• Non ci sono risultati.

Festa della Repubblica: Io ancora mi ricordo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Festa della Repubblica: Io ancora mi ricordo"

Copied!
4
0
0

Testo completo

(1)

1

ISTITUTO PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA IN PROVINCIA DI ASTI

c.so Alfieri 375 14100 ASTI tel. 0141 590003 – 0141 354835 fax 0141 592439

www. israt.it e-mail: info@israt.it c.f.: 92008450055

L’attualità della Resistenza*

Lucio Tomalino

A nome dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Asti, dell’Anpi e di tutte le altre associazioni resistenziali, delle formazioni partigiane che hanno operato nell’Astigiano, saluto le autorità militari e civili, i rappresentanti del Parlamento e della Regione, i signori sindaci, i combattenti per la libertà che hanno operato in Italia e all’estero, i deportati e gli internati, e tutti i presenti a questa manifestazione indetta qui ad Asti per celebrare il 57° anniversario della liberazione.

Porgo un riverente omaggio ai gonfaloni decorati con Medaglia d’Oro della Provincia di Asti e a quelli decorati con medaglia d’argento di Nizza Monferrato e Rocchetta Tanaro e con medaglia di bronzo di Scurzolengo. Un commosso ricordo a tutti i caduti per la libertà che sentiamo presenti oggi con noi e per onorare i quali auspichiamo che anche la città di Asti possa dotarsi in tempi brevi di un monumento che ne perpetui il ricordo.

In Italia oggi esiste l’esigenza di riflettere con attenzione e profondità sulle grandi lezioni della storia. Incominciamo intanto a rilevare i tratti salienti della resistenza italiana.

La Resistenza non fu una sola. Ci fu quella delle formazioni partigiane sulle montagne e sulle colline, quella della popolazione civile che la appoggiò nelle città e nelle campagne, quella dei militari che si unirono agli alleati in Italia e all’estero, quella dei prigionieri che rifiutarono di servire i nazifascisti. La Resistenza non è un valore di parte, la bandiera di una fazione, una pagina da smitizzare o relativizzare in una notte grigia in cui ogni parte ha i suoi torti e le sue ragioni: è il fondamento dell’Italia repubblicana, della stessa Italia che si sacrificò a Cefalonia e che si riscattò il 25 aprile 1945 sotto il vento del nord. Il suo carattere immediato è di guerra di popolo dichiarata dal basso, in modo spontaneo (per la prima volta nella nostra storia come fenomeno di massa) e sostenuta, direttamente o indirettamente, da milioni di cittadini, di tutti i ceti sociali e da tutte le forze politiche democratiche cementate dall’antifascismo. Chi, come me, era presente all’epoca, ricorda molto bene il senso di sorda, poi sempre più aperta, dura, generale opposizione al nazifascismo che saliva dalla società; e la rivolta contro un regime, rimasto tragicamente chiuso nei giochi di potere e nei privilegi di casta, che si dissolse il 25 luglio 1943. La gente scese per le strade in tutte le città italiane, abbatté i simboli del fascismo senza scatenare indiscriminate cacce all’uomo. Da parte fascista, poi, non ci furono reazioni: un regime di 20 anni crollò senza resistenze; sparirono i fedelissimi, i moschettieri del Duce legati a lui secondo il giuramento per la vita e per la morte, sparirono i gerarchi stivalati e dal cipiglio feroce. Mai si vide – forse – nella storia di una nazione da una parte tanta prova di generosità (e se si vuole di ingenuità) e dall’altra tanta prova di abilità nell’eclissarsi.

(2)

2

I fascisti scomparvero e riapparvero soltanto quando furono protetti dagli occupanti tedeschi – e addestrati e guidati per combattere i partigiani. Ed è qui, non dimentichiamolo, che iniziò la violenza tra italiani che con le sue spirali attanagliò tutti e contribuì ad alimentare tanti odi, lutti e sofferenze. Il recente passo ufficiale compiuto dal Presidente della repubblica tedesca, che a Marzabotto ha chiesto il perdono degli italiani per i crimini commessi dai nazifascisti, dovrebbe farci meditare sulle differenze tra le parti in lotta.

La resistenza fu dunque una insurrezione popolare con vera partecipazione di massa, diretta spesso da progressisti che non a caso sperimentarono, pur nell’emergenza della guerra, tanti istituti democratici: dalle repubbliche partigiane, alla designazione dei comandanti partigiani regolarmente eletti, all’amministrazione pubblica.

Ciò nonostante è amaro constatare che dopo più di mezzo secolo, e diversamente che in altri paesi del mondo, la Resistenza sembra non essere sufficientemente parte del patrimonio civile e culturale collettivo, specialmente per le generazioni più giovani.

Questo dipende in realtà da molte ragioni e chiama in causa le responsabilità di tutti, classe dirigente e canali formativi e informativi in primo luogo.

Poi ci sono tare storiche. Senza offesa per nessuno, il nostro è sempre stato un paese in cui le classi politiche dirigenti, eternamente prese dal gioco del potere, non si sono mai preoccupate, tranne isolate eccezioni, di far crescere nei cittadini la coscienza e la conoscenza critica della loro storia, dei propri momenti più significativi (nel bene e nel male) al di là della più trita retorica. Agli effetti del “volemose bene” e del “Tirare a campare”, aggiungiamo quelli, più nefasti, di decenni di omologazione e massificazione consumistica: non è esagerato dire che, oggi, da noi non c’è quasi più, se non in ambienti socialmente e geograficamente limitati, una cultura del vivere civico e del senso della dignità e della partecipazione politica.

Ma tornando alla memoria collettiva della Resistenza, in Francia, Belgio, Olanda, Norvegia o altri paesi che in quel periodo sono stati coinvolti, nessuno, tranne le frange ristrette dell’estrema destra, si sogna di contestare il giorno della liberazione come il momento basilare della rinascita nazionale.

È pur vero che questi paesi, diversamente dall’Italia, al massimo hanno avuto dei regimi collaborazionisti nati durante la guerra; non un regime fascista durato venti anni e sorretto per diverso tempo da un certo innegabile consenso popolare. Voglio dire che non debbono affrontare il comprensibile peso della cultura nostalgica. La Resistenza pone una duplice sfida alle classi dirigenti in senso lato, fatalmente chiamate a rinnovarsi, e a tutti i cittadini. Bisogna far capire ai più giovani che il Dna, la linfa vitale, la stessa ragione d’essere della Repubblica in cui tutti viviamo, sono proprio là, in quei giorni della lotta partigiana, della liberazione e, in seguito, della Costituente.

In quella stagione, tutti gli italiani furono chiamati a rinascere, a cambiare profondamente mentalità, a chiudere con un certo tipo di passato, ad aprirsi veramente alla democrazia dopo venti anni di dittatura. Far capire che questo paese, pur alle prese con mali endemici, ritardi e vari problemi, da allora e grazie soprattutto ad allora, ha percorso un cammino enorme divenendo una delle maggiori potenze industriali del mondo, non solo infinitamente più libero e sviluppato che 57 anni fa, ma anche vaccinato contro qualsiasi lusinga totalitaria.

(3)

3

E certe manifestazioni di tanti cittadini pacifici, ma determinati, dimostrano oggi chiaramente che su ciò, nella coscienza del popolo, non vi è nessun cedimento e nessun dubbio: quando si superano certi limiti il popolo italiano sa destarsi e farsi sentire. Ma per aiutare queste certezze bisogna evitare le tentazioni non solo del revisionismo più grossolano, ma anche di quello spicciolo. Perché mentre il primo è più facilmente contestabile proprio per la sua incredibile enormità, il secondo è più ambiguo, e sottile, pericoloso pur quando privo di secondi fini, coltivato spesso per una pura moda intellettuale da storici e commentatori anche di area “liberal” o della stessa sinistra.

Come si può, per esempio, presentare l’8 settembre come la più grande tragedia del ‘900, il collasso storico da cui il paese non si sarebbe più ripreso? Ma l’8 settembre con la resistenza che nasce, in Italia e all’estero - lo ha recentemente ricordato a Cefalonia il Presidente Ciampi, col capire chi è il nemico - segna finalmente la rinascita dell’Italia.

E come si può attaccare sbrigativamente la Costituzione del ‘48, non solo nelle norme sul funzionamento degli organi costituzionali, ma anche sui principi fondamentali dello stato e nei diritti e doveri dei cittadini, scordando i suoi forti contenuti di democrazia partecipativa e di cultura laica, federalista intra e sovranazionale, pacifista non in senso ideologico, solidarista e non violenta.

Per non parlare poi delle interminabili elucubrazioni sulla natura della Resistenza, all’insegna di una malintesa “par condicio” tra partigiani e fascisti di Salò.

Certo, nella guerra partigiana ci furono anche aspetti di guerra civile, ma è assurdo definire la Resistenza “tout court” una guerra civile alla maniera della Spagna e della Grecia.

La resistenza è stata soprattutto una guerra di liberazione: il principale nemico dei partigiani non era la Rsi, che senza l’appoggio tedesco non sarebbe durata che pochi giorni, ma l’occupante nazista.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che anche quanti combatterono per Salò, non fossero italiani, le cui scelte, oggi, (quando sinceramente motivate, si intende) si possono rispettare, pur senza minimamente condividerle, o equipararle a quella dei resistenti. Come scrisse Calvino nel suo romanzo I sentieri dei nidi di ragno, “Siamo tutti uguali davanti alla morte, non davanti alla storia”.

Sono, infatti, evidenti le molte differenze di campo, di scelte politiche e ideale: da un lato la difesa di un regime dittatoriale e razzista, dall’altro l’obiettivo della conquista della libertà e della democrazia per tutti.

Amici, compagni partigiani, sono arrivato alle conclusioni. Forse ci sarà anche un po’ di romanticismo nel nostro attaccamento a questa Costituzione, a questa Repubblica che oggi festeggiamo nell’anniversario della liberazione, perché le abbiamo viste nascere dalla resistenza. Chi non ha combattuto perché questa Repubblica fosse, capisco che sia anche disponibile a sbarazzarsene senza troppe riflessioni, considerazioni e rimpianti, ma noi no. Noi che l’abbiamo tanto sognate, noi che abbiamo visto cadere al nostro fianco, o morire tra le torture, i compagni che l’avevano voluta, noi diciamo che si può correggere, si può emendare, si può rettificare nelle sue leggi fondamentali, ma si può e si deve salvare, non la si può stravolgere.

Soprattutto, non vogliamo correre pericoli per la libertà che ci siamo conquistati con i nostri sacrifici, con i sacrifici del popolo italiano. Perciò non vogliamo una Repubblica stravolta, come non vogliamo continuare a vivere in questa situazione

(4)

4

nella quale ci hanno costretto le divisioni, le urla, gli insulti, gli slogan, le palesi situazioni di irresponsabilità.

Noi vogliamo che sia realizzata quella che con il sangue dei nostri morti è stata scritta nella Costituzione, perché quella è la Repubblica degli ideali partigiani, la nostra Repubblica, la Repubblica di tutti. Vogliamo la Repubblica dell’Amore, della Fraternità, della Solidarietà, dell’Uguaglianza per tutti di fronte alla legge, della Pace e non quella di pochi o di un Presidente. Vogliamo una Repubblica dove l’uomo, dalla nascita alla morte, possa sviluppare in pace e in uguaglianza il proprio destino, senza dover sopportare il peso degli errori dei reggitori. I valori espressi dalla Resistenza, i concetti di democrazia e di libertà sono ben più alti e ben diversi da come li considerano certi opinionisti a volte improvvisati, per adattarli alle loro polemiche: prima di chiamarli in causa bisognerebbe almeno conoscerli e non solo averne sentito vagamente parlare.

I mali che affliggono l’Italia non dipendono dalla Costituzione del ‘48, ma dagli intrighi di potere, dai tentativi golpisti, dallo stragismo impunito, dalle associazioni criminali coperte da oscure complicità, dalla corruzione dilagante, dallo spreco selvaggio, dall’appropriazione e dall’attacco delle istituzioni da parte di esponenti di alcune forze politiche.

E se si vogliono combattere questi mali dobbiamo capire che occorrono comprensione e consapevolezza dei fenomeni giuridico-costituzionali connessi e dei loro riflessi sulla politica e sulla società; non si possono risolvere a colpi di “si” o di “no”, ma attraverso studi, riflessioni dei politici e dei giuristi, con il contributo di tutte le forze politiche.

Ebbene noi siamo rimasti in pochi e anziani, ma dietro a noi c’è l’Italia sana che lavora e che ancora crede a quegli ideali di dignità, di probità e di fraternità che hanno illuminato la nostra vita a partire dalla resistenza.

E allora noi resisteremo ancora, con tutte le nostre residue forze e grideremo sempre con la voce dell’anima: Viva la Repubblica nata dalla Resistenza e Onore e gloria per tutti coloro che si sono sacrificati e prodigati per essa.

* Testo del discorso tenuto ad Asti dal Presidente dell’Istituto Lucio Tomalino in occasione del 25 aprile 2002.

Riferimenti

Documenti correlati

I comuni che invece ricadono nella classe di superficie territoriale più elevata (oltre 25 mila ettari) sono prevalentemente collocati nel Centro, con una densità piuttosto

Vogliamo ancora una volta ribadire i nostri punti fermi, i nostri principi, quelli che ci hanno guidato, che ci guidano e che ci guideranno: volontariato,

ATLANTE DIGITALE DEI CAMMINI (MIBACT) è solo una bella vetrina turistica che ignora i criteri strutturali essenziali di qualità soprattutto in ordine alla tutela e alla cura del

concesse dallo Stato alle vittime delle foibe erano stati in molti casi italiani responsabili di crimini di guerra durante l’occupazione della Jugoslavia o militari della

Nella graduatoria europea della fecondità, il nostro Paese è al 23° posto, solo Francia e Irlanda presentano valori di poco inferiori alla soglia di

Siamo orgogliosi di quanto hanno fatto tutti gli operatori della sanità e dei servizi essenziali, che – spesso rischiando la propria salute – hanno consentito all’intera

proponeva il quesito così formulato: “in caso di applicabilità del paragrafo 42, se sia compatibile e/o opportuna l’assegnazione e/o designazione di magistrato donna lavoratrice

[r]