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La comunicazione di CSR: i case study di Brunello Cucinelli, Granarolo e Sammontana

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione 3

CAPITOLO 1: CSR COMMUNICATION 5

1.1. La responsabilità sociale d’impresa 5

1.1.1. L’evoluzione della CSR 6

1.1.2. Le teorie di CSR 7

1.2. La comunicazione di CSR 9

1.2.1. La comunicazione di CSR come indicatore di moralità 11

1.2.2. Le caratteristiche della comunicazione di CSR 12

1.2.3. Lo sviluppo della comunicazione di CSR 15

1.2.4. Le strategie della comunicazione di CSR 20

CAPITOLO 2: I CASE STUDY DI CSRC 22

2.1. L’esperienza sul campo 22

2.1.1. I case study all’interno del campione 24

2.2. Il metodo di ricerca “case study” 32

2.2.1. Il case study nel conflitto fra metodo quantitativo e metodo qualitativo 33

2.2.2. Case study: vantaggi e svantaggi 34

2.2.3. Scrivere un case study 34

CAPITOLO 3: CUCINELLI, GRANAROLO & SAMMONTANA 42

3.1. La ricerca empirica 42 3.1.1. La metodologia 42 3.2. Brunello Cucinelli 43 3.2.1. La storia dell’azienda 43 3.2.2. La situazione odierna 49 3.2.3. La Comunicazione di CSR 52 3.2.3.1. L’opera di restaurazione 53 3.2.3.2. Il capitale umano 54 3.2.3.3. I progetti 55 3.3. Granarolo 57 3.3.1. La storia di Granarolo 57

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2 3.3.2. Granarolo oggi 60 3.3.3. La CSR strategy di Granarolo 62 3.3.4. La Comunicazione di CSR in Granarolo 64 3.4. Sammontana 67 3.4.1. La Storia di Sammontana 68

3.4.2. Sammontana: una panoramica sulla situazione attuale 70

3.4.3. Le azioni di sostenibilità aziendale 71

3.4.4. La comunicazione di CSR di Sammontana 74

CONCLUSIONI 76

BIBLIOGRAFIA 80

SITOGRAFIA 82

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INTRODUZIONE

Il tradizionale concetto di marketing nella mente di un consumatore difficilmente si accosta alla parola sostenibilità, mentre si rispecchia di più nella visione dei Persuasori Occulti tanto cara a Packard. La sostenibilità infatti limita lo sperpero di risorse e concentra l’attenzione sull’eticità del comportamento imprenditoriale. Tuttavia già da tempo questi due concetti si sono avvicinati: la responsabilità aziendale si è diffusa nel mondo economico e ha attirato l’attenzione degli studiosi, che ne hanno esaminato le peculiarità. Il rispetto dei principi della sostenibilità non è considerato solamente un’imposizione etica, ma anche un’opportunità in quanto in alcuni casi risulta prezioso come fonte per l’ottenimento del vantaggio competitivo. L’atteggiamento responsabile riguarda l’attività aziendale a livello globale, ma nello specifico si riferisce a tre macro categorie: la dimensione ambientale, la dimensione sociale e quella economica. Quindi generalmente lo sviluppo sostenibile è riferito a quello sviluppo che consente la soddisfazione dei bisogni delle generazioni del presente, senza andare ad intaccare le occasioni delle generazioni future. Perciò un’impresa che modella le proprie strategie in base all’osservazione dei principi della Corporate Social Responsibility dovrà adottarli in ognuna delle sue attività, dovrà far sì che vengano coinvolte tutte le sue funzioni: dalla progettazione di un nuovo prodotto, alla gestione della supply chain e così via.

Oltre all’essenzialità del comportamento responsabile rispetto alla collettività, appare chiaro che per le organizzazioni sia fondamentale comunicare questo loro impegno. In questo ambito la sostenibilità si lega al marketing e ne diventa uno strumento. Infatti è proprio mediante la comunicazione che un’impresa rende partecipi gli stakeholder degli sforzi messi in campo per dare un contributo alla comunità. I portatori di interesse devono essere informati rispetto alla politica di CSR attuata, ciò apporta benefici all’azienda tra cui in particolare il miglioramento della reputazione e della brand image. Nella situazione attuale di connessione e verificabilità immediata dell’informazione è necessario essere trasparenti e coerenti: infatti l’opinione pubblica non ammette incongruenze e comportarsi con ipocrisia può causare una percezione negativa e un danno d’immagine.

Nella prima parte di questa ricerca viene analizzata la letteratura di CSR per individuarne le caratteristiche, l’evoluzione negli anni e le teorie che sono state sviluppate. Successivamente il focus è stato rivolto alla comunicazione della responsabilità sociale dell’azienda, di cui sono stati studiati in profondità i contributi teorici principali.

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4 Il secondo capitolo affronta il tema della metodologia di ricerca attuabile nello studio di un fenomeno, la titanica battaglia fra la metodologia quantitativa e quella qualitativa da cui deriva lo sviluppo di un’ulteriore metodologia mista che integra i vantaggi di entrambe. Grazie alla partecipazione ad un progetto di ricerca relativo all’esame di metodologie e teorie adottate nella letteratura della comunicazione di CSR, è stato possibile venire in contatto con un campione di paper, di cui alcuni classificabili come case study. Dei paper riconducibili alla tipologia di ricerca menzionata è stata attuata un’analisi descrittiva e sono stati esaminati gli argomenti affrontati in essi. Al fine di avere un quadro completo sui case study si è proceduto ad un esame approfondito della teoria per puntualizzarne le connotazioni.

Con il terzo capitolo infine sono state messe in pratica le nozioni apprese nei capitoli precedenti mediante una ricerca empirica. E’ stato costruito un case study sull’esperienza di tre imprese italiane di grande spessore: Brunello Cucinelli, Granarolo e Sammontana. Per ciascuna delle tre organizzazioni l’indagine ha previsto l’analisi della dimensione storica, della situazione in cui si trova attualmente l’azienda, di come viene gestito e in particolar modo comunicato l’ambito della responsabilità sociale dell’impresa.

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CAPITOLO 1

CSR Communication

1.1 La responsabilità sociale d’impresa

Il mondo delle imprese è incoraggiato a comportarsi in modo socialmente responsabile. Questa linea di comportamento aziendale viene definita come la responsabilità sociale dell’impresa (Corporate Social Responsibility CSR) in quanto l’azienda, come produttrice di benessere, non impatta solo economicamente sul mondo esterno, ma l’agire aziendale si ripercuote sulla società, sull’ambiente e sull’economia nel suo complesso. Perciò il fatto di essere inclusa in un sistema di relazioni con numerosi stakeholder fa sì che debba rendere conto del proprio comportamento oltre che agli azionisti, anche alla cittadinanza.

Esistono numerose definizioni di CSR, tuttavia sia nel mondo aziendale sia in quello accademico c’è incertezza su quale adottare: questa difficoltà di definizione dipende dal fatto che le norme da seguire, gli standard e le esigenze degli stakeholder sono mutevoli a seconda della nazione, regione o linea di business di appartenenza.

Una definizione generale vede la CSR come la tendenza delle imprese a non interessarsi solo alla massimizzazione del profitto, ma anche agli interessi degli stakeholder. La Commissione della Comunità Europea nel 2011 ha definito la responsabilità sociale d’impresa come un concetto per cui le aziende integrano i problemi sociali ed ambientali nelle loro operazioni aziendali e nell’interazione con i propri stakeholder su base volontaria. L’inserimento della dimensione della volontarietà implica che le imprese operino oltre i requisiti normativi, i quali sono il livello minimo di performance ritenuto accettabile.

Il concetto di CSR quindi comprende una sintesi delle responsabilità economiche, sociali, ambientali e politiche di un’organizzazione e coinvolge aziende orientate alla creazione di valore mediante il dialogo con i propri stakeholder. Infatti il Consiglio Mondiale delle Imprese per lo Sviluppo Sostenibile1 si riferisce alla CSR come “un impegno continuo da parte delle aziende a comportarsi eticamente e a contribuire allo sviluppo economico accrescendo la qualità della vita della forza lavoro e delle loro famiglie, della comunità locale

1 Consiglio Mondiale delle Imprese per lo Sviluppo Sostenibile = World Business Council for Sustainable Development, WBCSD, organizzazione globale di aziende che lavorano insieme per accelerare la transizione verso un mondo sostenibile.

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6 e della società”. La responsabilità sociale d’impresa non è più un’opzione per le aziende, ma un driver per il loro successo. E’ diventata una importante strategia di business, al punto che le imprese che hanno come valori fondanti quelli della CSR sono in grado di attrarre e trattenere i talenti migliori, migliorare la reputazione costruendo una brand image positiva, sviluppare asset intangibili come vantaggio competitivo fino all’essere privilegiati al momento dell’acquisto.

Per cui a livello operativo gli strumenti di CSR si identificano nelle donazioni e nella filantropia aziendale, nella redazione di CSR report annuali, nell’acquisizione di certificazioni come ISO 26000, nell’integrazione dei valori sociali ed ambientali nel core della strategia aziendale e nell’adesione ai principi e ai codici di condotta internazionali come ad esempio UN Global Compact, le linee guida per le multinazionali OECD, l’International Labour Organization.

1.1.1 L’evoluzione della CSR

Negli ultimi decenni le imprese hanno cominciato ad assumersi responsabilità politiche e sociali, impegnandosi oltre i requisiti dettati dalla legge e occupandosi di alcuni aspetti della gestione della comunità. Ciò è accaduto in special modo per le multinazionali che si sono trovate ad operare in stati manchevoli dal punto di vista della salute pubblica, dell’educazione, della protezione dei diritti umani e dell’ambiente naturale; quindi a causa del fallimento del sistema statale rispetto al proprio dovere di tutelare il cittadino le imprese sono diventate degli attori politici. Infatti dal 2000 più di 5000 imprese hanno sottoscritto il “UN Global Compact” in modo da autoregolarsi e non sfruttare il vuoto normativo determinato dal processo di globalizzazione. E’ necessaria una governance globale che implementi le norme e fornisca beni pubblici a livello mondiale, poiché né un unico stato, né una sola istituzione internazionale sarebbero in grado di farlo. Questo processo sarebbe attuabile grazie alla cooperazione di governi, società civile, istituzioni internazionali e imprese (Scherer, Palazzo, 2011).

La globalizzazione è quel processo che prevede l’intensificarsi delle interazioni transfrontaliere dovute alla riduzione dei costi per collegare luoghi distanti fra loro, mediante la comunicazione e il trasferimento di capitali, beni e persone. In questo modo il processo di globalizzazione ha attenuato i confini fra attività economiche e politiche. Pertanto il contesto in cui opera l’impresa cambia ad un ritmo in rapida crescita: dover affrontare nuovi

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7 stakeholders, diverse legislazioni nazionali complica i rapporti dell’impresa con il mondo esterno e altera il modo in cui gli impatti ambientali, sociali ed economici vengono bilanciati ottimamente per prendere le decisioni. Il processo di globalizzazione provoca delle conseguenze sulla CSR: il cambiamento del contesto di ricerca, ovvero il fatto che la responsabilità delle imprese deve essere analizzata a livello globale; la politicizzazione della CSR con aziende attive nella protezione dei diritti umani e nella lotta alla corruzione; l’emergere di un’infrastruttura istituzionale a livello globale per la CSR. In base a quest’ultimo punto l’intensificarsi del coinvolgimento dei privati, dei movimenti sociali e delle istituzioni internazionali permette la comparsa di una “global governance” che definisca ed implementi standard di comportamento di portata mondiale. Un esempio di simili iniziative è il Global Reporting Initiative che fornisce gli standard per fare report.

La CSR perciò passa da una prospettiva nazionale ad una globale, dalla responsabilità legale alla connettività sociale; la legittimazione diventa morale, anziché cognitiva e pragmatica. Inoltre i governi nazionali stanno perdendo la propria influenza regolativa rispetto alle compagnie globali, le quali vengono sollecitate dalla società civile ad autoregolarsi. Perciò i governi democraticamente eletti per legiferare hanno meno potere per farlo, se comparati alle società private nonostante esse siano controllate da manager che non sono mai stati eletti. Vengono mosse delle critiche da parte di alcuni economisti rispetto alle attività di CSR, dal momento che esse secondo la teoria economica non rientrerebbero nel ruolo delle aziende, ma sarebbero compito dei governi democraticamente eletti.

1.1.2 Le teorie di CSR

La responsabilità sociale d’impresa non ha lo stesso significato per tutti: per alcuni riguarda l’idea di responsabilità legale, per altri il comportamento etico, per altri ancora essere responsabili in senso “causale”, oppure semplicemente dare un contributo caritatevole o avere una coscienza sociale. Per cui le teorie sulla CSR sono molteplici e secondo il modello di Garriga e Melè del 2004 possono essere classificate in base a come si relazionano rispetto ai seguenti aspetti della realtà sociale: economia, politica, di integrazione sociale ed etica. Perciò le varie teorie sulla CSR vengono classificate in 4 gruppi: le teorie strumentali che interpretano la CSR come modo per aumentare i profitti dell’impresa; le teorie politiche che approfondiscono l’utilizzo responsabile del potere economico; le teorie integrative secondo cui occorre integrare agli affari economici le necessità della società e le teorie etiche le quali prevedono che l’impresa accetti le proprie responsabilità sociali e i propri obblighi etici.

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8 Le teorie strumentali individuano nella CSR semplicemente uno strumento strategico per raggiungere obiettivi economici e creare benessere. Infatti per Friedman l’unica responsabilità dell’impresa è la massimizzazione del profitto da spartire fra i detentori di azioni, gli shareholder. Per salvaguardare il profitto è necessario investire nella filantropia e nelle attività sociali. Il gruppo delle teorie strumentali è suddivisibile in tre filoni: la massimizzazione del valore per gli azionisti, l’ottenimento di vantaggi competitivi e il cause-related marketing. In base al filone della massimizzazione del valore per gli shareholder nel lungo termine occorre prediligere quegli investimenti che produrranno un aumento del suddetto valore, per cui le decisioni strategiche ruotano intorno a ciò. Il secondo filone si focalizza sul raggiungimento del vantaggio competitivo nel lungo periodo attraverso l’impegno in attività filantropiche, la tutela delle risorse umane, organizzative e naturali e lo sviluppo di strategie rivolte a quella porzione di popolazione alla base della piramide economica, tanto numerosa quanto povera di risorse. Il terzo filone, il cause-related marketing, si riferisce alla formulazione di attività di marketing per sostenere una causa sociale, subordinando le donazioni dell’impresa ad una transazione con il consumatore.

Per quanto riguarda le teorie politiche, queste si basano sul fatto che le imprese siano delle istituzioni sociali e in quanto tali debbano usare il proprio potere responsabilmente. Infatti le aziende hanno il potere di influenzare l’equilibrio del mercato e tendono a perdere il sostegno della società nel caso in cui nel lungo periodo non si comportino responsabilmente. Inoltre la relazione fra azienda e società si basa su un contratto sociale, per cui l’azienda per essere legittimata dalla società deve mantenere degli obblighi. Negli anni ’80 è stato introdotto il concetto di “cittadinanza aziendale” secondo cui l’impresa fa parte della comunità in cui opera e per questo motivo deve prendersi cura di essa. La cittadinanza aziendale quindi riguarda il senso di responsabilità di un’impresa rispetto alla comunità locale nell’attuale contesto globale.

A fondamento delle teorie integrative c’è il concetto che le imprese dipendono dalla società per la loro esistenza e per il fatto di essere o meno legittimate ad operare. Perciò il management aziendale deve prendere in considerazione la domanda sociale ed i valori sociali, integrandoli nelle proprie strategie. Lo scopo di queste teorie è dare risposta alle domande sociali in modo da ottenere legittimità sociale, accettazione e prestigio. Per farlo l’impresa deve impegnarsi ad identificare, valutare e risolvere le possibili minacce e cogliere le opportunità sociali che la circondano. Oltre al conseguimento degli obiettivi economici come il saper selezionare e trattenere i propri dipendenti, l’impresa è in grado di offrire loro

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9 opportunità di carriera e di guadagno. Ciò è un esempio di come agisce un’impresa che guarda al di là delle direttive legali. Queste teorie includono lo stakeholder management, il cui obiettivo principale è la completa cooperazione fra l’insieme degli stakeholder di un’azienda ed essa stessa. Infatti di recente le organizzazioni non governative, i media e altre istituzioni hanno fatto pressione affinché le pratiche aziendali fossero responsabili mediante il dialogo fra le parti. La responsabilità sociale d’impresa implica la valutazione delle conseguenze ambientali rispetto al proprio operato, la gestione degli stakeholder e il comportamento da seguire in tema di politiche, programmi e impatto sociali.

L’etica consolida la relazione fra azienda e società e le teorie etiche prevedono che le aziende creino delle relazioni di fiducia con gli stakeholder, tra i quali si individuano fornitori, clienti, dipendenti, detentori di azioni e comunità locale. Secondo queste teorie la CSR è basata sul rispetto dei diritti umani: sono stati proposti vari approcci negli ultimi anni a cui le aziende dovrebbero votarsi come il già menzionato UN Global Compact, il Global Sullivan Principles, la certificazione SA8000, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Inoltre si prevede uno sviluppo sostenibile, ovvero uno sviluppo che abbia come obiettivo la soddisfazione dei bisogni del presente senza compromettere le generazioni future. Un altro valore fondante la CSR è la ricerca del bene comune, un concetto di tradizione aristotelica che in ambito economico prevede che l’impresa dia un contributo positivo al benessere della società. Ciò accade quando fornisce beni e servizi in modo efficiente, rispettando la dignità e i diritti inalienabili dell’individuo.

1.2 La comunicazione di CSR

La comunicazione di CSR (CSRC) è definita come quella comunicazione dell’impresa rivolta ai propri stakeholder, interni ed esterni, riguardo agli sforzi nel contribuire allo sviluppo sociale, ambientale ed economico della società. I motivi per cui un’impresa intraprende la strada della CSR sono vari, mentre la motivazione fondamentale per comunicare la propria attività di CSR è univoca e concerne il fatto di far percepire il modo in cui l’azienda cerchi di contribuire al benessere sociale. Comunicare, infatti, aumenta la consapevolezza rispetto alle attività di CSR di una singola azienda, supportandone la reputazione e la brand identity. La comunicazione di CSR è un’attività sensibile per l’impresa, dal momento che sia una diffusione eccessiva, sia una diffusione stringata possono determinare ripercussioni ed avere un impatto negativo sul rispetto e sulla fiducia costruiti negli anni con il pubblico, per cui i

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10 manager devono porvi particolare attenzione. Effetti negativi sono riscontrabili nel momento in cui vengono prodotte più aspettative che risposte. Questa rischiosità nel divulgare le attività di CSR conduce l’impresa ad un dilemma amletico: comunicare o non comunicare? Anita Roddick, fondatrice di “The Body Shop”, prevede la dannazione sia in un caso sia nell’altro2. Il pubblico si aspetta che l’impresa comunichi le proprie attività di CSR, ma è pronto ad accusarla di greenwashing o di non fare abbastanza. Per greenwashing si intende la creazione di un’immagine pubblica responsabile che non corrisponde alle reali attività del- l’organizzazione (Schoeneborn e Trittin, 2013).

Da un lato attuare azioni responsabili e renderlo pubblico fa sì che si diffonda un’opinione positiva dell’impresa ed è per questo che alcuni consumatori sono disposti a corrispondere un premium price per prodotti sostenibili ed etici. E’ quindi richiesto un aumento delle attività di comunicazione di CSR per il suo potenziale di marketing e per la conseguente identificazione e maggiore empatia che i dipendenti notano. In aggiunta un ulteriore motivo è l’incremento di pressione politica che spinge le imprese a comportarsi in modo più responsabile; di conseguenza le norme nazionali incentivano lo sviluppo e la pubblicazione di codici di condotta di CSR, strategie, politiche aziendali, indici per misurare le performance di CSR di un’impresa e i CSR report.

Dall’altro lato si nota come la comunicazione in questo ambito evochi critiche da più parti, in particolare da coloro che ritengono che la CSR riguardi il fare e non il mettersi in mostra per ricavarne dei vantaggi. Essi credono che la CSRC sia solo un insieme di parole vuote, necessarie per migliorare l’immagine dell’azienda ed un tentativo di nasconderne eventuali malefatte: chi non ha una buona reputazione viene sospettato di impiegare questa comunicazione come una copertura. Le aziende che scelgono di rendere note le attività di CSR diventano l’obiettivo dei media e delle organizzazioni non governative, le quali controllano se ci sia riscontro fra le loro promesse e le loro azioni.

Inoltre le imprese operano in un contesto ambientale in continuo cambiamento, perciò la comunicazione del proprio comportamento deve contraddistinguersi per la dinamicità e conferire maggior rilievo alle azioni di CSR rispetto a sterili manifesti d’intento. Nell’economia globalizzata le responsabilità imputate al sistema economico stanno crescendo rapidamente, mentre l’influenza politica sull’operato delle imprese sta diminuendo al punto che il rapporto fra il mondo economico e i propri stakeholder è in continua trasformazione. Le nuove tecnologie con il Web 2.0 hanno accentuato le criticità e a causa della bidirezionalità

2 “Damned if we do, damned if we don’t” affermazione di Anita Roddick del 1995 riferita al dilemma sulla CSRC.

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11 dei nuovi strumenti la comunicazione non è più gestita unicamente dall’impresa “one-way”, ma risulta interattiva. Perciò le affermazioni aziendali sono monitorate continuamente, per verificarne la veridicità, e spesso le azioni di CSR millantate dalle imprese vengono contestate e considerate insufficienti o fallimentari. Ecco che migliorare la comunicazione di CSR non significa necessariamente aumentarne la quantità, infatti una eccessiva amplificazione delle strategie comunicative risulta penalizzante dal momento che essa può attrarre più critiche che supporto. Il consumatore disgustato dal susseguirsi di scandali è portato allo scetticismo e alla sfiducia, per cui la comunicazione di CSR non può ridursi alla mera esecuzione di una campagna pianificata a tavolino, ma deve riguardare ogni contatto con chi è interessato alle azioni aziendali: gli articoli su giornali e periodici, le interviste, le conferenze di settore, i meeting fra la dirigenza dell’organizzazione e i relativi stakeholder.

1.2.1 La comunicazione di CSR come indicatore di moralità

La comunicazione della CSR di un’azienda spesso ne definisce la moralità in quanto rispecchia ciò a cui si interessa veramente, se i manager e i dipendenti considerano il comportamento aziendale corretto o meno e come pensano di poter migliorare l’impresa e l’ambiente. Perciò questo tipo di comunicazione è necessaria per rivelare la propria identità ai consumatori, in modo da essere legittimati e scelti. Infatti secondo Johan Friedman, CSR Director di Sodexo, i consumatori non sono interessati ad acquistare prodotti responsabili da imprese che non sono ritenute tali. Perciò comunicare il proprio orientamento etico crea un’aspettativa che va oltre gli specifici prodotti o servizi e si estende alla moralità ed integrità aziendale. Un’impresa responsabile deve orientarsi verso quelle azioni volte al miglioramento della società e deve contribuire allo sviluppo di essa. Questo orientamento, prima di passare attraverso lo sviluppo di campagne pubblicitarie, necessita di un’analisi approfondita sulla eticità dei propri brand e sulle eventuali modifiche da apportare. A quel punto saranno considerate legittime le promesse di un impegno aziendale sulla riduzione della povertà o delle emissioni di CO2 e risulteranno più affidabili le certificazioni verdi e le etichette di un commercio sostenibile. E’ necessario quindi che un’impresa che vuole essere considerata socialmente responsabile sia sincera e trasparente agli occhi del pubblico. La sincerità si misura rispetto al coinvolgimento veritiero di manager e dipendenti rispetto alla CSR, i quali devono supportare il messaggio e crederci in prima persona. Strategie comunicative frequenti nell’ultimo periodo prevedono l’inserimento nelle campagne pubblicitarie di persone che realmente lavorano all’interno dell’azienda. Ciò mostra quanto l’intera organizzazione sia

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12 coinvolta nelle promesse di CSR, dando l’impressione al consumatore di potersi affidare a quel brand, di potersi fidare dell’impresa. E’ fondamentale quindi essere aperti, disposti a dialogare su problemi critici e non nascondere niente. Infatti dalla ricerca dell’agenzia americana “Cone Communications”3 del 2017 risulta che il 91% degli intervistati non pretende tanto che un’azienda sia perfetta, quanto che sia onesta rispetto agli sforzi messi in campo. Il consumatore richiede trasparenza rispetto alle caratteristiche del prodotto, ai processi produttivi attuati in modo da poter tracciare il percorso a ritroso dallo scaffale all’origine della materia prima. Spesso per autenticare il proprio percorso responsabile le aziende ricorrono al sistema delle certificazioni: operatori esterni autorevoli che attestano la conformità a specifici requisiti stabiliti a priori. In molti criticano queste aziende poiché ritengono che l’onestà sia una strategia facente parte del marketing mix e che sia parziale in modo da mettere in luce solamente ciò che si desidera mostrare.

Per concludere la CSRC si distingue dalle altre forme di comunicazione aziendale per il fatto che connette l’identità corporate ad un maggiore o minore grado di moralità in termini della misura in cui è considerata interessata alla società, rispetto a quanto i manager e i dipendenti sono percepiti sinceri e a quale sia il livello di trasparenza nelle azioni e omissioni.

1.2.2 Le caratteristiche della comunicazione di CSR

Per comprendere meglio la natura della comunicazione di CSR lo studio di Crane e Glozer del 2016 risponde a key question specifiche:

a) who: si individuano attori esterni ed interni all’azienda come pubblico a cui è indirizzata la comunicazione. Gli attori esterni sono i consumatori e gli stakeholder, ovvero tutti coloro che hanno interesse rispetto all’operato dell’azienda. Gli attori interni si identificano nei dipendenti che giocano un ruolo chiave nella CSR, poiché sono dei portavoce fondamentali per la creazione di fiducia nell’impresa. La testimonianza di un dipendente soddisfatto che vive dall’interno l’atmosfera aziendale crea più engagement della soddisfazione di un consumatore. Si è passati da una comunicazione verso il pubblico ad una con esso, dove il dialogo è strategico al fine di implementare il vantaggio competitivo aziendale.

b) why: si indaga lo scopo dell’utilizzo della comunicazione di CSR nelle organizzazioni. La maggior parte degli studi ritiene che il motivo sia strumentale, tuttavia un filone più

3 La ricerca della Cone Communications è basata su un campione demograficamente rappresentativo di 1000 cittadini americani rispetto ai loro atteggiamenti, percezioni e comportamenti nei confronti della CSR.

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13 recente si concentra sul fatto che la CSRC possa contribuire a dare significato all’individuo e alla collettività.

Nello specifico un obiettivo è la gestione degli stakeholder, dove quindi la comunicazione è finalizzata alla creazione di relazioni vantaggiose con gli stakeholder in modo da influenzarne il comportamento, affinché abbiano un atteggiamento positivo verso l’organizzazione. Vengono fornite loro informazioni e viene agevolata l’interazione grazie al dialogo. Gli stakeholder quindi, al pari dei consumatori, possono essere classificati e segmentati in base all’interesse per la responsabilità sociale dell’azienda, così da sviluppare strategie comunicative ad hoc. Grazie alla CSRC è possibile rinforzare l’immagine, infatti “la CSRC ha lo scopo di fornire informazioni che legittimino il comportamento di un’organizzazione nel tentativo di influenzare l’immagine della società che hanno gli stakeholder e la società” (Birth et al 2008). Ulteriori obiettivi sono: la ricerca di legittimazione e di responsabilità, per cui spesso le aziende utilizzano media aziendali come annual report o comunicati stampa per gestire la percezione della propria legittimità; il cambiamento di atteggiamenti e di comportamenti, ovvero la verifica del grado di influenza nei confronti delle valutazioni dei consumatori e se questa ha provocato un aumento di profittabilità e del valore di mercato. Si ritiene che la CSRC abbia un impatto più ampio su aspetti interni al consumatore come conoscenza e atteggiamento rispetto al brand, piuttosto che su aspetti esterni come il comportamento d’acquisto. L’obiettivo strumentale per eccellenza è massimizzare il profitto aziendale ed infine l’ultimo è creare identità e significato, per cui è fondamentale comunicare per costruire una buona reputazione e un buon brand positioning.

A conclusione si può affermare che il fine della CSRC è convincere i consumatori a premiare quelle imprese che risultano socialmente responsabili.

c) how: la letteratura che concettualizza la comunicazione di CSR ha sviluppato 4 teorie. La prima è la stakeholder theory, introdotta da Freeman nel 1984, secondo cui lo sviluppo della comunicazione dipende da quanto sono importanti gli stakeholder nel raggiungimento degli obiettivi aziendali (Barnett 2007) e serve a coinvolgerli maggiormente nelle attività di CSR (Morsing e Schultz 2006). La seconda è la communication theory che studia come i messaggi di CSR vengono trasmessi dalle organizzazioni ed interpretati; la terza è la legitimacy theory in base alla quale per ottenere la legittimazione le azioni di un’azienda devono essere appropriate rispetto al sistema di norme e valori in atto. L’ultima teoria individuata è l’organizational identification secondo la quale il valore della CSRC deve portare i consumatori e gli stakeholder ad identificarsi nell’azienda. Tuttavia non sempre queste attività si riflettono positivamente sull’impresa, infatti avere un approccio strategico alla

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14 responsabilità sociale può avere un impatto negativo sulla percezione della sincerità aziendale.

d) what: riguarda quei paradigmi che creano conoscenza sul tema. Si registra un conflitto fra la prospettiva funzionalista e quella costitutiva.

L’approccio funzionalista (functionalistic approach) è il paradigma più sviluppato ed è quello positivista, ovvero dove si ha una visione oggettiva della realtà. Prevede un modello tradizionale della comunicazione: si studia come poter influenzare le percezioni degli stakeholder nei confronti delle attività di CSR. Per cui la comunicazione viene concepita come uno “strumento di conduzione” che trasmette la realtà oggettiva di CSR dal mittente ad uno o più riceventi (Axley 1984), è unidirezionale e viene diretta verso i consumatori, i media, le ONG, le autorità per informarli e indirizzare la loro opinione. I messaggi sono facili da decodificare e quindi la strategia di CSR a cui sono riferiti è già definita. Questo approccio segue la “Transmission perspective” che considera la comunicazione un semplice strumento e secondo cui la comunicazione è un modo per raggiungere un fine stabilito, riducendola ad un processo lineare di spostamento di informazioni. Perciò è distinta dalle organizzazioni che la diffondono.

L’approccio costitutivo (constitutive approach) invece è focalizzato sull’interazione fra organizzazioni e stakeholder per far sì che essi discutano dei progetti di CSR da mettere in pratica, dove i valori fondamentali sono la co-creazione e la negoziazione. La comunicazione è un processo dinamico di produzione di significati condivisi, originati nella società. Non considera la CSR come uno strumento per aumentare la reputazione e la legittimazione, ma una costruzione continua di significato grazie al rapporto con soggetti interni ed esterni all’azienda. Questa è una visione della realtà soggettiva. Il programma di CSR non è precostituito, dal momento che l’approccio comunicativo è democratico e prevede l’ascolto delle voci contraddittorie dei numerosi stakeholder. Come obiettivo si cercano insight sull’esperienza creata intorno alla CSR e sull’opinione dei consumatori che co-costruiscono il brand. Alla base c’è la teoria CCO (Communication constitutes organizations, Schultz, 2013), la quale sottolinea l’importanza della continua negoziazione di significato. In questo ambito la CSRC è concepita come il simbolo dell’etica e della responsabilità aziendale. I terzi contribuiscono alla sua costruzione in un processo non del tutto controllabile dal management, contribuendo alla determinazione del concetto dell’individualità aziendale.

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15 Tabella 1 – Confronto fra approccio funzionalista e approccio costitutivo

Fonte: Golob et al., (2013), “CSR communication. Quo vadis?”, Corporate Communications: An International Journal, Vol. 18, No. 2, 2013, pp. 179

1.2.3 Lo sviluppo della comunicazione di CSR

L’utilizzo della comunicazione di CSR da parte delle organizzazioni sta oltremodo diffondendosi e in particolare va aumentando l’adozione di queste pratiche per gestire le collaborazioni fra aziende. Questa crescita dipende dai cambiamenti riscontrabili nell’ambiente sociale: nella società globalizzata odierna il flusso di informazioni è in continuo aumento, tanto che Webster4 nel 2014 ha definito il fenomeno come “informatizzazione”. Perciò l’individuo si trova immerso in un ambiente saturo di informazioni, in un circo mediatico dove le relazioni sono molteplici e la comunicazione vi ricopre un ruolo centrale. In questo periodo storico si inseriscono i social media che, grazie al loro rapido sviluppo, hanno permesso la creazione di un dibattito pluralistico e democratico, di una piazza virtuale che ha dato la parola alla collettività: sia alle aziende, sia a coloro che le criticano aspramente. Ecco che la CSR diventa qualcosa di più di un mero strumento per raggiungere gli obiettivi aziendali e si sente il bisogno di comunicare la propria visione di CSR sia per mantenere la legittimazione da parte del pubblico, sia per facilitare l’interazione con i molteplici stakeholder. Di conseguenza la globalizzazione, l’informatizzazione, lo sviluppo della tecnologia e delle dinamiche comunicative hanno messo in moto un processo di cambiamento nella società, causando una diffusione più ampia della comunicazione di CSR. Infatti le organizzazioni sono inserite in numerosi network e mai come oggi è di fondamentale importanza gestire efficacemente gli interessi degli stakeholder, le aspettative sociali e l’incremento di valore aziendale.

I primi studi sulla comunicazione della CSR risalgono al periodo che va dagli anni ’80 ai primi anni 2000, quando prese forma la mobilitazione etica dell’economia e l’attivismo delle

4 Webster = Webster è un dizionario di inglese parlato in America. Characteristic

Functionalistic approach to CSR Communication

Constitutive approach to CSR Communication

Conceptualisation Messaging Interaction

Objective Transparency Co-creation

Metaphor Conduit Connectness

Channel Monological Dialogical

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16 ONG e dei consumatori. L’analisi si basava inizialmente sulle modalità attraverso cui le attività di CSR erano riportate ai vari stakeholder e sui loro effetti con particolare attenzione alla reputazione aziendale, allo stakeholder management e ai cambiamenti dei mass media. In questi anni ci fu una progressiva adozione della redazione dei report aziendali per condividere informazioni finanziarie e non.

Alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000, inoltre, alcune aziende supportarono volontariamente le iniziative di organizzazioni intergovernative (ad esempio l’OCSE5) sia globali sia regionali come il GRI6 o l’EMAS7, contribuendo alla diffusione dei principi della CSR.

Il paper pubblicato nel 2002 da Maignan e Ralston sul confronto fra la prassi di CSRC nelle aziende USA e in quelle europee rappresenta la prima ricerca focalizzata solo sulla CSRC. Gli autori furono i primi che decretarono la differenza fra le azioni di CSR e la comunicazione di tali attività, individuandole come aree di studio e processi operativi distinti. Da quel momento l’argomento è stato approfondito e per la prima volta nel 2008 la rivista “Journal of Marketing Communications” dedicò un numero speciale alla comunicazione di CSR, decretandone così la rilevanza. Qui veniva definita come “un processo di anticipazione delle aspettative degli stakeholder, un’articolazione della politica di CSR, la gestione di diversi strumenti di comunicazione progettati per fornire informazioni veritiere e trasparenti riguardo l’integrazione di un’azienda o di un brand delle sue operazioni economiche, sociali ed ambientali e le interazioni con gli stakeholder”. Morsing nel 2008 sottolineò le implicazioni pratiche della CSRC, arrivando alla conclusione che solo attraverso una profonda analisi delle aspettative degli stakeholder e delle loro percezioni si possono dare indicazioni ai dirigenti sulle strategie da attuare che evitino le possibili controindicazioni della comunicazione, ovvero la diffidenza dei consumatori. Così è possibile comprendere il motivo per cui alcune azioni di CSR abbiano risvolti positivi ed altre conseguenze negative fra gli stakeholder. Dopo questa presa di coscienza sono state individuate delle variabili esterne, che hanno dato corpo alla teoria di CSRC. Una condizione è l’aver reso la pubblicazione di report di CSR una pratica comune, istituzionalizzandola, infatti tra il 2008 e il 2011 la percentuale di report resi pubblici era aumentata del 14%8. Si riscontra il passaggio da un impegno volontario ad uno necessario, in quanto è diventato una consuetudine fra le aziende, in alcuni paesi è un requisito legale e può dipendere dalla pressione competitiva del settore: chi vuole ottenere un

5 OCSE = Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico 6 GRI = Global Reporting Initative

7 EMAS = Environmental Managementand Audit Scheme 8 Dati derivanti da una ricerca di KPMG del 2011.

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17 vantaggio competitivo o deve adeguarsi al comportamento dei competitor. Un secondo fattore di accelerazione dello sviluppo delle pratiche comunicative riguarda la volontà di allineare le strategie aziendali alla comunicazione delle stesse, dal momento che se ne riconobbe la validità strategica. Un’altra variabile esterna è la domanda di trasparenza da parte degli stakeholder nell’attività aziendale e l’ultima riguarda i cambiamenti causati dall’evoluzione dei media digitali. Entrambe portano l’impresa ad esternare quale contributo dia al benessere della società.

Nel 2011 la ricerca sulla CSRC venne ulteriormente legittimata dall’organizzazione della prima conferenza internazionale sulla comunicazione di CSR ad Amsterdam e dalla pubblicazione di “The Handbook of Communication and Corporate Social Responsibility” di Ihlen, in cui per la prima volta venivano raccolte in un unico scritto le ricerche sul tema provenienti da diverse discipline.

In questi ultimi anni la domanda di contenuti da parte degli stakeholder è aumentata fortemente, come il numero degli strumenti e dei canali di comunicazione online. I manager hanno dovuto gestire la complessità di questi cambiamenti, trovandosi di fronte un consumatore maturo, famelico di informazioni, interessato alla sostenibilità aziendale. Infatti il consumatore delineato dalla ricerca della Cone Communications del 2017, precedentemente menzionata, vuole che i messaggi di CSR di un’impresa siano costruiti tramite una brand experience a tutto tondo e sono più propensi a credere nell’impegno di un’azienda che condivide le proprie attività su più canali.

Relativamente allo sviluppo della comunicazione di CSR, durante questi anni sono venute a crearsi 3 fasi distinte che sono state elaborate da Schultz, Castelló e Morsing:

a) Fase strumentale (instrumental phase)

b) Fase politico-normativa (political-normative phase) c) Fase dei network (network phase o communication view) a) Fase strumentale

La fase strumentale è quella prevalente in letteratura e prevede un orientamento al mercato. La premessa è che le aziende che scelgono tale approccio abbiano come responsabilità primaria la massimizzazione dei profitti e mettano la propria organizzazione al centro, perciò in questa fase la CSR è vista come un’attività per incrementare il profitto. Ciò scaturisce dalla dimostrazione dell’esistenza di una relazione positiva fra la performance sociale e quella finanziaria che quindi individua nella CSR uno strumento strategico per la creazione di

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18 valore. Infatti il comportamento responsabile può determinare l’accrescimento della reputazione aziendale, l’incremento della lealtà e della motivazione dei dipendenti, una maggiore brand awareness e in concreto anche una crescita delle vendite. Si assume quindi che gli stakeholder percepiscano la CSR positivamente, per cui la comunicazione di tali attività è un modo per migliorare l’immagine e la reputazione aziendale, crea un alone di desiderabilità sociale sui prodotti e sull’azienda stessa determinando un aumento del brand value e supportando le vendite. A livello operativo la CSRC è finalizzata ad informare il pubblico divulgando le buone azioni dell’organizzazione, in modo da influenzare il giudizio di coloro che ruotano intorno all’impresa. E’ un’attività di diffusione dove i messaggi passano da un mittente ad uno o più riceventi. Il focus non è implementare le azioni di CRS, quanto piuttosto comunicarle per ottenere l’accettazione da parte del mercato. Oggi i social media permettono di rafforzare l’efficienza della comunicazione grazie all’amplificazione del messaggio destinato agli stakeholder, sia dal punto di vista della velocità, sia da quello della diffusione geografica. Essi consentono di aumentare l’engagement e di migliorare le relazioni con gli stakeholder.

La CSR è una risorsa gestionale ed operativa per la legittimazione pragmatica dell’azienda, ovvero concerne l’abilità di manipolare l’audience in modo strumentale e di evocare simboli per ottenere il supporto della società, aumentando il valore condiviso. E’ inoltre uno strumento per la legittimazione cognitiva poiché determina la percezione che l’azienda sia vantaggiosa per la società, quindi da preferire alle altre.

La fase strumentale è prevalente nella ricerca di marketing, nel branding, nelle pubbliche relazioni e nella comunicazione aziendale. Tuttavia in un ambiente caratterizzato da un consumatore apatico e in confusione, da scandali ed ipocrisie all’ordine del giorno e dall’inefficienza da parte del sistema economico nella gestione di grandi problemi globali come cambio climatico, corruzione e povertà questo approccio strumentale non risponde alle esigenze della società, per cui le aziende vengono criticate di essere mosse solo dal desiderio di profitti maggiori, di non servire il bene comune e di comunicare solo per vantaggi privati. b) Fase politico-normativa

A fondamento della fase politico-normativa si trova il concetto che le aziende abbiano influenza sulla società oltre che per l’aspetto economico, anche per le norme ed i valori che ne definiscono lo sviluppo. Perciò le imprese non sono viste unicamente come generatrici di profitto, ma devono anche impegnarsi nella risoluzione di problemi ambientali e pubblici poiché sono in grado di influenzare consumatori, agende del mondo politico, delle ONG e

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19 della società civile. Come attori politici rivestono un ruolo di potere nella società, essendo responsabili della creazione e dello sviluppo di norme e valori nel mondo contemporaneo. La globalizzazione è una delle cause di questa politicizzazione, poiché determina un cambiamento nell’ambiente istituzionale a livello mondiale e nel modo in cui aziende ottengono la legittimazione. Infatti i governi stanno perdendo autorità e capacità regolativa, che si trasferiscono sulle aziende e sulla società civile. Da ciò deriva il fatto che le imprese si trovino in situazioni complesse in cui devono prendere posizione esprimendo le proprie idee politiche e i propri valori. Un esempio di ciò è stato il respingimento del Muslim ban9 promosso dal Presidente Trump degli Stati Uniti d’America da parte di aziende del calibro di Apple, Facebook, Google e molte altre soprattutto del settore tecnologico. Perciò nella prospettiva politica oltre alla legittimazione pratica e cognitiva si aggiunge quella morale, dove tutta l’organizzazione passa sotto la lente della moralità: non solo l’output, ma anche le procedure utilizzate, le strutture e le condizioni della forza lavoro, l’impatto ambientale. Le aziende orientate secondo questa prospettiva si consultano con gli stakeholder prima di prendere delle decisioni, mettendo così il dialogo al centro. La comunicazione quindi è un’attività di dialogo che ha come fine la creazione di consenso fra i partecipanti alla discussione e da cui devono derivare vantaggi sia a favore dell’azienda sia della società. Ne consegue che in alcune situazioni i manager si occupino di questioni non strettamente economiche e, se ben gestite, ne traggano implicazioni positive.

c) Fase dei network

Secondo la visione comunicativa le aziende sono parte integrante della società e partecipano a numerosi network, reti di soggetti che influenzano lo sviluppo della società. Questa fase è basata sulla teoria “communication constitutes organizations” (CCO) secondo cui l’organizzazione emerge dalla comunicazione. Quest’ultima viene vista come un processo che produce ordine sociale e dà significato alle circostanze mediante il linguaggio. La sua funzione è costituire ed organizzare la realtà; quindi la comunicazione non riguarda solamente la trasmissione di significato, ma è un processo di costruzione che utilizza simboli e media. Dato che la comunicazione incrementa la connettività fra individui ed impresa, la CSR in questo ambito riguarda la connessione comunicativa fra le aziende, i media e gli stakeholder per cambiare lo status quo in meglio. Perciò la CSR è costituita da network complessi e dinamici dove i numerosi soggetti economici, istituzionali, no profit e i consumatori definiscono insieme il significato della realtà e aspettative rispetto alla responsabilità sociale: i

9 Il “Muslim ban” riguarda due ordini esecutivi emessi nel 2017 dall’amministrazione Trump con l’intento di negare l’accesso agli Stati Uniti a quei cittadini che provengono da sette paesi a maggioranza musulmana.

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20 report aziendali, gli articoli su giornali e periodici, i comunicati stampa, le pagine aziendali su Facebook o Twitter sono esempi di come ogni comunicazione rifletta la concezione aziendale di responsabilità e di come reagiscono a stimoli del proprio pubblico. Occorre uno sforzo continuo per gestire le molteplici voci che descrivono il grado di coinvolgimento di CSR di un’azienda. Rispetto alle fasi precedenti la CSRC non prevede soltanto la trasmissione di messaggi, poiché include l’intero processo in costante sviluppo di costruzione di significato della responsabilità sociale. Il processo di legittimazione cambia: viene co-costruita nei network dove si ha un meccanismo di mediazione fra le parti ed emerge dal confronto fra diverse voci conflittuali: infatti non deriva solo da comunicazioni positive, ma anche da critiche e questo scambio reciproco di opinioni. E’ la fonte del cambiamento sociale e dello sviluppo del sistema economico. Nell’ambito dell’approccio comunicativo si ritiene che i media tradizionali non si limitino a trasmettere le informazioni e che non siano neutrali poiché collegati a gruppi internazionali. Il loro potere va costantemente diminuendo a causa dei nuovi media, i quali contribuiscono alla globalizzazione: essi favoriscono interazioni dirette, dialogo e partecipazione fra persone geograficamente distanti a velocità maggiore. Inoltre grazie ai social network ognuno ha la possibilità di esprimersi e da ciò deriva l’opportunità di giudicare la responsabilità o irresponsabilità di un’azienda.

1.2.4 Le strategie della comunicazione di CSR

Morsing e Schultz nel 2006 individuarono tre tipi di strategie adottate dalle aziende per comunicare il loro impegno nella CSR agli stakeholder: la strategia di informazione, la strategia di risposta e la strategia di coinvolgimento.

La prima strategia prevede di portare a conoscenza degli stakeholder dell’impresa ciò che è stato realizzato in ambito CSR. L’interazione è unidirezionale, ovvero non si cerca uno scambio di opinioni, ma si comunica il proprio operato. Gli stakeholder vengono informati attraverso la creazione di messaggi oggettivi sul contributo dell’impresa al benessere della società e si ritiene una strategia efficace poiché affidabile, in quanto il messaggio è originato dall’azione dell’azienda. Questa strategia è tipica delle campagne di marketing, pubblicitarie e di branding aziendale.

Nella strategia di risposta la direzione della comunicazione è a doppio senso e asimmetrica, nel senso che c’è un’interazione fra l’azienda e gli stakeholder ritenuti rilevanti, i quali vengono ascoltati per individuare le loro preoccupazioni e conoscere le loro opinioni. Sulla base di queste informazioni vengono costruiti i messaggi di CSR da diffondere all’esterno. Lo

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21 scopo non è tanto mutare il comportamento dell’impresa, quanto cambiare l’atteggiamento degli stakeholder nei confronti di essa. La strategia è confacente ai CSR report, alle classifiche di CSR, ai sondaggi e alle critiche dove è necessario rispondere a valutazioni pubbliche.

L’ultima strategia, la strategia di coinvolgimento, prevede di instaurare un dialogo fra l’azienda e i suoi stakeholder secondo un’interazione a doppio senso e simmetrica: l’obiettivo dei manager non è influenzare, ma venire a conoscenza delle preoccupazioni di stakeholder locali e globali e cambiare il proprio comportamento per risolvere gli eventuali problemi. Lo scopo è quello di creare una relazione costruttiva basata sulla condivisione. Il coinvolgimento viene impiegato nelle situazioni di partnership con organizzazioni non governative, autorità istituzionali o agenti locali.

L’attuazione di una strategia rispetto ad un’altra dipende da quale relazione si vuole creare con gli stakeholder. Sono in scala crescente a seconda del coinvolgimento creato con gli stakeholder, perciò la terza strategia è l’unica aperta alla loro influenza, nonostante il controllo non venga mai meno all’azienda.

Tabella 2: Le strategie di comunicazione di CSR, Morsing e Schultz, 2006

CSRC ideal Stakeholder information strategy Stakeholder response strategy Stakeholder involvement strategy Direction of

commincation One-way Two-way asymmetric Two-way symmetric Corporate communication task Design appealing CSR concept message Identify relevant stakeholders Build relationships on issues of shared concern Managerial

communication task

Inform about favourable corporate CSR action

Demonstrate integration of CSR concern

Establish proactive dialogue with stakeholders

Ehgagement of stakeholders

Unnecessary Considered in surveys, rankings and opinion polls

Central involvement in development of corporate CSR

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22

CAPITOLO 2

I case study di CSRC

2.1 L’esperienza sul campo

L’intensificarsi della domanda di trasparenza e tracciabilità da parte della società ha fatto sì che la letteratura sulla comunicazione della responsabilità sociale d’impresa si ampliasse. In questo ambito è stato avviato un progetto di ricerca sulle teorie e sui metodi utilizzati nello studio della comunicazione di CSR da parte del Dipartimento di Economia dell’Università di Pisa; l’obiettivo di tale progetto è fornire una rassegna sistematica della letteratura esistente di CSRC da un punto di vista teoretico e metodologico.

L’oggetto di questa analisi riguarda la scelta del metodo e del disegno di ricerca adottati nella letteratura esistente di CSRC. In merito a ciò è possibile identificare diverse tipologie di ricerca: il metodo quantitativo, il metodo qualitativo e quello misto; ognuno di essi prevede un approccio specifico all’indagine, implicando modelli distinti per raccogliere i dati, analizzarli ed elaborarli.

Il ricercatore adotta il metodo quantitativo quando vuole quantificare le informazioni ricavate da un’applicazione empirica mediante la misurazione dell’oggetto di studio per giungere a conclusioni precise. Il disegno di ricerca è costruito a tavolino nella fase iniziale della progettazione e i dati vengono raccolti attraverso strumenti standardizzati e strutturati, sono classificabili ed ordinabili su scale numeriche, elaborati statisticamente. L’interazione fra lo studioso e l’oggetto della ricerca è limitata e quest’ultimo assume un ruolo passivo. I metodi di raccolta più frequenti sono: dati d’archivio come ad esempio dati aziendali provenienti da database economici e finanziari, questionari, esperimenti, network analysis. Da essi derivano dati oggettivi e standardizzati, che non sono influenzati dalle opinioni del ricercatore. La rappresentatività dell’oggetto di studio è necessaria per la generalizzazione dei risultati; perciò si ricorre a campioni statisticamente rappresentativi, le cui conclusioni possono essere estese alla popolazione. Durante l’analisi dei dati l’oggetto di studio viene descritto da diverse variabili, le quali vengono valutate sulla base di tecniche matematiche e statistiche. Alla fine del processo i dati vengono presentati mediante grafici e tabelle riassuntive che sottolineano i rapporti causali fra queste variabili.

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23 Si opta per il metodo qualitativo quando l’oggetto di studio necessita di analisi maggiormente interpretative e soggettive, basate su una prospettiva olistica del comportamento umano. Nel 2004 Denzin e Lincoln descrissero così la ricerca qualitativa: “essa implica un approccio interpretativo, naturalistico rispetto al soggetto a cui si riferisce, il quale viene studiato nel suo ambiente naturale nel tentativo di attribuirgli un significato o interpretando il fenomeno in termini del senso che le persone gli assegnano”. Perciò questo metodo, avendo un approccio naturalista, studia la realtà nella sua quotidianità attraverso soggetti attivi. La raccolta si concentra su dati verbali, opinioni, atteggiamenti piuttosto che su calcoli numerici e gli strumenti adatti a svolgere questo compito sono: i dati d’archivio, le interviste, i focus group10, l’etnografia11. I dati d’archivio comprendono i report aziendali, il sito web corporate, i social media e altri documenti. La fase analitica ha luogo mediante la content analysis, manuale in percentuale maggiore. Questa ricerca risulta destrutturata, viene modellata nel corso della rilevazione affinché possa cogliere sfumature che altrimenti si perderebbero nella staticità dei dati numerici.

E’ previsto, inoltre, un approccio pragmatico che permette al ricercatore di beneficiare dei vantaggi di entrambi i metodi menzionati, mettendo al centro lo scopo della ricerca rispetto alla sterile contrapposizione che negli anni si era creata a livello accademico, su quale fosse il metodo migliore. Quindi questo approccio prevede l’integrazione del metodo quantitativo e di quello qualitativo nei casi in cui l’oggetto di studio lo richieda. Mantenendo le due tipologie totalmente distinte si negherebbe questa possibilità. Per cui a tutti gli effetti questo metodo “misto” è stato accettato come il terzo paradigma di ricerca (Johnson e Onwuegbuzie, 2004). Tornando al progetto di ricerca precedentemente menzionato, questo prevede lo studio della letteratura della Comunicazione di CSR in base a quale metodo e disegno di ricerca abbiano selezionato i ricercatori. Per farlo è stata seguita la procedura di rassegna sistematica di Tranfield del 2003 e così è stato costituito un campione di paper, appartenenti ad un arco temporale che parte dal 2000 per arrivare fino al 2016. Una prima ricerca ebbe come risultato l’individuazione di più di 3000 paper che rientravano nella categoria della CSRC. In seguito ad un processo di scrematura, il campione finale su cui si basa l’analisi comprende 534 paper, i quali sono stati selezionati in base all’attinenza al tema di studio, al fatto di essere stati

10 Il focus group è uno strumento della ricerca qualitativa basato sulla discussione di un piccolo gruppo di partecipanti; questa è condotta da un moderatore che gestisce la conversazione in modo da acquisire informazioni sull’argomento oggetto dell’intervista.

11 Per etnografia si intende un metodo di indagine che rileva informazioni attraverso l’osservazione partecipante rispetto ai significati prodotti da un gruppo o da un fenomeno. Il ricercatore colloca l’oggetto di studio nel proprio contesto sociale e culturale.

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24 pubblicati sulle maggiori riviste del settore e di essere empirici. Al fine di indagare i metodi di cui si sono avvalsi i ricercatori, ogni paper del campione è stato classificato in base alla tipologia di data collection e data analysis a cui appartengono. Inoltre sono state registrate ulteriori informazioni: l’unità di analisi, il campione e il contesto dello studio.

2.1.1 I case study all’interno del campione

Lo studio del campione ha portato alla luce il fatto che per affrontare l’analisi di alcuni fenomeni il ricercatore ricorre ad una specifica tipologia di ricerca: infatti rientra nel campione una percentuale di paper classificabili come “case study”.

La presenza dei case study all’interno del campione è pari al 22,5% (rispetto ai 534 paper totali gli studi di caso risultano essere 120). Questa percentuale non indica la predominanza della suddetta tipologia rispetto alle altre, ma fa luce sulla frequente necessità del ricercatore di esprimere le tematiche riguardanti la comunicazione che le imprese attuano rispetto alla CSR attraverso la contestualizzazione della teoria in base a casi avvenuti realmente, da cui trarre delle pratiche di comportamento, delle linee guida.

L’analisi descrittiva dei case study a livello aggregato permette di esaminarne l’andamento temporale, la diffusione geografica, le metodologie prescelte dai ricercatori e gli argomenti trattati. Per quanto riguarda lo sviluppo temporale, dal grafico seguente si può osservare come il numero di case study fosse irrisorio nei primi anni 2000, sia andato aumentando dal 2007 fino al 2010, con un picco nel 2009, per poi registrare negli anni successivi un andamento discontinuo.

Grafico 1 : Case study suddivisi per anno

0 2 4 6 8 10 12 14 16 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

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25 La provenienza geografica dei case study è varia, ma ha un’incidenza particolarmente forte l’area europea (42%), infatti si registrano 50 paper riguardanti il continente europeo. L’ambito globale copre il 20% dei case study, seguito dai 15 report sia del continente americano, sia di quello asiatico.

Grafico 2: Provenienza geografica dei case study del campione

Per l’analisi della metodologia scelta dai ricercatori è necessario fare alcune premesse. Ciascun paper del campione è stato codificato a seconda del metodo applicato alla ricerca: metodo misto (indicato come “Mixed”), qualitativo (“Qual”), quantitativo (“Quant”), multi-qualitativo (“MultiQual”) e multi-quantitativo (“MultiQuant”). Le ultime due categorie rappresentano gli studi che adottano più di una fonte (due o tre); perciò la raccolta dei dati viene suddivisa in base all’utilizzo di una, due o tre tipologie diverse di fonti. Per fonti si intendono: i dati d’archivio, l’etnografia, i focus group, le interviste, le network analysis, i questionari.

Grafico 3 : Metodologia della ricerca 0 10 20 30 40 50 60

Africa America Asia Europa Oceania Globale

8% 47% 1% 33% 11% Mixed MultiQual MultiQuant Qual Quant

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26 Il Grafico 3 evidenzia le scelte attuate dai ricercatori in merito alla metodologia applicata alla ricerca. Dall’esame dei 120 case study del campione si registra una preponderanza del metodo multi-qualitativo con una frequenza pari a 56 paper, seguito da quello qualitativo con 40 paper. Il metodo multi-quantitativo ricopre un valore residuale, 1 paper. Perciò la metodologia che risulta adottata in percentuale maggiore dai ricercatori è quella qualitativa che viene scelta nell’80% dei paper, suddividendosi fra multi-qualitativa (47%) e qualitativa (33%). La metodologia quantitativa (“Quant” e “MultiQuant”) viene impiegata nel 12% dei casi, mentre la meno frequente è la metodologia mista (8%).

I case study caratterizzati da una raccolta di dati basata su due o tre tipologie diverse di fonti sono 67, pari al 57% dei casi. Mentre la possibilità di adoperare una terza fonte viene sfruttata dai ricercatori in percentuale minore: soltanto nel 17,5% dei case study è stata ritenuta necessaria al fine di ottenere una ricerca maggiormente completa ed esaustiva. Quindi a livello aggregato la frequenza delle suddette fonti nei 120 case study è riportata nel Grafico 4.

Grafico 4 : Data collection

Dall’osservazione del grafico si evince che gli strumenti più frequentemente impiegati dagli autori dei paper sono i dati d’archivio e le interviste. Infatti i dati d’archivio sono presenti in 101 case study e rappresentano il 49% della totalità delle fonti reperibili nel campione12. Le interviste fanno parte di 74 casi ed esprimono il 33% delle fonti.

12 Dal momento che alcuni paper utilizzano più di una fonte per compiere la propria ricerca, il totale delle fonti presenti nel campione dei 120 case study è pari a 208. Essendo i dati d’archivio impiegati in 101 paper, essi costituiscono il 49% delle fonti. Lo stesso ragionamento varrà per le altre percentuali riferite al Grafico 4.

101 8 6 74 2 10 7 0 20 40 60 80 100 120

Archival data Ethnography Focus group Interviews Network analysis

Participant observation

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27 Si nota un evidente distacco fra le due fonti appena menzionate e le altre che sono presenti nel campione in percentuali minori e ad una cifra: il ricercatore si avvale dell’osservazione partecipante in 10 case study (5%), dell’etnografia in 8 casi (4%), i questionari vengono impiegati in 7 paper e i focus group in 6 (entrambi rappresentano circa il 3% delle fonti), infine la network analysis si registra in 2 case study (1%).

In conclusione da quest’analisi riferita alla metodologia di ricerca si evince che i metodi qualitativi sono quelli maggiormente utilizzati. Inoltre più della metà dei case study non si affida ad un disegno di ricerca con una raccolta di informazioni proveniente da un’unica fonte, ma si adotta il principio della molteplicità delle fonti per aumentare la qualità, l’esaustività e la sfaccettatura della ricerca. Infatti spesso i dati d’archivio, costituiti di frequente da report aziendali, siti web corporate e comunicati aziendali, vengono arricchiti da interviste, che nella maggior parte dei casi sono semi-strutturate e in profondità, rivolte a dipendenti, manager e stakeholder aziendali. All’interno di un case study in cui si è scelto di effettuare l’analisi quantitativa è stata messa in atto una network analysis riferita ai social media aziendali e in altri due l’attenzione è stata posta sui dipendenti mediante l’uso di questionari. Ciò sta a significare che i case study possono basarsi su dati quantitativi, ma questa pratica è meno usuale data l’importanza del contesto, che viene apprezzato più facilmente con strumenti qualitativi.

Allo scopo di indagare quali siano i fenomeni esaminati con maggiore frequenza dai case study riferiti alla CSRC, sono stati analizzati quelli appartenenti al campione. Di conseguenza è stato possibile attuare una categorizzazione di tali paper in base all’oggetto di studio a cui sono riferiti. Le categorie sono: company, country, incident, industry, institution e multiple. Nella tabella 4 è riportato il numero di case study appartenente a ciascuna categoria.

Tabella 4: L’appartenenza alle categorie dei case study

Company Country Incident Industry Institution Multiple

Totale complessivo

Case study 43 12 3 24 18 20 120

a) Company

La categoria “company” è riferita ad un case study singolo in cui l’attenzione è posta nei confronti di un’unica impresa. E’ la categoria che registra la frequenza maggiore: sono stati

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28 identificati 43 paper riconducibili a questa sezione, i quali rappresentano il 36% del totale. Ad esempio la ricerca di Dhanda del 2003 (“Case Study in the Evolution of Sustainability: Baxter International Inc.”) è basata sull’esperienza dell’impresa sanitaria globale Baxter. All’azienda americana è riconosciuta una particolare attenzione rispetto alle problematiche ambientali e sociali verso cui rivolge un approccio di lungo periodo. Il case study esamina il processo di instaurazione dei valori etici nell’impresa e di come si concretizzino nella quotidianità dell’organizzazione. Le informazioni sono state raccolte attraverso fonti secondarie costituite da vari dati d’archivio e da visite all’azienda in cui l’autore ha avuto l’occasione di intervistare alcuni rappresentanti dell’azienda, uno su tutti il Direttore della Sostenibilità Ronal Meissen. Ne è risultato un quadro aziendale completo che vede risalire le prima attività di CSR della Bawter agli anni ’70, passando dagli anni ’90 in cui comincia a pubblicare CSR report, per arrivare all’obiettivo del nuovo millennio di integrare la sostenibilità in ogni aspetto dell’organizzazione. Il ricercatore dunque seguendo le vicende di un caso “tipo”, analizzando la storia e l’evoluzione di un’impresa simbolo nell’ambito della responsabilità sociale, propone un modello di interpretazione della realtà mediante il quale leggere il vissuto di altre imprese. In questo paper Dhanda applica alla Baxter il modello della creazione di valore sostenibile e ne indica le mosse e le possibili implicazioni.

b) Country

Un case study appartiene alla categoria “country” quando si basa sullo studio di un paese, di una specifica area geografica. Il 10% dei case study del campione appartiene a questa categoria. Fra questi si colloca il paper redatto dai ricercatori Lee K., Herold D. e Yu A. del 2014 (“Small and Medium Enterprises and Corporate Social Responsibility Practice: A Swedish Perspective”) che analizza le pratiche di CSR messe a punto da due piccole e medie imprese che operano in Svezia. Viene utilizzato il metodo qualitativo e si prevede la raccolta di informazioni tramite due tipologie di fonti: la prima comprende un insieme di dati secondari che includono documenti, report di settore e governativi, database e dati disponibili online; la seconda contempla alcune interviste a personaggi chiave all’interno dell’impresa. Dallo studio di questo materiale emerge la volontà da parte di entrambe le imprese svedesi di sfruttare il valore aggiunto derivante dalle attività di CSR.Tuttavia non vengono programmate delle specifiche strategie di CSR o un’agenda definita, ma la responsabilità sociale viene praticata a livello informale ed oltre a non avere una strategia non c’è neanche del personale adibito alla CSR o un budget. Le motivazioni connesse al praticare CSR da parte delle PMI

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