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Sintesi di nuovi pseudodisaccaridi mimici dell'epitopo minimo Manα(1,2)Man quali possibili inibitori della DC-SIGN

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

TESI DI LAUREA:

Sintesi stereoselettiva di nuovi pseudodisaccaridi mimici dell’epitopo minimo Manα(1,2)Man

quali possibili inibitori delle DC-SIGN.

Relatore: Prof.ssa Valeria Di Bussolo Candidata: Alessandra Severi

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Indice

1. Introduzione... pagina 6

1.1 Glicomimetici e glicoconiugati multivalenti per l’individuazione di

ligandi ad alta affinità per le lectine……….. 6

1.2 Le lectine……….……… 7

1.2.1 Lectine e carboidrati………..………... 8

1.2.2 I carboidrati e lo “Sugar Code”…..……….……….. 9

1.3 Interazioni non covalenti tra lectine e carboidrati……...……….. 10

1.3.1 Interazioni tra partner multivalenti………..………... 11

1.3.2 Effetto “Cluster Glycoside”………...13

1.4 Modulazione delle interazioni carboidrato-lectina……… 15

1.5 Glicoconiugati utilizzabili come ligandi per le lectine……….. 16

1.6 La scoperta delle DC-SIGN...……… ….. 18

1.6.1 Le cellule dendritiche e la loro funzione……… 18

1.6.2 Le DC-SIGN………... 19

1.6.3 Progettazione di ligandi per le DC-SIGN………... 21

1.6.4 Il sito di legame delle DC-SIGN per i carboidrati………..…… 24

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4

2. Risultati e discussione……….

32

2.1 Stato dell’arte………. 32

2.2 Scopo della tesi……… 42

2.3 Sintesi stereoselettiva dei nuovi pseudomannobiosidi lipofili (+)-2.26 e

(+)-2.27, analoghi dell’epitopo minimo Manα(1,2)Man……… 43

3. Parte sperimentale………. 60

3.1 Procedure generali………. 60

3.2 Materiali……… 60

3.3 Strumentazione………. 61

3.4 Spettri

1

H NMR………. 84

4. Bibliografia………. 91

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6

Introduzione

1.1 Glicomimetici e glicoconiugati multivalenti per l’individuazione di

ligandi ad alta affinità per le lectine

La possibilità delle molecole di interagire tra loro in modo non covalente è certamente uno dei requisiti fondamentali alla base dell’esistenza e del corretto funzionamento di un sistema biologico(1) Il modello chiave-serratura di Fisher è a tutt’oggi il metodo più semplice per rappresentare schematicamente questa condizione, sulla base della quale si possono comprendere i vari tipi di interazioni che si trovano alla base dello svolgersi di numerosi processi biologici. Le biomolecole interagiscono tra loro, formando dei complessi ligando-recettore più o meno stabili e dinamici, dando così vita ad una rete di trasmissione di informazioni, le quali possono essere comprese sulla base dei principi della termodinamica e della cinetica. Conseguentemente a queste riflessioni, emerge l’idea della polivalenza, se si considera che alcune di queste “chiavi” possono essere connesse tra loro ed interagire con strutture che comprendano diverse “serrature”. Sembra che tutti gli organismi biologici, dai virus fino ai mammiferi, si siano evoluti grazie ad interazioni mono- e polivalenti tra più tipi di recettori e svariati tipi di ligandi. Molti rami della biochimica e della biologia molecolare hanno sempre riconosciuto l’importanza delle interazioni polivalenti, mentre il campo della glicobiologia, che studia le funzioni dei carboidrati all’interno sistemi biologici, ha riconosciuto il loro ruolo cruciale solo più recentemente.(2-6) L’importanza di ligandi zuccherini nei processi biologici anche complessi, infatti, è stata largamente sottostimata per anni, mentre molte

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7

proteine leganti carboidrati venivano caratterizzate e studiate come recettori polivalenti. Ad oggi, tuttavia, i carboidrati e i loro recettori, le lectine, sono stati identificati essere alla base di svariati processi biologici di primaria importanza, spaziando dalle risposte infiammatorie(7) fino alla virulenza di alcuni organismi patogeni(8). Interazioni multivalenti tra lectine e carboidrati sono state analizzate quindi sia per la comprensione di processi non patologici, quali per esempio la trasduzione di segnali intercellulari(9), sia per studiare e combattere infezioni patogene che originano dall’interazione tra questi due sistemi.

1.2

Le lectine

Le lectine possono essere definite come delle “sugar-binding proteins”, ovvero delle proteine di origine non immunologica, prive di attività catalitica e altamente specifiche, in grado di legare non covalentemente (e quindi reversibilmente) i carboidrati. La loro scoperta in tutti gli organismi viventi ha evidenziato le loro potenzialità, portando allo sviluppo di una serie di studi sulla comprensione del loro ruolo biologico; le lectine vegetali sono state le prime ad essere identificate e studiate, ma in generale le loro funzioni non sono ancora state comprese a pieno data la loro grande diffusione a livelli diversi nell’ambito di organismi umani, vegetali e agenti patogeni. Principalmente, sembrano essere coinvolte in meccanismi di difesa contro parassiti, funghi o predatori, e al contempo le lectine di vari organismi infettivi (virus e batteri, per esempio) si sono rivelate essere un mezzo di adesione, promuovendo l’iniziale attaccamento all’organismo ospite e la formazione di biofilm sui tessuti. Altre ancora si sono rivelate essere veri e propri fattori di virulenza, quali tossine o secreti citosolubili, che contribuiscono largamente ad aumentare la patogenicità dell’intero processo infettivo. La loro duplice natura, aggressiva o difensiva, le rende quindi entità ambivalenti, ed evidenzia la loro notevole importanza e coinvolgimento in diversi processi.

Molte lectine possiedono strutture quaternarie multimeriche, ma rimane ancora da stabilire in svariati casi quale sia effettivamente la rilevanza fisiologica di questa

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associazione. E’ molto interessante notare come la maggior parte delle funzioni da loro mediate si basino su processi di adesione, o modulazione e regolazione di processi, che quindi possono solo beneficiare di interazioni polivalenti. Le lectine, inoltre, evidenziano una bassa affinità per i loro ligandi monovalenti, per cui l’ipotesi di una multivalenza, intesa come presenza di più ligandi sulla stessa molecola, spiegherebbe efficacemente l’effettiva selettività e affinità riscontrate in vivo(10)

.

1.2.1 Lectine e carboidrati

Paragonando l’estrema diversità strutturale e funzionale delle lectine con l’esigua quantità di blocchi monosaccaridici a disposizione in natura, può apparire contraddittorio avere una così vasta gamma di possibili interazioni e funzioni e così poche variabili discriminatorie. Inoltre, la maggior parte delle lectine ha dimostrato una bassissima selettività per il proprio ligando cosiddetto naturale ed una buona disponibilità ad interagire anche con sistemi analoghi. Data l’estrema omogeneità strutturale delle unità monosaccaridiche disponibili, la risposta al problema risiede nell’eccezionale variabilità che si riscontra nella formazione degli oligosaccaridi(10)

(che sono i possibili ligandi di queste proteine), e nella loro disposizione spaziale tridimensionale. Le lectine infatti, sono finora state studiate solo in vitro e solo tramite monosaccaridi od oligosaccaridi relativamente semplici, non prendendo in considerazione strutture più articolate; l’identificazione del loro ligando naturale è quindi così estremamente difficile. Un notevole aiuto a questa ricerca è stato dato dalla presa in considerazione dei glicani, carboidrati complessi, costituiti da unità monosaccaridiche unite tra loro in modi e numero diversi, che si trovano legati a proteine e lipidi a costituire le glicoproteine e i glicolipidi di membrana. Tuttavia, anche sfruttando queste strutture polisaccaridiche più complesse sono stati comunque evidenziati più potenziali ligandi per la stessa proteina. Inoltre, un altro importante fattore che non viene considerato nello studio dei carboidrati è la variabilità di presentazione di queste complesse strutture ai loro recettori in merito a densità spaziale

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e disposizione tridimensionale delle varie porzioni. Le matrici glicaniche consentono di determinare l'affinità e la specificità di una lectina verso i polisaccaridi, ma anche agendo così l'importanza della collocazione spaziale dei leganti in un ambiente biologicamente rilevante e il suo impatto sulla specificità di legame è ancora ampiamente trascurato, soprattutto a causa dell’estrema difficoltà associata al controllo e alla definizione di parametri misurabili (quali, per esempio la densità dei ligandi al sito attivo, la flessibilità delle molecole, la conformazione, o l’influenza della proteina-ancora). Pertanto, per una comprensione significativa del funzionamento delle lectine è necessaria una rigorosa comprensione dell'estrema diversità conformazionale e configurazionale dei glicani complessi, ma anche una valutazione dell’aspetto tridimensionale di questi ligandi nel contesto biologico.

1.2.2 I carboidrati e lo “Sugar Code”

La diversità strutturale, stereochimica e conformazionale dei carboidrati può essere vista come un elemento particolare di informazione aggiuntiva portato da queste molecole a proteine (o anche lipidi) di membrana cui spesso si trovano associati. L’informazione modula le proprietà fisicochimiche delle strutture recettoriali, regolando così la loro funzione come una sorta di modifica post-traduzionale. Quindi, i glicani presenti su proteine o lipidi di membrana possono essere considerati in termini di informazioni leggibili, come una sorta di etichetta specifica che viene aggiunta ad una proteina particolare su un residuo amminoacidico preciso e che viene “letta” nell’interazione tra biomolecole per attivare uno specifico processo biologico. Le particolari proprietà conferite alla glicoproteina dai carboidrati, la loro migliore conoscenza derivata dal crescente interesse da parte della comunità scientifica, e anche soprattutto il miglioramento delle tecniche utilizzate per il loro studio hanno portato alla definizione del concetto di “sugar code”(11,12)

. Questo concetto si basa sull’ipotesi che esista in natura una sorta di linguaggio proprio dei carboidrati e che le lectine siano in grado di decifrarlo e tradurlo in risposte biologiche. Interferire con questo processo di

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10

riconoscimento può essere utile per modulare o alterare segnali biologici, oppure prevenire l’insorgere di malattie.(13)

1.3

Interazioni non covalenti tra lectine e carboidrati

Analizzando la struttura dei carboidrati, caratterizzata dalla presenza di molteplici gruppi funzionali ossidrile, è facile comprendere come la formazione di una vera e propria rete di legami idrogeno sia l’interazione cruciale nel riconoscimento tra lo zucchero e la lectina(14-16). Questa interazione, essendo direzionale, rende particolarmente importante l’allineamento spaziale dei partecipanti e rende soprattutto più specifico il legame tra lo zucchero e la sua lectina. Inoltre, la sua forza di legame intermedia tra un’interazione di van der Waals e un legame covalente(17)

, lo rende perfetto nell’ambito dei processi biochimici per il veloce e dinamico equilibrio tra forma associata e dissociata, a temperatura controllata e in ambiente fisiologico. Nonostante siano molecole idrofile, comunque, i carboidrati stabiliscono frequentemente anche interazioni idrofobiche con le lectine; infatti, le due facce dell’anello piranosico non raramente si legano alle porzioni aromatiche di alcuni residui amminoacidici del sito di legame, fornendo una ulteriore fonte di discriminazione tra i diversi ligandi che potrebbero adattarsi al sito recettoriale. I carboidrati sono inoltre di norma specie neutre, ma alcuni tipi di zuccheri (es. aminozuccheri) o zuccheri funzionalizzati (es: fosforilati), possono anche essere carichi positivamente o negativamente(14). Questi gruppi funzionali carichi possono dare origine ad ulteriori interazioni attraverso legami ionici, regalando ulteriore specificità di riconoscimento tra substrato e lectina. Sono stati individuati anche numerosi esempi di cationi metallici direttamente coinvolti nel legame tra lectine e carboidrati; di solito, il catione è chelato dai residui amminoacidici del sito di legame e dagli atomi di ossigeno dei gruppi ossidrile dello zucchero. Questi ioni metallici giocano quindi un ruolo significativo nel riconoscimento stereospecifico dei carboidrati, tramite la stereochimica relativa (cis o

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trans) di due gruppi –OH adiacenti. Infine, chiaramente, la presenza di eventuali

molecole di acqua influenza notevolmente il legame tra carboidrati e lectine; cruciale è infatti il loro ruolo sia come molecole solvatanti sia come tramite nell’instaurare legami idrogeno. Un legame a idrogeno stabilito attraverso una molecola di acqua, sfruttata come intermedio, è in effetti molto frequente, e tale legame ha un’energia comunque paragonabile(15,18) ad un legame idrogeno tradizionale. La desolvatazione poi sia del sito di legame sia del ligando è entropicamente molto favorita ed è comunemente addotta come forza trainante coinvolta in molte delle interazioni intermolecolari.(19)

1.3.1 Interazioni tra partner multivalenti

L’interazione tra due specie monovalenti, come per esempio un ligando monofunzionale ed il suo recettore, permette un’espressione diretta dell’equilibrio e delle costanti di associazione, ma quando si lavora su recettori multivalenti che interagiscono con ligandi polifunzionalizzati, come per esempio la superficie di una cellula coperta di glicoproteine, la complessità nella definizione di questa interazione è certamente incrementata. Uno dei problemi maggiori risiede nell’esistenza di svariati equilibri microscopici, che risultano poi nell’equilibrio macroscopico complessivo del sistema (20)

ed il problema principale è la competizione dinamica esistente tra i diversi meccanismi di interazione possibili.

Considerando perciò i ligandi multivalenti e i rispettivi recettori nel loro complesso ambiente biologico, i meccanismi di interazione che alla fine veramente hanno luogo possono portare a diversi processi e risposte biologici(21,22). I siti di legame di una lectina omomultimerica possono interagire simultaneamente con i loro ligandi presenti su molecole multiglicosilate tramite un meccanismo di chelazione associativa(23,24) (Fig. 1.1a). Questo è uno dei meccanismi più studiati,e può dare luogo ad un notevole aumento di affinità. Un secondo tipo di meccanismo possibile è l’aggregazione recettoriale (Fig. 1.1b), che si può osservare nel caso di lectine monovalenti e ligandi invece multivalenti. In questo caso, i recettori possono migrare attraverso il doppio

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strato lipidico della membrana e divenire

aggregati per mezzo del ligando stesso (Fig. 1.1c). Questo processo di aggregazione recettoriale (“receptor cluster mechanism”) è stato identificato essere l’evento scatenante alla base di molti segnali cellulari, la cui trasduzione avviene tramite l’aggregazione dei domini intracellulari delle proteine recettoriali transmembrana(25-29). Un altro meccanismo comune è poi l’associazione ad un sito secondario (c), esterno al recettore vero e proprio, nel quale un secondo sito di legame con differente affinità e specificità può associarsi ad un ligando eterobivalente.(30,31) Infine, strutture glicosilate multivalenti che interagiscono

con lectine monovalenti possono assicurarsi un aumento dell’affinità attraverso un incremento della concentrazione di ligandi nelle strette vicinanze del sito di legame e in un riarrangiamento statistico(32) del complesso ligando-recettore (Fig. 1.1d).

Se l’interazione multivalente riguarda più lectine e più ligandi interconnessi tra loro, si può incorrere nella formazione di aggregati poco solubili, che vanno incontro a fenomeni di precipitazione irreversibile. Infatti, un numero limitato di unità interconnesse tra loro a dare catene o reticoli, può rimanere flessibile e solubile, mentre catene polimeriche più lunghe o reticolati tridimensionali più ingombranti tendono a precipitare.(33,34) Questi aggregati macromolecolari sono stati studiati per varie lectine, ed hanno evidenziato un’affinità notevolmente aumentata. Sebbene questo fenomeno sia stato osservato maggiormente in vitro, anche in vivo ha un ruolo fondamentale: per esempio, nel caso delle interazioni tra la galectina-1 e le glicoproteine CD45/CD3, che generano dei reticolati omogenei sulla superficie delle cellule T(35,36). Queste strutture

Figura 1.1 Meccanismo schematico

d interazione tra ligandi multivalenti e recettori multivalenti

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regolari sembrano essere parte fondamentale della trasduzione del segnale cellulare di apoptosi, grazie appunto al processo di aggregazione recettoriale.

Questi processi di aggregazione sono quindi molto interessanti in vitro e soprattutto biologicamente rilevanti negli studi in vivo. La precipitazione di complessi macromolecolari è un processo infatti irreversibile e cineticamente controllato, che influisce fortemente anche sulle specie che rimangono in soluzione. Quando un processo irreversibile compete con un processo di equilibrio, quindi, i principi e i modelli termodinamici usualmente utilizzati non sono più validi, e la descrizione delle interazioni risulta grandemente complicata.(37,38)

Quando si lavora con interazioni polivalenti, frequentemente si confonde l’evidente aumento di affinità tra i sistemi che interagiscono, con la cooperazione. Il termine “cooperazione” sta ad indicare che il legame tra una molecola ed un recettore può avere effetti collaterali su un secondo sito di legame, modificando l’affinità per il suo ligando. L’esito di questo effetto può essere positivo (aumento dell’affinità) o negativo (riduzione dell’affinità), e generalmente nasce da modifiche steriche, conformazionali o di polarizzazione del recettore stesso, derivanti dal primo legame, che si ripercuotono sul secondo. Nel caso delle interazioni di carboidrati multivalenti, i siti di legame sono per la maggior parte indipendenti, e cambiamenti globali nell’affinità non derivano da legami di cooperazione.

1.3.2 Effetto “Cluster Glycoside”

Gli incrementi di affinità osservati nelle interazioni multivalenti tra carboidrati e lectine sono stati attribuiti a quello che è noto come “cluster glycoside effect” (effetto di aggregazione glicosidica)(33,39). Sono stati costruiti diversi modelli teorici per cercare di descrivere e spiegare questo effetto, cercando idealmente di costruire degli utili modelli predittivi per analizzare le varie situazioni; sfortunatamente, data l’elevata complessità di queste interazioni e la frequente coesistenza di meccanismi vari e diversi, non è stato possibile costruire un modello utile nel predire quantitativamente gli aumenti di affinità derivanti dalla multivalenza.(40)

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Se si osserva, per esempio, l’associazione tra un glycocluster e una lectina pentamerica (Figura. 1.2), l’interazione globale tra i due sistemi può essere vista come un’interazione 1:1 tra il ligando e il suo substrato, mediata però da cinque distinte interazioni a cinque siti di legame diversi. E’ interessante osservare come poi in realtà ognuna di queste interazioni sia composta da ulteriori specifiche interazioni al sito di legame: nel dettaglio dello zucchero queste interazioni saranno dei legami a idrogeno e delle interazioni idrofobiche. Quindi, i concetti usati per descrivere le interazioni multivalenti (la concentrazione del ligando(41-45), le entropie(22,46-52) rotazionale, conformazionale e traslazionale, la termodinamica e la degenerazione del legame(47,53,54)) possono essere considerati come perfettamente ottimizzati nello studio di un’interazione monovalente con il sito di legame. Perciò si può considerare il legame di uno carboidrato con una lectina come un esempio di un’ideale e perfettamente ottimizzata interazione multivalente, composta da più interazioni singole fondamentali. Chiaramente l’argomento richiede ulteriori studi per definire un modello utile a progettare i glycocluster più efficienti; tuttavia, secondo l’esempio sopra riportato, un suggerimento verso la perfetta interazione multivalente è riprodurre un sistema che rassomigli quanto più possibile all’interazione monovalente tra un carboidrato e il suo sito di legame.

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1.4

Modulare le interazioni carboidrato-lectina

Gli oligosaccaridi in natura sono riconosciuti, sulla superficie delle cellule, da glicoproteine (o glicolipidi) incorporate nel doppio strato lipidico. La contiguità dei vari epitopi che sono coinvolti nel legame con multimeri recettoriali, è necessaria per l’appropriato legame tra carboidrati e lectine e soprattutto per aumentarne l’affinità. Nel campo della “lectinologia”, in recente sviluppo, la progettazione dei ligandi sintetici dipende in gran parte dal sistema in analisi; ovvero, dal fine ultimo per il quale la ricerca di un particolare ligando viene intrapresa. Infatti, se è un approccio antiadesivo quello che si vuole testare, contro l’attacco di un eventuale patogeno, le priorità nella progettazione del nuovo ligando concerneranno una elevata affinità insieme ad una buona selettività, per creare una competizione volta ad evitare il legame della lectina con il tessuto ospite ed interferire con il processo di infezione. In questo caso, il disegno sarà largamente influenzato dalla struttura del ligando naturale, in termini di valenza, topologia e densità di carboidrati, per meglio configurarsi come un’alternativa valida e riconoscibile. D’altra parte, lo studio di processi biologici che coinvolgono le lectine richiede spesso elementi che modifichino la normale associazione della lectina con il suo ligando. In questi casi, quindi, è richiesta la progettazione di un ligando in grado di intereferire con l’interazione normale per modulare la naturale risposta biologica. In ogni caso, tanto composti glicomimetici monovalenti quanto strutture glicosilate multivalenti, presentano dei vantaggi e delle peculiarità; la propensione per l’uno o per l’altro richiede solo una chiara comprensione dell’effetto che si vuole ottenere.

Figura 1.3Glicomimetici monovalenti e glicoconiugati multivalenti

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1.5

Glicoconiugati utilizzabili come ligandi per le lectine

I glicoconiugati sintetici, in genere, non riproducono esattamente la struttura tridimensionale del ligando naturale e la sua valenza, ma comunque le loro ottime proprietà leganti, dimostrate nella maggior parte dei casi, sono in linea con possibili applicazioni in vivo e anche in terapia. Nel progettare un ligando che sia multivalente, l’approccio più comunemente adottato è quello che parte da una conoscenza precisa della struttura della lectina e che cerca di costruire una struttura multiglicosilata che si adatti il meglio possibile alla topologia del recettore (lectin-based design). Tuttavia, anche l’opposta strategia, basata sulla struttura del ligando naturale da riprodurre ed eventualmente ottimizzare e minimizzare potrebbe rivelarsi altrettanto efficiente. Questo tipo di approccio è comunque estremamente complicato dalla difficoltà nel conoscere la valenza naturale, la topologia, e la densità spaziale, ovvero il preciso aspetto tridimensionale, di questi carboidrati.

Fortunatamente entrambi gli approcci richiedono concetti sintetici simili e i chimici e biochimici hanno progettato una vasta gamma di glicoconiugati multivalenti diversi (Figura 1.4). I glicocluster, che

contengono un numero di epitopi limitato ma sinteticamente controllato; i glicodendrimeri, che includono un’ulteriore ramificazione in una struttura tondeggiante, conservando le proprietà di una molecola singola; i glicopolimeri, che possono dare valenze maggiori ma con minore controllo, sebbene le moderne tecniche di

polimerizzazione permettano uno stretto controllo della valenza degli oligomeri(55); e infine le gliconanoparticelle, che possono avere notevoli valenze (tipicamente si spazia

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tra i 50 e i 150 residui) con vari gruppi disposti sulla superficie. Questi nanomateriali hanno assistito recentemente ad un notevole sviluppo, e resoconti di test in vivo e in modelli animali contro infezioni da agenti patogeni sono molto incoraggianti(56,57). E’ bene sottolineare che una maggiore valenza porta generalmente a migliori ligandi, ma obbliga ad affrontare problemi quali la tossicità dello scheletro polimerico o le dimensioni del glicoconiugato, che possono rappresentare dei seri inconvenienti nell’approvazione quali possibili farmaci.

La progettazione di ligandi sintetici multivalenti si è ispirata concettualmente ad una tendenza, osservata in natura, che prevede l’associazione di più interazioni, da deboli a moderate, al fine di creare un legame complessivo significativamente più forte e multivalente, che innescherà processi biologici quali l’adesione virale ad un organismo ospite o la trasduzione di un segnale. In genere, per una lectina si cerca il ligando con la maggiore affinità, la quale di solito si ottiene dalla chelazione simultanea di più siti di legame. La geometria del nucleo centrale, il numero di valenza e la lunghezza e natura di eventuali ramificazioni influenzano grandemente la topologia della macromolecola risultante e di conseguenza anche le proprietà di legame attese. L’approccio chimico di sintesi scelto per la coniugazione di building blocks a costituire un’architettura multivalente è critico, poiché in genere varie reazioni vengono eseguite su uno scheletro centrale e quindi bisogna ottenere alte rese, un prodotto di facile purificazione e una completa chemo-, regio- e stereoselettività.

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1.6 La scoperta delle DC-SIGN

1.6.1 Le cellule dendritiche e la loro funzione

Le cellule dendritiche sono delle APC (Antigen Presenting Cells) che operano nel campo dell’immunità innata ed acquisita, riconoscendo gli agenti patogeni e mostrando poi, a seguito dell’interazione, dei complessi patogeno-peptide alle cellule T per la successiva eliminazione dell’organismo estraneo(58)

. Sono presenti nei tessuti in contatto con l’ambiente esterno, come la pelle (dove assumono il nome specifico di cellule di

Langerhans) o i rivestimenti interni di naso, polmoni, stomaco e intestino. Il loro

percorso inizia nel midollo osseo, dove le cellule staminali vanno incontro a differenziazione e migrano nel circolo sanguigno come precursori delle DC. Da qui si disseminano in tutti i tessuti periferici, dai quali sorvegliano l’entrata di eventuali agenti patogeni, che catturano ed elaborano a frammenti antigenici, che poi verranno esposti sulla loro superficie cellulare in associazione con MHC-II. Al momento della cattura dell’agente patogeno, le DC immature ricevono dei segnali di attivazione, che danno inizio alla loro maturazione e conseguente migrazione ai tessuti linfoidi secondari, al fine di presentare l’antigene processato alle cellule T dormienti. Stabilito un contatto sufficientemente stabile tra DC e cellule T per permettere a queste ultime l’identificazione del complesso MHC-II-antigene, si ha l’attivazione del recettore. I processi di maturazione e migrazione sono gestiti da una serie di chemochine e molecole di adesione: le chemochine controllano i vari stadi della differenziazione e dirigono la migrazione di ogni sottotipo di DC, mentre le molecole di adesione sono fondamentali per tutte le interazioni delle DC durante il loro percorso di migrazione. Negli scorsi anni sono state scoperte molte nuove molecole presenti sulla superficie delle DC, che contribuiscono in vario modo a controllare la risposta immunitaria innata o acquisita mediata da queste cellule.(58)

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19

1.6.2 Le DC-SIGN

Nel 2000, Geijten et al (2 Alessia). hanno identificato un nuovo tipo di recettore specifico, presente sulle cellule dendritiche umane, essenziale in svariate funzioni chiave nel ciclo vitale delle DC. La scoperta è stata fatta osservando l’alta affinità con cui le DC legavano una particolare molecola di adesione intercellulare, ICAM-3, facente parte della superfamiglia delle immunoglobuline e importante nell’interazione iniziale tra cellule dendritiche e cellule T (59). Geijtenbeek e il suo gruppo di ricerca hanno scoperto che, diversamente dai recettori tradizionali, l’interazione tra DC e cellule T dormienti è integrine-indipendente e richiede ioni Ca2+. E’ stato così inizialmente scoperto il recettore DC-SIGN (Dendritic Cell-Specific Intercellular Adhesion Molecule-3-Grabbing Nonintegrin) e la sua particolare importanza nell’attivazione delle cellule T dormienti. L’interazione tra DC e ICAM-3 è calcio-dipendente, e il CRD (Carbohydrate Recognition Domain) delle DC-SIGN lega due ioni Ca2+, uno essenziale per la struttura terziaria della proteina recettoriale e l’altro per il legame di coordinazione con il ligando. (Figura 1.5) (60)

Figura 1.5 In alto: tetramero della

DC-SIGN con il CRD con ioni Na+ a sostituire Ca2+. Al centro: CRD della DC-SIGN complessato con un glicomimetico. In basso:

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La natura labile e dinamica del legame DC-SIGN con ICAM-3 permette l’interazione della DC con un gran numero di cellule T dormienti; queste cellule, una volta attivate, presentano una ridotta espressione di ICAM-3 e questo dettaglio suggerisce quindi il loro coinvolgimento prevalente nella risposta immunitaria primaria piuttosto che nella risposta secondaria. Le DC-SIGN risultano espresse esclusivamente sulle DC presenti nelle zone adiacenti le cellule T di tonsille, linfonodi e milza, e questo corrisponde perfettamente alla loro funzione di mediatori nell’attivazione di questi linfociti. Il modello proposto prevede infatti una iniziale interazione tra DC e cellule T dormienti, mediata dal legame DC-SIGN e ICAM-3, seguito da interazioni attraverso altre molecole di adesione (come per esempio LFA-1).

Le DC-SIGN chimicamente fanno parte di un gruppo di lectine calcio-dipendenti, denominate di tipo C. Si tratta di proteine di membrana presenti sulle cellule dendritiche della mucosa e sui macrofagi,

associate in forma tetramerica, che presentano quattro domini di legame(61). Sono coinvolte nel riconoscimento di virus, quali per esempio quelli di Ebola o HIV (62), o altri patogeni, e per questa loro capacità di legare microorganismi differenti fanno principalmente parte della risposta immunitaria innata. Il sito di legame per lo zucchero è calcio-dipendente, specifico per il fucosio e mannosio, con alta affinità per oligosaccaridi che contengono soprattutto quest’ultimo (Figura 1.6). La famiglia delle lectine che si

legano a zuccheri esogeni include anche le proteine leganti mannosio (MBP) e i Figura 1.6 Interazione calcio-dipendente tra un

glicano del mannosio (azzurro) e il CRD della DC-SIGN

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recettori attivanti endocitosi, come quelli presenti sui macrofagi che mediano la risposta immunitaria innata contro gli organismi patogeni interagendo con le strutture zuccherine di superficie. Le DC-SIGN, quindi, condividono con altre lectine la specificità per il mannosio; tuttavia, ogni lectina ha una sua peculiare specificità, riconoscendo una specifica disposizione del mannosio su un dato patogeno o struttura cellulare superficiale.(58) Le cellule dendritiche immature, presenti nella mucosa, usano queste lectine per il riconoscimento di glicani complessi del mannosio presenti sulle glicoproteine del capside del virus, come per esempio la gp120 del virus HIV-1.

1.6.3 Progettazione di ligandi per le DC-SIGN

La progettazione di un ligando con alta affinità per le DC-SIGN può essere approcciata partendo dall’oligomannoside che è il ligando naturale per questa lectina, ovvero il (Man)9(GlcNAc)2 di Fig. 1.7, attraverso la costruzione di vari tipi di glicomimetici.(13)

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22

Per esempio, il trisaccaride di Lewis Galβ(1,4)[Fucα(1,3)]GlcNAc è stato testato come ligando e la sua struttura indica l’importanza non solo del mannosio, ma anche del fucosio nel legame con la proteina(63). Il progetto di Lex glicomimetici con una fucosilammide come scheletro di base e due addizionali funzionalità cicloesaniche, che mimano i residui di galattosio e GlcNAc, hanno portato a ligandi moderatamente potenti nel legame con le DC-SIGN(64).

Un altro analogo del trisaccaride di Lewis è stato progettato inserendo un cicloesano che mimi la porzione GlcNAc e con un fenolo al posto del galattosio(65). Studi NMR hanno confermato che il legame con la DC-SIGN avviene principalmente attraverso interazioni con il fucosio, e la porzione aromatica fornisce contatti addizionali con la proteina, incrementandone l’affinità(66)

. La coniugazione di un ligando con queste caratteristiche ad un pentaeritrolo ha portato all’ottenimento di un glycocluster con attività inibitoria aumentata, ma ancora nello stesso range del ligando Lewisx naturale.(67) Un approccio simile è stato seguito per disegnare un trimannoside lineare, con attività dimostrata contro l’infezione virale da HIV in saggi cellulari(68)

. Lo stesso ligando monovalente è stato quindi coniugato ad uno scheletro tetravalente e il glycocluster risultante ha dimostrato incrementate proprietà di legame e aumentata attività inibitoria nei confronti dell’infezione da HIV mediata dalle DC-SIGN(69)

. Lo stesso trimannoside lineare è stato poi coniugato ad un dendrimero Boltorn H30(70), ottenendo un glicondendrimero con 30-32 copie dell’epitopo sintetico(71); mentre i glicodendrimeri mannosilati si erano rivelati attivi contro le infezioni da Ebola e HIV(72,73), questo glicodendrimero si è rivelato un’inibitore a concentrazioni nanomolari solo in caso di infezioni mediate dal virus Ebola(71).

L’unità 1,2-mannobiosidica del disaccaride Manα(1,2)Man sulla porzione D2 del Man9 (Figura 1.7) è probabilmente l’epitopo più piccolo capace di legarsi alla DC-SIGN. Seguendo delle strategie di minimizzazione del Man9, sono stati progettati quindi dei mimetici di questo disaccaride, portanti un aglicone cicloesanico, che una volta saggiati hanno mostrato avere attività nel micromolare contro l’Ebola(74)

. La razionalizzazione delle proprietà leganti di questi glicomimetici è stata fatta sulla base dei dati

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23

cristallografici disponibili del ligando nel sito recettoriale(75); modifiche della funzionalità esterea in ammide, per esempio, hanno portato ad una riduzione dell’attività(76)

; mentre un analogo bivalente non ha portato a nessun cambiamento nelle proprietà leganti del composto(77). Anche un derivato ammidico esavalente è stato riportato in quanto aveva dimostrato attività inibitoria a concentrazioni micromolari contro infezione da HIV, ma anche contro il virus di Dengue(78). Inoltre, è stato riportato un sistema dinamico per cui si è screenato contro l’HIV un database di 37485 paia di acidi nucleici coniugati all’1,2-manobioside, riportando ligandi con attività a concentrazioni nanomolari;(79) questo esempio è un’illustrazione di come la progettazione di ligandi potenti per le lectine sia influenzata anche dall’autoassemblamento. L’acido scichimico può essere considerato uno scheletro chirale ottimale in quanto combacia stereochimicamente con la disposizione degli –OH del mannosio in posizione 2-, 3-, e 4-. Derivatizzazioni di questa struttura hanno generato un glicomimetico monovalente, con IC50 millimolare nei confronti dell’inibizione delle DC-SIGN(80)

; studi NMR HSQC hanno dimostrato che questo composto si lega nello stesso sito dei mannosidi e interagisce con gli stessi residui amminoacidici(81). La polimerizzazione controllata tramite reazione di ROMP (ring opening metathesis polymerization) di monomeri basati sul norbornene ha portato all’ottenimento di glicopolimeri con valori di IC50 micromolari(80). Sedici copie dello stesso glicomimetico derivato dall’acido scichimico sono state coniugate al BSA e la glicoproteina risultante si è dimostrata un agonista DC-SIGN, attivando la segnalazione cellulare mediata dalle lectine.(81)

L’epitopo mannosio è stato poi anche utilizzato in una strategia glicolipidica per la progettazione di composti anti-HIV. Una singola funzionalità mannosidica coniugata ad una catena lipidica ha dimostrato di poter avere maggiore affinità per le DC-SIGN senza la necessità di una esposizione multivalente, e questi glicolipidi contrastano l’infezione mediata da HIV in un range micromolare(82). Anche strutture glicolipidiche tetravalenti, con una catena lipidica insatura, come per esempio un 1,3-diino, hanno dimostrato attività simile nei confronti delle DC-SIGN(83). Ciò nonostante, un 1,3-diino può polimerizzare portando a strutture micellari polimeriche rigide, che non presentano

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alcuna attività antivirale, a differenza invece delle strutture dinamiche. Questo risultato evidenzia come l’affinità e l’attività biologica dei vari sistemi multivalenti sia influenzata dalla mobilità o rigidità delle strutture. Un dendrone trimannosilato simile al composto precedente è stato incorporato in un glicodendrone nonavalente, fornendo un composto con IC50 nanomolare che è 106 volte più attivo del mannosio(84). Lo stesso tipo di glicondendrimero nonavalente, funzionalizzato con fucosio, mannosio o trimannosidi, è stato inoltre marcato con un colorante fluorescente, potendo così dimostrare la sua internalizzazione(85). Questo ligando è stato anche identificato quale potenziale epitopo per lo sviluppo di vaccini contro HIV(86).

Gliconanoparticelle di oro mannosilate (Au-GNPs) hanno dato accesso a valenze estremamente alte, fino a 50-60 copie del carboidrato. Incorporando epitopi dell’1,2-mannobioside in Au-GNPs si è così ottenuta una totale inibizione dell’interazione tra DC-SIGN e gp120 a concentrazioni (C100) pari a 4.7 µM, in saggi biologici su modelli dell’infezione virale(87). Un tetrasaccaride Manα(1,2)Manα-(1,2)Manα(1,3)Man è stato utilizzato insieme a piccole quantità di glucosio nella costituzione di Au-GNPs mannosilate, osservando attività antivirale contro HIV su cellule umane con valori di IC50 nel range subnanomolare(88). La marcatura di queste stesse Au-GNPs mannosilate con colorante fluorescente ha permesso di dimostrare nei saggi cellulari il loro up-take nelle cellule e la colocalizzazione con el DC-SIGN negli endosomi, spiegando così la loro abilità di bloccare l’infezione da HIV in vitro su cellule T umane(89)

.

1.6.4 Sito d legame delle DC-SIGN per i carboidrati

La DC-SIGN è una proteina transmembrana tetramerica. Ogni subunità comprende un dominio citoplasmatico N-terminale, un braccio extracellulare con 7 ripiegamenti contenente 23 amminoacidi responsabili delle interazioni idrofobiche che permettono la tetramerizzazione, e un dominio C-terminale di riconoscimento dei carboidrati (CRD). (Figura 1.8)

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25

Il CRD è stabilizzato da un’α-elica che

riconosce specificatamente le proteine glicosilate e lega composti portanti mannosio e i relativi zuccheri.(Alessia) L’associazione in strutture multimeriche (tetramero) ha un impatto importante sull’affinità di legame, in quanto l’interazione idrofobica tra le catene amminoacidiche rende il CRD più sporgente rispetto alla superficie cellulare, aumentando le probabilità di formazione di un legame.

L’organizzazione tetramerica, inoltre, aumenta la specificità e definisce il tipo di patogeni che sono riconosciuti dalle DC-SIGN; le lectine così strutturate infatti, legano particolarmente bene oligosacccaridi disposti ravvicinati sulle membrane dei parassiti e sul capside dei virus(88). Indipendentemente dalla tetramerizzazione, comunque, le DC-SIGN formano dei cluster che si configurano come una sorta di microdomini di membrana(88-90); questa organizzazione è importante per il legame e la seguente internalizzazione, che suggerisce come questi assembramenti si comportino proprio come sito di legame per i patogeni. (Figura 1.9)

Figura 1.8 Struttura schematica della

DC-SIGN e delle sue subunità

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26

Il carbohydrate recognition domain (CRD) delle DC-SIGN è Ca2+ dipendente ed è un polipeptide sostenuto da 4 ponti disolfuro. Sono presenti due siti di legame per il calcio, uno essenziale per la struttura terziaria della proteina, l’altro essenziale per coordinare l’attacco con il ligando mannosio. Generalmente, il catione collega gli amminoacidi con gli atomi di ossigeno dei gruppi ossidrilici del carboidrato; inoltre può avere un ruolo fondamentale nella discriminazione tra carboidrati diversi tramite il riconoscimento della diversa stereochimica (cis o trans) di gruppi ossidrile adiacenti. Per esempio: i gruppi –OH in posizione 3 e 4 del mannosio servono come coordinanti per il catione Ca2+, mentre ulteriori ligandi di coordinazione sono costituiti dai residui acidi di asparagina e glutammato, che formano legame idrogeno con i suddetti ossidrili e anche con il C6. Il sito di legame delle DC-SIGN mostra inoltre un residuo di valina, Val351, che si configura come il principale amminoacido partecipante al legame con i carboidrati, tramite interazioni di van der Vaals. Oltre ad un primo sito di legame incentrato sul Ca2+, poi, il ligando ha un’interazione aggiuntiva con la superficie della proteina(90b).

La maggior parte delle lectine di tipo C espresse sulle cellule dendritiche riconoscono specificatamente carboidrati contenenti mannosio. In genere, esse riconoscono solo una unica disposizione dei residui mannosio sulla superficie cellulare, e le DC-SIGN possono riconoscere residui mannosio più complessi e situati più internamente in una struttura glicanica(58). Questa ulteriore competenza offre alle DC-SIGN maggiori e diverse possibilità di riconoscimento specifico di molti patogeni. Similmente alle DC-SIGN, le Langerine sono delle lectine di tipo C che riconoscono residui mannosidici e sono coinvolte nel riconoscimento del patogeno; diversamente dalle DC-SIGN comunque, queste sono coinvolte nell’eliminazione del virus e non nella trasmissione dell’infezione alle cellule T. E’ importante quindi, nella progettazione di nuovi ligandi, cercare quelli che preferenzialmente interagiscano con le DC-SIGN e solo debolmente con le Langerine.

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27

1.6.5 Legame delle DC-SIGN con il virus HIV-1

Le DC legano efficacemente il virus HIV-1 mediante interazione della glicoproteina gp120 con le SIGN e mediano il trasporto del virus ai linfociti di tipo T. La DC-SIGN infatti non funge da classico recettore che permette l’ingresso del virus HIV nel sistema immunitario, ma come una sorta di trasportatore, che lega HIV-1 e lo trasmette efficientemente alle cellule bersaglio. Il virus quindi, una volta entrato in contatto con l’organismo ospite, viene attaccato e riconosciuto dai macrofagi portanti queste lectine, che lo legano stabilmente. Il legame dell’HIV-1 alle DC-SIGN singolarmente non è sufficiente per la trasmissione del virus, in quanto il legame e il trasporto del virus, sembrano essere due processi distinti. Il complesso superficiale HIV-1-DC-SIGN, infatti, è prontamente internalizzato dalla DC in endosomi, il cui ambiente acido permette la dissociazione del legame tra lectina e virus, liberando i due componenti. La DC-SIGN così recuperata viene riciclata sulla superficie cellulare, mentre le strutture ad esse legate vengono lisate ed elaborate; gran parte dell’HIV-1 entrato nella cellula viene distrutto da questo meccanismo. Tuttavia, il legame tra DC-SIGN e HIV-1 è talmente stabile che una parte del virus che è entrato nelle DC rimane qui protetta dall’azione del sistema immunitario, conservando la sua virulenza intatta, nascosto in corpi multivescicolari diversi dai classici endosomi o lisosomi. HIV-1 è mantenuto inattivo per circa 4 giorni; questo tempo è sufficiente per permettere il trasporto del virus dalla mucosa fino ai comparti linfoidi, dai quali poi può essere ritrasmesso alle cellule T tramite una cosiddetta “sinapsi infettiva”. Hodges at al. hanno dimostrato che la segnalazione indotta da HIV-1 e mediata dalle DC-SIGN è responsabile della formazione di questa sinapsi virale tra cellule dendritiche e cellule T: così HIV-1 innesca il processo di formazione della sinapsi inibendo al contempo la maturazione della DC. Tutto il processo è favorito dalla funzione della DC-SIGN come molecola di adesione per ICAM-3 posta sulla superficie delle cellule T CD4+; recentemente infatti è stato dimostrato che la proteina Nef del virus HIV induce up-regulation delle DC-SIGN sulle cellule infette, e questo stimola enormemente la clusterizzazione DC-celluleT, che facilita la trasmissione e diffusione del virus. (Figura 1.10)

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28

Figura 1.10Schematizzazione del ruole delle DC-SIGN nella trasmissione dell'infezione da HIV-1

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29

La progettazione e la sintesi di glicomimetici con alta affinità e specificità, ci consente di interferire con il legame delle lectine ai loro recettori, oppure con la loro naturale attività biologica.

Generalmente, la costruzione di ligandi multivalenti fornisce alte affinità, utilizzando solamente dei frammenti identificativi molto semplici, come per esempio il monosaccaride terminale del ligando naturale. La scelta attenta di nuclei multivalenti e il metodo di coniugazione per assemblare i carboidrati con questi scheletri è importante per il successo di una tale strategia, in termini sia di efficienza sintetica che di proprietà biologiche. L’idea generale di aumentare la valenza per incrementare l’affinità di legame è spesso controproducente, poiché si può andare rapidamente incontro a saturazione. In tali progetti è di primaria importanza la scelta di un appropriato spaziatore, con rigidità e solubilità ottimali. Inoltre, tra partner multivalenti che interagiscono si può originare una enorme complessità, in termini di meccanismo competitivo di interazione e riguardo alla selettività verso il target scelto. Questo aumenta le difficoltà nello sviluppo di composti specifici e selettivi. Nondimeno, è stato dimostrato che i glycocluster e i piccoli dendrimeri sono promettenti composti antiadesivi contro svariati patogeni.

Il glicomimetico monovalente e l’approccio multivalente possono dare rendimenti simili in termini di affinità e selettività, ma mostrano ancora alcune significative e utili differenze che possono essere messe in evidenza dalla conservazione di entrambi i tipi di interazione nell’evoluzione di tutti gli organismi viventi. Quando si ha una lectina target e si vuole sviluppare un potente ligando, scegliere tra un glicomimetico e l’approccio multivalente non è banale ed è necessaria una precisa conoscenza della proteina insieme ad un obiettivo ben definito riguardo l’interazione che si intende creare.

La combinazione di entrambi gli approcci con la progettazione di unità glicomimetiche ottimizzate e multivalenti ha recentemente ottenuto un crescente interesse. Un approccio ibrido di questo genere procurerà certamente grandi successi in questo campo, poiché entrambi i metodi possono portare ad aumenti di affinità e di selettività in maniera

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30

sinergica. Comunque, sviluppare efficienti strutture ibride non potrà eguagliare l’oculata ottimizzazione strutturale di una unità di base glicomimetica, di un nucleo multifunzionale e dei legami, i tre elementi cruciali di questa progettazione.

In realtà, non siamo ancora in grado di stabilire se per una lectina sia preferibile scegliere un ligando monovalente o uno multivalente; ogni approccio ha dimostrato di avere il potenziale per arrivare a composti che siano convincenti da utilizzare come farmaci. Il destino di ogni candidato sarà per lo più deciso dagli esperimenti in vivo, e i ricercatori stanno procedendo in questa direzione, acquisendo nuove conoscenze e sviluppando strumenti per studiare al meglio tutte le caratteristiche dei carboidrati.

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Risultati e discussione

2.1.

Stato dell’arte

Una vasta gamma di processi biologici, che comprendono l’adesione cellulare, la trasmissione di segnali, la migrazione cellulare e l’infezione sono mediati da interazioni tra carboidrati e lectine(1,7-9). In questo contesto si inserisce la funzione della DC-SIGN (Dendritic Cell-Specific Intercellular adhesion molecule-3 (ICAM-3)-Grabbing Non-Integrin), una particolare lectina di tipo C coinvolta nel riconoscimento di virus e agenti patogeni a livello della mucosa(62,84). L’interazione tra la gp120 presente sulla superficie del virus HIV-1 e la DC-SIGN permette il passaggio del virus a tessuti ricchi di cellule CD4+, come per esempio i linfonodi, svolgendo quindi un ruolo cruciale all’inizio del processo infettivo. In particolare, l’unità fondamentale della gp120 riconosciuta dagli specifici dominii di legame (CRD) delle DC-SIGN è il glicano del mannosio Man9(GlcNAc)2 noto anche come Man9. Di conseguenza, strutture glicomimetiche riconducibili al Man9 possono inibire l’azione della lectina ed essere di notevole iteresse soprattutto per lo sviluppo di una terapia antivirale mirata contro le infezioni da HIV. L’epitopo fondamentale di questo Man9, necessario per legare le DC-SIGN, è risultato essere in realtà solo una porzione disaccaridica dell’intero glicano, ovvero l’1,2-mannobioside Manα(1,2)Man.

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Nel 2007 il gruppo della Professoressa Bernardi(74) ha riportato la sintesi dello pseudomannobioside 2.1, potenziale ligando per la DC-SIGN, analogo dell’epitopo Manα1-2Man (Figura 2.1) (nota)

I composti 2.1a e 2.1b presentano una maggiore stabilità verso la degradazione enzimatica rispetto al disaccaride naturale, e sono rappresentativo di una classe di glicomimetici portanti una porzione alternativa “carbazuccherina”, analoga del monosaccaride originale, nella quale l’ossigeno del ciclo è stato sostituito con un gruppo metilenico –CH2-. Questa sostituzione rende il composto più stabile verso la degradazione enzimatica e inoltre anche più solubile e adatto alla permeazione attraverso le membrane, meno idrofilo e metabolicamente più stabile rispetto allo zucchero stesso, caratteristiche fondamentali al fine di ottenere un potenziale efficace agente antinfettivo.

Gli pseudo-1,2-mannobiosidi 2.1a e 2.1b, possiedono una struttura tridimensionale e un comportamento conformazionale paragonabile a quello del Manα1-2Man e mostrano un’interessante attività micromolare come inibitori delle DC-SIGN nei processi infettivi simulati da virus Ebola, dimostrando che per la prima volta piccole molecole possono funzionare da efficaci antagonisti ed essere quindi usate per inibire infezioni virali mediate dalla DC-SIGN. Il gruppo della Bernardi ha proseguito quindi gli studi(76) nel tentativo di incrementare l’affinità di legame di questi composti, a seguito anche

Figura 2.11 Struttura dell’epitopo natural Manα1-2Man e e dello pseudodisaccaride di sintesi 2.1a e 2.1b

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34

dell’identificazione di due aree idrofobiche intorno alla Phe313

nel sito di legame della DC-SIGN, che risultavano solo parzialmente occupate nella struttura cocristallizzata del recettore con un tetramannoside Man4. Sono stati quindi progettati pseudodisaccaridi che contenevano porzioni lipofile e la maggior parte di loro ha evidenziato una maggiore attività inibitoria nei confronti della DC-SIGN, rispetto agli iniziali mimetici 2.1a e 2.1b.

Figura 12.2 Strutture dei sostituenti lipofili inseriti sul composto 2.1(76) Sostituenti idrofobici R= -NO2; = -OMe; = -Me; = -H;

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35

Nel laboratorio dove ho svolto il mio progetto di tesi, in collaborazione con il gruppo della Bernardi, precedentemente al mio lavoro erano stati sintetizzati due nuovi pseudodisaccaridi, (+)-2.2a e (-)-2.2b, reali mimici del Manα1-2Man che invece di avere una struttura mimetica semplificata come nel caso di 1.1, hanno la porzione del carba zucchero interessantemente costituita da un reale mimico dell’unità non riducente dell’epitopo Manα1-2Man.(91)

La sintesi di (+)-2.2 a e (-)-2.2 b prevede come passaggio fondamentale la trasformazione del tri-O-acetil-D-glucale (+)-2.3 commerciale nell’alcool primario (-)-2.4 e nella successiva cruciale trasformazione nel corrispondente carba-analogo (-)-2.7, nel quale un gruppo metilenico –CH2- va a rimpiazzare l’ossigeno endociclico del glucale. Per questa trasformazione l’alcool primario (-)-2.4 viene ossidato mediante IBX all’aldeide corrispondente 2.5 e questa viene poi fatta reagire con un’ilide fosforica ottenuta dalla deprotonazione di Ph3PCH3I con LHMDS in THF, ad ottenere un’olefina 6-esociclica glical-derivata (+)-2.6. Il passaggio successivo è un riarrangiamento termico di Claisen che permette di ottenere il derivato carbaciclico (-)-2.7. A questo punto, dopo appropriate elaborazioni, il doppio legame presente su C1-C2 dello scheletro cicloesenico viene stereoselettivamente epossidato a dare l’epossidiolo (+)-2.8, che è l’intermedio chiave per il proseguo della sintesi. (Schema 2.1)

Figura 2.13 Pseudomannobiosidi reali mimetici del ManA1,2-Man

(36)

36

Per ottenere il 2-amminoetil-pseudomannobioside (+)-2.2a, l’intermedio chiave tras-diol ossirano (+)-2.8 viene trattato con NaH/BnBr in DMF a dare il tri-O-benzil epossido protetto (+)-2.9. Successivamente, la reazione di apertura dell’epossido tramite appropriato agente nucleofilo, l’azidoetanolo, in presenza di quantità catalitiche di Cu(OTf)2 come necessario acido di Lewis(92), permette l’ottenimento del glicosil accettore desiderato, il 2-azido-1-etossi-cicloesanolo (+)-2.10. (Schema 2.2)

Schema 2.1 Precursori della sintesi dell'intermedio chiave (+)-2.8

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37

In questo modo il glicosil accettore (+)-2.10 è pronto per il successivo passaggio di glicosilazione con un classico mannosil donatore, il tricolacetimidato (TCA)(93) (-)-2.12, protetto sui gruppi ossidrilici con gruppi benzoato. La reazione è condotta in CH2Cl2 a -20°C per circa 20 minuti, in presenza di setacci molecolari AWMS per mantenere l’ambiente anidro e utilizzando TMSOTf come catalizzatore. (Schema 2.3)

Il glicoconiugato (-)-2.12 si forma in maniera completamente α stereoselettiva, e viene quindi debenzilato in ambiente riducente (riduzione catalitica con H2,Pd/C 10%) a dare

(-)-2.13. Il passaggio successivo permette la rimozione dei benzoili sulla porzione mannosilica per saponificazione con una soluzione 1.0M di MeONa/MeOH per ottenere lo pseudomannoside (+)-2.2a completamente deprotetto. (Schema 2.4)

Schema 2.3 Sintesi del 2-amminoetil-pseudo-1,2-mannobioside protetto (+)-2.12

(38)

38

Per mantenere l’azido gruppo sulla catena in posizione pseudoanomerica e ottenere (-)-2.2b, l’epossido chiave (+)-2.8 è stato deprotetto sulla funzionalità C6 per trattamento con H2, Pd/C 10% in EtOH che ha permesso la formazione del β-epossi-triolo

(+)-2.14(74), che viene poi sottoposto ad acetilazione in presenza di anidride acetica e piridina per ottenere il tri-O-acetil-β-epossido (+)-2.15. L’epossido (+)-2.15 viene quindi trattato con una soluzione preparata al momento di azidoetanolo 1.3M in diclorometano, in presenza di Cu(OTf)2 in quantità catalitica(92) per ottenere (2-azidoetil)-3,4,6-tri-O-acetil cicloesanolo, che rappresenta il nuovo glicosil accettore (+)-2.16. (Schema 2.5)

Anche questo glicosilaccettore (+)-2.16 viene sottoposto a glicosilazione con il TCA (-)-2.11 per ottenere (-)-2.17 che per successiva saponificazione dà lo pseudomannobioside completamente deprotetto (-)-2.2b. (Schema 2.6)

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Questi composti sono stati inviati al laboratorio del Professor Frank Fieschi all’Istituto di Biologia Strutturale di Grenoble per essere sottoposti a saggi biologici di surface plasmon resonance (SPR)(91). (+)-2.2a e (-)-2.2b hanno rivelato una buona attività, paragonabile a quella dell’epitopo naturale, ma non superiore come ci si sarebbe invece aspettati da un reale mimico del disaccaride naturale. Dalle curve di inibizione ottenute è stato ottenuto un valore di IC50 pari a circa 1 mM per tutti i composti. I valori specifici sono stati:

 964 ± 14.6 µM per il ligando naturale

941 ± 20.2 µM per il glicomimetico 2.1

1467 ± 32.1 µM per (-)-2.2b

1453 ± 30.6 µM per (+)-2.2a

L’attenzione è stata quindi riportata sull’importanza delle interazioni idrofobiche aggiuntive che, a nostro avviso, avrebbero veramente potuto incrementare l’attività rispetto all’epitopo naturale.

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40

Sulla base dei risultati biologici ottenuti per i composti (+)-2.2a e (-)-2.2b, nel laboratorio dove ho svolto il mio progetto di tesi si era poi pensato di sintetizzare nuovi pseudomannobiosidi mimici del Manα(1,2)Man, ma più lipofili. Era stato quindi deciso di tentare un primo approccio, sintetizzando uno pseudomannobioside funzionalizzato sulla posizione C4 del carbamannosio con un gruppo amminico sostituito con un gruppo nosile. La sintesi era stata condotta a partire da una vinil-aziridina (±)-2.18, già disponibile in laboratorio in forma racema. (Schema 2.7)

L’aziridina (±)-2.18 è stata sottoposta a reazione di acetolisi a dare (±)-2.19 che per successiva saponificazione fornisce l’alcool allilico (±)-2.20 il quale ossidato con MCPBA permette di ottenere con buone rese (79%) ed in modo stereoselettivo solo l’epossido (±)-2.21β, necessario per il proseguo della reazione. Il successivo passaggio di acetilazione restituisce il C3-O-acetil β epossido (±)-2.22β, opportunamente sostituito e con la configurazione adatta per essere sottoposto a reazione di apertura tramite azidoetanolo per ottenere il nuovo glicosil accettore (±)-2.23 in maniera regio- e antistereoselettiva, mediante processo di apertura trans-diassiale dell’epossido. (Schema 2.7)

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Seguendo il consueto protocollo il glicosil accettore (±)-2.23 viene sottoposto a reazione di glicosilazione con TCA(92) (-)-2.11, che permette di ottenere una miscela diasteroisomerica 1:1 di 4-(N-nosilammino)-pesudomannobiosidi completamente protetti (+)-2.24a e (+)-2.24b. Sfortunatamente, a causa delle esigue quantità di prodotto ottenuto, non è stato possibile procedere oltre nella via sintetica, con la deprotezione dei due desiderati pseudomannobiosidi per ottenere 2.25a e 2.26b e successivamente saggiarne l’attività biologica. (Schema 2.8)

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42

2.2 Scopo della tesi

Sulla base di questi risultati preliminari, l’obiettivo del mio lavoro di tesi è stato quello di sintetizzare due nuovi pseudodisaccaridi (+)-2.26 e (+)-2.27, in maniera stereoselettiva. I due nuovi pseudomannobiosidi (+)-2.26 e (+)-2.27, mimici dell’epitopo Manα(1,2)Man portano come modifica strutturale l’introduzione di una funzionalità amminica protetta con gruppo tosile. La scelta del tosile è stata fatta principalmente in relazione alla maggiore stabilità di questo sostituente nelle condizioni dei saggi biologici. Sull’ossigeno pseudoanomerico si è scelto invece di mantenere entrambe le catene presenti sui carba-analoghi precedentemente sintetizzati (+)-2.2a e (-)-2.2b: il glicoconiugato (+)-2.26 presenta infatti una catena etossiazidica mentre il glicoconiugato (+)-2.27 presenta una catena etossiamminica. Oltre a dare interazioni favorevoli con il sito di legame delle DC-SIGN, queste catene in posizione pseudoanomerica offrono la possibilità di essere ulteriormente funzionalizzate per ottenere dei nuovi glicoconiugati, quali per esempio glicoproteine. Il mantenimento dell’azido gruppo nel composto (+)-2.26 comporta conseguentemente la conservazione del benzile sulla posizione C(6), in quanto i due gruppi non sono ortogonali. (Figura 2.4)

Figura 2.14 Struttura dei due pseudodisaccaridi (+)-2.26 e (-)-2.27 obiettivo del mio

(43)

43

2.3

Sintesi stereoselettiva dei nuovi pseudomannobiosidi lipofili (+)-2.26 e

(+)-2.27 analoghi dell’epitopo minimo Manα(1,2)Man

La sintesi stereoselettiva dei due pseudodisaccaridi (+)-2.26 e (+)-2.27 inizia a partire dal tri-O-acetil-D-glucale (+)-2.3, composto facilmente reperibile in commercio a basso prezzo (Schema 2.9). Il glucale (+)-2.3 è stato sottoposto a reazione di deprotezione regioselettiva sulla funzionalità ossidrilica primaria per trattamento con Lipasi proveniente da Candida Rugosa (CRL, 700.0 unità/mg di attività) in tampone fosfato a pH 7.0, con diisopropiletere e acetone, per fornire l’alcool primario (+)-2.28. Questo è stato selettivamente protetto con 3,4-diidro-2H-pirano (DHP) in presenza di piridinio p-toluen sulfonato (PPTs), per dare il 6-O-THP derivato 2.29. Successivamente il trattamento del diacetato 2.29 con MeONa/MeOH, fornisce il diolo trans 2.30, che rappresenta un primo intermedio chiave del nostro processo sintetico. La scelta dei gruppi protettivi sul C-(3) e C-(4) è cruciale per il corretto procedere della sintesi.

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44

La reazione di protezione del diolo 2.30 prevede il trattamento con NaH in DMF a 0°C; quindi l’alcoolato ottenuto viene trattato con p-metossibenzil cloruro e la reazione è lasciata in agitazione a temperatura ambiente per 12 ore per ottenere il 3,4-di-O-PMB-6-O-THP-D-glucale 2.31. Il PMB-derivato 2.31 viene quindi deprotetto sull’ossidrile primario utilizzando una miscela AcOH/THF/H2O 1.5:2:1 e lasciando per 12 h a 45°C, per ottenere l’alcool primario(94)

(-)-2.4 con resa del 40% dopo purificazione per flash cromatografia. La deprotezione è un passaggio molto delicato, sensibile alla temperatura, che deve necessariamente rimanere <50°C, e alle proporzioni della miscela solvente: se le condizioni variano rispetto a quelle descritte, si ottengono complesse miscele di prodotti(95).

L’alcool (-)-2.4 viene quindi ossidato ad aldeide 2.5 utilizzando come agente ossidante l’acido 2-iodobenzoico (IBX). Il reattivo IBX viene preparato di fresco in laboratorio secondo una semplice procedura di letteratura riportata da Frigerio(96) et al. Tale procedura consiste nell’ossidazione dell’acido 2-iodobenzoico con Oxone® (KHSO5 -KHSO4-K2SO4) in fase acquosa a 70°C per 3h; quindi, la miscela di reazione viene filtrata su buchner, lavando con acqua; in questo modo l’IBX è ottenuto con buone rese (80%) e un elevato grado di purezza (95%). (Schema 2.10)

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Il trattamento quindi dell’alcool (-)-2.4 con IBX anidro in CH3CN a 45°C fornisce l’aldeide desiderata 2.5, stabile per poche ore a bassa temperatura e direttamente utilizzata nel successivo passaggio senza purificazione intermedia (Schema 2.11). Anche in questo caso è molto importante controllare la temperatura della reazione, in quanto a temperature superiori ai 45°C si ha la formazione dell’aldeide 2.5 accompagnata però da un prodotto collaterale di reazione, la p-metossi benzaldeide, con drastica riduzione della resa del prodotto desiderato. La p-metossi benzaldeide si forma in queste condizioni di reazione a causa dell’ossidazione del carbonio benzilico dei gruppi protettivi, particolarmente sensibile all’attacco da parte di agenti ossidanti a causa dell’effetto coniugativo elettrondonatore del PMB.

.L’aldeide 2.5 è molto instabile (può essere conservata al massimo per 36h a -78°C) e quindi viene immediatamente sottoposta a reazione di Wittig. Per deprotonazione del Ph3PCH3I con LHMDS in THF si forma l’ilide fosforica a cui viene aggiunta l’aldeide, ottenendo così l’olefina 6-esociclica (+)-2.6, in miscela con l’ossido di trifenolfosfina (Ph3PO). Questo sottoprodotto di reazione può essere efficacemente eliminato

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attraverso un trattamento in più passaggi, consistente inizialmente in una filtrazione su Celite® del grezzo di reazione. Quindi, si lava la fase organica così ottenuta con soluzioni acquose (NaHCO3 sol.sat., NH4Cl 10% , NaCl s.s. ) e si filtra nuovamente la nuova fase organica lavata su gel di silice, con una miscela 7:3 Hexane/AcOEt. L’evaporazione del solvente fornisce l’olefina (+)-2.6 pulita e con rese del 68%.

La sintesi prosegue con la costruzione del sistema carbaciclico, attraverso una nuova applicazione, già utilizzata nel nostro laboratorio(95), della reazione di riarrangiamento termico di Claisen (Schema 2.11), descritta da Nagarajan e Sudha(97). La procedura originale descritta prevede l’utilizzo di gruppi protettivi benzilici sul C(3) e C(4), che vengono rimossi poi in ambiente riducente (H2/ Pd-C). Tuttavia, la debenzilazione nelle condizioni classiche è incompatibile con il mantenimento del doppio legame C1-C2, fondamentale nel nostro caso per le successive modifiche. Per questo, come gruppi protettivi sugli ossidrili in C(3) e C(4) sono state utilizzate delle funzionalità p-metossibenziliche, che possono in seguito essere rimosse per ossidazione con DDQ, senza rischiare la riduzione del doppio legame olefinico.

Il riarrangiamento termico di Claisen è una reazione sigmatropica [3,3] nella quale un allil vinil etere, o una struttura correlata, viene trasformato in un carbonile γ,δ-insaturo. (Schema 2.12)

In questo caso, l’olefina (+)-2.6, rappresenta un tipo particolare di vinil-allil etere, con un doppio legame endociclico e uno extraciclico. Il riarrangiamento viene condotto riscaldando a 240°C una soluzione dell’olefina (+)-2.6 in 1,3-diclorobenzene, senza

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agitazione, per circa 45 minuti. Per raggiungere la temperatura voluta si utilizza un olio silicone particolare, AP 100, molto stabile e soprattutto non infiammabile alla temperatura richiesta.

Il glical vinil allil etere reagisce seguendo il meccanismo descritto in Schema 2.13, formando una carba aldeide molto instabile (2.32), che viene quindi ridotta subito con NaBH4 ad ottenere l’alcool primario (-)-2.7, stabile e purificabile tramite flash cromatografia. (Schema 2.11)

Ottenuto l’alcool primario (-)-2.7, viene introdotto un benzile come gruppo protettivo della nuova funzione ossidrilica in C(6), e tale gruppo verrà mantenuto per tutta la restante procedura sintetica e quindi dovrà essere stabile nelle condizioni di deprotezione dei due gruppi 3,4-p-metossibenzilici su C(3) e C(4).

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