta alla crudeltà delle città europee (o americane); anzi, nella maggioranza dei casi, gli scrittori hanno una vaga nozione della propria terra di origine: la cultura originaria irrompe nella loro vita grazie ai racconti dei familiari o ad alcune tradizioni che vengono perpetrate, ma spesso non deriva da una conoscenza diretta. Kureishi, ad esempio, non può certo essere indicato come scrittore “simbolo” del Pakistan, perché con questo paese non ha mai avuto uno stretto legame politico e sociale. Nei romanzi di Kureishi, infatti, si racconta la condizione di cittadini britannici, figli di immigrati in un determinato momento storico concentrandosi, quasi esclusivamente, sulle difficoltà incontrate da un individuo inglese dagli innegabili tratti asiatici: «[Kureishi] affronta il problema di come rappresentare soggetti diasporici ed in generale l’interculturalità in maniera coraggiosa».6

Il tema dell’ibridismo è del resto uno dei concetti chiave della letteratura inglese degli anni ’60 e ’70, sia per la portata culturale, sia per la sua complessa definizione, che nei decenni ha mutato connotazioni e valore. Uno dei massimi contributi in merito è quello di Homi Bhabha, che ha definito l’ibridismo come un processo culturale positivo e favorevole alla creazione di uno spazio simbolico, denominato Terzo Spazio, nel quale le differenze riscontrabili tra la cultura del “dominante” e del

6 S. GUERRA, “Borderline di Hanif Kureishi e il suo rapporto con la Black British Culture”, in Linguæ &.

(5)

4

”dominato” si annullano per creare un luogo di incontro del tutto nuovo, in cui le gerarchie imposte politicamente si annientano:

Homi Bhabha explains that hybridity, the mixing of the knowledge of the colonizer, […] or the host culture with that of the colonized, […] or immigrant, is by itself an active form of resistance to the former’s hegemony because the knowledge of the ’other’ enters the dominating culture and transforms it.7

Simili teorie tendono a porre le culture su uno stesso piano a considerarle capaci di influenzarsi l’una con l’altra, abbandonando l’idea di qualsivoglia supremazia culturale. La gerarchia politica, il lustro della nazione colonizzatrice non ha più niente a che fare con il patrimonio culturale a essa collegata; come sostiene anche Sabine Broeck: «Bhabha’s dream of the possibilities of a cultural hybridity that entertains difference without an assumed or imposed hierarchy».8 La differenza

culturale non è dunque vista come un ostacolo o un elemento di disturbo all’interno di un processo di affermazione dell’identità del singolo e della comunità intera, ma costituisce un terreno fertile, ricco di possibilità all’interno del quale si è potuta sviluppare una cultura “altra”, ma egualmente importante e preziosa. La differenza non designa e non definisce più niente, non è abbastanza per inquadrare una cultura nella sua completezza. Dire che un patrimonio è diverso da quello occidentale non implica prenderne le distanze etichettandolo come “non-white”, come chiarisce Wallingner-Schorn: « […] the difference by itself ‘can never been adequate for defining the identity positions of individuals and groups».9

7 B. WALLINGER-SCHORN, Contemporary Asian American Poetry, Amsterdam, Rodopi, 2011, p.53. 8 S. BROECK, Reconstructing Hybridity: Post-Colonial Studies in Transition, Amsterdam-New York,

Rodopi, 2007, p.53.

(6)

5

Tra le ulteriori definizioni di ibridismo elaborate e teorizzate, si può quindi notare quella esposta da Sabine Broeck: «Hybridity signifies a crisis of homogeneity»,10 che

evidenzia la difficile commistione tra tipi di culture diverse, causa di una ulteriore incomunicabilità politica e sociale.

Anche Bachtin espose una sua tesi in merito ai complessi concetti di identità e cultura. In particolare egli distingue un ibridismo cosiddetto non-consapevole da uno consapevole: col primo si intende il naturale mutamento che coinvolge tutte le lingue e passa dall’acquisizione di nuovi vocaboli, provenienti da altri idiomi; l’ibridismo consapevole, invece, consiste nell’assorbire intenzionalmente più punti di vista sul mondo circostante, dando vita a una speculazione dialogica, ironica e bivalente.11

Processo qui applicato all’apprendimento di una nuova lingua (quella ovviamente del paese ospitante), ma che può essere adattato a tutti gli altri aspetti caratterizzanti di una cultura.

Coi decenni e coi flussi migratori sempre più frequenti e massicci, l’identità dei luoghi di destinazione delle migrazioni, e i sistemi inerenti a tutti gli aspetti coinvolti nell’ibridismo, si evolvettero e cambiarono profondamente. In un primo momento, infatti, le teorie si sono focalizzate sul panorama africano e sulla migrazione da questi paesi, verso l’America ad esempio; inoltre, oggetto degli studi sono stati quei paesi che, in una determinata epoca, avevano subito una colonizzazione.

10 S. BROECK, op. cit., p.52.

11«Bakhtin distinguishes between unconscious (unintentional) and conscious (intentional) hybridity.

Unconscious hybridity is part of the historical evolution of all languages which import words from other languages at a certain point in time. […] Conscious hybridity is intentionally dialogic becasue it applies ‘different points of view on the world’ in an ‘ironic double-consciousness’», B. WALLINGER-SCHORN, op. cit., p.60.

(7)

6

Successivamente il termine “ibrido” venne applicato a tutte quelle comunità che avevano affrontato il doloroso percorso della diaspora.12

Queste nuove prospettive, in cui le differenze erano viste in un’ottica di possibile arricchimento culturale, risultavano diametralmente opposte alle teorie del XIX° secolo, spesso basate sulla superiorità di una razza sulle altre e tese a rimpiangere la perdita della “purezza”.

Col passare dei decenni, altri filosofi e studiosi hanno cercato di definire meglio il concetto di hybridity, applicandolo alle lingue ad esempio, o semplicemente cercando di adattare il più possibile la teoria al mondo in continuo cambiamento. Preso atto che i movimenti migratori facevano sempre più parte di un nuovo assetto globale e che, soprattutto l’Occidente ne era la destinazione, le capitali europee e americane diventarono i luoghi designati per osservare l’intreccio delle culture. A riflettere questa ricchezza culturale, che si situava nella condizione dell’in-betweeness, furono soprattutto gli artisti che proposero un loro modo del tutto nuovo di vedere il cinema, il teatro, la fotografia e la letteratura; essi, infatti, potevano esprimere la propria voce da un punto di vista quasi privilegiato, un doppio sguardo arricchito da una profonda sensibilità: «The black man has two dimensions. One with his fellows, the other with the white man. A Negro behaves differently with a white man and with another Negro».13 Come prevedibile conseguenza di questa nuova

situazione e di questi nuovi codici comunicativi frutto della commistione, si sono

12 «Fludernik explains that there have been two major changes in the concept of hybridity in

postcolonial studies. First, the subject of colonialism in early theory used to be Africans exclusively. Now any (non-white) Other can be the subject of hybridity studies. Secondly, the focus of study was previously on colonized countries only, but today theorists also discuss migrant or diasporic communities, who might even live in uncolonized territory», Ibidem, p.47.

(8)

7

sviluppati in egual misura movimenti a sfondo identitario o addirittura razzista, tesi a preservare l’integrità della propria cultura e società, in opposizione al multiculturalismo fondato sull’idea di evoluzione dinamica e cambiamento: «Appiah states: Societies without change aren’t authentic; they’re just dead».14

Dal punto di vista storico, l’aspetto multiculturale della Gran Bretagna, la sua predisposizione a rappresentare le storie di una società che mostrava solo il germe della varietà etnica di cui si arricchirà col tempo, si è reso evidente sin dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale. È risalente a questi anni, infatti, il successo e il fiorire di numerose case editrici inglesi che hanno creato un clima ampiamente favorevole all’attività artistica, anche per i vari scrittori originari delle ex colonie britanniche: « […] a general postwar boom in the publishing industry, this situation created a favourable milieu for writers from the new Commonwealth nations, a history that is reflected in early contributions to literary journals such as the London Magazine and Lilliput».15 E ancora: «Between 1952 and 1967 alone, over one

hundred and thirty-seven novels by West Indians were published in the UK, including many anthologies, volumes of short stories and plays».16 Ma è soprattutto

l’opera di G.V. Desani, All About H.Hatter (1948), a segnare un cambiamento tangibile e concreto. Essa narra le vicende di un personaggio anglo-malese alla ricerca della saggezza e dell’illuminazione; l’autore è considerato il precursore del romanzo picaresco di stampo postcoloniale a cui in seguito Salman Rushdie diede impulso. Desani, infatti, presenta la figura dell’immigrato come una delle molteplici forme in cui l’umanità si esprime: l’everyman, cosmopolitano e ibrido, come precisa

14 Ibidem, p.36.

15 S. NASTA, ʿVoyaging in’: Colonialism and Migra onʾ, in L. MARCUS and P. NICHOLLS (eds), The New

Cambridge History of English Literature, Cambridge, Cambridge University Press, 2005, p.570.

(9)

8

Susheila Nasta.17 Comincia a farsi strada presso i lettori l’idea che l’uomo senza

qualità, o il comune Leopold Bloom di cui Joyce aveva messo in scena la normalità, poteva essere un immigrato, un uomo di colore. Tale cambiamento di prospettiva si inserisce all’interno di un mutamento culturale in cui gli artisti neri poterono iniziare a rappresentarsi in prima persona: «Access to the right to representation by black artists and black cultural workers themselves»;18 e in cui poteva farsi largo

un’alternativa alla condizione di emarginazione che da sempre aveva contraddistinto gli immigrati. Fino a quel momento, infatti, la differenza culturale, l’insediamento di nuovi gruppi etnici, erano stati trattati da un punto di vista eurocentrico, sicuramente lontano da quella ricchezza di storie ed etnie che, solo superficialmente, si cercava di raccontare: «The immigrant was the object of a theoretical encounter between black cultural politics and the discourses of a Eurocentric, largely white, critical theory».19

E ancora:

[…] s’è visto come i colonizzatori non abbiano mai considerato i soggetti coloniali come individui a pieno titolo, dotati di una propria cultura, di un proprio pensiero, di propri schemi mentali. Fin dai tempi di Colombo, in ogni loro manifestazione testuale, gli europei usano le parole come «un sistema chiuso, chiuso in maniera tale da ridurre al silenzio coloro la cui obiezione potrebbe essere contestata».20

Sull’onda di queste novità, invece, l’uomo di colore inizia a godere di descrizioni approfondite e non banalizzate, diviene il protagonista in prima persona di avventure e ambizioni; l’individuo nero si tramuta da oggetto dei vari racconti a soggetto. A denunciare esplicitamente gli stereotipi eurocentrici fu, tra gli altri, Edward Said,

17 «H. Hatter was not only an early and prophetic representation of the migrant as a universal

Everyman figure, cosmopolitan and hybrid»; Ibidem.

18 S. HALL, “New Ethnicities”, in B. ASHCROFT, G. GRIFFITHS, H. TIFFIN, The Post-colonial Studies

Reader, London, Routledge, 1989, p.199.

19 Ibidem, p.200.

(10)

9

studioso palestinese di letteratura inglese, che criticò profondamente il processo di creazione di un’immagine stereotipata dell’orirente da parte della cultura occidentale. Di conseguenza il compito, almeno degli scrittori di colore, diveniva quello di «rifiutare la stereotipizzazione e il razzismo della scrittura bianca, smettere di riprodurre gli stilemi, per creare invece, il proprio linguaggio e i propri miti».21 All’abbandono dei cliches negativi non seguì necessariamente una forzata caratterizzazione positiva dell’immigrato; su questa linea si è mosso anche Kureishi che, da sempre, ha rifiutato di inserire nelle sue opere personaggi positivi a tutto tondo: «Its refusal to represent the black experience in Britain as monolithic, self-contained, sexually stabilized and always ‘right-on’-in a word, always and only ‘positive’, or what Hanif Kureishi has called ‘cheering fictions’»;22 e ancora: « […]

resisting the temptation to create positive sterotypes, Kureishi largely succeeds in presenting his British-Asian and migrant characters as ordinary human beings».23

Fin da queste considerazioni preliminari è possibile intuire la poetica che lo scrittore anglo-pakistano adotta nelle sue opere: la caratterizzazione oggettiva dell’immigrato e della sua dimensione interiore, l’uso e la rielaborazione di esperienze personali su cui costruire le avventure dei protagonisti dei suoi romanzi. La vita privata di Kureishi è da considerare un vero e proprio “serbatoio” che lo scrittore confessa più volte di utilizzare, unitamente alle vicende sociali e politiche che lo circondano.

21 Ibidem, p.63.

22 S. HALL, op. cit., p.208.

(11)

10

Hanif Kureishi è nato il 5 dicembre 1954 a Bromley, periferia sud di Londra, da madre inglese e padre pakistano. La sua famiglia “mista” e il contesto suburbano in cui è nato e cresciuto offrono allo scrittore gli spunti necessari per affrontare alcuni dei temi portanti della sua produzione artistica: violenza, emarginazione, integrazione e razzismo. È infatti quasi impossibile non notare la stretta relazione tra la vita dello scrittore e le sue opere, che riflettono il suo background culturale senza mascherare problemi, inquietudini e difficoltà. Si potrebbe affermare che Kureishi abbia iniziato a scrivere soprattutto elaborando le sue esperienze adolescenziali di ragazzo cresciuto all’epoca dei tumulti sociali degli anni ’70, in un clima politico-culturale intriso di razzismo: «When people insult you, when friends of yours become skinheads and go out Paki-bashing and you don’t have anyone to talk to about your feelings and you’re far too nervous to confront your friend directly, you have to express yourself somehow».24

Il clima di ostilità gli si presentò già all’epoca del college, il King’s College di Londra, che definì nei termini seguenti: «I went to a very bad school, a very violent school, actually, where all the skinheads became policemen»;25 e presso il quale

sperimentò i pregiudizi della classe dominante bianca della quale Kureishi conosceva valori e idee, in quanto nato in Inghilterra in una famiglia per metà inglese, ma da cui non poteva essere accettato, come spiega Kobena Mercer: «A whole generation of black people who were born in Britain, who were educated in Britain and who grew

24 K. C. KALETA, Hanif Kureishi: Postcolonial Storyteller, Austin, University of Texas Press, 1998, p.19. 25 C. McCABE, “Interview: Hanif Kureishi on London”, in Critical Quarterly 41,3, (Autumn), 1999, p.45.

(12)

11

up in Britain. They will be intimately related to the British people, but They cannot be fully part of the English environment because They are black».26

Per i suoi studi universitari Kureishi scelse filosofia e si manteneva grazie a lavori come il portiere al Royal Theatre e scrivendo romanzi erotici sotto lo pseudonimo di Antonia French. Sin dalle prime opere di questa fase, possiamo percepire l’attrazione di Kureishi nei confronti del sesso e della trasgressione che esso comporta; nel suo immaginario trovano spazio prostitute, rapporti incestuosi e bisessuali, esperienze facenti parte talvolta di un processo di crescita che necessariamente passa anche attraverso il sesso, o di un’affermazione della mascolinità e della potenza virile. Tema, questo, variamente sviluppato in diversi romanzi di Kureishi e che trova applicazione sin dalla sua opera prima The Buddha of Suburbia.

Nei primi anni ’80, l’autore ottenne i primi consensi grazie alle opere teatrali che vennero messe in scena proprio al Royal Court Theatre, ritenuto in quei decenni un palcoscenico d’avanguardia per opere particolarmente provocatorie.27 Tra le più note

e apprezzate ci sono The Mother Country (1980), per la quale Kureishi ottenne il premio Thames Television Playwright; Borderline del 1981, Outskirts dello stesso anno e Birds of Passage del 1983. Queste opere rappresentano i primi tentativi dello scrittore di analizzare la psicologia del razzismo, nelle sue varianti, narrando storie di emarginazione con l’obiettivo di produrre un teatro che prendesse spunto da eventi contemporanei. Questi anni, infatti, furono ricchi di episodi a sfondo razzista come l’incendio verificatosi a New Cross durante una festa di compleanno a cui

26 K. MERCER, Welcome to the Jungle: New Positions in Black Cultural Studies, London, Routledge,

1994, p.1.

27 «The Royal Court Theatre in London, which throughout the sixties and seventies offered an

institutional space for provocative theatre»; T. ARMSTRONG, “The Seventies and the Cult of Culture”, in L. MARCUS and P. NICHOLLS, op. cit., p.587.

(13)

12

partecipavano esclusivamente persone di colore e per questo si sospettò che si trattasse di un atto dimostrativo, di intimidazione nei confronti della comunità nera del luogo. Nella narrativa di Kureishi i riferimenti, più o meno impliciti, agli accadimenti politici e sociali dell’epoca in cui le varie opere sono ambientate, sono un punto focale. Le vicende politiche degli anni ’70 e ’80, in particolare, sembrano aver fornito allo scrittore gli spunti necessari per le sue riflessioni sul razzismo, l’emarginazione e il generale clima di tensione che si respirava in Gran Bretagna, appena qualche anno dopo il famoso discorso sugli immigrati di Enoch Powell, passato alla storia come il Rivers of blood speech,28 che suggeriva fra l’altro di

rimpatriare coloro che non erano stati in grado di integrarsi. Quello di Powell fu considerato un gesto provocatorio, da cui prese le distanze tutto il Partito Conservatore di cui il politico faceva parte, ma, per quanto estremo, esso dava voce al malcontento popolare, sempre più insistente, che vedeva il Commonwealth come un concetto utopico sicuramente lontano dalla situazione reale del paese: «Blacks became the bearers, the signifiers of the crisis of British society in the 1970s […] Race is the lens through which people came to perceive that a crisis is to be resolved-“send it away”».29

Per realizzare queste opere teatrali, e per renderle il più realistiche possibile, Kureishi volle intervistare gli immigrati raccogliendone le testimonianze e dando vita ad un teatro di tipo documentaristico. Birds of Passage è ancora incentrato sul

28 «As I look ahead, I am filled with foreboding. Like the Roman, I seem to see ‘the River Tiber

foaming with much blood’. The tragic and intractable phenomenon which we watch with horror on the other side of the Atlantic but which is there interwoven with the history and existence of the States itself, is coming upon us here by our own volition and our own neglect», E. Powell, Rivers of blood speech, April, 1968, http://www.telegraph.co.uk/comment/3643823/Enoch-Powells-Rivers-of-Blood-speech.html, (consultato il 7/12/2015).

(14)

13

razzismo e sulle differenze culturali che incrociano la tematica del fallimento dell’istituzione familiare. I membri della famiglia protagonista dell’opera, infatti, falliscono tutti nel loro scopo sociale ed è lo stesso fallimento che coinvolge l’Inghilterra intera, in preda a una crisi e al declino del senso di unità e coesione della classe operaia.

Il vero successo arrivò nel 1985 con My Beautiful Laundrette, il primo lavoro cinematografico dell’autore anglo-pakistano, diretto da Stephen Frears. La sceneggiatura di Kureishi, ancora una volta, sottolinea i problemi e le contraddizioni della difficile convivenza tra la comunità bianca e quella indiana nell’Inghilterra thatcheriana. I temi affrontati sono prevedibilmente l’omosessualità, il razzismo e la situazione politica ed economica inglese che l’autore può osservare da un duplice punto di vista: « […] c’è innanzitutto la posizione dell’insider, che ha ovviamente accesso a risvolti e saperi preclusi all’autore “bianco”», come spiega Sergio Guerra,30

ma anche la percezione del sistema sociale in cui Kureishi vive, che non gli impedisce di sottrarsi all’esigenza di trattare i temi “etnici”, caratterizzandosi fin dall’inizio per una posizione lontana dal politically correct.31 My Beautiful

Laundrette narra le vicende di una famiglia indiana, rappresentante di una società sempre più variegata che ormai annovera una seconda generazione di immigrati, artefice del proprio destino, e che ha trovato, o cerca di trovare, il benessere economico proprio in Inghilterra. L’attenzione di Kureishi nei confronti di questo frenetico movimento di culture e incroci razziali non desta stupore perché è l’autore

30 S. GUERRA, op. cit., p. 66. 31 Ibidem, p.65.

(15)

14

stesso ad affermare che il migrante è la figura simbolo del XX° secolo32 e identità

come Karim, Haroon, Omar (alcuni tra i personaggi più famosi della galleria di Kureishi) non rappresentano più esempi di un insolito evento migratorio, ma qualcosa di ormai quotidiano e stabile. Grazie a quest’opera lo sceneggiatore vinse il Best Screenplay Award dal New York Film Critic Circle e ottenne una nomination agli Oscar.

Nel 1990 appare The Buddha of Suburbia, il romanzo più importante della carriera dello scrittore. L’opera segue le avventure di Karim, ragazzo anglo-pakistano, originario di Bromley (stessa situazione di Kureishi), e affronta molti dei temi già approfonditi nelle opere precedenti quali il razzismo, la vita quotidiana degli immigrati nella periferia londinese e la crescita del protagonista, che lascia la casa natale e si dedica alla carriera di attore. Il romanzo si sviluppa in seguito alla pubblicazione del primo capitolo sull’Harper Magazine, che ottenne ampio successo e indusse l’autore a sfruttare ancora le potenzialità di questo personaggio, immaginando per lui anche avventure negli Stati Uniti, alla continua ricerca dell’identità e del suo posto nel mondo. The Buddha of Suburbia ottenne grande consenso e valse a Kureishi il Whitbread Award, oltre al progetto e alla conseguente realizzazione di una serie televisiva per la BBC, con la collaborazione di David Bowie per le colonne sonore.

Altra opera che per l’autore anglo-pakistano ha significato un’ulteriore conferma del suo impegno sociale è The Black Album (1995), che narra la storia di un immigrato di seconda generazione, trasferitosi a Londra, dove inizia il suo tormento

32«[…] Kureishi asserts that the immigrant is the characteristic figure of the twentieth century», K. C.

(16)

15

interiore e le difficoltà di muoversi tra il vivere alla “occidentale” e la vita piacevole del college da un lato, e il fondamentalismo islamico propugnato dai suoi amici dall’altro. Questo romanzo, diventato successivamente anche un lavoro teatrale, risulta un’opera dal carattere quasi profetico, dal momento che anticipa le tematiche dell’integralismo islamico con un protagonista che incarna la nuova figura dell’home-grown terrorist.33

Negli anni Kureishi ha dimostrato una vena artistica particolarmente attiva e una grandissima versatilità, riuscendo a realizzare romanzi, film, serie TV e raccolte di short stories come ad esempio Love in a Blue Time (1997) e Midnight All Day (1999), nelle quali, oltre ai già citati temi sociali, culturali e interraziali, troviamo approfondimenti sugli aspetti “emozionali” delle relazioni umane. “Love in a Blue Time”, primo racconto della raccolta omonima, è incentrato sui turbamenti di un personaggio di mezza età che vive una profonda crisi con la sua compagna incinta. Il fallimento, i dubbi su ciò che si è costruito nella propria vita e i cambiamenti di rotta sono gli argomenti fondamentali di questa fase letteraria. Un altro dei racconti incluso nella raccolta è “My Son the Fanatic” in cui Kureishi narra i conflitti tra padre e figlio, in questo caso generati dall’improvviso avvicinamento del giovane al fondamentalismo islamico. La raccolta Midnight All Day continua a indagare la dimensione intima dell’uomo, non più in relazione alle vicende socio-politiche, quanto piuttosto da un’angolazione più intima, toccando temi quali il desiderio, l’infedeltà e gli impulsi irrazionali. Tutto questo grazie all’inesauribile interesse di Kureishi per le più varie forme espressive, come lo stesso scrittore ha affermato in un’intervista:

(17)

16

Ho sempre lavorato in vari settori. Quando ero ragazzo pensavo che prima o poi avrei scoperto quale fosse il campo su cui concentrarmi. Invece continuo a provare interesse per cose sempre nuove: scrivo un romanzo e subito ho la necessità di scrivere un saggio, poi passo a una storia per ragazzi… Ci sono comunque dei legami tra tutti questi settori: il raccontare, il creare una storia, l’esplorare i rapporti umani, descriverne le dinamiche. C’è poi l’esigenza di trovare una forma specifica per i singoli ambiti, intorno ai quali ci sono richieste e aspettative differenziate da parte del pubblico. Per me questo è uno stimolo, una fonte di interesse, soprattutto se parlo da scrittore. I miei primi libri come Il Budda delle periferie o My Beautiful Laudrette riguardano tutti l’aspetto razziale e credo di aver esaurito i miei pensieri su questo argomento, quindi ho iniziato a scrivere sul matrimonio, sulla creatività, sull’essere una persona di mezza età. Quando sfrutto molto un argomento alla fine mi annoia e quindi sono sempre alla ricerca di nuovi temi.34

Come già accennato, le esperienze di vita dell’autore ne hanno fortemente influenzato la produzione letteraria, tanto che sono facilmente rintracciabili riferimenti autobiografici in molte delle sue opere: Karim, il protagonista di The Buddha of Suburbia, ad esempio, rivive in parte la situazione familiare e il contesto socio-culturale da cui proviene anche il suo creatore, e ancora, il Budda di cui si fa menzione nel titolo richiama in parte il padre dello scrittore, scomparso proprio in quegli anni. Il legame tra le storie narrate e le vicende vissute dall’autore è così evidente da aver costretto Kureishi a spiegare alcuni dei passaggi delle sue opere, non sempre ben accolti dai familiari, che hanno visto la propria vita domestica posta in balia di un pubblico sempre più ampio: «He responded to his mother and sister by remarking that it was perhaps inevitable that different members of the same family would interpret ‘facts’, or remember events, differently»;35 e ancora in un’intervista:

«Writers are often asked if their work is autobiographical. If it seems to me to be an

34 G. CASAGRANDE, Intervista a Hanif Kureishi, 14 Settembre 2001,

http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/interviste/hanif_kureishi.htm, (consultato il 12/12/2015).

(18)

17

odd, somewhat redundant question - Where else could the work come from, except from the self?».36

Anche in Intimacy, breve romanzo del 1998, si trovano molti riferimenti alla situazione che lo scrittore viveva in quegli anni: una storia d’amore che stava per giungere al termine, col conseguente abbandono perfino dei figli. Quest’opera inaugura una nuova fase nella poetica dell’autore: le tematiche di stampo sociale e politico vengono messe da parte a favore di una maggiore introspezione e indagine psicologica sulla vita di un uomo di mezza età che si rende conto della vacuità della propria esistenza e delle convenzioni che la determinano.

Continuando sul tema del rifiuto della vita familiare, l’autore compone quindi The Body (2002), opera che vede per protagonista un anziano che accetta di sottoporsi ad un esperimento scientifico ritrovandosi nel corpo atletico di un giovane appena morto. Pensando di sfruttare il nuovo corpo, chiede alla moglie una temporanea sospensione del matrimonio, così da potersi dedicare ai piaceri dei sensi. Seguono ulteriori avventure in giro per l’Europa (tema già ampiamente sfruttato dell’avventura e della ricerca dell’identità) e l’inesorabile presa di coscienza di non essere né un vero giovane né un anziano.

L’ultimo romanzo pubblicato è Something to Tell You (2008), un’opera semi-autobiografica con un protagonista di mezza età di origine pakistana. I temi trattati sono molti e vari, con riflessioni filosofiche, psicanalitiche e argomenti già ampiamente indagati nelle opere precedenti. Il contesto politico degli anni Ottanta emerge chiaramente dalla descrizione del clima che i provvedimenti della Thatcher

(19)

18

avevano introdotto: «Viene attuato dalle istituzioni un giro di vite sull’immigrazione: con il 1981 Immigration Act [sic.] Thatcher abolì perfino lo ius soli, decisione fortemente discriminatoria in quanto non era più sufficiente essere nati nel Regno Unito per diventare cittadini britannici».37 Queste leggi rappresentavano la volontà

della società inglese di proteggersi da una cultura “altra” che stava dilagando: «Thatcher expressed anxieties about the nation being “swamped” by people of a different culture».38

I saggi che Kureishi ha composto durante la sua carriera rappresentano, invece, dei veri e propri manifesti della sua poetica. The Faber Book of Pop (1995) è una raccolta di scritti, completamente incentrata sulla musica come espressione di una cultura, i cui esponenti sono artisti quali i Beatles, Jim Morrison, Lou Reed, Kurt Cobain e altri. Tale opera non ha avuto un eclatante successo critico, anche a causa della struttura stessa del lavoro, che si sviluppa in maniera del tutto soggettiva e arbitraria. Un ulteriore limite è stato evidenziato nell’«insistenza su una visione eccessivamente anglocentrica del fenomeno che trascura l’importanza di contributi provenienti da altri paesi, come ad esempio la Francia o il Brasile».39 Ciò che emerge

dalla raccolta è l’importanza fondamentale che Kureishi attribuisce alla musica come mezzo di espressione di un’intera cultura, ma soprattutto il suo potere aggregante:

I suppose pop for us, for me, was the first sort of common culture I was aware of. You would go to school and you would talk about what the Beatles were doing, or what the Rolling Stones had said, what the Who were doing, and so on. It was the first time I’d ever been aware

37 A. ELIA, op. cit., p.84.

38 A. HAMMOND, “The hybrid State: Hanif Kureishi and Thatcher’s Britain”, in J. KUORTTI, J. NYMAN,

Reconstructing hybridity: post-colonial studies in transition, Amsterdam, Rodopi,2007, p.225.

(20)

19

that culture was something that you could exchange between people. […] Pop was just liberating for us.40

L’interesse dell’autore anglo-pakistano per la musica è solo una piccola parte di quell’ampia ricerca sui giovani, sul loro modo di essere, di vestire e di rispecchiarsi in un’ideologia, che trova espressione nelle trame in cui si legge di glam rock, di progressive rock, pornografia, camicie a fiori tipiche degli anni ’70, Love Story e dei Pink Floyd.

Molti passaggi dei romanzi di Kureishi sono accompagnati da titoli di pezzi musicali dell’epoca in modo da ricreare l’atmosfera e gli ideali legati a un preciso momento storico.

In un’importante raccolta di contributi, Dreaming and Scheming del 2002, Kureishi si trova a riflettere sull’arte verbale, sulla genesi di un lavoro letterario e sui motivi che l’hanno spinto a scrivere. Fanno parte di questa opera i racconti della propria infanzia e adolescenza, indagando a fondo il rapporto con la figura paterna. Nel primo saggio della raccolta, “The Rainbow Sign”, l’autore narra la sua vita a partire dalle esperienze nella periferia di Londra in cui è cresciuto, costretto a subire atti di discriminazione razziale, in qualche modo legittimati anche dalle forti dichiarazioni di Powell. In questa atmosfera di solitudine e isolamento Kureishi inizia a trovare interesse nella scrittura, dando libero sfogo ai suoi pensieri e alle sue frustrazioni: «Kureishi traces the formation of his perspective of society back to the days when, as a child living in the South London […] In his essay “The Rainbow Sign”, the author remembers himself as s “boy in a bedroom in a suburb”».41 La

40 C. McCABE, op. cit., p. 40. 41 K. C. KALETA, op. cit., p.4.

(21)

20

soluzione avanguardista che lo scrittore immagina è quella di una nuova idea di Englishness in cui essere inglesi possa significare anche avere un background culturale variegato e in cui non sia necessario chiedere alle minoranze etniche di assimilarsi, ma di contribuire a loro volta alla formazione di una cultura che possa comprendere sempre più elementi diversi: «the Rainbow Sign implies and demonstrates that cultures are constantly being made and remade, and therefore permit the insertion of new elements».42

Con The Buddha of Suburbia del 1990, i critici iniziarono a vedere lo scrittore anglo-pakistano come colui che riempie un grande vuoto all’interno del panorama letterario: «When Kureishi published The Buddha of Suburbia he helped to fill what he has called a “hole in the centre of English writing”, a gap about the lives and experiences of Black people in Britain».43 Con questo romanzo la condizione degli

immigrati di seconda generazione, la loro visione del mondo venivano finalmente posti all’attenzione di un vasto pubblico, che, fino a quel momento, non si era interessato realmente alle vicende di coloro che appartenevano ad una cultura definita “altra” e che abitavano le periferie della capitale inglese. Il contesto descritto, infatti, è quello suburbano, caratterizzato da una forza e un dinamismo antiborghese, di cui viene celebrata l’energia creativa e le avventure che possono avervi luogo: «His is the urban world of street people and street crime, a world of gangs and family of love and prejudice. Sex exploration and violence».44 Nel

romanzo sono numerosi gli episodi che si svolgono proprio in strada, sia per sottolineare la natura avventurosa e picaresca, tipica del romanzo di formazione, sia

42 M. STEIN, op. cit., p.21.

43 N. YOUSAF, Hanif Kureishi’s The Buddha of Suburbia, New York, Continuum, 2002, p.33. 44 K. C. KALETA, op. cit., p.16.

(22)

21

per dare rilievo ai momenti di riflessione che il protagonista vive, in un’atmosfera di solitudine e introspezione. In questa direzione Kureishi sviluppa il concetto espresso da Bhabha secondo cui:

La nazione viene scritta da quanti ne occupano le zone marginali: donne, immigrati, lavoratori migranti, soggetti coloniali. […] Bhabha sottolinea che le figure marginali ed emarginate, disturbando l’immagine di una comunità condivisa, impongono, con la loro sola presenza l’idea di una nazione ambivalente, dai confini mobili, fluttuanti in se stessa divisa.45

45 H. BHABHA, “DissemiNation”, in Nation and Narration, London, Routledge, 1998, citato in, S.

(23)

22

I. Una nuova concezione di Englishness

Alla luce delle teorie di Bhabha e dei numerosi interventi di Kureishi, è naturale osservare la necessità di ridefinire in modo più calzante e contemporaneo il concetto di Englishness, ovvero che cosa significasse realmente essere inglesi, in seguito ai cambiamenti sociali che avevano coinvolto la Gran Bretagna a partire dagli anni ’60. Negli anni ’40 T. S. Eliot aveva elaborato un suo ideale di cultura inglese, dal valore essenzialmente elitario, ma che comprendeva elementi che da sempre avevano caratterizzato the English way of life. In particolare questa lista di tratti distintivi includeva: «Derby Day, Henley Regatta, Cowes, the 12th of August, a cup of final,

the dog races, the pin table, the dart board, Wensleydale cheese, boiled cabbage cut into sections, beetroot in vinegar, 19th-century Gothic churches and the music of

Elgar».46 Chiaramente l’elenco non includeva la moltitudine di sfaccettature che il

termine “cultura” implica, ma è significativa l’esistenza di una lista, seppur incompleta, che permettesse il riconoscersi in qualcosa di più grande e ricordasse cosa aveva formato l’identità dell’inglese. Anche Orwell si sentì di completare quello che Eliot aveva precedentemente annotato aggiungendo “vecchie signore che vanno in bicicletta a prendersi la comunione attraversando la bruma mattutina”.47 Questi

importanti contributi però, potevano essere considerati validi per qualsiasi regione del Regno Unito, quindi non erano esclusivamente inerenti all’Inghilterra e di conseguenza non univocamente collegati alla definizione di Englishness: «The

46 T. S. ELIOT, Notes Towards the Definition of Culture, London, Cambridge University Press, 1948,

p.31.

47 G. ORWELL, “England your England”, in The Lion and the Unicorn, London, Secher & Waburg, 1941,

(24)

23

problem with Orwell’s famous description […] is that it could have applied to any nation within the United Kingdom».48

Con il passare degli anni, in Gran Bretagna cominciarono a vedersi i primi frutti dell British National Act. Tale legge, promulgata nel 1948, attribuiva il diritto di cittadinanza britannica a tutti gli individui, nati anche nei territori dell’ex-impero, con la conseguente libertà di circolare e stabilirsi in Gran Bretagna senza restrizioni. Come prevedibile, ondate di migranti arrivarono nel Regno Unito con l’intenzione di vivervi e, ovviamente, da ciò scaturì un insediamento perenne che portò anche ad una seconda generazione di immigrati nati nella madrepatria inglese. I cittadini inglesi adesso non erano più solo coloro che nella propria cultura sentivano l’importanza di tutto ciò che Eliot e Orwell avevano scritto; alla luce di questo, era necessario aprirsi anche verso coloro che avevano la pelle scura, una religione diversa e una storia familiare frutto dell’immigrazione.

Kureishi, mette in evidenza i limiti di questa idea di Englishness nelle sue opere e, in particolare, in the Rainbow Sign, in cui l’autore:

sostiene che quel tipo di Inghilterra non possa più esistere e che la relazione tra i bianchi e gli immigrati non debba più essere basata sull’accondiscendente concetto di “tolleranza”, ma che sia invece necessario ridefinire il concetto di “Britishness” per concepire un nuovo modo di essere inglese.49

Per legittimare, o almeno tentare di includere certi aspetti, inerenti ad un’altra cultura, all’interno della Englishness, anche Kureishi elabora ironicamente un elenco di attività e simboli che designano la nuova concezione dell’individuo inglese:

48 F. REVIRON-PIÉGAY, Englishness Revisited, Cambridge, Cambridge Scholarly Press, 2009, p.3. 49 A. ELIA, op. cit., p.126.

(25)

24

gli esercizi yoga, andare ai ristoranti indiani, la musica di Bob Marley, i romanzi di Salman Rushdie, il Buddismo Zen, il tempio di Hare Krishna, e anche i film di Sylvester Stallone, la psicoterapia, gli hamburger, andare ai bar gay, l’ufficio del sussidio di disoccupazione e l’uso di droghe.50

Risultava ormai antiquata la concezione di Englishness che, fino a quel periodo, era stata diffusa e accettata, ovvero: « [Englishness] was white, middleclass, rural and clean as opposed to the threat posed by dirty others (such as gypsies or Muslims selling halal meat)».51 Occorreva comprendere anche quelle realtà di cui nessuno si

era mai occupato: espressioni come “British black”, “British Asian”, “Chinese British” sostituivano in maniera più efficace (e rispettosa) quella definizione di “minoranze etniche” con cui venivano designati tutti gli immigrati, facendone un’unica categoria. Ciò che si era stato sottolineato, nella prima metà degli anni ’90, era il loro essere “ospiti” e portatori di una cultura diversa e altra, rispetto a quella ritenuta dominante. Le nuove definizioni, invece, mettevano in luce, in primis, il contesto culturale da cui tali individui provenivano, pur venendo, al contempo, considerati “British”. Come spiega ancora MacPhee: «I feel that the British identity is now an umbrella term which gathers under it a large number of bi-racial and combined ethnicity people».52 A partire dai grandi flussi migratori e dalla seconda

generazione di immigrati, essere inglesi non poteva più avere la stessa valenza avuta fino a quel momento: «Being British is a new thing now. It involves peolpe with names like Kureishi or Ishiguro or Rushdie, where it didn’t before. […] So there isn’t any understanding of Britain being a multicultural place».53 L’espressione del punto

di vista dell’autore anglo-pakistano, così come quello di tutti gli altri artisti che

50 H. KURESIHI, “Bradford” in Granta, 20, Winter 1986, p.169.

51 G. MacPHEE, Empire and after: Englishness in Postcolonial Perspective, Oxford, Berghahn Books,

2007, p.154.

52 Ibidem, p.121.

(26)

25

vivono una situazione liminare, sospesi tra due culture, si muove per definire la ricchezza dell’in-betweeness e dell’essere ibridi, perché questo è il modo in cui il mondo contemporaneo si sta presentando: «They think writers like me are on the edges. We are still marginalized culturally… They don’t see that the world is now hybrid»,54 e inoltre non si può parlare di Englishness se non si considera un sistema aperto e in grado di scambiare informazioni con gli altri: la Englishness esiste e può essere definita in relazione a ciò che English non è,55 e ancora: «for Kureishi

Englishness can only be defined in contradistinction with other identities».56

La molteplicità, l’indeterminatezza e l’abbandono dei valori tradizionali rappresentano una ricchezza e riflettono nel più fedele dei modi la società: «Kureishi is clearly interested in multiple conception of Englishness. The Englishness he describes is contradictory and duplicitous at times».57 Da questa prospettiva le sue

opere, e in particolare The Buddha of Suburbia, rendono familiari e quotidiane tutte quelle storie di “ibridismo”, facenti parte, a pieno titolo, di un tessuto sociale in continua evoluzione: «Kureishi’s novel signals not a dominant cultural elite but the radical cultural diversity».58 Secondo questa visione, il romanzo ha una funzione

quasi didattica ed è funzionale nell’aiutare a immaginare un mondo prettamente “inglese”, opposto ad uno prettamente “indiano”,59 pertanto: «the underlining

54 Ibidem.

55 «There is no “Englishness” in isolation. To understand English identity any one time, we need to

consider the context in which it is defined, that is the context in which […] the English encounter people», F. REVIRON-PIÉGAY, op. cit., p.5.

56 Ibidem, p.24.

57 K. C. KALETA, op. cit., p.28.

58 J. PROCTER, Postwar Black British Writing Dwelling Places, Manchester, Manchester University

Press, 2003, p.146.

59 «The novel helps us imagine a world where “Indian” and “English” do not refer back to an

essentialized identity, but where, in fact there is “no one more English than the Indian, no one more Indian than the English”», M. STEIN, op. cit., p.XII.

(27)

26

message of his work is the need for tolerance and understanding in an inescapably hybrid Britain, for learning that being British isn’t what it was».60

La realtà di cui l’autore scrive e racconta, come già spiegato, è quella di una nuova serie di valori che arricchisce e completa la vecchia idea di cultura inglese, ma ciò non trascura e non cela in alcun modo i problemi di emarginazione, razzismo e pregiudizio che Kureishi, e tutti gli immigrati, hanno vissuto in prima persona. I personaggi che l’autore ha creato sono consci di questa lotta quotidiana contro i continui atti di discriminazione di cui sono vittime, e al tempo stesso, ben consapevoli di essere un odd mixture sentendo un senso di “belonging and not”: «Karim, on the opening of the Buddha, describes himself as “an Englishman born and bred, almost”. […] It reveals the status of the insider who simultaneously knows the perspective of an outsider».61

A fungere da tratto di unione tra i “veri” inglesi e gli immigrati c’è la cultura pop che, sorta negli anni ’80, è nota e apprezzata in tutto il tessuto sociale, senza differenze: i jeans, la musica dei Rolling Stones e le soap-opera in TV, sono simboli unificanti, riconosciuti da tutti, che costituiscono un terreno comune su cui stabilire rapporti e comunicazioni. La potenza di questo nuovo linguaggio fu così forte da rimpiazzare le forme di comunicazione tradizionali, perché atto a favorire il rispecchiarsi dell’individuo in un determinato messaggio, incoraggiandolo a sentirsi parte di un gruppo più ampio:

Popular culture […] has connections with local hopes and local aspirations, local tragedies and local scenarios that are the everyday practices and the everyday experiences of ordinary

60 A. HAMMOND, op. cit., p.239. 61M. STEIN, op. cit., p.XII.

(28)

27

folks. Hence, it links with the popular, the informal, the underside, the grotesque. That is why it has always been counterposed to elite or high culture.62

Nel nuovo contesto culturale, tutte le classi sociali assumono rilievo. Cadono i valori aristocratici ed elitari, come mostra Kureishi in The Buddha of Suburbia. Si racconta tutto questo con estrema precisione: la nuova cultura pop, la musica pop e il modo in cui queste hanno influenzato la società e la politica inglesi di quegli anni, oltre a scandire la vita del giovane protagonista che, nell’indeterminatezza della sua identità, in questi fenomeni di culto, trova l’unico aspetto in cui riesce a rispecchiarsi. Vengono nominati il Daily Mirror, Melody Maker, Sergeant Pepper, Candid Camera, Vogue, Harper’s and Queen ecc., perché in quell’epoca, erano i termini di un preciso modo di essere, di vestire e di sapere. Oltre a tale aspetto, definito più “basso”, Kureishi approfondisce quello culturale mescolando elementi appartenenti ad una conoscenza più profonda, ancora legata, in un certo senso, al grande valore di frutti di epoche passate, combinando così Dvorak and Walnut Whips, marchi indiani come Monkey Brand tooth powder e inglesi quali Marks and Spencer.63 L’interesse per tale tipo di cultura, fruibile da chiunque, non esclude né

sminuisce in alcun modo la cultura cosiddetta “alta” e tradizionale, anzi, essa è ritenuta fondamentale e segna alcuni importanti passaggi dell’opera, in cui si palesa una rivelazione o, un personaggio assume piena consapevolezza di se stesso: «Wagner, Dvorak are all alluded to and Bach is the first music which the future Charlie Hero enthuses about to Karim».64 Allo stesso modo anche la letteratura,

definita classica, ad esempio, ha contribuito alla formazione del forte temperamento

62 S. HALL, “What Is This “Black” in Black Popular Culture?”, in V. SMITH (ed.), Representing

Blackness: Issues in Film and Video, Rutgers, The State University, 1997, p.127.

63 «Combining ‘high’ (Dvorak) and ‘popular’ (Walnut Whips), ‘Indian’ (Monkey Brand tooth powder)

and ‘English’ (Marks and Soencer) objects and brand names», J. PROCTER, op. cit., p.146.

(29)

28

di Jamila, rendendola conscia del proprio valore e facendo aumentare la distanza tra la sua vera personalità e l’idea che la società aveva della donna indiana succube e indifesa: «Thus, Jamila’s powerful sexual appetite is another instance of his rebuttal of the Orientalist figure of the silent, passive, native woman whose fate is to be both ‘saved’ by the colonizer and used as his sexual object».65

Opposta alla consapevolezza di Jamila, c’è l’insicurezza di Karim, un adolescente per metà inglese e per metà indiano, alla ricerca del suo posto nel mondo, che finisce col misurarsi con varie avventure amorose, professionali e familiari, attraverso le quali tenta di costruirsi un’identità, anche se «Identity is defined by uncertainty»,66

come afferma Christin Hoene. Allo stesso modo, tutti i personaggi dell’opera sono sospesi in ruoli e identità che non li definiscono pienamente, pertanto anche chi, a differenza di Karim, è un vero inglese, come Eva e Charlie, tenta di intraprendere nuove avventure che lo porterà a ridefinire se stesso. Ciò accade perché Kureishi ha avvertito, prima di altri, l’inadeguatezza dei valori in cui la società inglese si era sempre identificata:

All Characters in Kureishi’s novels are searching to define their identity, not only those of ethnic minorities, but also those that would normally be defined by their Englishness […] all the characters in the novel are experiencing crises of identity in a time when suddenly values are being questioned that were taken for granted before.67

The Buddha of Suburbia mette in scena questo distacco dal vecchio apparato simbolico-culturale, che risulta obsoleto e inadatto per chiunque: tutti sono disposti a

65Ibidem, p.123.

66 C. HOENE, Music and Identity in Postcolonial British South-Asian Literature, London, Routledge,

2014, p.108.

(30)

29

mettersi in gioco per trovare nuove vie, interessi, ideali politici che possano riflettere il loro vero modo di essere, perché

It is the British, the white British, who have to learn that being British isn’t what it was. Now it is a more complex thing, involving new elements. So there must be a fresh way of seeing Britain and the choices it faces: and a new way of being British after all this time.68

Secondo la concezione che Kureishi ha della cultura e della Englishness, appare chiaro come esse non possano essere definite in modo immutabile, ma siano concetti in continua evoluzione e soggetti al cambiamento. L’idea di una cultura indifferente agli stimoli, che rimane perennemente uguale a se stessa, come quella descritta dalle liste di Eliot e Orwell, è sicuramente una concezione non attuale e limitata poiché un’identità che non muta è in antitesi con la realtà contemporanea: «Something that has existed for a very long time is felt to be coming to an end».69 È come se l’essenza

di questi concetti fosse un continuo adattarsi e riformarsi o addirittura, una vera e propria iterata re-invenzione con cui distinguersi da altre identità e culture:

The construction of a monolithic national identity is never complete: it is constantly disrupted by supplementary, competing or radically alternative versions of Englishness. These may simlpy be assimilated by the dominant discourse; some may become oppositional and others may occasion adaptation in the prevailing versions of a given year.70

La Englishness è quindi qualcosa di definito dagli eventi, un prodotto del momento presente che genera un senso di appartenenza ad una comunità immaginaria con conseguenti gesti e rituali.71 Nel romanzo la prospettiva che prevale

è sicuramente quella dell’incertezza, del mutamento e dell’indeterminatezza che

68 M. STEIN, op. cit., p. 21.

69 J. COOK, “Relocating Britishness and the break-up of Britain”, in S. CAUNCE (ed.), Relocating

Britishness, Manchester, Manchester University Press, 2004, p.18.

70 J. GILES, T. MIDDLETON, Writing Englishness: An Introductory Sourcebook, London, Routledge,

1995, p.6.

71 «This national identity, the sense of belonging to an ‘imaged community’ is a lived experience

(31)

30

sostituiscono la sicurezza nelle proprie origini e l’irrevocabilità di ogni simbolo. Si abbandona una serie di valori e elementi che fino agli anni ’40 erano stati considerati fondamentali per la formazione dell’individuo inglese. Un esempio di ciò sono le colonie e la politica espansionista, che avevano caratterizzato l’impero britannico e la supremazia inglese per lunghissimo tempo, costituendo i capisaldi della formazione dell’identità dell’English fellow e che, con gli anni, invece, avevano perso il loro lustro. Anche la politica ha giocato il suo ruolo nel contribuire alla determinazione della Englishness. Come ricorda Michael: «The English are an island race, dispositionally unable to join the alliance associated with other great powers; and this people developed as unique form of political liberty».72 Ma, se da un lato troviamo questa dichiarazione di autorevolezza, dall’altro notiamo i forti cambiamenti che la società contemporanea ha accolto e che trovano un culmine nel Chicken Tikka Masala Speech del politico Robin Cook. Con questo discorso il segretario agli affari esteri, nel 2001, proclamò il chicken tikka masala vero piatto nazionale inglese,73

dimostrando un’insolita apertura nei confronti degli immigrati e della loro cultura, capace di condizionare perfino l’identità inglese. Questo può essere considerato il punto di arrivo di quel processo di cambiamento e incertezza che Kureishi aveva registrato soprattutto nel Buddha, coi suoi personaggi impegnati a cercare un’identità nuova a prescindere dalla loro etnia. In particolare in questa opera il concetto di Englishness si svuota fino a divenire un involucro di vecchie memorie: Charlie, il figlio di Eva di cui Karim è innamorato, ad esempio, modifica il suo accento dopo

72 K. MICHAEL, The Politics of English Nationhood, Oxford, Oxford University Press, 2014, p.12. 73 «Chicken Tikka Massala had now become “Britain’s true national dish”, which illustrated the

country’s way to absorb and adapt to extermal influences», R.SYLVESTER, Cook argues for immigration into ‘tikka massala Britain’, 19 April 2001, http://

(32)

31

esser stato offeso a scuola, per la sua cadenza troppo “snob”. Adesso parla il cockney e nei suoi concerti in USA è proprio questo che lo caratterizza, vendendo quindi un’identità che non gli appartiene completamente e che ha modificato semplicemente mutando il modo di parlare. Un ulteriore esempio della superficialità con cui è vissuta la Englishness è il nuovo arredamento che Eva dispone nella sua casa: questo viene definito così inglese con i tappeti color crema e le imposte di legno.

L’essere inglese appare come un insieme di riproduzioni e costruzioni, senza sottintendere più niente di profondo e vero. Anche gli altri patrimoni culturali con cui l’Inghilterra si confronta (in questo caso la ‘Indianness’), e a cui risulta permeabile, vengono rappresentati da Kureishi come “vuoti” e riproducibili in modo sommario da chiunque, niente è preso sul serio. Haroon, il padre di Karim con la sua nuova identità di guru, in realtà rappresenta con ironia l’approssimativo interesse dell’Occidente nei confronti della cultura indiana diffusasi anche grazie ai fondamenti della filosofia New Age e alla notorietà del personaggio di Osho, mistico e maestro spirituale indiano, molto popolare negli anni ’70, a cui Haroon è palesemente ispirato. Grazie a tutto questo: «La percezione dell’India da parte degli inglesi stava mutando: dallo stereotipo dell’indiano alle prese con la povertà e la fame si passa a quello dell’indiano depositario di saggezza».74 Il modo in cui questo

personaggio viene descritto, infatti, è fortemente ironico, sottolineando il suo buffo modo di abbigliarsi coi panni di un ridicolo santone; o ricordando il forte odore di incenso che lo accompagnava, simbolo della profonda spiritualità della casa, nella periferia di Londra, in cui si tenevano gli incontri con il pubblico. Come l’inglese quindi, anche l’individuo indiano si identifica con banali stereotipi e comportamenti

(33)

32

riproducibili in modo superficiale: Haroon, per meglio interpretare il ruolo di guida spirituale, si improvvisa buddista, in modo da costruire al meglio la sua immagine di guru: «a renegade Muslim masquerading as a Buddhist»,75 o ancora la sua

simulazione di un accento indiano, che non gli apparteneva più da tempo, poiché era questo lato esotico che piaceva ad Eva: «exaggerating his Indian accent. He’d spent years trying to be more of an Englishman, to be less risibly conspicuous, and now he was putting it back in spadeloads» (p.21).

Anche l’abbigliamento utilizzato durante le sue serate corrisponde all’immaginario stereotipato che gli inglesi avevano della cultura indiana, e poco importa se le stoffe e i ricami siano in realtà cinesi, quel che conta è evocare l’Oriente e l’affascinante cultura mistica di quei luoghi: «On top was a long silk shirt embroidered around the neck with dragons. […] Under this he had on baggy trousers and sandals» (p.29).

Come sottolineato da Kureishi, la progressiva apertura di questi piccoli gruppi londinesi nei confronti di nuovi tipi di cultura, filosofia e politica, è il risultato di una “imitazione” della cultura americana a cui quella inglese deve molto: «that current English cultural ferment is rooted in the American-dominated global system».76

L’Inghilterra narrata da Kureishi riporta i tratti dell’America degli anni ’70, in cui si praticava l’amore libero, si faceva uso di droghe, sotto l’influenza della cultura hippy e lo sperimentalismo in tutti i campi artistici (un esempio di ciò è la reinterpretazione teatrale del Jungle Book kiplinghiano di cui Karim è protagonista). Eva rappresenta pienamente, sia nel look che nelle sue teorie, la trasgressione, l’apertura mentale e la

75 H. KUREISHI, The Buddha of Suburbia, London, Faber & Faber, 1990, p.16.

76 F. BUELL, National Culture and the New Global System, Baltimore: Johns Hopkins University Press,

(34)

33

libertà, tipica dell’ideale americano di Figlia dei Fiori, opposto alla rigidità e all’apatia delle donne inglesi che circondano Karim: «The only thing she wore was a full-lenght multi-coloured kaftan, and her hair was down […] Her feet were bare, the toenails painted alternately green and red» (p.8); contro zia Jean che, invece, è impegnata a etichettare le persone in base ai loro averi: «who measured people only in terms of power and money. The rest was showing off» (p.34).

Anche dal punto di vista politico, tutto ciò che avrebbe preso piede in Gran Bretagna aveva avuto precedentemente origine e diffusione negli Stati Uniti e il riferimento è rivolto chiaramente ai movimenti gay e alle idee femministe che trovano espressione nel personaggio di Jamila, amica di Karim. Attraverso questa giovane si riflette la controversa questione socio-politica della Gran Bretagna degli anni ’70, che spesso viene affrontata nei dialoghi nella comune in cui Jamila decide di trasferirsi perché questo, oltre ad essere un luogo di aggregazione e militanza, costituisce una forma alternativa al nucleo familiare tradizionale,77 a cui, ovviamente,

il personaggio sovversivo di Jamila si ribella. Omosessuale e anticonformista, ella rappresenta la nuova classe di giovani che si battono per gli ideali della pace e i diritti di tutti i cittadini, denunciando gli atti di violenza di cui gli immigrati erano spesso vittime. Pur essendo pakistana non si nasconde, ma partecipa in prima persona alle proteste contro il Fronte Nazionale che, dall’estrema destra, portava avanti una politica del tutto avversa all’immigrazione. Jamila è una ragazza ribelle, che non accetta in alcun modo il ruolo che la sua cultura di origine le impone, rappresentando così una femminista ante litteram: «She was so powerful, Jammie, so

(35)

34

in control and certain what to do about everything» (p.55), e una delle personalità più forti di tutto il romanzo.

Lo stile ironico con cui vengono descritti i personaggi, in un ambiente in parte incomprensibile (tale è, ad esempio, per Changez), costituisce lo strumento utilizzato da Kureishi per dimostrare la precarietà della costruzione ideologica della Englishness stessa. L’autore anglo-pakistano racconta il disfarsi della fiducia in certi valori comuni, quali la monarchia, la religione protestante e la potenza imperiale della Gran Bretagna, a favore dell’insorgere di tensioni politiche e di una somiglianza sempre più evidente col sistema economico americano: «Kureishi has also deprecated Thatcher’s attempt to convert Britain to an American-style business-based society».78 La crisi dell’identità inglese, che Kureishi racconta, era evidente e

conclamata fin dagli anni ’60, come osservò, con efficace sintesi, Acheson: “Britain has lost an Empire and has not yet found a role”.79 La Gran Bretagna doveva rivestire

un nuovo ruolo che fosse conforme alla sua grandezza e, al contempo, avrebbe potuto stringere vincoli più stretti con il resto dell’Europa: «Britain was a declining power and Europe, with its huge market and sound economy, offered the best chances to recover prosperity and strenght».80 Tuttavia, tale vincolo

politico-economico non poteva ignorare il legame che, da sempre, univa il Regno Unito all’America; la lingua, la cultura, il fermento sociale erano gli stessi:

Is a country instinctively turned to the United States able to suddenly turn to Europe? Yes, but this partnership will immediately look artificial and unnatural because Englishness is

78 B. MOORE-GILBERT, op. cit., p.6.

79 D. ACHESON, Speech to the Military Academy at West Point, December 5, 1962. 80 F. REVIRON-PIÉGAY, op. cit., p.180.

(36)

35

instinctively and essentially Atlanticist, not European. The “special relationship” grew out of a reciprocal feeling of a common identity and common roots.81

Un’ulteriore conferma dello stretto legame tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, si può considerare l’idea espressa da Priestley in The English Journey (1934), secondo la quale si possono individuare tre diverse sfaccettature dell’Inghilterra: la prima è quella delle chiese e delle campagne, elementi tipici della tradizione e del paesaggio inglese; la seconda è quella relativa all’industrializzazione e allo sviluppo economico e infine la terza, quella definita “suburbana”, o americanized, che riconosce alcuni degli aspetti delle metropoli statunitensi anche nelle città inglesi. Kureishi, come prevedibile, aggiunge una fourth England, evanescente, determinata dai capricci della vita quotidiana e frenetica, decisamente in contrasto con l’immagine rassicurante della vita familiare: «Kureishi is concerned to demonstrate how the modern inner city is an easier ‘England’ to identify with for diasporic populations than the rural, industrial and suburban ‘Englands’ which Priestley anatomised».82 Tutto ciò considerando dell’Inghilterra anche il lato accogliente e

rassicurante, trascurando consapevolmente la dilagante e preoccupante ondata di razzismo che in quegli stessi anni stava avanzando.

In The Buddha, invece, sono presenti tutte le suggestioni di cui l’epoca risentiva: i rapporti con gli Stati Uniti, la reazione degli inglesi ai legami economici con l’Europa, causa del sorgere di un acuto nazionalismo; la crescente immigrazione che aveva portato Londra ad assumere un aspetto del tutto nuovo. Da tutto questo scaturisce una concezione di Englishness molteplice, composta da tanti elementi e punti di vista diversi: ogni personaggio, infatti, fornisce un contributo osservando ed

81 Ibidem, p.181.

Riferimenti

Documenti correlati

Nel tempo, per effetto delle sensibilità verso le esigenze degli animali e del cambiamento e affinamento delle tecniche di addestramento, la dote della tempra sembra oggi

Tuttavia, negli Stati Uniti, nei Paesi della NATO e nei loro clienti, inclusa l’Ucraina, viene detto che “la Russia sta conducendo una guerra ibrida” e quindi è

AREA LINGUISTICO UMANISTICA Certificazioni Linguistiche: inglese, francese, tedesco, spagnolo, cinese;. Stage e

Vineyards in the areas around Sannicola, Parabita, Alezio, Campi Salentino, Veglie Grapes Negroamaro 90% and Malvasia Nera Leccese 10%. Maturation steel tanks Ageing at least 2

Ganache al cioccolato bianco e vaniglia Portare la metà di Hulalà Classic a bollore con la polpa della vaniglia, versare sul cioccolato bianco e mixare con l'aiuto di un

b) Il frutto delle graminacee contiene sostanze molto nutrienti: amido e ……….. e) L’insieme degli esseri viventi che popolano un ambiente è chiamato………. 7) Per ogni

Gli ultimi miglioramenti genetici Syngenta, nella coltura del girasole, hanno consentito l’evoluzione degli ibridi alto oleici verso i super oleici in grado di produrre un olio con

Ringrazio inoltre il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi e i Fratelli Luigi Vispi e Ubaldo Vanni rispettivamente Presidente e Vice Presidente del