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EFFICACIA COMPARATIVA TRA ADALIMUMAB ED INFLIXIMAB NEL TRATTAMENTO DELL'UVEITE INTERMEDIA, DELL'UVEITE POSTERIORE E DELLA PANUVEITE A GENESI NON INFETTIVA

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI SIENA SEDE AGGREGATA DELLA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE TOSCO-UMBRA IN REUMATOLOGIA

EFFICACIA COMPARATIVA TRA ADALIMUMAB

ED INFLIXIMAB NEL TRATTAMENTO

DELL’UVEITE INTERMEDIA, DELL’UVEITE

POSTERIORE E DELLA PANUVEITE A GENESI

NON INFETTIVA

Relatori:

Chiar.mo Prof. Mauro Galeazzi

Chiar.mo Prof. Luca Cantarini

Tesi di specializzazione del

Dr. Antonio Vitale

Anno Accademico 2016-2017

(2)

1

Alla Madonna dell’Assunta,

che mi ha protetto dal cielo;

a nonna Ida,

che mi ha sempre aiutato sulla terra

A

A A

(3)

1

INDICE ANALITICO

1. INTRODUZIONE ... 4

2. LA CLASSIFICAZIONE DELLE UVEITI... 6

2.1 Classificazione Anatomica ... 6

2.2 Classificazioni funzionali ... 8

3. ETIOPATOGENESI ... 10

3.1 Meccanismi molecolari ... 10

3.2 L’occhio e le regolazione dell’immunità innata... 11

3.3 L’occhio e le regolazione dell’immunità acquisita ... 12

3.4 Il processo molecolare coinvolto nella genesi dell’uveite ... 13

3.5 La predisposizione genetica... 14

3.5.1 Il complesso maggiore di istocompatibilità ... 15

3.5.2 Le interleuchine ... 17

3.5.3 Le chemochine ... 18

3.5.4 Il sistema del complemento ... 19

4. EPIDEMIOLOGIA ... 20

4.1 Epidemiologia in base alla classificazione anatomica ... 20

4.1.1 Uveite Anteriore ... 20

4.1.2 Uveite Intermedia ... 21

4.1.3 Uveite Posteriore ... 21

4.1.4 Panuveite ... 22

4.2 Epidemiologia in base all’età di insorgenza ... 22

4.2.1 Il bambino ... 22 4.2.2 L’anziano ... 22 5. FATTORI PREDISPONENTI ... 23 6. DIAGNOSI ANATOMO-CLINICA ... 23 6.1 Uveiti Anteriori ... 24 6.1.1 I sintomi ... 24 6.1.2 I segni ... 25 6.2 Uveiti Intermedie ... 34 6.2.1 I sintomi ... 34 6.2.2 I segni ... 34

(4)

2 6.3 Uveite Posteriore ... 36 6.3.1 Elementi introduttivi ... 36 6.3.2 I sintomi ... 38 6.3.3 I segni ... 38 6.4 Panuveite ... 43 7. ESAMI LABORATORISTICI ... 44

7.1 Esclusione di forme infettive ... 44

7.2 Paracentesi della camera anteriore ... 45

7.3 La ricerca dell’autoimmunità ... 46

7.4 Il laboratorio nel sospetto di sarcoidosi ... 46

8. ESAMI STRUMENTALI OCULISTICI ... 48

9. COMPLICANZE ... 49

9.1 Cheratopatia calcarea a bandelletta ... 49

9.2 Cataratta complicata ... 49 9.3 Glaucoma secondario ... 49 9.4 Edema maculare ... 50 9.5 Distacco di retina ... 51 9.6 Emorragie intravitreali ... 52 9.7 Tisi bulbare ... 52

10. PROGNOSI DELLE UVEITI ... 53

10.1 Uveite Anteriore ... 53

10.2 Uveite Intermedia ... 53

10.3 Uveite Posteriore ... 53

10.4 Panuveite ... 53

11. ATTIVITA’ DI MALATTIA E CLINIMETRIA ... 54

12. FORME SPECIFICHE DI UVEITE ... 56

12.1 La malattia di Behçet ... 56

12.2 Uveite anteriore in artrite idiopatica giovanile ... 58

12.3 Malattia di Vogt-Koyanagi-Harada ... 59

12.4 Lo spettro delle condizioni legate alla positività dell’aplotipo HLA-B27 ... 63

12.4.1 La Spondilite Anchilosante ... 64

12.4.2 Spondiloartrite post-infettiva (Sindrome di Reiter) ... 67

12.4.3 Uveite in artrite psoriasica ... 67

12.4.4 Uveite in pazienti con malattie infiammatorie dell’intestino ... 68

12.5 La sarcoidosi ... 68

(5)

3

13. TERAPIA MEDICA DELLE UVEITI ... 71

13.1 Uveite Anteriore ... 72

13.2 Uveite intermedia e Pars Planite ... 73

13.3 Uveite posteriore e Panuveite ... 74

13.4 Quali uveiti non infettive trattare con immunosoppressori non steroidei ... 75

13.5 Quali cDMARDs scegliere ... 77

13.6 Il ruolo della terapia con interferone ... 77

13.7 Quando iniziare il biologico ... 78

13.8 Il ruolo dei biologici nelle singole malattie sistemiche ... 79

13.9 Quando interrompere la terapia con i cDMARDs e i biologici ... 81

14. PARTE SPERIMENTALE ... 82

14.1 Scopo dello Studio ... 82

14.2 Materiali e Metodi ... 83

14.3 Risultati ... 85

14.4 Discussione ... 92

14.5 Conclusioni ... 94

15. BIBLIOGRAFIA ... 96

(6)

4

1. INTRODUZIONE

L’occhio, nonostante sia classificato insieme alle gonadi tra i “santuari immunologici” caratterizzati da una sorveglianza immunitaria adattativa controllata rispetto alle altre sedi corporee, è spesso sede di manifestazioni cliniche infiammatorie anche severe.

In tal caso, i sintomi e i segni oculari comprendono la comparsa di occhio secco, inie-zione congiuntivale e pericheratica, prurito, fotofobia, dolore, senso di corpo estraneo, alterazioni del visus fino alla cecità. Sebbene tali manifestazioni siano riscontrate in numerose patologie, essi possono rappresentare il sintomo iniziale di diverse patologie immunitarie anche severe e potenzialmente fatali (1). Pertanto, in pazienti con malattie reumatiche e sintomi oculari sarebbe sempre opportuna una valutazione oculistica ade-guata che includa l’analisi dei movimenti oculari, i riflessi pupillari, l’acuità visiva, il campo visivo, l’ispezione con lampada a fessura, la valutazione del fundus oculi e della lacrimazione con Schirmer test o Break up time (BUT), ma anche la tonometria e, quan-do opportuno, gli esami strumentali di seconquan-do livello quali la tomografia ottica compu-terizzata (OCT), l'angio-OCT e l'angiografia retinica con fluoresceina sodica e/o indo-cianina.

Tra le forme più pericolose e potenzialmente lesive per l’acuità visiva compaiono le u-veiti, un processo infiammatorio che interessa primariamente l’uvea, ovvero la tonaca vascolare dell’occhio, interposta tra la tonaca fibrosa, più esterna, e la tonaca nervosa, o retina. Difatti, la flogosi uveale è responsabile del 10-15% dei casi di cecità nei paesi industrializzati con un’incidenza calcolata intorno ai 12-15 casi ogni 100.000 abitanti all’anno, con una maggiore frequenza tra i 20 e i 50 anni, dunque in quella fase della vi-ta maggiormente suscettibile da un punto di visvi-ta delle capacità lavorative e dei rapporti sociali (2,3). A tal riguardo, è ampiamente dimostrato come la qualità della vita dei pa-zienti affetti da uveite scada notevolmente anche in quei casi non caratterizzati da im-portante perdita della funzione visiva, soprattutto in relazione alla componente fisica del benessere, alla percezione del proprio ruolo sociale e fisico e alla valutazione del dolore e dello stato di salute (4)

Nel corso del tempo sono state proposte varie classificazioni delle uveiti, tra cui la più rilevante è senz’altro quella basata sulla distinzione anatomica tra uveite anteriore, in-termedia, posteriore e diffusa (panuveite) a seconda del settore uveale coinvolto (5). Al-tre classificazioni sono rappresentate dalla distinzione delle uveiti in esogene ed

(7)

endo-5 gene o in granulomatose e non granulomatose. Ciò ha consentito di migliorare progres-sivamente il riconoscimento delle differenti entità cliniche anche da un punto di vista etiologico, nonostante l’origine delle uveiti resti tutt’ora sconosciuta in oltre il 50% dei pazienti (6).

Nondimeno, nell’ultimo decennio la ricerca scientifica sulle uveiti ha conosciuto una rapida evoluzione permettendo un più completo inquadramento clinico-strumentale, ma anche una più precisa valutazione etiopatogenetica e un approccio terapeutico più ade-guato a proteggere le strutture oculari e a preservare l’acuità visiva. Inoltre, sempre maggiore rilievo è stato dato all’approccio interdisciplinare del paziente affetto da uvei-te al fine di ottimizzare la corretta gestione di una patologia complessa e pouvei-tenzialmenuvei-te subdola, che pertanto può richiedere l’intervento del reumatologo, dell’infettivologo, del gastroenterologo e dell’internista, oltre che dell’oculista. Nonostante ciò, l’uveite può spesso determinare problemi anche notevoli di diagnosi differenziale, mentre l’armamentario terapeutico, sempre più preciso e selettivo, non consente perplessità di ordine diagnostico. Pertanto, l’approccio al paziente uveitico necessita di un esame cli-nico meticoloso che consenta una corretta interpretazione etiologica e il preciso ricono-scimento degli specifici quadri clinici, il che può avvenire con la necessaria precisione solamente in contesti specializzati e dotati di sufficiente esperienza. Solamente operan-do in questo mooperan-do, infatti, sarà possibile impostare la terapia più corretta, capace di cambiare in maniera positiva la prognosi oculare del paziente.

(8)

6

2. LA CLASSIFICAZIONE DELLE UVEITI

Il primo passo per una corretta interpretazione della flogosi uveale è rappresentato dall’inserimento del quadro clinico oculare in una specifica classificazione che faciliti il riconoscimento etiologico e l’attribuzione patogenetica per ogni singolo paziente, con-sentendo anche una standardizzazione della terminologia impiegata nell’ambito clinico e scientifico. A tal riguardo, la classificazione certamente più utile è quella anatomica, che consente un immediato riscontro diagnostico e prognostico, nonché terapeutico. Al-tri tipi di classificazione, che definiamo funzionali, rappresentano un ulteriore strumento atto a facilitare l’attribuzione etiologica della flogosi uveale in base alle diverse caratte-ristiche morfologiche, patogenetiche, di esordio e durata, il tutto finalizzato ad evitare l’impiego di terapie controproducenti (come l’uso di immunosoppressori nelle forme in-fettive), ma anche ad impostare l’approccio terapeutico più efficace (identificazione di quei pazienti meritevoli di una terapia immunosoppressiva più risoluta).

2.1 Classificazione Anatomica

L’uvea comprende tre segmenti distinti dotati di funzioni specifiche altamente specia-lizzate: l’iride, il corpo ciliare e la coroide, la cui esatta collocazione anatomica è posta in figura 1A, tratta da Sève P et al (7). Queste strutture, abbondantemente vascolarizzate e ricche di elementi immunocompetenti, hanno la capacità di reagire a diverse noxae pa-togene realizzando quadri differenti di uveite: flogosi essudative, plastiche, granuloma-tose. Le uveiti “pure” sono in realtà rare e il processo infiammatorio interessa spesso anche le strutture contigue come l’endotelio corneale, il vitreo, la sclera, la retina e il nervo ottico.

Sulla base della localizzazione anatomica della flogosi è stata proposta una classifica-zione che vuole presentare anche un risvolto pratico dal punto di vista diagnostico e prognostico. La classificazione anatomica va intesa in termini di strutture direttamente coinvolte dal processo infiammatorio piuttosto che basata sulle complicanze strutturali secondarie.

Partendo da tali presupposti, l’uveite può essere distinta in anteriore, intermedia, poste-riore o diffusa (panuveite) (5).

(9)

7 Per uveite anteriore si intende un coinvolgimento infiammatorio della camera anteriore e del vitreo, ma con più spiccato coinvolgimento della camera anteriore rispetto a quan-to è possibile invece descrivere in caso di uveite intermedia. L’uveite anteriore include l’irite, l’iridociclite (concomitante infiammazione della parte anteriore del vitreo) e la ciclite anteriore.

Il termine uveite intermedia dovrebbe essere impiegato in quel subset di pazienti in cui il corpo vitreo rappresenta il sito di maggior infiammazione. La concomitante identifi-cazione di essudazione (sheathing) vascolare periferico o di edema maculare non modi-fica la classimodi-ficazione. Il termine pars planite, invece, dovrebbe essere impiegato sola-mente in quei casi in cui l’uveite intermedia si manifesta con essudati a palla di neve (snow ball) o a banco di neve (snow bank) in assenza di malattie infettive o autoimmuni sistemiche, ovvero nelle forme idiopatiche. L’uveite intermedia/pars planite include i termini ciclite posteriore e ialite.

Il termine uveite posteriore va impiegato in quei casi con preponderante infiammazione a carico della retina o della coroide. L’uveite posteriore include la coroidite focale, mul-tifocale o diffusa, la corioretinite, la retinocoroidite, la retinite e la neuroretinite.

Il termine panuveite andrebbe riservato a quelle situazioni in cui non c’è un sito predo-minante di infiammazione, ma è possibile identificare la flogosi indistintamente in ca-mera anteriore, vitreo e retina e/o coroide (in quest’ultimo caso retinite, coroidite o va-sculite retinica). Al fine della definizione di panuveite non vanno presi in considerazio-ne le complicanze strutturali quali l’edema maculare e i fenomeni di considerazio- neovascolarizza-zione.

Quanto al termine vasculite retinica, vanno aggiunte alcune precisazioni. In particolare, una occlusione vasculopatica retinica in assenza di segni di flogosi non andrebbe anno-verata tra le vasculiti retiniche. Al contrario, secondo le attuali direttive del Standardiza-tion of Uveitis Nomenclature (SUN) working group, affinché si possa parlare di vasculi-te retinica è necessario identificare la presenza di essudato perivascolare o il riscontro di occlusione all’esame fluorangiografico (5).

La figura 1, tratta da Sève P et al (7), illustra i dettagli della classificazione anatomica delle uveiti.

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2.2 Classificazioni funzionali

L’uveite può essere classificata anche in base al tipo di esordio, alla durata del processo infiammatorio e al tipo di andamento clinico (5).

L’esordio dell’uveite dovrebbe essere descritto come improvviso o insidioso. La durata degli attacchi dovrebbe essere descritta come limitata se l’episodio dura meno di 3 me-si, altrimenti si parla di uveite persistente.

In base al tipo di andamento clinico, l’uveite può essere classificata in acuta, ricorrente e cronica. Per uveite acuta di intende una patologia caratterizzata da esordio improvviso e durata limitata; l’uveite è ricorrente in caso di episodi multipli intervallati da periodi di inattività che durino almeno 3 mesi in assenza di trattamento; l’uveite è cronica se il processo infiammatorio persiste con ricadute entro i primi 3 mesi dall’interruzione della terapia.

A

B

C

D

Figura 1 Rappresentazione grafica della localizzazione del processo infiammatorio in corso di u-veite anteriore (A), uu-veite intermedia (B), uu-veite posteriore (C) e pan uu-veite (D) secondo i criteri proposti dalla Standardization of Uveitis Nomenclature (SUN) working group (voce bibliografica 5). La figura 1A mostra anche una schematica raffigurazione dell’anatomia dell’occhio. La figura è tratta da Sève P et al (voce bibliografica 7).

(11)

9 Le uveiti sono anche classificate in esogene ed endogene. Le prime sono determinate da noxe patogene esterne all’organismo come in seguito a traumatismi chirurgici o acci-dentali dell’occhio, mentre le forme endogene sono determinate da processi patogenetici legati alla risposta immunitaria dell’organismo, come nell’eventualità di agenti patogeni giunti alle strutture oculari per via ematogena o nel caso di malattie immunomediate si-stemiche o specificatamente localizzate all’occhio.

Meno in uso rispetto al passato è l’impiego della classificazione delle uveiti in granulo-matose e non granulogranulo-matose. In base a tale distinzione, le uveiti granulogranulo-matose sono clinicamente caratterizzate da grandi precipitati corneali “a grasso di montone”, da una intensa reazione cellulare in camera anteriore associata ad un tyndall modesto per il bas-so contenuto di proteine e fibrinogeno dell’umore acqueo, dalla formazione di noduli sulla superficie iridea e sul margine pupillare e da un andamento generalmente cronico. Al contrario, le uveiti non granulomatose sono caratterizzate da piccoli e fini precipitati corneali, da una modesta essudazione cellulare in camera anteriore associata a un tyndall intenso.

In passato le uveiti granulomatose erano tendenzialmente associate a forme infettive, come tubercolosi e sifilide o parassiti, mente le forme non granulomatose erano più spesso associate a processi disimmuni (8). Attualmente, però, la comunità scientifica non è concorde su questa distinzione che in alcuni casi appare fuorviante (5). Difatti, nella pratica clinica è spesso difficile operare questa classificazione, poiché negli stadi iniziali della flogosi vi può essere un’assenza di caratteristiche differenziali, mentre ne-gli stadi finali il quadro è spesso sovrapponibile.

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3. ETIOPATOGENESI

Fino alla prima metà del XX secolo le uveiti venivano considerate espressione di un’infezione batterica localizzata al tratto uveale. Successivamente, grazie al migliora-mento delle tecniche di riconoscimigliora-mento dei microrganismi patogeni, si capì che non tut-te le uveiti erano ad etiologia infettiva e che una partut-te era detut-terminata da problemi im-munomediati, come supportato anche dalla brillante risposta ai farmaci corticosteroidei. Senza dubbio, col passare degli anni nel mondo occidentale è cambiato lo spettro delle malattie connesse alla genesi delle uveiti, grazie al miglioramento delle condizioni so-cio-sanitarie e al debellamento delle gravi infezioni endemiche, ma anche per i progressi nelle tecniche diagnostiche e microbiologiche: mentre all’inizio del XX secolo la mag-gior parte delle uveiti era attribuita alla tubercolosi e alla sifilide, dagli anni sessanta dello stesso secolo si è evidenziata la comparsa di nuove entità etiologiche come le for-me da toxoplasmosi, istoplasmosi, Toxocara canis e, più di recente, da infezioni erpeti-che. Inoltre, negli ultimi decenni lo studio clinico generale dei pazienti affetti da uveite ha permesso di rilevare correlazioni significative tra malattie sistemiche ed uveite, come tra la spondilite anchilosante o la sindrome di Reiter e l’uveite anteriore acuta e tra l’artrite idiopatica giovanile (AIG) e l’uveite anteriore cronica (UAC). Allo stesso mo-do, sono state meglio studiate sindromi come la malattia di Vogt-Koyanagi-Harada (VKH) e la malattia di Behçet (MB) nelle quali l’interessamento oculare è di particolare importanza. Recentissima, inoltre, è l’individuazione di meccanismi patogenetici propri dell’immunità innata nella patogenesi delle uveiti, elemento che ha permesso di eviden-ziare una base autoinfiammatoria, oltre che autoimmunitaria, nel processo flogistico u-veale. Infine, sono state state descritte numerose entità cliniche oculo-specifiche ben de-finite come l’iridociclite eterocromica di Fuchs, l’epiteliopatia pigmentaria a placche multiple, la coroidite serpiginosa e la retinocoroidite tipo “Birdshot” (9).

3.1 Meccanismi molecolari

Per quel che concerne lo scopo dello studio della presente tesi, la discussione etiopato-genetica verterà sulle uveiti a genesi non infettiva.

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11 L’esatta patogenesi è ancora poco chiara in molte delle patologie in grado di determina-re flogosi uveale, ma è ormai appurato che l’uveite non-infettiva è una manifestazione immuno-mediata influenzata da vari fattori endogeni. Inoltre, fattori genetici possono avere un ruolo centrale nel facilitare la flogosi endoculare.

L’occhio è il prototipo dei tessuti “privilegiati” dal punto di vista immunitario, essendo capace di resistere al processo infiammatorio immunomediato attraverso almeno tre di-versi meccanismi: i) in primo luogo la presenza di una barriera ematoretinica capace di isolare l’occhio dall’immunità sistemica; ii) l’assenza (o l’esiguità) di un drenaggio lin-fatico diretto; iii) il microambiente oculare composto da diverse molecole immunoinibi-torie; iv) la capacità di elicitare meccanismi regolatori sistemici finalizzati a limitare il danno qualora il processo infiammatorio si sia sviluppato. Da un punto di visto filoge-netico, infatti, il microambiente oculare si è evolto in modo tale da controllare il proces-so immunitario ed infiammatorio al fine di limitare eventuali danni strutturali che porte-rebbero altrimenti ad una severa compromissione della capacità visiva (10).

3.2 L’occhio e le regolazione dell’immunità innata

L’attivazione e la funzione delle cellule tipiche dell’immunità innata quali le cellule na-tural killer (NK), i monociti-macrofagi e i neutrofili sono regolati da fattori propri al microambiente oculare (11,12).

Tra le cellule dell’immunità innata, i macrofagi mostrano un ruolo di primo ordine in molti casi di infiammazione endoculare, la cui funzione pare però inibita dal neuropep-tide α-melanocyte stimulating hormon (α-MSH) e dal pepneuropep-tide connesso al gene della calcitonina (CGRP), presenti nei fluidi endoculari. Anche l’nterleuchina(IL)-10 prodotta dai linfociti Tγδ può avere un ruolo nella modulazione delle funzioni macrofagiche.

Sebbene non vi via ancora un riscontro diretto, l’identificazione dell’IL-10 come fattore coinvolto nella regolazione dell’infiltrato macrofagico oculare e nella polarizzazione dei macrofagi nella forma regolatoria M2 pare suggerire un ruolo chiave di questa citochina nel conferimento del privilegio immunologico nell’occhio (13,14).

Il fluido oculare contiene almeno due fattori che sopprimono la funzione delle cellule NK: il fattore inibente la migrazione dei macrofagi (MIF) e il transforming growth fac-tor(TGF)-β2, in entrambi i casi sulla base di evidenze indirette (15). Quanto

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12 all’inibizione dei neutrofili, un ruolo chiave è stato identificato nel Fas ligandum (FasL), una proteina capace di fungere da interfaccia tra l’immunità innata e quella ac-quisita. Il FasL di superficie è espresso dalle cellule corneali, dell’iride e nell’epitelio pigmentato retinico. Esso è capace di indurre l’apoptosi dei leucociti esprimenti il Fas e promuove la tolleranza immunologica agli antigeni endoculari (16). Il FasL può essere anche contenuto nel liquido endoculare nella sua forrma clivata (17).

Sempre nell’ambito dell’immunità innata, menzione a parte bisogna tributare al ruolo del complemento. A livello è presente in maniera pressoché costante un basso livello di attivazione della cascata del complemento oculare, probabilmente al fine di salvaguar-dare l’occhio dai germi patogeni. Tuttavia i fluidi oculari contengono un gran numero di proteine regolatorie del complemento tali da prevenirne l’eccessiva attivazione, che fini-rebbe altrimenti per danneggiare i tessuti oculari. Tra queste proteine si segnalano il fat-tore H del complemento (CFH), il complement receptor 1-related gene/protein y (Crry) e il decay-accelerating factor (DAF) (18,19).

3.3 L’occhio e le regolazione dell’immunità acquisita

Gli elementi dell’immunità innata che agiscono in maniera attiva a livello oculare sono i linfociti T CD4+ e CD8+ e gli anticorpi. Numerose sono le molecole capaci di modulare il sistema immunitario acquisito a livello endoculare, compreso il FasL, il programmed death ligand-1 (PD-L1) e l’azione dei linfociti T CD4+ (20).

Quanto ai linfociti CD8+, essi condividono molte caratteristiche effettrici con le cellule NK e possono essere controllati almeno in parte da meccanismi simili a quelli prima de-scritti per questo tipo cellulare. Tuttavia i CD8+ possono agire anche come cellule rego-latorie la cui produzione dipende da cellule NKT a livello splenico (21).

I linfociti T CD4+ naïve retina-specifici sono convertiti in linfociti T (Fox)p3+ regolato-ri e in cellule T secernenti IL-10 a funzione effettregolato-rice regolato-ridotta. Ciò è consentito dal regolato- rico-noscimento a livello oculare dell’antigene specifico e dalla presenza dell’acido retinoico e del TGF-β, entrambi abbondanti nel milieu oculare (22). Al contrario, i linfociti T CD4+ già attivati al di fuori dell’ambiente oculare paiono essere insensibili al microam-biente immunomodulatorio endoculare e continuano ad esprimere le loro funzioni effet-trici (23). In aggiunta, l’occhio in fase infiammatoria è meno capace di convertire i

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lin-13 fociti T CD4+ naïve retina-specifici in cellule T regolatorie. Questo può essere in parte connesso alla presenza di abbondanti mediatori dell’infiammazione, ma anche alla de-plezione dei fattori anti-infiammatori inducenti la formazione delle cellule T (in primis acido retinoico e del TGF-β) (24,25). Tutto ciò può contribuire a spiegare perché le u-veiti a genesi non infettiva possono interessare l’occhio a dispetto dell’ambiente immu-nologicamente “privilegiato”.

In merito alle cellule B, ad oggi non sono note eventuali funzioni aggiuntive rispetto al-la secrezione anticorpale all’interno dell’occhio (20).

3.4 Il processo molecolare coinvolto nella genesi dell’uveite

Sulla base dei meccanismi che rendono l’occhio un “santuario immunologico”, l’infiammazione tipica delle uveiti va considerata in contesti che esulano da questo pri-vilegio organo-specifico.

L’uveite si manifesta con infiammazione mediata da un infiltrato misto contenete sia e-lementi dell’immunità innata che acquisita.

La natura autoimmune del processo è supportata dall’assenza di infezioni, dall’associazione con specifici antigeni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), dal ruolo svolto dalle cellule T nella patogenesi, come evidenziato anche dall’efficacia dei farmaci che agiscono sulle cellule T, incluse la ciclosporina, la rapa-micina e l’inibizione dell’IL-2 con daclizumab (26).

Tuttavia, recentemente è stato proposto come alcune forme di uveite possano avere in realtà un substrato autoinfiammatorio, ovvero maggiormente legato ad una disregala-zione dell’immunità innata (27). Tale affermadisregala-zione si basa sull’osservadisregala-zione di certe as-sociazioni tra uveite e determinate varianti alleliche dei recettori propri dell’immunità innata quali la famiglia dei recettori NOD-like e il NLR family pyrin domain containing 3 (NLRP3), ma anche sul ruolo centrale operato dall’IL-1, citochina principale nella pa-togenesi delle malattie autoinfiammatorie, nella genesi delle uveiti (28). Tutto ciò, però, non andrebbe inteso in senso rigorosamente dicotomico, poiché anche in forme stretta-mente intese come autoinfiammatorie, quali ad esempio le flogosi uveali associate a

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14 MB, sono dimostrabili elementi tipici dell’immunità acquisita come l’incremento della risposta Th1 e Th17 (29).

In base ai dati ottenuti dai modelli murini, è chiaro come le cellule T specifiche per an-tigeni retinici giochino un ruolo chiave nella patogenesi delle uveiti. In particolare, in corso di uveite sono state identificate diverse linee cellulari T effettrici normalmente coinvolte nella lotta ad agenti infettivi, ma capaci anche di determinare danno tissutale. Inoltre, sono state identificate sia cellule Th1 che Th17 specifiche per antigeni retinici coinvolte nel reclutamento dei neutrofili e dei monociti, rispettivamente, ma anche ca-paci di indurre di per se danno tissutale e causare la flogosi uveale (30). In tale contesto, è possibile descrivere la seguente sequenza patogenetica nella genesi delle uveiti: i) cel-lule T autoreattive nei confronti di antigeni retinici sono attivate in periferia come con-seguenza di stimoli ad oggi sconosciuti; ii) tali cellule transitano attraverso i vasi retinici e aderiscono all’endotelio vascolare; iii) a causa del loro stato attivato, le cellule T pro-ducono enzimi degradanti la matrice e metalloproteinasi capaci di rompere le giunzioni vascolari che formano la barriera emato-retinica, permettendo lo stravaso endoculare delle cellule autoreattive; iv) una volta all’interno dell’occhio, le cellule T riconoscono il loro antigene specifico oculare; v) le cellule T autoreattive producono citochine e chemochine tali da attivare le cellule presentanti l’antigene (APC) a livello endoculare, amplificando a dismisura il processo infiammatorio e determinando uveite (26,31,32).

L’amplificazione della cascata infiammatoria, a sua volta, agisce sulla microvascolariz-zazione locale, amplifica il reclutamento di leucociti e APC, determina una ulteriore rot-tura della barriera emato-retinica e, in ultima analisi, si verifica il passaggio di antigeni retinici a livello linfatico con conseguente amplificazione del processo immunitario a-dattativo. A tal punto, i linfociti Th1 o Th17 stimolano anche le cellule dell’immunità innata che contribuiscono anche loro al danno tissutale (23,25).

3.5 La predisposizione genetica

Diversi fattori genetici si sono dimostrati essere associati ad una predisposizione per l’insorgenza delle uveiti. In particolare, i geni maggiormente studiati sono quelli che codificano per l’MHC, le citochine pro infiammatorie, le chemochine e il sistema del complemento.

(17)

15 3.5.1 Il complesso maggiore di istocompatibilità

L’MHC rappresenta un complesso di superficie per tutte le cellule dei vertebrati e per-mette ai leucociti di interagire con altri leucociti e con le altre cellule dell’organismo. Tra le altre funzioni, l’MHC permette alle cellule APC di presentare l’antigene ai linfo-citi CD4+ nell’ambito della risposta immunitaria adattativa. Negli esseri umani l’MHC è definito human leukocyte antigen (HLA) ed è espresso a livello genetico in posizione 6p21.3, una regione che contiene circa 200 geni, oltre 40 dei quali sono geni HLA. Tali geni codificano per un gran numero di molecole presentanti l’antigene sulla superficie cellulare e proteine con funzione immunologica (33).

I geni HLA sono classificati in 3 classi. L’MHC di classe I, espresso in varia misura su tutte le cellule nucleate, comprende geni che codificano per l’HLA-A, HLA-B, HLA-C che formano complessi con peptidi antigenici all’interno della cellula e successivamente esportano tali peptidi sulla superficie cellulare per presentarla ai linfociti T CD8+. L’MHC di classe II comprende geni che codificano per l’DM, DO, HLA-DP, HLA-DQ e HLA-DR che sono espressi nelle cellule APC professionali (cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B) e legano antigeni extracellulari per presentarli poi alle cellule T CD4+. L’HLA di classe III contiene geni che giocano un ruolo chiave nel-la risposta immunologica tra cui componenti del complemento, il tumor necrosis fac-tor(TNF)-α e le heat shock protein.

Le cellule uveali umane, eccezion fatta per l’endotelio vascolare, non esprimono mole-cole di classe I o ne esprimono a bassa concentrazione. L’epitelio pigmentato retinico in condizioni normali non contiene cellule esprimenti l’HLA-II.

L’HLA-B27 è strettamente connesso all’insorgenza di uveite anteriore acuta (UAA) non-granulomatosa, essendo presente fino al 50% dei casi affetti da tale condizione cli-nica. La frequenza di questo antigene nella popolazione generale è tuttavia variabile, es-sendo stato riscontrato in circa nell’8% della popolazione Caucasica e in circa lo 0.5% dei giapponesi. Nonostante l’intensa ricerca scientifica, il preciso meccanismo moleco-lare legato all’insorgenza dell’uveite resta sconosciuto. Interessante è sottolineare che tra i pazienti con UAA associata ad HLA-B27 si riscontra anche una concomitante spondiloartrite in circa i due terzi dei pazienti (34,35).

L’HLA-Bw51 rappresenta il più forte marcatore genetico associato alla MB, sebbene non sia associato ad una maggiore severità di malattia (36).

(18)

16 L’HLA-A29 presenta invece una forte associazione con lo sviluppo della retinocoroidite “Birdshot” (37), presente in circa il 96% dei pazienti e nel 7% della popolazione genera-le. L’HLA-A29 è suddiviso in oltre venti sottotipi, di cui i maggiori sono l’HLA-A*29:01 e l’HLA-A*2902, i quali differiscono per un solo aminoacido. Tra i due alleli, l’HLA-A*2902 presenta la maggiore associazione con lo sviluppo della malattia ed è anche il sottotipo maggiormente espresso nella popolazione caucasica (48% del totale dei portatori di HLA-A29) (38).

L’HLA-B12 e suoi prodotti di splicing (HLA-B44 e -B45), sono stati trovati nel 68% dei pazienti con retinocoroidite “Birdshot”. Tuttavia, l’HLA-B12 risulta in linkage dise-quilibrium con l’HLA-A29 (39).

Varie sono state le associazioni identificate con la VKH. Le più forti sono con l’HLA-DRB1*0405 e l’HLA-DRB1*0410, ma anche con l’HLA-DRB1*0407. In generale, l’aplotipo HLA-DRB1*4 conferisce ai linfociti T CD4+

una maggiore predisposizione ad attaccare i melanociti. In uno studio condotto in California, l’84% degli Ispanici af-fetti da VKH presentavano l’HLA-DR1 e l’HLA-DR4, avendo il primo la maggiormen-te correlazione (40). Un ulmaggiormen-teriore studio condotto su una popolazione giapponese ha e-videnziato anche una associazione tra VKH e HLA-DQ4 e HLA-DQA1*0301 (41).

Quanto ai pazienti con UAC associata ad AIG, ad oggi è stato confermato solamente il ruolo protettivo dell’HLA-DR1, mentre i dati su altre associazioni alleliche sono so-stanzialmente discordanti (33).

L’HLA-DR2, -DR15, -B8 e -B51 sono associati all’insorgenza di pars planite. In parti-colare, l’HLA-DR15 è associato anche all’insorgenza si sclerosi multipla, a sua volta patologia associata ad uveite intermedia (42).

L’oftalmopatia simpatetica si mostra correlata con l’HLADQw3 negli americani e con l’HLA-DQw53 negli giapponesi (33).

La sindrome TINU (nefrite tubulo interstiziale e uveite) è infine associata agli HLA-DQA1*01, -B1*05 e -DRB1*01 (43).

L’epiteliopatia pigmentaria acuta a placche multiple è stata associata ad una maggiore frequenza dell’HLA-DR2 e -B7. Quest’ultimo aplotipo è stato riscontrato con maggior frequenza anche nei pazienti affetti da coroidite serpiginosa (44,45).

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17

Patologia HLA associati

Uveite associata ad HLA-B27 Spondilite Anchilosante Sindrome di Reiter

Uveite in Artrite Psoriasica Uveite in Enteroartrite

HLA-B27

Malattia di Behçet HLA-Bw51

Retinocoroidite “Birdshot” HLA-A29

HLA-B12 Malattia di Vogt-Koyanagi-Harada HLA-DRB1*0405 HLA-DRB1*0410 HLA-DR1 HLA-DR4 HLA-DQ4 HLA-DQA1*0301 Pars Planite HLA-DR2 HLA-DR15 HLA-B8 HLA-B51

Oftalmia simpatica HLADQw3

HLA-DQw53

Nefrite tubulo interstiziale e uveite

HLA-DQA1*01 HLA-B1*05 HLA-DRB1*01

Coroidite serpiginosa HLA-B7

Epiteliopatia pigmentaria acuta a placche multiple HLA-B7 HLA-DR2

Tabella 1. Qui sono riassunte le maggiori associazioni tra aplotipo HLA e varie patologie associate ad uveite.

3.5.2 Le interleuchine

Le interleuchine (IL) sono dei potenti mediatori del processo infiammatorio, coinvolte anche nella patogenesi delle uveiti. Esse permettono un dialogo a distanza tra le cellule dell’infiammazione che in ultima analisi culmina con una regolazione del sistema in-fiammatorio in termini di induzione o inibizione. In particolare, l’1, 2, 21, IL-27, l’IL-6 e il TNF-α sono tutte citochine coinvolte nell’induzione della flogosi uveale. Per tale ragione, sono stati condotti vari studi finalizzati ad identificare eventuali asso-ciazioni tra l’insorgenza dell’uveite e particolari polimorfismi genici a carico dei geni che codificano per tali citochine, in particolare l’IL-1 e il TNF-α.

Nel dettaglio, alcuni polimorfismi del gene dell’IL-1, quali l’IL-1A e l’IL-1B, sono stati associati all’insorgenza della MB (46), mentre polimorfismi del TNF-α o dei rispettivi recettori sono stati associati alla suscettibilità e alla severità della UAA (47,48).

(20)

Tuttavi-18 a, esistono varie discrepanze tra i diversi studi ed è difficile stabilire se queste associa-zioni derivino o meno da un linkage disequilibrium con geni HLA. In ogni caso, una metanalisi ha confermato l’associazione tra MB ed i polimorfismi del TNFα 857T, -238A, e -1031C (49).

3.5.3 Le chemochine

Le chemochine sono una famiglia di peptidi secreti durante la cascata infiammatoria dalle cellule endoteliali in risposta alle citochine, principalmente TNF-α ed IL-1. La funzione principale delle citochine è reclutare i leucociti nella regione dell’infiammazione, ma alcuni di essi agiscono anche come induttori della neovascola-rizzazione. Il numero dei residui di cisteina e la loro posizione lungo la struttura prima-ria del peptide consentono di classificare le chemochine in quattro gruppi: i) CC, in cui le prime due cisteine sono adiacenti; ii) CXC, in cui le prime due cisteine sono separate da un aminoacido; iii) CX3C, in cui le prime due cisteine sono separate da tre aminoa-cidi; iv) chemochine C, nella cui catena primaria sono presenti solamente due cisteine anziché quattro, corrispondenti al secondo e al terzo residuo propri delle altre chemo-chine (50).

Una lunga serie di chemochine è stata identificata come parte attiva nel reclutamento delle cellule infiammatorie in corso di uveite, in particolare IP-10, un ligando per il re-cettore CXCR3 presente sulle cellule T attivate, in particolare Th1 (51,52). Inoltre, l’RNA messaggero di alcune chemochine è stato trovato incrementato prima dell’insorgenza delle uveiti sperimentali in modelli murini, a suggerirne un ruolo nel re-clutamento iniziale delle cellule infiammatorie. Tra questi si segnala la proteina 1 che-moattrattiva dei monociti (MCP-1), la proteina 1 infiammatoria macrofagica (MIP-1), la proteina 10 indotta da interferon-γ (53,54).

Diversi polimorfismi sono stati riscontrati nei geni che codificano per le chemochine o i loro recettori, in particolare MCP-1, CCL2, CCL5, CX3CR1, CCR2 e CCR5. Inoltre, sono stati identificati polimorfismi delle regioni promotrici di CCL2 e CCL5, che po-trebbero avere un ruolo nel regolarne l’espressione genica (55-58).

Quanto al gene che codifica per il recettore 1 di CX3C (CX3CR1), l’aplotipo I249/M280 è stato associato all’insorgenza di vasculite retinica non ischemica (59).

(21)

19 3.5.4 Il sistema del complemento

Il sistema del complemento è un elemento centrale dell’immunità innata e comprende oltre trenta proteine sieriche e di superficie coinvolte nella difesa contro le infezioni e nell’induzione del processo infiammatorio. I fattori del complemento sono sintetizzati prevalentemente a livello epatico, ma una increzione locale può avvenire anche a livello delle cellule endoteliali, dei fibroblasti e dei monociti/macrofagi. L’attivazione del si-stema del complemento avviene attraverso tre differenti vie, classica, alternativa e lega-ta alla lecitina (60). In condizioni normali il sistema del complemento è attivo a livelli ridotti ed è sorvegliato da diversi meccanismi regolatori tra cui il CFH. Proprio in meri-to al CFH, un polimorfismo 184G è stameri-to associameri-to all’insorgenza delle uveiti anteriori, mentre i polimorfismi V62I e E936D sono stati associati all’insorgenza delle uveiti in-termedie e posteriori (61,62).

Il fattore B del complemento (CFB), un componente della via alternativa, condivide con CFH lo stesso sito di legame verso la proteina del complemento C3b. A tal riguardo, uno studio ha messo in evidenza una associazione tra uveite anteriore e il polimorfismo CFB-rs1048709 (63).

(22)

20

4. EPIDEMIOLOGIA

L’uveite include il 5%-20% dei casi di cecità negli Stati Uniti e in Europa e probabil-mente fino al 25% dei casi nei Paesi in via di sviluppo (2,64). Nel mondo occidentale l’uveite ricorre con una incidenza che varia tra i 17 e i 52 casi per 100.000 abitanti all’anno e con una prevalenza di 38-714 casi per 100.000 abitanti (3,65-67).

Le forme infettive sono più comuni nel Paesi in via di sviluppo e rappresentano nel loro insieme il 30%-50% di tutti i casi di uveite (68,69). Quanto alle forme non infettive, le cause più comuni di uveite sono l’uveite idiopatica, l’iridociclite eterocromica di Fuchs, l’uveite associata ad HLA-B27, la sarcoidosi, la VKH, l’oftalmia simpatetica, la coroi-dite multifocale, la MB, la AIG. Frequenti, inoltre, sono le masquerade syndromes, condizioni neoplastiche capaci di creare un quadro endoculare molto simile a quello ri-scontrabile nel paziente con uveite e che pertanto necessitano di essere escluse nell’ambito di una adeguata diagnosi differenziale.

La maggior parte delle uveiti associate a sarcoidosi sono riportate negli Stati Uniti, in Giappone e in Olanda. La MB, invece, è maggiormente riscontrata in Turchia, Iran, Grecia, Giappone, Cina e Arabia Saudita. La VKH è più frequente in Europa e Asia. La retinocoroidite “Birdshot” è più diffusa nei Paesi occidentali (70-74).

4.1 Epidemiologia in base alla classificazione anatomica

4.1.1 Uveite Anteriore

Nei paesi occidentali l’uveite anteriore è di gran lunga la forma di infiammazione uvea-le più frequente e colpisce il 50% circa dei pazienti affetti da uveite. Nella maggior par-te dei casi si tratta di forme idiopatiche seguipar-te dalle forme associapar-te a positività dell’aplotipo HLA-B27 e alla spondilite anchilosante. Seguono l’iridociclite eterocro-mica di Fuchs e le forme erpetiche (64,75,76).

La prevalenza dell’uveite anteriore è relativamente inferiore nei Paesi asiatici, dove la frequenza dell’HLA-B27 è inferiore (64,71,75,77).

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21 4.1.2 Uveite Intermedia

L’uveite intermedia rappresenta la forma meno comune di uveite ed è idiopatica nella maggior parte dei pazienti (si parla in questi casi di pars planite). In base a studi condot-ti in California, l’incidenza dell’uveite intermedia è di 1.5 casi per 100.000 abitancondot-ti all’anno (3). La pars planite è maggiormente diffusa tra i caucasici ed esordisce prima dei 40 anni nella totalità dei casi (78,79).

La forma di uveite intermedia determinata da human T-cell lymphotropic virus type 1 (HTLV-1) è presente in specifiche zone geografiche (Giappone, Caraibi e alcune zone dell’Africa e dell’America latina) nonostante il virus abbia ampia diffusione mondiale (76).

Molti studi hanno dimostrato come l’uveite intermedia sia stata identificata in pazienti con sclerosi multipla, sebbene non vi siano associazioni temporali tra l’insorgenza della flogosi uveale e delle manifestazioni neurologiche (78,80-82). In particolare, la preva-lenza dell’uveite intermedia è 10 volte superiore tra i pazienti con sclerosi multipla ri-spetto alla popolazione generale (80,83). Altre cause relativamente frequenti di uveite intermedia sono la la sarcoidosi e la malattia di Lyme.

4.1.3 Uveite Posteriore

L’uveite posteriore è la forma di uveite maggiormente riscontrata dopo l’uveite anterio-re, corrispondendo al 15%-30% dei casi di uveite (75,76). L’eziologia più frequente è la toxoplasmosi, seguita dalle forme idiopatiche. La maggiore incidenza di uveite posterio-re da Toxoplasma si riscontra in America Latina. In India, invece, è più fposterio-requente l’uveite posteriore tubercolare, mentre in Africa è epidemiologicamente rilevante l’uveite posteriore da oncocercosi. L’uveite da istoplasmosi è rilevata quasi esclusiva-mente negli Stati Uniti, in particolare nella valle del Mississippi-Ohio. Le forme di uvei-te posuvei-teriore da VKH e MB sono più diffuse in paesi in via di sviluppo e, per quanto ri-guarda la MB, lungo quella che veniva definita “la via della seta” (84).

(24)

22 4.1.4 Panuveite

La panuveite è la forma più diffusa di uveite in America Meridionale, Africa e Asia ove è spesso connessa a fattori infettivi, quali l’oncocercosi in Africa. Nel mondo occidenta-le, invece, la forma più diffusa è quella idiopatica seguita, in Asia, dalla MB (6).

4.2 Epidemiologia in base all’età di insorgenza

Tutte le età possono essere interessate dall’insorgenza delle uveiti, ma tale patologia si esprime con maggiore frequenza tra in 20 e 60 anni (2,65,85). L’uveite anteriore rappre-senta la forma più diffusa di uveite sia negli adulti che tra i pazienti pediatrici; nei bam-bini, però, prevale l’uveite associata ad AIG, mentre nell’adulto è prevalente l’uveite anteriore associata ad HLA-B27 (2,64,70,75).

4.2.1 Il bambino

Nel bambino l’incidenza dell’uveite è circa cinque volte minore rispetto a quanto accade in età adulta, mentre la prevalenza è circa dieci volte inferiore.

L’uveite anteriore rappresenta il 30%-40% di tutti i casi di uveite in età pediatrica e la causa più comune è la AIG. Segue in frequenza l’uveite intermedia.

Le uveiti posteriori pediatriche sono più frequentemente associate ad infezioni da Toxo-plasma, Toxocara canis o a forme idiopatiche, ma la loro frequenza risulta essere in calo rispetto ad alcuni decenni fa. Al contrario, si è assistito ad un incremento percentuale delle panuveiti, mentre la frequenza dell’uveite intermedia è rimasta stabile (6).

Nel bambino l’uveite porta a deficit visivi in circa un terzo dei casi (86-90).

Anche nel bambino vanno escluse le masquerade syndromes, essendo il retinoblastoma e le leucemie possibili condizioni associate ad errata diagnosi di uveite.

4.2.2 L’anziano

L’uveite ad esordio oltre i 60 anni d’età non è particolarmente comune e spesso l’infiammazione uveale rappresenta una masquerade syndrome che copre problemi di

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23 altra natura, quali il linfoma oculare e le sindromi paraneoplastiche (65). Se si escludo-no le forme infettive e le masquerade syndromes, l’uveite dell’anziaescludo-no è più spesso i-diopatica (91).

5. FATTORI PREDISPONENTI

In merito alla predisposizione genetica, si è ampiamente parlato. Quanto ad altri fattori, sono da annoverarsi l’età, il sesso e l’etnia/provenienza geografica.

Se si escludono le forme infettive, l’uveite è rara dopo i 60 anni e poco frequente in età pediatrica, probabilmente in connessione all’immaturità del sistema immunitario. Non vi sono differenze di incidenza in base al sesso, ma alcune forme di uveite sono più fre-quenti tra gli uomini, altri tra le donne. In particolare, le UAA sono più diffuse tra gli uomini, mentre le uveiti anteriori croniche (UAC) da sarcoidosi o artrite reumatoide so-no più frequenti nella donna. L’uveite posteriore da VKH è più frequente nelle donne. Quanto all’etnia, l’uveite associata ad HLA-B27 e ad AIG sono più caratteristiche dell’etnia Caucasica, mentre la VKH è meno presente tra i bianchi, essendo più frequen-te invece in quelle popolazioni di colore scuro, ma non tra i neri sub-sahariani. La pro-venienza geografica incide sull’epidemiologia dell’uveite in relazione alla differente e-sposizione a determinati agenti infettivi.

6. DIAGNOSI ANATOMO-CLINICA

Al fine di una corretta diagnosi anatomo-clinica resta indispensabile un corretto esame obiettivo. Già l’esame ispettivo a luce focale può fornire utili elementi diagnostici per-mettendo la rilevazione della reazione ciliare, le alterazioni di colore dell’iride, la forma della pupilla, il coinvolgimento dell’episclera e della sclera e la trasparenza dei mezzi diottrici. Fondamentale è la biomicroscopia alla lampada a fessura con o senza l'ausilio di lenti, che permette di valutare in dettaglio tutte le alterazioni infiammatorie, degene-rative e strutturali a livello della cornea, camera anteriore, umore acqueo, iride, cristalli-no, corpo vitreo, disco ottico e retina. L’esame oftalmoscopico deve essere effettuato in

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24 tutti i tipi di uveite, compresa l’uveite anteriore nelle quali è di particolare interesse lo studio della periferia retinica e della regione papillo-maculare. L’oftalmoscopia indiretta con o senza l’indentazione sclerale e l’esame biomicroscopico con lente a tre specchi di Goldman permettono, oltre allo studio completo delle membrane profonde, anche l’esame del vitreo posteriore e la valutazione delle sue alterazioni infiammatorie e dege-nerative. Gli altri esami strumentali devono essere richiesti di volta in volta qualora il clinico ritenga utili eventuali approfondimenti diagnostici. Di seguito saranno descritti nel dettaglio i quadri clinici evidenziabili all’oftalmoscopia nel contesto dei diversi qua-dri uveitici. Le informazioni contenute nel seguente capitolo semeiologico sono riassun-te dalla voce bibliografica 9 (9).

6.1 Uveiti Anteriori

6.1.1 I sintomi

Da un punto di vista sintomatologico, l’uveite anteriore si caratterizza per la presenza di dolore, fotofobia, lacrimazione e annebbiamento visivo.

Il dolore delle UAA è profondo, dovuto all’irritazione dei nervi ciliari e si accentua con la pressione, l’esposizione alla luce e nella visione da vicino. Nelle UAC il dolore può essere assente oppure è sordo. La fotofobia e la lacrimazione sono marcate soprattutto nelle iridocicliti acute e subacute, mentre sono lievi o assenti nelle UAC. La fotofobia dipende dallo spasmo ciliare e dall’interessamento corneale. Nei casi severi vi è blefaro-spasmo persistente, mentre nelle forme meno severe il disturbo insorge solamente in ca-so di illuminazione. La lacrimazione è secondaria alla irritazione dei nervi corneali e ci-liari.

La riduzione del visus può essere di grado variabile (da lieve a severo). Nelle UAA è legato soprattutto alle alterazioni corneali (precipitati endoteliali, edema) e all’intorbidimento dell’umore acqueo e del vitreo da parte dell’essudazione in camera anteriore e in camera vitrea. Nelle forme recidivanti e croniche i deficit visivi possono essere maggiormente legati ad opacità lenticolari e vitreali, ad alterazioni proliferative epipupillari, all’edema papillare e maculare, che sono complicanze della flogosi anterio-re perduranti da lungo tempo.

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25 6.1.2 I segni

I segni che caratterizzano l’uveite anteriore sono invece: la reazione pericheratica, i pre-cipitati corneali endoteliali, il tyndall, l’essudazione cellulare in camera anteriore, la mi-osi, le irregolarità pupillari secondarie a sinechie posteriori e l’ipotonia endoculare.

6.1.2.1 La congestione

Generalmente è il primo segno dell’uveite anteriore e nelle forme più gravi può diffon-dere anche alla congiuntiva che può diventare chemotica. Caratteristica è la sua assenza nell’iridociclite eterocromica di Fuchs. La diagnosi differenziale va posta con la con-giuntivite, l’episclerite e la sclerite; in queste ultime due affezioni la reazione è gene-ralmente a settore e comunque non interessa mai tutta la circonferenza limbare. Nelle congiuntiviti, invece, la dilatazione dei piccoli vasi è più superficiale, determinando un colore rosso acceso rispetto al colore più bluastro dell’uveite.

6.1.2.2 I precipitati corneali

I precipitati corneali sono aggregati di cellule infiammatorie presenti nell’umore acqueo e depositati sulla superficie dell’endotelio corneale. Lo studio delle caratteristiche dei precipitati corneali può fornire elementi utili all’inquadramento diagnostico e prognosti-co dell’uveite.

I precipitati “a grasso di montone” sono costituiti da macrofagi e cellule epitelioi-di che si aggregano a formare ammassi biancastri dalla forma grassosa, a patata schiacciata. Col tempo tendono ad au-mentare di grandezza e a cambiare colo-re, mentre i margini diventano frastagliati e seghettati. Possono non scomparire mai del tutto, acquisendo un aspetto diafano (ombre o fantasmi di precipitato). Gene-ralmente sulla cornea hanno una disposi-zione a triangolo con apice in alto. I

pre-Figura 2. precipitati a grasso di montone con la caratteristica sagoma irregolare e l’aspetto a “pa-tata schiacciata”, distribuiti soprattutto nella re-gione inferiore dell’endotelio corneale. Per gentile concessione della Dott.ssa Claudia Fabiani.

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26 cipitati a grasso di montone sono più tipici delle uveiti granulomatose e croniche; tutta-via, si possono evidenziare anche nelle flogosi non-granulomatose particolarmente seve-re. La figura 2 mostra un esempio di precipitati a grasso di montone in un paziente con uveite anteriore da HZV.

I precipitati bianchi, invece, sono generalmente costituiti da linfociti e plasmacellule e sono piccoli, bianchi, numerosi, non tendono a confluire, hanno margini netti e

scom-paiono con la risoluzione della flogosi. Sono tipici delle forme non-granulomatose. Si riscontrano caratteri-sticamente nella iridociclite eterocromica di Fuchs in maniera diffusa su tutto l’endotelio corneale. Questa disposizione diffusa (non a triangolo) è comunque ca-ratteristica anche delle cherato-uveiti er-petiche. La figura 3 mostra un tipico e-sempio di precipitati bianchi; l’immagine è tratta da Herbort et al (92).

I precipitati corneali vanno distinti dalle lesioni tipiche della cornea guttata e dai precipitati della sindrome pseudoesfoliativa capsulare; utile è anche la diagnosi differenziale con i precipitati pigmentati riscontrabili nelle patologie degenerative quali la miopia, il glaucoma, il diabete o dopo interventi chirurgici.

Figura 3. Precipitati corneali bianchi. Si noti il ca-ratteristico aspetto fine, a margini netti, distribuiti su tutta la superficie corneale. La figura è tratta dalla voce bibliografica 92.

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27 6.1.2.3 Tyndall ed essudazione cellulare in camera anteriore

L’umore acqueo è normalmente lim-pido e otticamente vuoto all’esame biomicroscopico. Nelle uveiti anterio-ri, invece, l’essudazione vascolare di proteine, fibrina e cellule infiammato-rie ne inficia la trasparenza. In partico-lare, l’aumento del contenuto proteico è responsabile del fenomeno tyndall

ed è indicativo della presenza o persi-stenza del processo infiammatorio in camera anteriore. Così come intuibile dalla figura 4, il fenomeno tyndall è una valutazione del particolato presente in camera anteriore percepibile al passaggio di un fascio luminoso. Il tyndall, in accordo con le indicazioni della SUN (5) riportate in tabella 2, si quantifica su una scala che va da 0 a 4+ in base alla quantità di proteine pre-senti in camera anteriore.

Nelle UAA il tyndall è generalmente intenso e proporzionale all’infiammazione, ma re-gredisce completamente con il retrocedere della flogosi. Nelle uveiti croniche, invece, si osserva un tyndall senza cellule più o meno intenso anche nei periodi di remissione e in questo caso è più che altro indicativo di un danno della permeabilità vascolare legato al-la flogosi cronica. In questi casi sarà al-la presenza delle cellule a descrivere le eventuali riacutizzazioni.

Tyndall Caratteristiche

0 Assente

1+ Tenue

2+ Moderato (iride e cristallini visibili nei dettagli) 3+ Marcato (iride e cristallino confuso)

4+ Abbondante fibrina o umore acqueo plastico

Tabella 2. Grading dell’essudazione in camera anteriore valutata tramite fenome-no tyndall. La classificazione proposta in tabella è stata tratta dalle direttive pro-poste dalla Standardization of Uveitis Nomenclature (SUN) Working Group (voce bibliografica 5).

Figura 4. Effetto tyndall in camera anteriore. Si os-serva l’intensa corpuscolatura identificabile al pas-saggio del fascio luminoso. In questo caso il tyndall è pari a 3+ secondo la classificazione proposta dalla

Standardization of Uveitis Nomenclature (SUN) Working Group.

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28 Le cellule dell’umore acqueo si identificano meglio in contrasto con il fondo scuro del forame pupillare e quando il tyndall non è molto intenso. La presenza di cellule infiam-matorie è sempre indicativa di flogosi e la loro quantità varia con la gravità e lo stadio dell’attività di malattia. E’ possibile quantificare la presenza delle cellule in camera an-teriore (5). Anche in questo caso, la quantificazione varia da 0 a 4+, secondo lo schema mostrato in tabella 3. La presenza di precipitati cellulari a livello dell’angolo della ca-mera anteriore, del cristallino e dell’iride con le stesse caratteristiche di quelli riscontra-bili sull’endotelio corneale (a grasso di montone, precipitati bianchi) assume un signifi-cato patogenetico più grave.

Grado Numero di cellule per campo

(1 mm x 1 mm alla lampada a fessura)

0 <1 0.5+ 1-5 1+ 6-15 2+ 16-25 3+ 26-50 4+ >50

Tabella 3. Grading della cellularità in camera anteriore secondo la classificazione della Standardization of Uveitis Nomenclature (SUN) Working Group (voce bibliografica 5).

In caso di intensa flogosi uveale, il passaggio di fibrina in camera anteriore può deter-minare un aspetto gelatinoso dell’umore acqueo con cellule quasi immobili e tralci di fibrina che si depositano sulle strutture bagnate dall’acqueo. In questi casi si parla di iri-te plastica.

6.1.2.4 Ipopion

Una reazione infiammatoria iperintensa può indurre una tale cellularità in camera ante-riore da determinare per gravità precipitazione delle cellule nella parte bassa in modo da formare un livello bianco-giallastro. Il tipo di cellule che formano tale livello dipende dalla patologia in questione: nella MB è formato essenzialmente da polimorfonucleati, mentre nella forma da Toxocara c’è una preponderante concentrazione degli eosinofili.

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29 L’ipopion deve essere differenziato dallo pseudoipopion delle sindromi non infiammatorie, ivi compresi i tu-mori endoculari, i linfomi, le leucemie, i corpi estranei intraoculari. In certi ca-si, solamente lo studio della cellularità permetterà una adeguata diagnosi

dif-ferenziale. La figura 5 illustra un tipico esempio di ipopion.

6.1.2.5 Le alterazioni iridee

A livello irideo è possibile identificare una congestione tale da rendere l’iride opaco, con offuscamento della normale trama e variazione del colore: le iridi azzurre diventano tendenzialmente verdastre e quelle marroni diventano giallo-rossastre.

L’essudazione proteica e cellulare determinano la formazione di noduli iridei, sinechie iridee anteriori e posteriori ed eventualmente l’occlusione pupillare.

6.1.2.5.1 Noduli iridei e granulomi

I noduli, più tipici delle uveiti croniche a lenta evoluzione, sono presenti sia nelle uveiti granulomatose che nelle forme non granulomatose. Essi sono costituiti da aggregati di linfociti e plasmacellule e, meno frequentemente, macrofagi. Se ne conoscono due tipi: noduli di Busacca e noduli di Koeppe.

I noduli di Busacca dono disposti nello stroma irideo, lontano dall’area pupillare, sono di dimensione variabile e appaiono come escrescenze sulla superficie anteriore dell’iride. Se posti alla base dell’iride, favoriscono le sinechie anteriori.

Figura 5. Esempio di ipopion in paziente affetto da uveite anteriore acuta HLA-B27 correlata. Per gen-tile concessione della Dott.ssa Claudia Fabiani.

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30 I noduli di Koeppe sono localizzati sul bordo pupillare, hanno dimensioni minute e pre-sentano una colorazione biancastra o traslucida, ma col tempo possono pigmentarsi. Possono rappresentare il punto di partenza di una sinechia iridea posteriore.

I noduli di Busacca sono maggiormente indicativi di una forma granulomatosa rispetto ai noduli di Koeppe. Sia i noduli di Busacca che di Koeppe sono illustrati in figura 6, tratta da Herbort et al (92).

I granulomi sono di dimensioni maggiori rispetto ai noduli, sono spesso singoli, di colo-rito roseo, vascolarizzati. Sono specifici della tubercolosi, della sifilide e della sarcoido-si.

6.1.2.5.2 Sinechie iridee

Le sinechie sono delle aderenze tra iride e strutture adiacenti determinate dal deposito di fibrina e pigmenti successivamente sottoposti ad organizzazione da parte delle cellule infiammatorie e dei fi-broblasti iridei. Si distinguono in po-steriori ed anteriori.

Le sinechie posteriori si instaurano tra iride e capsula anteriore del cri-stallino. Tendono a formarsi soprat-tutto nelle forme caratterizzate da tyndall elevato e nelle forme acute e

Figura 6. Sulla sinistra identifichiamo i noduli iridei di Busacca, lontani dal margine pupillare; sulla destra si identificano i noduli di Koeppe, al margine pupillare. Sulla sinistra si vedono bene i preci-pitati corneali a grasso di montone, facenti cono d’ombra sull’iride. L’immagine è tratta dalla voce bibliografica 92.

Figura 7. Deformità pupillare secondaria a formazio-ne di siformazio-nechie posteriori in paziente con uveite ante-riore idiopatica. Per gentile concessione della Dott.ssa Claudia Fabiani.

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31 subacute recidivanti. Al contrario, nella iridociclite eterocromica di Fuchs le sinechie posteriori non si formano mai. Le sinechie posteriori deformano anche vistosamente il forame pupillare, conferendogli talora un aspetto floriforme, come si osserva in figura 7. Qualora la sinechia si disponga in maniera circolare peripupillare, si può avere una completa seclusione della pupilla (blocco pupillare).

Le sinechie anteriori si formano tra iride e strutture angolari. Sono necessari tuttavia i seguenti eventi predisponenti che avvicinino l’iride alla cornea: l’edema irideo, il blocco pupillare che induca l’umore acqueo a spingere l’iride in avanti; l’organizzazione di es-sudati nell’angolo irido-corneale che facciano trazione tra iride e strutture angolari. La formazione delle sinechie anteriori è più frequente nelle uveiti anteriori croniche.

6.1.2.5.3 Occlusione pupillare e atrofia iridea

L’occlusione della pupilla è spesso legata alla presenza di una membrana infiammatoria epipupillare o alla presenza di sinechie posteriori organizzate nel contesto di uveiti ca-ratterizzate da un’alta componente essudativa.

Caratteristico delle uveiti anteriori è l’occhio miotico, dovuto allo spasmo del muscolo costrittore della pupilla, ma anche all’edema che incrementa il volume irideo.

L’atrofia iridea è frutto di uveiti croniche re-cidivanti che determinano fenomeni degene-rativi sia a livello stromale che dell’epitelio pigmentato posteriore. L’atrofia si caratte-rizza per l’appiattimento della normale strut-tura iridea e per la presenza di aree di de-pigmentazione. L’atrofia può essere diffusa, a chiazze, a settore o dell’orletto pupillare. La variante a settore è tipica delle iridocicliti virali, soprattutto erpetiche. Va sottolineato che atrofie essenziali dell’iride possono si-mulare le forme post-zosteriane, così come l’atrofia ischemica a settore secondaria a glaucoma acuto. La figura 8 mostra una uveite anteriore da HZV con precipitati corneali a grasso di montone e atrofia iridea a chiazze.

Figura 8. Uveite anteriore da HZV. Si noti l’atrofia iridea a chiazze. Per gentile conces-sione della Dott.ssa Claudia Fabiani.

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32 6.1.2.6 Alterazioni del cristallino

Le alterazioni del cristallino in corso di uveite anteriore comprendono i precipitati, i de-positi pigmentati e le opacità.

I precipitati sono equivalenti a quelli corneali e si depositano sulla capsula anteriore nel-le iriti e anche sul versante posteriore nelnel-le iridocicliti. Vi si possono individuare anche aggregati di pigmento, costituiti da epitelio pigmentato irideo, indicativi di sinechie po-steriori distaccate.

Le alterazioni della trasparenza del cristallino sono causate in parte dall’azione tossica delle molecole infiammatorie sulla lente e in parte dalla degenerazione indotta dalla formazione delle sinechie posteriori, che determinano liquefazione delle fibre superfi-ciali della capsula. La severità delle opacità è legata alla intensità e alla durata del pro-cesso infiammatorio. Le iridocicliti prolungate determinano alterazioni degenerative sottocapsulari anteriori e soprattutto posteriori, primariamente a livello dell’area centra-le.

L’evoluzione verso la cataratta rappresenta una complicanza relativamente frequente delle uveiti anteriori recidivanti e croniche.

6.1.2.7 Alterazioni vitreali

Le iridocicliti si distinguono dalle iriti per la presenza di cellularità e opacità nello spa-zio retrolentale e nel vitreo anteriore, determinate da un coinvolgimento infiammatorio del corpo ciliare (ciclite).

Le opacità vitreali sono associate alla presenza di agglomerati cellulari, essudati, fibrina e residui collageni che, in base alla distribuzione e alle caratteristiche morfologiche e cinetiche, possono essere classificate come anteriori, posteriori, diffuse, filiformi, pulve-rulente, fisse e mobili.

La corpuscolatura vitreale non retrocede mai completamente, ma le opacità si riducono in numero aggregandosi nella trama vitreale.

La classificazione dell’opacità vitreale è compresa tra 0 e 4+ (93), come più chiaramen-te illustrato in tabella 4.

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33

Tabella 4. Classificazione del grado di opacità vitreale proposta da Nussenblatt et al nel 1985 (voce bibliografica 93). Essa è attualmente la classificazione maggiormente impiegata per la valutazione dell’intensità dell’opacità in camera vitrea.

Nelle forme recidivanti o croniche il vitreo va incontro a fenomeni degenerativi con rot-tura della trama collagena e retrazione; il distacco del vitreo è pressoché costante nelle uveiti anteriori perduranti nel tempo. Il vitreo collassato forma aree di addensamento e opacità che insieme agli infiltrati cellulari determinano i caratteristici essudati “a palla di neve”, più tipici delle uveiti intermedie e posteriori. Questi sono visibili come essuda-ti di dimensioni elevate, mobili, reperibili soprattutto nella periferia vitreale.

6.1.2.8 Variazioni della pressione endoculare

L’uveite anteriore e in particolar modo le iridocicliti, sono contraddistinte da una ridu-zione della pressione endoculare legata ad una ridotta produridu-zione di umore acqueo da parte del corpo ciliare infiammato. Generalmente il tono si riporta a valori normali non appena il processo infiammatorio cessa. Nelle forme croniche, però, l’ipotonia può per-sistere e in tal caso è legata ad una degenerazione del corpo ciliare che può esitare in una atrofia del bulbo oculare.

In alcuni casi, però, l’uveite acuta può associarsi ad ipertono legato all’ostruzione del canale di Schlemm e dell’angolo iridocorneale secondario al depositarsi del materiale proteico e cellulare che caratterizza il processo infiammatorio nelle vie di deflusso. Le

Grado di opacità vitreale Caratteristiche morfologiche

0 Buon esame di tutti i dettagli del polo posteriore

Tracce (±) Non visibili le striature e il riflesso delle fibre nervose retiniche

1+ Buona visualizzazione dei vasi retinici e della papilla ottica

2+ Buona visualizzazione della papilla ottica, ma non dei vasi retinici

3+ La papilla ottica è visibile, ma i margini sono sfuocati; i vasi retinici sono mal definibili

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34 uveiti ipertensive sono più tipiche delle forme virali, in particolare da Herpes zoster vi-rus (HZV), Herper simplex vivi-rus (HSV), ma si riscontra anche nella sindrome di Po-sner-Schlossmann.

6.2 Uveiti Intermedie

6.2.1 I sintomi

La sintomatologia delle uveiti intermedie è molto scarsa, prevalentemente caratterizzata da miodesopsie e annebbiamenti transitori, mentre il dolore, la congestione e la fotofo-bia sono assenti.

6.2.2 I segni

I segni obiettivi si riscontrano nella periferia del fondo oculare. Possono essere osservati segni infiammatori in camera anteriore ma con tyndall tenue (massimo 1+) e qualche precipitato endoteliale corneale essenzialmente legato al fenomeno dello “spill over” (migrazione di cellule in camera anteriore). Al contrario, la reazione pericheratica è sempre assente.

6.2.2.1 Alterazioni vitreali

Nel vitreo anteriore è possibile riscontrare cellule infiammatorie, pigmento ed essuda-zione proteica che si aggregano a formare gli essudati “snow balls”, ovvero “a palla di neve” e a “uova di formica”. Questi possono confluire a formare banchi che si saldano alla pars plana della coroide formando una membrana preretinica biancastra (snow banks) da cui possono partire prolungamenti a dito di guanto nel vitreo. Queste mem-brane possono organizzarsi in strutture più o meno traenti o anche essere oggetto di ne-ovascolarizzazione e quindi determinare emorragie intraretiniche. La figura 9 mostra le caratteristiche opacità “a palla di neve”; la figura 10, tratta da Herbort et al (92), mostra come le opacità vitreali confluiscano a creare una struttura “a uova di formiche” o a “collana di perle”.

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35 Costante nelle uveiti intermedie è il di-stacco posteriore del vitreo con o senza collasso vitreale.

6.2.2.2 Alterazioni retiniche

Frequente è la vasculite segmentaria periferica associata ad essudati vitreali preretinici. Ad essere interessate sono prevalentemente le venule su cui si riscontra periflebite e, più raramente, vasculite retinica. La vasculite resta il più delle volte confinata alla periferia retinica, ma può accadere che diffonda al polo posteriore.

La periflebite si identifica all’esame oftalmoscopico come un inguainamento segmenta-rio di aspetto granulare o moniliforme. In tali casi è bene integrare la valutazione ocula-re con una fluorangiografia ocula-retinica e con angiografia al verde di indocianina, mentocula-re l’OCT può identificare e quantificare un possibile, anzi frequente, edema maculare. Della vasculite retinica si parlerà estesamente nel paragrafo dedicato alla semeiotica dell’uveite posteriore.

Figura 9. Opacità del vitreo tipo snow balls. Per gentile concessione della Dott.ssa Claudia Fabia-ni.

Figura 10. Opacità vitreali “a collana di perle”. L’immagine è tratta dalla voce bibliografica 92.

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