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Caratteristiche cliniche dei pazienti che accedono al Pronto Soccorso dell'AOUP per ipoglicemia

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

In questo studio abbiamo cercato di descrivere le caratteristiche cliniche dei pazienti che accedono al Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP) per ipoglicemia. Per fare ciò abbiamo condotto uno studio retrospettivo selezionando dal database, fra tutti i pazienti giunti in Pronto Soccorso tra il 1 Gennaio 2010 e il 31 Dicembre 2015, quelli con diagnosi di dimissione di ipoglicemia (codici ICD9-CM 251.0, 251.2 e 250.8). Per ciascun paziente abbiamo recuperato la cartella clinica e, da essa, i dati anagrafici, anamnestici e quelli relativi alle procedure diagnostico/terapeutiche eseguite in Pronto Soccorso e all’esito della valutazione.

Dall’analisi dei dati è emersa la presenza di un trend in riduzione degli accessi in Pronto Soccorso per ipoglicemia a partire dal 2013. Sempre in merito all’andamento temporale, è risultata essere presente la tendenza a un trend stagionale (incremento nei mesi caldi, soprattutto in primavera) e giornaliero (incremento nelle fasce post-prandiali, con nadir nelle prime ore del mattino). Nella maggior parte dei casi i pazienti giungevano in Pronto Soccorso mediante ambulanza del 118 e veniva loro assegnato dal triage un codice giallo. Non abbiamo osservato differenze significative tra maschi e femmine, mentre abbiamo osservato un picco di accessi nelle età più avanzate, in particolare oltre i 70 anni. La maggior parte dei pazienti era affetta da diabete mellito tipo 2 e assumeva terapia insulinica.

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Tra i motivi dell’accesso in Pronto Soccorso (e quindi tra le manifestazioni dell’episodio ipoglicemico) i più frequenti sono risultati essere le alterazioni dello stato di coscienza (coma) e la presenza di sintomi neurovegetativi, oltre al riscontro di ipoglicemia a domicilio (con valori di 18-43 mg/dl nella maggior parte dei casi in cui tale dato era disponibile). Abbiamo osservato che la percentuale di pazienti che eseguiva automedicazione a domicilio era in generale piuttosto bassa, ma tendenzialmente maggiore nei pazienti in terapia insulinica e in quelli in cui l’episodio si manifestava con sintomi neurovegetativi. Al termine della valutazione in Pronto Soccorso, la maggior parte dei pazienti veniva dimessa a domicilio; quelli però che venivano ricoverati erano tendenzialmente più anziani, avevano una peggiore funzionalità renale, presentavano più spesso alterazione dello stato di coscienza/coma come manifestazione dell’ipoglicemia, avevano valori di glicemia più bassi in Pronto Soccorso e assumevano più frequentemente sulfaniluree/glinidi come terapia ipoglicemizzante domiciliare; infine, venivano più frequentemente ricoverati i soggetti non diabetici e quelli che non assumevano alcuna terapia ipoglicemizzante. L’analisi dell’andamento negli anni dell’esito della valutazione in Pronto Soccorso ha evidenziato, a partire dal 2012, un progressivo incremento del numero dei pazienti trattenuti in osservazione breve intensiva (OBI) a discapito di quelli dimessi a domicilio; stabile invece il numero di ricoveri.

Abbiamo quindi analizzato eventuali effetti del tipo di diabete, osservando che i pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 erano quelli

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che più frequentemente eseguivano automedicazione a domicilio; gli stessi avevano valori di glicemia in Pronto Soccorso tendenzialmente più elevati.

Infine, abbiamo indagato la presenza di eventuali effetti della riduzione del filtrato glomerulare (eGFR), osservando che, nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2, i valori glicemici (sia a domicilio che in Pronto Soccorso) erano più bassi nei soggetti con eGFR < 30 ml/min/1.73 m2.

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INTRODUZIONE

Nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2, uno dei principali obiettivi terapeutici è l’ottenimento di un controllo glicemico ottimale; tale provvedimento è ritenuto “cost-effective”, dal momento che i costi sono inferiori a quelli necessari per la gestione delle complicanze macro e microvascolari, in considerazione anche del peggioramento della qualità di vita dei pazienti1,2. E’ noto infatti che l’ottenimento di un buon compenso glicometabolico minimizza il rischio di complicanze sia nel diabete di tipo 13,4 che nel diabete di tipo 25,6. Uno dei maggiori ostacoli nella gestione del paziente diabetico, e forse il principale fattore che limita la possibilità di ottenere un controllo glicometabolico ottimale, è l’ipoglicemia7,8. Definizione e classificazione In accordo con il Consesus Report dell’American Diabetes Association e della Endocrine Society, l’ipoglicemia viene definita come “qualsiasi episodio caratterizzato da valori di glicemia plasmatica abnormemente bassi che espongono il soggetto a un potenziale danno”7. Come si evince dalla voluta vaghezza, in effetti, è difficile stabilire un valore numerico per la definizione di ipoglicemia, dal momento che, in particolare nel paziente diabetico, la soglia a cui compaiono i sintomi tipici di ipoglicemia è estremamente variabile. E’ noto e riportato in letteratura già da molti anni infatti che la soglia per la comparsa dei sintomi viene abbassata, in una sorta di circolo

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vizioso, da pregressi recenti episodi di ipoglicemia. Già nel 1988, Amiel et al osservarono che, in seguito a terapia ipoglicemizzante intensiva (HbA1c media 7.1% vs 9.6%), la soglia di comparsa di sintomatologia ipoglicemica si abbassava significativamente (46 ± 2 mg/dl vs 50-60 mg/dl); ciò si associava alla riduzione del valore di glicemia necessario a stimolare il rilascio di adrenalina e ormone della crescita (GH)9. Nel 1991, Heller et al dimostrarono che, in soggetti non diabetici, un singolo episodio di ipoglicemia pomeridiana (realizzato mediante clamp ipoglicemico vs clamp euglicemico) riduceva la risposta neuroendocrina e sintomatica a un’ipoglicemia verificatasi il mattino successivo10. Nel 1993, Dagogo-Jack et al dimostrarono che un effetto analogo si aveva anche nei pazienti affetti da diabete mellito insulino-dipendente: anche in questo caso, coloro che avevano avuto un singolo episodio di ipoglicemia pomeridiana (di nuovo realizzata mediante clamp ipoglicemico vs clamp euglicemico) richiedevano valori di glicemia plasmatica più bassi per sviluppare una risposta autonomica e sintomatica nel corso di un clamp ipoglicemico eseguito il mattino successivo11. Dall’altra parte, è altrettanto noto da tempo che la soglia per la comparsa di sintomi ipoglicemici si innalza nei pazienti con diabete in cattivo controllo glicometabolico: nel 1988 infatti Boyle et al dimostrarono che la glicemia media a cui compariva la specifica sintomatologia era significativamente più alta in soggetti affetti da diabete mellito in scarso controllo glicometabolico (HbA1c > 10%) rispetto a soggetti non diabetici12.

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Nonostante ciò, l’American Diabetes Association Workgroup on Hypoglycemia ha fissato un valore di allerta (utile in particolare per i soggetti a rischio di sviluppare ipoglicemia, come i diabetici in terapia con insulina, sulfaniluree o glinidi) pari a un riscontro di glicemia plasmatica all’automonitoraggio ≤ 70 mg/dl13,14. Tale valore infatti si avvicina a quello che è il valore soglia per l’attivazione dei sistemi controregolatori nei soggetti non diabetici ed al limite superiore di glicemia in grado di ridurre le risposte controregolatorie conseguenti ad ipoglicemia. Inoltre, essendo ben al di sopra del valore soglia per la comparsa di sintomi (sia nei soggetti non diabetici che nei pazienti diabetici in buon controllo)9,12,14 esso consente di avere un margine di tempo sufficiente a mettere in atto misure correttive prima dello sviluppo di ipoglicemia sintomatica che potrebbe rendere difficoltose tali misure. Il Consensus a cui facciamo riferimento7 sottolinea come non sia sempre necessaria l’ingestione di carboidrati in caso di riscontro di valori glicemici ≤ 70 mg/dl; alternative includono la ripetizione della misurazione entro breve tempo, una modifica del comportamento (come evitare di guidare o svolgere attività fisica fino a che la glicemia non sia risalita) o un aggiustamento terapeutico.

Il Consensus propone quindi una classificazione dell’ipoglicemia in cinque sottogruppi7:

1 – Ipoglicemia severa: evento che richiede l’intervento di un’altra persona che somministri attivamente carboidrati e/o glucagone o metta in atto altre misure correttive. Il valore di glicemia plasmatica

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durante l’episodio può non essere disponibile, ma il recupero delle funzioni neurocognitive successivo al ripristino di normali valori glicemici è considerato sufficiente per affermare che l’evento è stato causato da ipoglicemia.

2 – Ipoglicemia sintomatica documentata: evento nel corso del quale i sintomi tipici dell’ipoglicemia sono associati alla misurazione di valori di glicemia plasmatica ≤ 70 mg/dl (≤ 3.9 mmol/L).

3 – Ipoglicemia asintomatica: evento non caratterizzato dalla comparsa dei sintomi tipici di ipoglicemia ma in cui si ha il riscontro di valori di glicemia plasmatica ≤ 70 mg/dl (≤ 3.9 mmol/L).

4 – Probabile ipoglicemia sintomatica: evento nel corso del quale si hanno i sintomi tipici dell’ipoglicemia e non è stata misurata la glicemia plasmatica, ma che è stato verosimilmente causato da una glicemia ≤ 70 mg/dl (≤ 3.9 mmol/L).

5 – Pseudoipoglicemia: evento nel corso del quale un paziente diabetico riferisce la comparsa di uno qualunque dei sintomi tipici dell’ipoglicemia con valori misurati di glicemia plasmatica > 70 mg/dl (>3.9 mmol/L).

Sintomi di ipoglicemia

In condizioni fisiologiche, il cervello utilizza come substrato energetico per le proprie funzioni metaboliche esclusivamente il glucosio plasmatico, rendendosi responsabile del consumo di oltre il 50% di tutto il glucosio utilizzato dall’organismo a digiuno; in condizioni di necessità, il cervello può utilizzare anche fonti

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energetiche alternative come i corpi chetonici, se la loro concentrazione plasmatica raggiunge livelli sufficientemente elevati. Tuttavia, dal momento che non è in grado né di immagazzinare né di sintetizzare glucosio, il cervello richiede un apporto continuo di glucosio. Se consideriamo che tale apporto è funzione diretta della concentrazione di glucosio nel plasma, è chiaro come l’ipoglicemia possa andare ad alterare la funzionalità cerebrale15.

Dal punto di vista clinico/sintomatologico, l’ipoglicemia è tipicamente definita dalla presenza della triade di Whipple: presenza di sintomi e/o segni di ipoglicemia, bassi livelli di glicemia plasmatica, risoluzione della sintomatologia dopo ripristino di valori normali di glicemia plasmatica. I sintomi dell’ipoglicemia sono altamente aspecifici: essi vengono solitamente distinti in neuroglicopenici e neurovegetativi16,17. I sintomi neuroglicopenici includono, ad esempio, le alterazioni cognitive e comportamentali, i disturbi psicomotori, il senso di debolezza e, al diminuire ulteriore della glicemia, le convulsioni e il coma; questi sintomi sono la conseguenza del ridotto apporto cerebrale di glucosio di per sé, e infatti non vengono ridotti dal blocco della trasmissione nervosa autonomica16. I sintomi neurovegetativi comprendono invece i sintomi adrenergici, come palpitazioni, tremore e senso di ansietà, e i sintomi colinergici, come sudorazione, fame e parestesie; questi sintomi vengono ridotti significativamente dal blocco della trasmissione nervosa autonomica16. Tali sintomi neurovegetativi, che di fatto sono i principali responsabili della percezione e della consapevolezza di

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ipoglicemia, dipendono prevalentemente dall’attivazione della trasmissione nervosa simpatica, mentre la concentrazione plasmatica di noradrenalina e le risposte emodinamiche all’ipoglicemia dipendono prevalentemente dall’attivazione della midollare del surrene17.

Meccanismi di difesa contro l’ipoglicemia

La riduzione dei valori glicemici innesca nell’organismo una serie di risposte adattative che in condizioni normali sono in grado di prevenire e/o correggere rapidamente l’ipoglicemia, evitando così la riduzione dell’apporto cerebrale di glucosio (Figura 1)15. La prima difesa fisiologica ad essere messa in atto, che si attiva per riduzione della glicemia plasmatica a valori che rientrano ancora nel range di normalità, è una riduzione della produzione di insulina da parte delle cellule β del pancreas; ciò determina da un lato una riduzione dell’utilizzo di glucosio da parte dei tessuti e organi insulino-sensibili (non neuronali), e dall’altro lato un incremento della produzione epatica di glucosio. Il secondo meccanismo di difesa ad essere messo in atto, che si attiva quando la glicemia scende appena al di sotto del range di normalità, è un incremento della produzione di glucagone da parte delle cellule α del pancreas; ciò determina un ulteriore incremento della produzione di glucosio da parte del fegato, in particolare sotto forma di glicogenolisi. Il terzo step nei meccanismi di difesa fisiologici, che si attiva come il precedente quando la glicemia scende appena al di sotto del range di normalità, e che

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assume un’importanza fondamentale soprattutto quando la secrezione di glucagone è deficitaria, è la secrezione di adrenalina da parte della midollare del surrene; ciò determina un incremento della glicemia plasmatica attraverso tutta una serie di meccanismi, come la stimolazione diretta della produzione di glucosio da parte del fegato e del rene, la riduzione dell’utilizzo di glucosio da parte dei tessuti insulino-sensibili, la mobilizzazione di substrati per la gluconeogenesi come i lattati e gli amminoacidi dal tessuto muscolare e il glicerolo dal tessuto adiposo, e la riduzione della secrezione di insulina. Se l’attivazione di tutti questi meccanismi di difesa fisiologici non riesce a bloccare lo sviluppo di ipoglicemia, si ha un’attivazione più marcata del sistema nervoso simpatico: questo determina lo sviluppo di sintomi neurovegetativi per cui il soggetto diventa consapevole della presenza di ipoglicemia e, se adeguatamente istruito, mette in atto i meccanismi di difesa comportamentali, ossia l’ingestione di carboidrati.

Tutti questi meccanismi di difesa sono compromessi nei pazienti diabetici, in particolare in quelli affetti da diabete di tipo 1 e da diabete di tipo 2 di lunga durata11,18. Questi pazienti infatti sviluppano una “sindrome da controregolazione inefficace” che è il risultato del danno della β-cellula, il quale a sua volta provoca anche la perdita della risposta secretoria della cellula α; in queste condizioni, in cui i primi due meccanismi di difesa fisiologici sono perduti, una riduzione della secrezione di adrenalina da parte della midollare del surrene determina un deficit pressoché totale della

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controregolazione. Inoltre, il riscontro di una ridotta produzione di adrenalina ci indica che si è verificata un’attenuazione della risposta simpatica adrenergica, e tale evento è il principale responsabile dello sviluppo della “sindrome da inconsapevolezza di ipoglicemia”: una sindrome associata ad un incremento di circa 6 volte del rischio di ipoglicemia severa. Nei pazienti diabetici queste due sindromi costituiscono la cosiddetta insufficienza autonomica associata all’ipoglicemia (HAAF)7. La HAAF, che correla con un incremento di almeno 25 volte del rischio di ipoglicemia severa durante terapia ipoglicemizzante intensiva19,20, è mantenuta da episodi ricorrenti di ipoglicemia21,22 ed è almeno in parte reversibile evitando ulteriori episodi ipoglicemici per sole 2-3 settimane21,22. Tra i fattori di rischio di HAAF ricordiamo, oltre ad episodi recenti di ipoglicemia e ad una storia di ipoglicemia severa e inconsapevolezza di ipoglicemia, il deficit assoluto di insulina endogena, la terapia ipoglicemizzante aggressiva (più bassi livelli di HbA1c), il sonno e il recente esercizio fisico15.

Conseguenze dell’ipoglicemia

Nei pazienti diabetici, l’ipoglicemia è ritenuta comunemente essere più frequente nei diabetici tipo 1 rispetto a quelli di tipo 2, e tra questi ultimi sembra essere più frequente nei pazienti con diabete di lunga durata, che presentano un deficit marcato della produzione endogena di insulina, e in quelli in terapia insulinica da più tempo23,24. In realtà non tutta la letteratura concorda su questo dato: in

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12 un’analisi del 2003 condotta su una popolazione di 367,051 persone (di cui 8,655 diabetici), Leese et al non osservarono alcuna differenza significativa nell’incidenza di ipoglicemia severa tra pazienti affetti da diabete di tipo 2 in terapia insulinica e pazienti affetti da diabete di tipo 125. D’altra parte in ogni caso, avendo il diabete di tipo 2 una prevalenza decisamente superiore a quello di tipo 1, la maggior parte degli episodi di ipoglicemia, inclusa l’ipoglicemia severa, si verificano nei pazienti affetti da diabete di tipo 215.

Le conseguenze fisiche di un episodio di ipoglicemia variano da una sensazione di disagio soggettivo fino alle convulsioni e al coma. Episodi di ipoglicemia severa sono stati messi in relazione anche con una maggiore incidenza di eventi clinici avversi, inclusi l’ospedalizzazione e il decesso 26-28. L’ipoglicemia severa infatti può determinare un peggioramento della malattia cardiovascolare29 (sia aritmica30 che ischemica coronarica31) attraverso meccanismi mediati da stress ossidativo e aterotrombosi, così come della malattia renale cronica (a sua volta associata ad un incremento della mortalità cardiovascolare)32. Per quanto riguarda la mortalità legata a ipoglicemia, sebbene un’ipoglicemia profonda e prolungata possa essere essa stessa causa di morte cerebrale, la maggior parte degli episodi di ipoglicemia fatale sono verosimilmente dovuti ad altri meccanismi, come lo sviluppo di aritmie ventricolari33. A tale proposito vale la pena ricordare lo studio ACCORD, in cui 10,251 pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 ad elevato rischio cardiovascolare (ma senza storia di ipoglicemia frequente o recente)

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erano stati randomizzati a terapia ipoglicemizzante intensiva (con target HbA1c 6.0%) o standard; tale studio è stato interrotto dopo un follow-up di 3.4 anni per un eccesso di mortalità nel gruppo in terapia ipoglicemizzante intensiva (5.0% vs 4.0%); le cause di tale eccesso di mortalità non sono note, ma rimane il sospetto che la causa più probabile sia l’ipoglicemia: la sua prevalenza d’altra parte era circa tre volte più alta nel gruppo ACCORD sottoposto a terapia ipoglicemizzante intensiva34.

E’ noto però come anche episodi di ipoglicemia non severa possano, soprattutto quando relativamente frequenti, andare ad impattare in modo significativo la qualità di vita dei pazienti 35-37; l’ipoglicemia infatti può alterare temporaneamente la capacità di giudizio, il comportamento e le performance nell’esecuzione di attività psico-fisiche (sembra invece che le capacità cognitive non vengano alterate in modo cronico38). Gli episodi di ipoglicemia notturna peggiorano la qualità del sonno, provocando sensazioni di malessere il giorno successivo all’evento39. Episodi ricorrenti di ipoglicemia determinano una “paura dell’ipoglicemia” che provoca disturbi cronici dell’umore incluse depressione e ansia40, alterazione delle relazioni interpersonali e riduzione della produttività in ambito lavorativo41; la stessa paura inoltre riduce l’aderenza terapeutica e di conseguenza il controllo metabolico, favorendo lo sviluppo di complicanze a lungo termine.

Episodi ricorrenti di ipoglicemia, infine, favoriscono una perdita progressiva delle difese fisiologiche contro l’ipoglicemia stessa,

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aumentando in un circolo vizioso il rischio di ipoglicemia severa42. Si tratta in particolare di una progressiva riduzione dei livelli glicemici che attivano i sistemi controregolatori necessari a ripristinare uno stato euglicemico nel corso di successivi episodi ipoglicemici10,11, fino al punto in cui la soglia di attivazione della controregolazione diventa inferiore alla soglia di sviluppo di neuroglicopenia. Questi soggetti, in cui il primo segno di ipoglicemia è la confusione mentale, sono quelli che hanno sviluppato “inconsapevolezza di ipoglicemia” e che presentano un quadro di HAAF.

Ipoglicemia nel Dipartimento di Emergenza

Come abbiamo visto in precedenza, l’ipoglicemia è uno dei principali ostacoli al mantenimento di un buon controllo glicometabolico nel paziente diabetico (incrementando di conseguenza il rischio di sviluppare complicanze macro e microvascolari) e una causa rilevante di morbilità e mortalità. Oltre a questo (e in conseguenza di questo) l’ipoglicemia è anche un fattore rilevante nella determinazione dei costi sostenuti per la gestione e la cura dei pazienti, in particolare ovviamente di quelli diabetici43.

Una quota non trascurabile di tale spesa è dovuta al trattamento in emergenza degli episodi di ipoglicemia (prevalentemente) severa. Nello studio italiano HYPOTHESIS 2014 Marchesini et al hanno condotto un’analisi retrospettiva sugli accessi per ipoglicemia in 46 dipartimenti di emergenza italiani in un arco temporale di 18 mesi (da Gennaio 2011 a Giugno 2012)26; sono stati registrati 3,753

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accessi, di cui 3,516 in pazienti diabetici, e l’analisi dei dati ha evidenziato come l’ipoglicemia, quando severa abbastanza da richiedere l’attivazione del sistema di emergenza, costituisca un peso gravoso per i pazienti diabetici (incrementandone il rischio di eventi avversi e di complicanze) e per il sistema sanitario nazionale (comportando un notevole utilizzo di risorse). Tali dati, sebbene il confronto non fosse facilmente attuabile in considerazione delle differenze fra le varie realtà sanitarie, erano in linea con altri riportati in letteratura, sia in ambito nazionale44 che internazionale45. Un’analisi dello stesso studio condotta nel 2016 ha stimato la spesa effettiva sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale italiano per la gestione dell’ipoglicemia severa nei pazienti diabetici, calcolandola in circa 23 milioni di euro annui46.

Negli ultimi anni, studi retrospettivi analoghi sono stati condotti in Canada47 (1,039 pazienti che accedevano a 11 dipartimenti di emergenza per ipoglicemia tra il 2008 e il 2010), in Australia48 (12,411 chiamate per ipoglicemia al Servizio di Ambulanze di Victoria tra il 2009 e il 2011), negli Stati Uniti49 (calcolo della spesa per ipoglicemia fra il 2005 e il 2009) e in Italia50 (553 accessi per ipoglicemia severa al Pronto Soccorso di Pisa tra il 2009 e il 2013): tutti concordano sulla significativa rilevanza dell’impatto dell’ipoglicemia sulla prognosi dei pazienti e sull’utilizzo delle risorse umane ed economiche del sistema sanitario.

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16 SCOPO DELLO STUDIO Scopo del nostro studio è stato quello di descrivere le caratteristiche cliniche dei pazienti che accedono al Pronto Soccorso per ipoglicemia. MATERIALI E METODI Popolazione dello studio Abbiamo preso in considerazione tutti gli accessi al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Pisa fra il 1 Gennaio 2010 e il 31 Dicembre 2015; tra di essi abbiamo selezionato i pazienti con diagnosi di dimissione di ipoglicemia eseguendo una ricerca per codice ICD9-CM (251.0, 251.2 e 250.8). Per ciascun paziente sono state recuperate le cartelle cliniche di Pronto Soccorso e, da esse, i seguenti dati: anagrafica, modalità e caratteristiche dell’accesso (data, ora, mezzo di trasporto, codice di priorità assegnato dal triage), anamnesi patologica remota (con particolare attenzione alla presenza o meno di diabete mellito, al tipo di diabete, alla presenza di patologia cardiovascolare, insufficienza renale cronica, patologia neoplastica e/o decadimento cognitivo), anamnesi patologica prossima (motivo dell’accesso: in particolare l’eventuale presenza di sintomi neurovegetativi e di sintomi neuroglicopenici gravi come coma e convulsioni; abbiamo anche riportato l’eventuale riscontro di ipoglicemia a domicilio e la presenza di altri sintomi e/o segni e condizioni associate, come sincope, sintomi neurologici, trauma, incidente stradale o riferiti

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errori nell’assunzione della terapia ipoglicemizzante domiciliare), terapia domiciliare (ipoglicemizzante e non), glicemia rilevata prima dell’arrivo in ospedale, provvedimenti messi in atto prima dell’arrivo in ospedale, esami di laboratorio ed esami strumentali eseguiti in Pronto Soccorso, terapia somministrata in Pronto Soccorso, complicanze in Pronto Soccorso, esito (dimissione, osservazione breve intensiva, ricovero o altro). Per ciascun paziente per cui era disponibile un dosaggio della creatininemia è stato calcolato il tasso di filtrazione glomerulare (eGFR) mediante la formula CKD-EPI.

Analisi statistica

I dati sono stati analizzati mediante software JMP (SAS®). I confronti di prevalenza sono stati analizzati mediante chi2 ed i confronti tra medie con t-test o ANOVA. I confronti tra le glicemie registrate a domicilio, all'ingresso e durante la permanenza sono stati fatti mediante ANOVA per misure ripetute. RISULTATI E DISCUSSIONE Trend temporale degli accessi in Pronto Soccorso per ipoglicemia Nel corso del periodo di osservazione sono stati registrati 636 accessi al Pronto Soccorso di Pisa per ipoglicemia, su un totale di 510,519 accessi.

Se si osserva il numero assoluto di accessi all’anno per ipoglicemia, vediamo che esso è rimasto sostanzialmente stabile dal 2010 al 2013

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(con una leggera flessione nel 2011), mentre si è ridotto progressivamente nel 2014 e nel 2015 (Figura 2). Se anziché il numero assoluto prendiamo in considerazione la percentuale sul totale degli accessi annui possiamo osservare come tale tendenza sia ancora più evidente, con una riduzione del 25-30% dal 2013 al 2015 (Figura 3).

Sono state recentemente pubblicate valutazioni del trend degli accessi ospedalieri annui per ipoglicemia in varie realtà sanitarie a livello internazionale: in alcuni casi, come ad esempio in Canada47, è stata evidenziata una sostanziale stabilità degli accessi nel corso degli ultimi anni; in altri, come negli Stati Uniti49 e nel Regno Unito51, è stato evidenziato un trend in riduzione in linea con quello osservato nei nostri pazienti, sebbene di entità inferiore e anticipato di alcuni anni.

E’ ipotizzabile che tale trend sia da mettere in relazione all’entrata in commercio e alla progressiva diffusione di farmaci ipoglicemizzanti efficaci e dotati di minor rischio di determinare ipoglicemia (come gli analoghi del GLP-1, di cui l’exenatide approvata dall’FDA nel 2005, e gli inibitori del DPP-4, di cui il sitagliptin approvato dall’FDA nel 2006 e in commercio negli Stati Uniti dal 2007 e in Italia dal 2008) e la parallela riduzione dell’utilizzo di ipoglicemizzanti orali ad elevato rischio di determinare ipoglicemia (primi fra tutti le sulfaniluree, in particolare la glibenclamide). Sempre da un punto di vista farmacologico, è possibile che abbia contribuito alla riduzione degli accessi per ipoglicemia anche la progressiva diffusione di analoghi

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dell’insulina a cinetica ultralenta (prima fra tutta la glargine, e più recentemente le forme ad azione ultra prolungata come la degludec), che hanno lentamente soppiantato l’utilizzo di forme a cinetica intermedia (come la NPH) per la copertura insulinica basale. Non c’è da stupirsi dell’esistenza di una latenza di alcuni anni fra l’entrata in commercio dei nuovi farmaci e la riduzione della prevalenza di accessi in Pronto Soccorso per ipoglicemia, se si considera che la prescrizione dei nuovi farmaci è regolamentata (e “limitata”) dalla necessità di piano terapeutico e che esiste sempre una certa reticenza nella sostituzione di un farmaco noto e utilizzato da anni con uno di nuova generazione, soprattutto quando il primo sia efficace e non abbia dato effetti collaterali nel paziente in questione. Di fatto i nostri dati non evidenziano una variazione significativa nella prevalenza di una classe terapeutica sull’altra nel corso degli anni, ma ciò non è inatteso, dal momento che i nostri dati si limitano alla prevalenza delle varie classi terapeutiche nei pazienti che presentano ipoglicemia severa (che necessita di valutazione in Pronto Soccorso); sarebbe interessante conoscere la prevalenza delle stesse classi terapeutiche nella popolazione diabetica che risiede nella stessa area di pertinenza, per evidenziare eventuali cambiamenti terapeutici nel tempo e la loro correlazione con il numero di accessi al Dipartimento di Emergenza per ipoglicemia.

Un’altra possibilità è che la riduzione degli accessi in Pronto Soccorso sia andata riducendosi in conseguenza di una migliore e maggiore gestione territoriale del paziente affetto da ipoglicemia severa

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(trattamento esclusivo da parte del medico del 118 senza trasporto in Pronto Soccorso); d’altra parte esistono recenti dati in letteratura (sebbene riferiti a una realtà sanitaria australiana, e quindi difficilmente confrontabile con la nostra) che ci dicono che, sul totale di pazienti che contatta il servizio territoriale di emergenza per ipoglicemia, la quota trasportata in Pronto Soccorso è del 38% circa48.

Per quanto riguarda l’andamento degli accessi per ipoglicemia nel corso dell’anno, si può osservare una tendenza all’incremento nei mesi più caldi dell’anno (in particolare in primavera) (Figura 4); questa osservazione è in parziale analogia con dati presenti in letteratura: un recente studio retrospettivo condotto in Australia, infatti, ha evidenziato un maggiore utilizzo del servizio di emergenza per ipoglicemia in estate, seguita dalla primavera48. É ipotizzabile che ciò possa essere messo in relazione ai cambiamenti dello stile di vita e delle abitudini alimentari che la popolazione tende ad avere in questi periodi dell’anno (ad esempio incremento dell’attività fisica e riduzione dell’introito calorico), eventualmente non associati ad adeguamento della terapia ipoglicemizzante. A differenza di quanto riportato in letteratura52, invece, non sono state evidenziate differenze stagionali in relazione al tipo di diabete.

Abbiamo infine analizzato l’andamento degli accessi nel corso della giornata (Figura 5). Tenendo in considerazione che l’orario riportato è quello di arrivo in Pronto Soccorso (e che quindi è ovviamente

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ritardato rispetto all’orario di comparsa dell’episodio ipoglicemico), i dati in nostro possesso evidenziano la tendenza a una maggiore prevalenza di ipoglicemia nei periodi post-prandiali; ciò di fatto è in linea con quanto ci attendevamo, se consideriamo che in queste fasce ritroviamo, oltre ad alcuni episodi di ipoglicemia reattiva, anche tutti quegli episodi dovuti ad una mancata ottimizzazione della terapia ipoglicemizzante rispetto ai carboidrati assunti con la dieta. A differenza di quanto riportato in letteratura (dove si evidenzia una maggiore incidenza di episodi di ipoglicemia durante il sonno, almeno nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 13,53 e nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 in terapia insulinica54) i nostri dati sembrano non evidenziare alcun picco notturno di ipoglicemie; è possibile che ciò sia legato allo sviluppo dell’ “inconsapevolezza di ipoglicemia” o semplicemente una conseguenza del fatto che le ipoglicemie notturne, proprio in quanto si verificano durante il sonno, sono più difficilmente riconosciute dai pazienti. Inoltre, la maggior parte dei nostri pazienti era affetta da diabete mellito tipo 2, in cui il quadro è più dubbio: Gehlaut et al infatti hanno recentemente osservato, mediante l’utilizzo di un sistema di monitoraggio glicemico continuo in 108 pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 che assumevano terapie varie, l’assenza di una differenza significativa fra la frequenza di episodi ipoglicemici diurni e notturni55.

Il grafico ci mostra invece un nadir di incidenza nelle prime ore del mattino (fra le 04:00 e le 07:00). Ciò è in linea con il fatto che frequentemente i pazienti diabetici (come era d’altra parte la

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maggioranza dei nostri soggetti) rilevano valori glicemici elevati al mattino: ciò può essere la conseguenza di un errore terapeutico (dose troppo bassa di insulina o insulina della sera a durata troppo breve), dell’effetto di “rimbalzo iperglicemico” conseguente a un’ipoglicemia notturna non avvertita, o essere dovuto all’effetto “alba” (un incremento spontaneo della glicemia plasmatica e/o del fabbisogno insulinico necessario a mantenere l’euglicemia che si verifica alla fine della notte/nelle prime ore del mattino, in assenza di assunzione di carboidrati)56-58.

Arrivo in Pronto Soccorso

La grande maggioranza dei soggetti (in particolare il 73.7%) accedeva al Pronto Soccorso mediante ambulanza del servizio di emergenza territoriale (118); il 4.7% giungeva in Pronto Soccorso mediante ambulanza ordinaria e il 9.4% mediante mezzo di trasporto personale. Lo 0.8% dei soggetti accedeva mediante altro mezzo di trasporto (elicottero, forze dell’ordine), mentre nell’11.3% non era specificata la modalità di accesso al Dipartimento di Emergenza (Figura 6).

In Pronto Soccorso, oltre la metà dei soggetti (51.4%) riceveva dal triage un codice di priorità giallo (soggetto in condizioni di emergenza - affetto da forma morbosa grave). Solo l’1.4% dei soggetti riceveva un codice azzurro (soggetto che presenta urgenza soggettiva), mentre il 40.3% riceveva un codice verde (soggetto in condizioni di urgenza differibile - affetto da forma morbosa di grado lieve) e il 6.9%

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23 riceveva un codice rosso (soggetto in condizioni di emergenza - con compromissione delle funzioni vitali). (Figura 7). Caratteristiche della popolazione Le caratteristiche generali della popolazione che accedeva al Pronto Soccorso per ipoglicemia sono riportate nella Tabella 1. Sul totale degli accessi, 315 erano maschi e 321 femmine. L’età media globale era 69 ± 20 anni, senza differenze significative fra maschi (età media 68 ± 19 anni) e femmine (età media 70 ± 21 anni) (Figura 8). Un dato interessante a proposito dell’età riguarda l’elevata incidenza di ipoglicemia nei pazienti più anziani: infatti, come si può vedere dai grafici in Figura 8, il 45% dei maschi e il 59% delle femmine che accedevano al Pronto Soccorso per ipoglicemia aveva più di 70 anni. I pazienti erano quasi tutti di razza caucasica, eccetto 5 che erano di razza asiatica e 1 di razza afroamericana.

La maggior parte (n=575) degli accessi riguardavano pazienti affetti da diabete mellito; di questi, 81 erano affetti da diabete mellito di tipo 1, 420 da diabete mellito di tipo 2 e 19 da altre forme di diabete (14 pancreasectomizzati, 1 pregressa pancreatite, 1 rigetto su pregresso trapianto di pancreas, 1 correlato a fibrosi cistica, 1 MEN-I con interessamento pancreatico, 1 secondario a neoformazione pancreatica); per 55 pazienti diabetici non è stato possibile risalire al tipo di diabete. 61 accessi riguardavano pazienti non diabetici: tra questi, 7 erano affetti da carcinoma neuroendocrino del pancreas, 7 da iperinsulinismo non meglio specificato, 1 da carcinoma

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neuroendocrino dello stomaco, 1 da alterata tolleranza ai carboidrati, 1 presentava cachessia neoplastica in fase terminale, 1 era affetto da epatite acuta, 1 assumeva insulina come anabolizzante, 1 era all’undicesimo giorno di sciopero della fame, 2 erano affetti da anoressia nervosa, 2 avevano assunto farmaci ipoglicemizzanti erroneamente, 2 episodi erano correlati all’assunzione di alcol (1 di alcol e cocaina), 4 venivano classificati come ipoglicemia reattiva (di cui 2 in pazienti già sottoposti a chirurgia bariatrica e 1 in un paziente con pregressa gastroresezione). Per 55 pazienti i dati anamnestici non erano sufficienti a definire il tipo di diabete mellito (Figura 9). Per quanto riguarda la presenza di comorbidità (con il limite della mancanza di dati anamnestici adeguati in una parte dei soggetti), era nota la presenza di patologie cardio e/o cerebrovascolari in 200 soggetti (31.4%), di decadimento cognitivo in 129 (20.3%), di patologia neoplastica in 65 (10.2%), di insufficienza renale cronica in 199 (31.3%); almeno una comorbidità (di qualunque tipologia) era presente in 374 soggetti (58.8%).

Per ciò che concerne la terapia ipoglicemizzante, 65 soggetti non ne assumevano alcuna (fra essi tutti quelli non affetti da diabete tranne uno che assumeva insulina a scopo anabolizzante), 397 assumevano insulina (di cui 9 con microinfusore) in associazione o meno a ipoglicemizzanti orali diversi da sulfaniluree e glinidi, 130 assumevano sulfaniluree/glinidi in associazione o meno ad altri ipoglicemizzanti orali, 16 assumevano sia insulina che sulfaniluree/glinidi in associazione o meno ad altri ipoglicemizzanti

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orali, 28 assumevano esclusivamente ipoglicemizzanti orali diversi da sulfaniluree e glinidi (Figura 10A). Se l’analisi veniva ristretta ai soli pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 (Figura 10B), la maggior parte dei pazienti (58.7%) continuava ad assumere solo insulina (con o senza antidiabetici orali diversi da sulfaniluree/glinidi), aumentava la quota di pazienti in terapia con sulfaniluree/glinidi (con o senza altri antidiabetici orali) (31.0%) e si riduceva la quota di soggetti che non assumeva alcuna terapia (1.0%). Rimanevano invece sostanzialmente stabili la percentuale di pazienti che assumeva sia insulina che sulfaniluree/glinidi (3.3%) e quella di soggetti che assumeva una terapia ipoglicemizzante che non comprendeva insulina né sulfaniluree/glinidi (6.0%).

Sono stati raccolti, quando disponibili, anche i dati relativi alle altre terapie domiciliari assunte dai soggetti dello studio: di essi, 120 erano in terapia con β-bloccanti, 208 assumevano altra terapia anti-ipertensiva e 367 assumevano almeno un farmaco di una classe diversa.

Presentazione clinica

In Tabella 2 sono riportati i motivi dell’accesso, e quindi le manifestazioni cliniche dell’evento ipoglicemico: ognuna delle manifestazioni elencate poteva essere presente in modo isolato o in diverse combinazioni con le altre. Come si può vedere, le manifestazioni più frequenti nei nostri pazienti erano l’alterazione dello stato di coscienza/coma (32.7%) e i sintomi neurovegetativi

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(22.5%); ovviamente è risultata elevata anche la prevalenza di riscontro di ipoglicemia (71.4%), mentre è risultata essere piuttosto bassa la percentuale di pazienti che presentavano convulsioni come manifestazione dell’episodio (3.5%). La Figura 11 rappresenta la prevalenza di ciascuna delle combinazioni fra i vari motivi dell’accesso: come si può notare, il 6.1% dei pazienti presentava una severa alterazione dello stato di coscienza (coma) come unica manifestazione dell’episodio, mentre il 17.6% dei pazienti aveva come unica presentazione clinica il semplice riscontro di ipoglicemia senza sintomi importanti (con i limiti dovuti a raccolte anamnestiche non sempre accurate o accuratamente riportate in cartella clinica). Per quanto riguarda l’errata assunzione terapeutica (che era causa o concausa di accesso in Pronto Soccorso nel 9.7% dei casi) è stata evidenziata una differenza significativa tra maschi e femmine, con una maggiore incidenza nel primo gruppo (p=0.03). Non era invece presente alcuna differenza significativa tra maschi e femmine per quanto riguarda la prevalenza di alterazione dello stato di coscienza/coma e di convulsioni.

Valori glicemici

Solo per 280 soggetti era disponibile il valore di glicemia capillare al momento della comparsa dei sintomi (nei casi in cui non era stato eseguito automonitoraggio alla comparsa dei sintomi, non era stato preso alcun provvedimento ed era disponibile il valore di glicemia capillare misurato all’arrivo del 118, quest’ultimo valore è stato

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considerato come valore di glicemia capillare alla comparsa dei sintomi). La media di tali valori era 38 ± 19 mg/dl. In Figura 12 è rappresentata la distribuzione dei valori di glicemia capillare alla comparsa dei sintomi in percentuale sul totale delle misurazioni effettuate: si può notare come la maggior parte dei soggetti presentasse valori compresi fra 18 e 43 mg/dl. 14 soggetti (2.2% del totale) presentavano valori ≥ 70 mg/dl: questi casi sono da riferirsi verosimilmente ad episodi di pseudoipoglicemia. Il valore di glicemia capillare alla comparsa della sintomatologia (indipendentemente dal tipo di sintomatologia) non dipendeva dal sesso (Figura 13) né dalla terapia ipoglicemizzante domiciliare (Figura 14). Per i pazienti per i quali era disponibile il valore di glicemia capillare a domicilio sono stati presi in considerazione i dati anamnestici relativi all’eventuale terapia domiciliare con β-bloccanti: i valori di glicemia capillare all’insorgenza dell’episodio di ipoglicemia non erano significativamente diversi tra i soggetti che assumevano β-bloccanti e quelli che non li assumevano (Figura 15), né variava la prevalenza di sintomi neurovegetativi in base alla concomitanza o meno di terapia con β-bloccanti. Esiste un’abbondante letteratura che indaga l’influenza della terapia con β-bloccanti sull’ipoglicemia; alcuni di questi studi hanno evidenziato una riduzione dell’insorgenza di sintomi neurovegetativi (in particolare tremore e palpitazioni) nei pazienti che assumevano tale terapia59,60, mentre altri hanno evidenziato addirittura un incremento nella prevalenza di sintomi neurovegetativi in generale61 o di uno in particolare (ossia della

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sudorazione)59,61 nello stesso gruppo di soggetti. Di fatto, quello che si può evincere dalla letteratura è che la terapia con β-bloccanti non maschera l’ipoglicemia, ma eventualmente ne cambia il pattern sintomatologico neurovegetativo, con un incremento dell’insorgenza di sudorazione e una riduzione di tremore e cardiopalmo; ciò è consistente con l’osservazione che la terapia con β-bloccanti non incrementa il rischio di ipoglicemia severa62,63.

Per 272 dei 280 pazienti di cui era noto il valore di glicemia capillare preospedaliera erano disponibili anche i valori glicemici all’arrivo in Pronto Soccorso ed eventuali ulteriori dosaggi della glicemia durante la permanenza nel Dipartimento di Emergenza. Abbiamo osservato che la terapia ipoglicemizzante domiciliare, oltre a non influenzare (come visto sopra) la glicemia capillare preospedaliera, non influenzava in modo significativo neppure la differenza fra la glicemia preospedaliera e quella all’accesso in Pronto Soccorso e fra quest’ultima e la glicemia più bassa registrata durante permanenza in Pronto Soccorso (Figura 16A). Se invece andiamo a prendere in considerazione esclusivamente i valori glicemici misurati in Pronto Soccorso, sia all’ingresso che durante il periodo di permanenza (dato più attendibile, dal momento che tali misurazioni erano disponibili per tutti i 636 soggetti analizzati), possiamo osservare che la glicemia al momento dell’accesso in Pronto Soccorso presentava una differenza statisticamente significativa tra le varie classi terapeutiche (p=0.03), con valori più alti nei pazienti in terapia con insulina e sulfaniluree/glinidi e valori più bassi nei pazienti in terapia con

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sulfaniluree/glinidi ma non insulina (Figura 16B). Di nuovo invece non cambiava in modo significativo la differenza fra la glicemia all’accesso e il valore più basso registrato durante permanenza in Pronto Soccorso.

Provvedimenti diagnostico/terapeutici

In Tabella 3 sono riportati i diversi provvedimenti diagnostici messi in atto sui soggetti dello studio durante permanenza nel Dipartimento di Emergenza. In oltre la metà dei soggetti (379, 59.6% del totale) venivano eseguiti esami ematochimici, che comprendevano in 375 casi un dosaggio della creatininemia. Per ciascuno di questi pazienti è stato quindi calcolato il tasso di filtrazione glomerulare (eGFR) mediante formula CKD-EPI; l’eGFR medio nell’intera popolazione era di 64 ± 31 ml/min/1.73m2 e la maggior parte dei soggetti in cui il dato era disponibile (55.0%) aveva un eGFR > 60 ml/min/1.73m2; seguivano i soggetti con eGFR compreso fra 30 e 60 (30.6%), quelli con eGFR fra 15 e 30 (7.6%) e infine quelli con eGFR < 15 (6.8%).

Fra i provvedimenti diagnostici classificati come “altro”, è interessante notare che solo in 14 casi (2.2%) veniva eseguita una consulenza diabetologica: la probabilità di ricevere una consulenza diabetologica non dipendeva dal tipo di diabete né dal sesso del paziente; curiosamente quasi tutte le consulenza diabetologiche sono state eseguite nel 2014.

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Provvedimenti terapeutici per la correzione dell’ipoglicemia sono stati presi a domicilio (mediante somministrazione di glucosio per os e/o di glucagone im) in 105 casi; da parte del 118 (sotto forma di somministrazione di glucosio per os e/o glucagone im e/o soluzione glucosata ev) in 267 casi; in Pronto Soccorso (mediante somministrazione di glucosio per os e/o glucagone im e/o soluzione glucosata ev) in 468 casi. In Figura 17A è rappresentata la prevalenza delle diverse combinazioni di provvedimenti terapeutici: è evidente quanto ridotta sia la quota di pazienti con ipoglicemia severa ad eseguire automedicazione a domicilio. Abbiamo inoltre osservato che la sede in cui venivano messi in atto provvedimenti terapeutici variava in modo significativo al variare della classe terapeutica: in particolare, i pazienti in terapia insulinica erano quelli che più frequentemente eseguivano automedicazione a domicilio, mentre i pazienti che non assumevano alcuna terapia o che assumevano esclusivamente ipoglicemizzanti orali diversi da sulfaniluree e glinidi erano quelli che più frequentemente non avevano bisogno di alcun trattamento (Figura 17B). Come era logico aspettarsi, inoltre, eseguivano più frequentemente automedicazione a domicilio i pazienti che presentavano sintomi neurovegetativi tipici di ipoglicemia rispetto a coloro che non riferivano tali sintomi.

Esito della valutazione in Pronto Soccorso

Dai dati in nostro possesso è emerso che circa la metà dei pazienti (51.8%) veniva dimessa a domicilio dopo correzione dei valori di

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glicemia. Il 19.8% veniva trattenuto in osservazione breve intensiva, mentre il 23.4% veniva ricoverato; non si verificava alcun decesso. Nel 4.9% dei casi si aveva un esito diverso da quelli elencati precedentemente, che si configurava come rifiuto del ricovero in 26 casi, trasferimento in specialistica in 3 casi e abbandono del Pronto Soccorso in 2 casi (Figura 18).

Siamo quindi andati a ricercare la presenza di eventuali “predittori di esito”, osservando che non era presente alcuna correlazione significativa con sesso, diabete mellito tipo 1 o tipo 2, sincope o convulsioni come motivo dell’accesso, glicemia alla comparsa dei sintomi.

Abbiamo invece osservato che i pazienti che venivano ricoverati erano statisticamente più anziani (p<0.0001) (Figura 19A), avevano una peggiore funzionalità renale (p=0.0002) (Figura 19B), presentavano più spesso alterazione dello stato di coscienza/coma come modalità di esordio dell’ipoglicemia (p<0.0001) (Figura 19C), avevano valori di glicemia più bassi sia al momento dell’accettazione (p=0.0101) (Figura 19D) che durante permanenza in Pronto Soccorso (p<0.0001) (Figura 19E). L’esito del trattamento in Pronto Soccorso era inoltre influenzato dalla classe terapeutica: infatti i soggetti in terapia con sulfaniluree/glinidi erano più spesso ricoverati o trattenuti in osservazione breve (p<0.0001) (Figura 19F). Infine, venivano più frequentemente ricoverati i soggetti non diabetici e quelli che non assumevano alcuna terapia ipoglicemizzante (Figura 19F,G): ciò può essere spiegabile, se pensiamo che questi pazienti

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non presentano un fattore di rischio noto per ipoglicemia (quale la terapia ipoglicemizzante) e necessitano pertanto di essere studiati approfonditamente in merito alle cause dell’episodio stesso. La Figura 19G mostra inoltre che i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 venivano più frequentemente trattenuti in osservazione breve o ricoverati (verosimilmente anche in ragione della maggiore presenza di comorbidità e dell’età mediamente più avanzata), mentre i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 erano più spesso dimessi a domicilio, eventualmente dopo osservazione breve intensiva.

Dall’analisi della Figura 19 emerge poi un altro dato interessante, ossia che i soggetti il cui esito è stato classificato come “altro” (e che, come abbiamo già visto, erano per la maggior parte pazienti che rifiutavano il ricovero) erano tendenzialmente soggetti più giovani, con una buona funzionalità renale, senza alterazione dello stato di coscienza come manifestazione di ipoglicemia, assumevano più spesso terapia insulinica e avevano un tipo di diabete diverso dal tipo 2.

Se andiamo ad osservare l’andamento di dimissioni/OBI/ricoveri nel corso degli anni (Figura 20) possiamo notare che, mentre rimaneva sostanzialmente stabile la quota di ricoveri, è andata progressivamente aumentando (in particolare dal 2012 in poi) la percentuale di pazienti trattenuta in osservazione breve intensiva a discapito delle dimissioni a domicilio. E’ ipotizzabile che ciò sia legato

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a un progressivo rinnovamento e perfezionamento dei protocolli di gestione del paziente con ipoglicemia in Pronto Soccorso. Effetto del tipo di diabete La ricerca di eventuali correlazioni fra il tipo di diabete e gli altri dati in nostro possesso ha evidenziato quanto segue: - i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2, e ancora di più quelli affetti da diabete mellito di altro tipo (non 1, non 2) utilizzavano più frequentemente il servizio di emergenza (ambulanza del 118) per l’accesso in Pronto Soccorso;

- la presenza di convulsioni come motivo dell’accesso (e quindi come modalità di presentazione dell’episodio di ipoglicemia severa), era più frequente nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1;

- come atteso, i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 (ma, sebbene in misura minore anche quelli con diabete di altro tipo e i soggetti non diabetici che accedevano in Pronto Soccorso per ipoglicemia) presentavano una maggiore prevalenza di malattia cardiovascolare rispetto ai soggetti affetti da diabete mellito di tipo 1; analogamente, i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 erano più frequentemente in terapia con β-bloccanti;

- anche la prevalenza di decadimento cognitivo e di insufficienza renale cronica erano maggiori nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 (e nei non diabetici) rispetto ai pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1;

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- di nuovo come atteso, la classe terapeutica differiva in base al tipo di diabete: infatti i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2, rispetto agli altri, assumevano più frequentemente antidiabetici orali (sia sulfaniluree/glinidi che non);

- è interessante notare che i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 eseguivano automedicazione a domicilio più frequentemente rispetto agli altri soggetti (Figura 21A); probabilmente in conseguenza di ciò gli stessi pazienti presentavano valori di glicemia all’arrivo in Pronto Soccorso tendenzialmente più elevati (Figura 21B); anche i valori glicemici minimi registrati durante permanenza in Pronto Soccorso erano tendenzialmente più elevati nei soggetti affetti da diabete mellito di tipo 1 (Figura 21C): ciò potrebbe essere dovuto ad una maggiore aggressività nel trattamento di questi soggetti oppure all’assenza di terapia con ipoglicemizzanti orali, che sono noti per dare luogo a ipoglicemie più prolungate nel tempo rispetto all’insulina;

- sono state già descritte nel paragrafo precedente le differenze esistenti tra i diversi tipi di diabete in merito all’esito della valutazione in Pronto Soccorso (dimissione a domicilio, osservazione breve intensiva, ricovero o altro) (Figura 19G).

Non era presente alcuna correlazione significativa tra il tipo di diabete e il codice di priorità assegnato dal triage, la presenza di alterazione dello stato di coscienza/coma o di sintomi neurovegetativi come motivo dell’accesso, la glicemia capillare alla comparsa dei sintomi, la presenza di alterazione dello stato di

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35 coscienza durante permanenza di Pronto Soccorso e la probabilità di ricevere una consulenza diabetologica in Pronto Soccorso. Effetto della riduzione dell’ eGFR

Abbiamo già accennato in precedenza alla prevalenza nella nostra popolazione delle diverse classe di eGFR (Tabella 3). Come si evidenzia dall’analisi della Figura 22, la pressoché totalità dei soggetti con riduzione del tasso di filtrazione glomerulare (eGFR < 60 ml/min/1.73m2) apparteneva al sottogruppo di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2.

In questo gruppo di pazienti siamo andati quindi a ricercare un’eventuale correlazione fra i valori di glicemia misurati (sia a domicilio che all’arrivo in Pronto Soccorso che durante permanenza in Pronto Soccorso) e la classe di eGFR: da tale analisi non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa fra le 4 classi. Se però prendiamo in considerazione i soggetti con insufficienza renale grave (eGFR < 30 ml/min/1.73m2) e li confrontiamo con quelli con eGFR ≥ 30, osserviamo che il primo gruppo presentava valori glicemici statisticamente inferiori rispetto al secondo (p<0.03) in tutti e tre i momenti (glicemia preospedaliera, all’accesso in Pronto Soccorso, durante permanenza in Pronto Soccorso) (Figura 23).

E’ noto dalla letteratura che, con la progressione dell’insufficienza renale, parallelamente all’accumulo di tossine uremiche, si hanno cambiamenti nel signaling dell’insulina, nel trasporto e nel metabolismo del glucosio, che inducono e peggiorano

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l’insulino-36

resistenza64,65. Tuttavia, nelle fasi più avanzate dell’insufficienza renale cronica, quando il filtrato glomerulare scende al di sotto di 20 ml/min, si riduce anche la clearance dell’insulina: di conseguenza, nonostante la presenza di insulino-resistenza, si riduce il fabbisogno insulinico, e ciò può incrementare il rischio di ipoglicemia66. Inoltre, anche molti antidiabetici orali, tra cui i metaboliti attivi di glibenclamide e glimepiride67 e il 10% dei metaboliti attivi della repaglinide68, vengono escreti per via renale: con il peggiorare della funzione renale pertanto tali farmaci o metaboliti si possono accumulare nel plasma, determinando un abbassamento dei livelli di glicemia plasmatica.

Effetto del genere

Siamo andati a ricercare un’eventuale influenza del genere sui vari aspetti dell’ipoglicemia severa e sulle caratteristiche dei pazienti che necessitano di valutazione in Pronto Soccorso per ipoglicemia. Dall’analisi dei nostri dati è emersa una correlazione esclusivamente con la prevalenza di malattia cardiovascolare (maggiore incidenza nei maschi, come atteso) e, come già detto sopra, con l’errore terapeutico quale motivo di accesso in Pronto Soccorso.

Per il resto, il sesso non correlava in modo statisticamente significativo con la modalità di accesso, con il codice assegnato dal triage, con la presenza di alterazione dello stato di coscienza/coma o di convulsioni come motivo di accesso in Pronto Soccorso, con la presenza di sintomi neurovegetativi, con il valore di glicemia capillare

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preospedaliera né con la glicemia all’accesso in Pronto Soccorso o con quella minima durante permanenza nel Dipartimento di Emergenza, con la presenza in anamnesi di decadimento cognitivo o di insufficienza renale, con la sede di messa in atto dei provvedimenti terapeutici volti a risolvere l’episodio (domicilio e/o 118 e/o Pronto Soccorso), con la presenza di alterazione dello stato di coscienza in Pronto Soccorso o con l’esito della valutazione in Pronto Soccorso (dimissione a domicilio, osservazione breve intensiva, ricovero o altro).

CONCLUSIONI

Da questo studio emerge come l’ipoglicemia (soprattutto se severa) continui ancora oggi ad essere una causa rilevante di accesso in Pronto Soccorso, con tutto il carico personale e socio-sanitario che ne deriva; è promettente tuttavia la presenza di un trend in calo negli ultimi anni, che sarebbe interessante verificare negli anni futuri, quando è verosimile che le nuove terapie ipoglicemizzanti più sicure (sia insuliniche che orali) si andranno sempre più affermando.

Sempre in merito all’andamento temporale degli accessi per ipoglicemia, è interessante la tendenza alla presenza di un trend stagionale, con maggiore incidenza nei mesi più caldi in particolare in primavera, e di un trend anche giornaliero, con maggiore prevalenza di ipoglicemia nei periodi post-prandiali. Ciò è verosimilmente indice della necessità di uno sforzo maggiore nella personalizzazione della

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terapia e nell’educazione del paziente all’esecuzione di modifiche della stessa qualora si verifichino cambiamenti dello stile di vita e alimentare; infatti è ipotizzabile che entrambi i trend descritti sopra possano essere messi in relazione a errori nell’adeguamento della terapia ipoglicemizzante al fabbisogno del paziente.

I risultati del nostro studio in merito all’età media dei pazienti che accedono in Pronto Soccorso per ipoglicemia e all’elevata percentuale di accessi in soggetti con più di 70 anni, ci esortano inoltre a innalzare il livello di attenzione soprattutto nei pazienti anziani: si tratta di pazienti fragili, in cui il follow-up deve essere più stretto e attento, e in cui ci si può eventualmente accontentare di raggiungere obiettivi terapeutici meno stringenti, puntando piuttosto a evitare la comparsa di episodi di ipoglicemia grave con tutti le conseguenze che ne derivano.

Un dato interessante è poi quello che riguarda i provvedimenti messi in atto per la correzione dell’ipoglicemia, in particolare dell’automedicazione a domicilio, che veniva effettuata per lo più da pazienti in terapia insulinica, affetti da diabete mellito di tipo 1. Ciò indica che probabilmente sarebbe necessario porre una maggiore enfasi sull’educazione dei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 al riconoscimento e alla gestione dell’ipoglicemia (oltre che ovviamente alla sua prevenzione); d’altra parte non bisogna dimenticare che i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 sono in media più anziani e presentano una maggiore prevalenza di comorbidità (fra cui di decadimento cognitivo): fattori che possono

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limitare in modo significativo la capacità di questi pazienti di riconoscere l’ipoglicemia e di mettere in atto dei provvedimenti per correggerla.

Infine, tra i vari fattori che possono “predire” l’esito della valutazione in Pronto Soccorso è interessante notare la presenza della terapia ipoglicemizzante domiciliare, con una maggiore necessità di osservazione breve intensiva o ricovero (e minore prevalenza di dimissione a domicilio) in coloro che assumevano ipoglicemizzanti orali tra cui sulfaniluree/glinidi. In un’ottica di miglioramento della prognosi e della qualità di vita dei pazienti e di ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse umane ed economiche del Sistema Sanitario, probabilmente sarebbe utile porre maggiore attenzione alla personalizzazione terapeutica, oltre che al monitoraggio e all’educazione dei pazienti che assumono terapie che comportano un più elevato rischio di determinare ipoglicemia.

D’altra parte, la conoscenza non solo di questo ma di tutti i fattori che incrementano la probabilità che sia necessario il ricovero in ambiente ospedaliero in seguito a un episodio di ipoglicemia è di importanza fondamentale, al fine di individuare quella categoria di pazienti in cui, ancora più del solito, deve essere compiuto ogni sforzo per prevenire l’ipoglicemia stessa.

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40 Figura 1 – Meccanismi di difesa fisiologici dall’ipoglicemia Figura 2 – Andamento temporale degli accessi per ipoglicemia

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Figura 3 - Incidenza annua degli accessi in Pronto Soccorso per ipoglicemia rispetto al totale di accessi

Figura 4 - Numero di accessi in Pronto Soccorso per ipoglicemia per mese

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42 Figura 5 - Numero di accessi in Pronto Soccorso per ipoglicemia per ora del giorno Figura 6 - Modalità di accesso in Pronto Soccorso

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43 Figura 7 - Codice di priorità assegnato dal triage Tabella 1 – Caratteristiche della popolazione n (%) Maschi/Femmine 315 (49.5)/321 (50.5) Età (anni) (media ± dev std) 69 ± 20 Presenza di diabete (si/no) 575 (90.4)/61 (9.6) Tipo di diabete DM tipo 1 DM tipo 2 81 (14.1) 420 (73.0) Altre forme di DM 19 (3.3) Tipo di DM non specificato 55 (9.6)

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44 Comorbidità Malattia cardio/cerebrovascolare Decadimento cognitivo Patologia neoplastica Insufficienza renale cronica Altro Terapia ipoglicemizzante Nessuna Solo insulina Solo sulfaniluree/glinidi Insulina+sulfaniluree/glinidi Altro Altre terapie β – bloccanti Altra terapia anti-ipertensiva Altro 200 (31.4) 129 (20.3) 65 (10.2) 199 (31.3) 374 (58.8) 65 (10.2) 397 (62.4) 130 (20.4) 16 (2.6) 28 (4.4) 120 (18.9) 208 (32.7) 367 (57.7)

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45 Figura 8 - Distribuzione dei casi di ipoglicemia per età e sesso Figura 9 - Prevalenza di diabete

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46 Figura 10 - Terapia ipoglicemizzante domiciliare Tabella 2 – Motivo dell’accesso n (%) Trauma 29 (4.6) Incidente stradale Sincope Alterazione dello stato di coscienza/coma Convulsioni Sintomi neurologici Sintomi neurovegetativi di ipoglicemia Riscontro di ipoglicemia Errata assunzione terapeutica Altro 4 (0.6) 59 (9.3) 208 (32.7) 22 (3.5) 33 (5.2) 143 (22.5) 453 (71.2) 62 (9.7) 117 (18.4)

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47 Figura 11 - Modalità di presentazione clinica dell’ipoglicemia Figura 12 - Glicemia capillare preospedaliera

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48 Figura 13 - Glicemia capillare preospedialiera e sesso Figura 14 - Glicemia capillare preospedaliera e terapia domiciliare

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Figura 15 – Glicemia capillare preospedaliera e terapia con β-bloccanti

Figura 16 – Terapia ipoglicemizzante domiciliare e variazioni glicemiche

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50 Tabella 3 - Provvedimenti diagnostici in Pronto Soccorso n (%) Esami ematochimici 379 (59.6) RX torace 126 (19.8) Ecografia addome RX diretta addome TC cranio Altro eGFR (ml/min/1.73m2) (media ± dev std) eGFR ≥ 60 30 ≤ eGFR < 60 15 ≤ eGFR < 30 eGFR < 30 51 (8.0) 17 (2.7) 107 (16.8) 58 (9.1) 64 ± 31 207 (55.0) 115 (30.6) 29 (7.6) 26 (6.8) eGFR = tasso di filtrazione glomerulare (calcolato mediante formula CKD-EPI)

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51 Figura 17 – Trattamento dell’ipoglicemia Figura 18 – Esito della valutazione in Pronto Soccorso

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52 Figura 19 – Predittori di esito Età Tasso di filtrazione glomerulare (eGFR) Alterazione dello stato di coscienza/coma Glicemia al momento dell’accettazione Glicemia minima in PS Terapia ipoglicemizzante domiciliare

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53 Tipo di diabete Figura 20 – Esito della valutazione in Pronto Soccorso per anno

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54 Figura 21 – Relazione fra tipo di diabete, automedicazione e valori di glicemia in Pronto Soccorso

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55 Figura 22 – Classe di eGFR e tipo di diabete Figura 23 – Classe di eGFR e glicemie nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2

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