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HDAC E PDE5: NUOVI POTENZIALI BERSAGLI PER IL TRATTAMENTO DEL MORBO DI ALZHEIMER

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

HDAC e PDE5: nuovi potenziali bersagli per il trattamento

del morbo di Alzheimer

Candidata: Faraoni Sara

Relatore: Prof.ssa Anna Maria Marini

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INDICE

Introduzione Pag. 1

Alzheimer: descrizione e meccanismi coinvolti

Alterazioni macroscopiche e microscopiche Pag. 3

Placche senili Pag. 5

Grovigli neurofibrillari Pag. 8

Proteine anomale nella AD

Peptide β-amiloide Pag. 9

Tau Pag. 10

Processazione del peptide precursore amiloide

Meccanismi amiloidogenetici ed anti-amiloidogenetici Pag. 12

Β-secretasi Pag. 14

ϒ-secretasi Pag. 14

Ipotesi amiloide Pag. 15

Ipotesi colinergica Pag. 17

Altri meccanismi coinvolti nella AD Pag. 20

Alzheimer di tipo familiare e mutazioni del gene

che codifica per APP Pag. 30

Trattamenti farmacologici della AD Pag. 32

Fosfodiesterasi 5 (PDE5): introduzione Pag. 42

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Nucleotidi ciclici e processi cognitivi Pag. 47

PDE5 e funzioni cognitive Pag. 49

Effetti di inibitori della fosfodiesterasi 5 (PDE5Is)

su neuroinfiammazione e neurodegenerazione Pag. 52

Istone deacetilasi (HDAC) Pag. 53

Famiglia delle HDACs Pag. 54

Modificazioni istoniche Pag. 56

Acetilazione Pag. 57

HDACs in condizioni fisiologiche e patologiche Pag. 59

Istone deacetilasi e AD Pag. 59

Inibitori delle HDACs (HDACsI) Pag. 62

Un nuovo potenziale target nel trattamento della AD Pag. 64 Terapia multitarget: associazione tra inibitori

PDE5 e HDACs Pag. 66

Progettazione razionale Pag. 67

Studio della posizione 5’ dell’anello fenilico

del sildenafil e SAR Pag. 73

Citotossicità e risposta cellulare: effetti sull’acetilazione

degli istoni e sulla fosforilazione di CREB Pag. 89

Profilo ADME dei composti 37 e 7 Pag. 96

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“Cara Julia:

Ti scrivo ora, mentre dormi, caso mai domani non fossi io quello che vede sorgere l’alba al tuo fianco.

In questi viaggi di andata e ritorno, ogni volta passo sempre più tempo dall’altra parte e in uno di questi, chi lo sa? ho paura che non ci sia ritorno.

Se domani io non fossi più in grado di capire quello che mi capita. Se domani non potessi più dirti quanto ammiro e stimo la tua integrità, il tuo impegno nello stare al

mio fianco, cercando di farmi felice nonostante tutto, come sempre.

Se domani io non fossi più cosciente di quello che fai per me. Di come metti i bigliettini su ogni porta perché non confonda la cucina con il bagno; di come finiamo

per ridere se mi metto le scarpe senza le calze; quando ti impegni a mantenere viva la conversazione anche se mi perdo in ogni frase; quando, senza farti accorgere, ti avvicini per sussurrarmi all’orecchio il nome di uno dei nostri nipoti; quando rispondi

con la tenerezza a questi attacchi di ira che mi assaltano, come se qualcosa dentro di me si ribellasse contro il destino che mi ha imprigionato.

Per questo e per tante altre cose. Se domani non ricordassi il tuo nome o il mio.

Se domani non potessi ringraziarti. Se domani, Julia, non fossi più capace di dirti, sia anche per l’ultima volta, che ti amo.

Tuo per sempre

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Questa lettera si intitola “Se domani” ed è stata scritta nel 2014 da Jesús Espada, malato di Alzheimer a sua moglie.

La memoria permette di riprodurre l’esperienza passata e renderla nuovamente attuale pur nella lontananza spaziale e temporale dell’evento evocato. L’intera azione della memoria ha alla propria base il ricordo. Di esso ognuno ha una propria percezione ed esperienza, così, come in un moto automatico, migliaia di ricordi affiorano nella nostra memoria, alcuni temporalmente più lontani, appaiono sfocati ed imprecisi, dai contorni

indefiniti, cosicché risulta difficile mettere a fuoco le diverse situazioni ad essi sottese. Altri invece si presentano chiari e definiti, consentendoci di ricordare eventi più o meno importanti o piacevoli. La memoria diventa così il mezzo privilegiato per poter effettuare un recupero fiducioso di fatti e di circostanze utili a chiarire le radici socio culturali di ognuno, la base fondamentale per la ricerca delle proprie origini e quindi della propria identità. Alla base della memoria vi è il fenomeno dell’apprendimento, definito da alcuni studiosi come un processo che si manifesta attraverso cambiamenti adattativi del comportamento individuale in seguito all’esperienza. L’importanza di capire i meccanismi che stanno alla base del processo della memoria, e la speranza di poter intervenire quando questi sono danneggiati, è pertanto facilmente intuibile: da essi dipendono la qualità della vita e la sopravvivenza stessa dell’individuo. Questo tipo di considerazioni contribuisce a rendere particolarmente attivo il campo della ricerca sui meccanismi sottesi alla memoria.

La malattia di Alzheimer (AD) è la più comune forma di demenza, che altera irreversibilmente la percezione mnemonica, è una malattia neurodegenerativa e progressiva, caratterizzata da perdita della memoria e delle funzioni cognitive, accompagnata spesso da disturbi comportamentali come aggressività e depressione. Si stima che 35 milioni di persone al mondo siano affette da AD, la patologia è età correlata, con una maggiore incidenza al di sopra dei 65 anni. L’incidenza è destinata ad aumentare significativamente nei prossimi tre decenni. La AD colpisce i soggetti in modi diversi, ma in generale il sintomo principale è il peggioramento della memoria relativa alle nuove informazioni. Ciò si verifica a causa della perdita della funzione da

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parte delle cellule che risiedono nell’area cerebrale coinvolta nella formazione di nuovi ricordi. La perdita di memoria, associata alla progressione della patologia, sconvolge la vita quotidiana della persona, per la quale diventa complicato portare a termine compiti familiari o di casa, relazionarsi con le persone, intraprendere attività lavorative o attività sociali. Anche le azioni quotidiane diventano difficili da mettere in atto, come il semplice procedimento per preparare una minestra o vestirsi, mettersi le scarpe e lavarsi i denti. Con il progredire della patologia insorgono anche problemi comportamentali, cambiamenti d’umore e di personalità, che rendono difficile l’approccio da parte dei familiari. Fino ad arrivare a condizioni di completo declino cognitivo, nelle quali la persona non è più capace di gestire la propria vita ed ha bisogno del continuo supporto [1].

Attualmente non esistono terapie efficaci nel trattamento dell’AD, quelle disponibili si limitano a controllare la sintomatologia, e prolungare quanto possibile la vita del paziente. Per questo motivo risulta necessario lo sviluppo e l’applicazione di nuove strategie terapeutiche, effettuate sulla base di studi che tengono conto dei meccanismi alla base della patologia e dei bersagli molecolari che potrebbero essere presi in considerazione per il trattamento. In questa tesi, vengono trattati la progettazione, la sintesi e le valutazioni biologiche effettuate su nuovi potenziali target molecolari, quali la fosfodiesterasi 5 (PDHE5) e l’istone deacetilasi (HDA), prese in considerazione per una possibile terapia multitarget dell’AD [2].

ALZHEIMER: DESCRIZIONE E MECCANISMI COINVOLTI

ALTERAZIONI MACROSCOPICHE E MICROSCOPICHE

La AD è una patologia neurodegenerativa progressiva, che interessa diverse aree cerebrali, caratterizzata da perdita di memoria e deterioramento delle molteplici funzioni cognitive. Gli aspetti neurobiologici che caratterizzano questa malattia, consistono in alterazioni macroscopiche e microscopiche.

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A) Alterazioni macroscopiche.

La caratteristica macroscopica più evidente del cervello di un soggetto affetto da AD è la marcata atrofia che determina un’aumentata ampiezza dei solchi cerebrali e l’incremento del volume ventricolare (Fig. 1). Questa atrofia coinvolge, oltre al lobo temporale, le aree associative corticali, l’ippocampo ed il giro ippocampale, con un relativo risparmio delle aree posteriori degli emisferi, del cervelletto e del tronco cerebrale. L’atrofia è legata principalmente alla degenerazione neuronale, che comporta riduzione del numero di spine dendritiche e di giunzioni sinaptiche fino ad una vera e propria scomparsa della cellula nervosa, fenomeno che si determinerebbe con un meccanismo apoptotico. Fra le strutture sottocorticali, particolarmente colpite dalle interazioni degenerative sono, amigdala, locus coreuleus, nucleo del rafe e le strutture colinergiche del tronco cerebrale.

Fig.1 Differenze anatomiche tra cervello sano e cervello con AD.

Altra alterazione evidente è la presenza di alterazioni cerebrovascolari, solitamente caratterizzate da occlusione dei piccoli vasi, condizione secondaria a ipertensione

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cronica e fattori di rischio cardiovascolare, che si associa al fisiologico invecchiamento come anche alla AD [3].

B) Alterazioni microscopiche.

Le caratteristiche microscopiche tipiche del cervello di un paziente con AD sono: le placche senili (SP, Senile Plaques) e i grovigli neurofibrillari (NFT, Neurofibrillary Tangles) (Fig.2). Queste interessano prevalentemente le regioni cerebrali della memoria e della cognizione.

Fig. 2 Alterazioni microscopiche nella AD: placche senili e grovigli neurofibrillari.

PLACCHE SENILI

Le placche senili (SP) sono lesioni caratteristiche riscontrabili in abbondanti concentrazioni nel cervello di pazienti affetti da AD (Fig.3). Queste sono caratterizzate da un accumulo e deposizione anomala di peptide β-amiloide, in sede extracellulare. Tale peptide si compone di 40 o 42 amminoacidi, determinando Aβ40 o Aβ42, i quali

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sono due normali sottoprodotti del metabolismo della proteina precursore del peptide β-amiloide (APP) formati dopo la sua scissione sequenziale da parte degli enzimi β- e ϒ-secretasi nei neuroni. A causa del suo alto tasso di insolubilità, Aβ42 è più abbondante di Aβ40 all’interno delle placche senili.

Con il tentativo di comprendere l’evoluzione della placca amiloide, dopo la sua formazione, sono state definite tre tipologie di placca, denominate rispettivamente “primitive”, “classiche” ed “esaurite”. Tuttavia una classificazione più pratica e più ampiamente utilizzata le distingue in due tipi principali: placche diffuse e placche dense-core, sulla base del loro comportamento, conseguente al trattamento con coloranti specifici quali Congo Red e Thioflavin-S. Questa classificazione è rilevante in quanto, a differenza delle placche diffuse (Thioflavin-S negative), le placche dense-core (Thioflavin-S positive) sono associate ad effetti che comprendono, l’aumento della curvatura dei neuriti, neuriti distrofici, perdita delle sinapsi e delle cellule neuronali, il reclutamento e l’attivazione sia degli astrociti che della microglia. Placche amiloidi diffuse sono comunemente presenti nel cervello di persone anziane cognitivamente sane, mentre le placche ad alta densità si trovano più spesso nel cervello di pazienti affetti da AD. Tuttavia il limite patologico tra invecchiamento normale e AD non è ancora ben definito, tanto che molti anziani cognitivamente normali hanno alte concentrazioni di Aβ nel cervello. Studi di microscopia elettronica hanno mostrato l’ultrastruttura delle placche dense-core, questa è caratterizzata da una massa centrale di filamenti extracellulari, che si estendono radialmente verso la periferia. Queste formazioni neuronali, dette neuriti distrofici, contengono spesso pacchetti di filamenti elicoidali accoppiati (Paired Helical Filament, HPF), come anche mitocondri anomali, e corpi densi di origine lisosomiale o mitocondriale. I neuriti distrofici placca-associati rappresentano la più nota evidenza di attività neurotossica Aβ-correlata, e uno dei principali meccanismi fisiopatologici della AD. Le placche classiche sono particolarmente complesse, e costituite da vari componenti molecolari che si trovano all’interno di un “core” amiloide, il quale è circondato da un “anello”. In questa struttura, la cromogranina-A e l’antigene filamento elicoidale accoppiato

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(PHF, Paired Helical Filament) sembrano essere localizzati sull’”anello”, mentre i fattori di integrazione e le immunoglobuline si trovano nel “core” della placca.

Fig.3 Placche senili nella AD.

La presenza di proteine del sistema immunitario all’interno del “core” ha fatto ipotizzare il possibile coinvolgimento di proteine ematiche ed altre proteine specifiche del sistema immunitario nella patogenesi dei depositi di Aβ e quindi della AD [4].

Caratteristica interessante dei neuriti distrofici, è la loro capacità immunoreattiva contro la proteina precursore amiloide (APP), che sarebbe dovuta alla presenza di anomalie del citoscheletro, situazione che comporta la distruzione del normale trasporto assonale. Inoltre, alcuni neuriti assonali distrofici contengono marcatori colinergici, glutamminergici o gabaergici, provocando una trasmissione nervosa aberrante placca-indotta. Infine, i neuriti distrofici possono essere osservati con metodiche di immunoistochimica per ubiquitina e proteine lisosomiali, e ciò indica

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che vi è un meccanismo compensatorio che tenta di degradare e eliminare l’accumulo di proteine ed organelli anomali.

GROVIGLI NEUROFIBRILLARI

I grovigli neurofibrillari, NFTs, sono aggregati intracellulari di proteina Tau iperfosforilata e ripiegata in modo anomalo, che diventano extracellulari conseguentemente a morte neuronale. Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per primo identificò la patologia, li definì come inclusioni filamentose intraneuronali localizzate all’interno della regione stromale dei neuroni piramidali (Fig. 4). I NFTs hanno una progressione spazio-temporale stereotipata, correlata con la gravità del declino cognitivo. Infatti, un’analisi topografica dei grovigli neurofibrillari è utilizzata nella diagnosi dell’AD. Studi ultrastrutturali su campioni di cervello AD hanno mostrato che la struttura principale di NFTs è caratterizzata da filamenti elicoidali accoppiati (HPF), fibrille di circa 10 nm di diametro, che formano coppie con una conformazione tridimensionale elicoidale, la cui periodicità è all’incirca di 65 nm. Una piccola parte di fibrille all’interno di NFTs non si dispongono in coppie, ma hanno l’aspetto di filamenti dritti senza la periodicità di HPFs. Più recentemente, moderne tecniche di microscopia ad alta risoluzione, hanno dimostrato in vitro la presenza di attorcigliati filamenti di proteina Tau che cambierebbero l’ipotesi conformazionale di HPFs. Indipendentemente dalla morfologia delle loro unità strutturali, il principale costituente di NFTs è la proteina Tau, associata in microtubuli, la quale risulta ripiegata e iperfosforilata in maniera anomala.

Sono stati classificati tre stadi distinti di NTFs: 1) Pre-NTFs o NTFs diffusi, che sono definiti da una diffusa colorazione della proteina Tau all’interno del citoplasma di neuroni dal normale aspetto, con dendriti ben preservati e nucleo centrato; 2) NTFs maturi o fibrille intraneuronali (iNTFs) che si presentano come aggregati filamentosi intracellulari di proteina Tau, che spostano il nucleo verso la periferia del soma cellulare, e spesso provocano una distorsione dei dendriti e dei segmenti prossimali dell’assone; 3) NTFs extraneuronali “fantasmi” (eNTFs) che derivano dalla morte dei

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neuroni e identificabili per la mancanza di nucleo cellulare e dalla capacità di colorazione citoplasmatica.

Fig. 4 Grovigli neurofibrillari in neuroni degenerati.

PROTEINE ANOMALE NELLA AD 1) PEPTIDE β-AMILOIDE

Il peptide β-amiloide, principale costituente delle SP, è un prodotto naturale del metabolismo. Aβ si compone di una catena di 37-43 aminoacidi e si forma a partire dalla proteina precursore amiloide (β-amyloid precursor protein, APP). Questa è soggetta all’attività proteolitica di sistemi enzimatici diversi, che attuano una scissione enzimatica sequenziale, quali: l’enzima di scissione della proteina amiloide β-specifico (BACE1), α-, β- e ϒ- secretasi, e un complesso proteico il cui core catalitico è caratterizzato da presenilina 1 (PS1). Un’alterazione dell’equilibrio tra i meccanismi di produzione, rimozione ed aggregazione peptidica, ha come conseguenza un accumulo di Aβ, il cui eccesso può essere il fattore di inizio della AD. Questa idea,

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chiamata “ipotesi amiloide” si basa su studi effettuati su forme genetiche di AD, che includono la Sindrome Down e sull’evidenza che Aβ42, in particolare, è tossico per le

cellule [5].

Aggregati spontanei di Aβ, coesistono in diverse forme fisiche; una di queste consiste di oligomeri (da 2 a 6 peptidi) che possono fondersi in complessi intermedi. Il peptide β-amiloide può anche crescere nella forma di fibrille, le quali si arrangiano in foglietti β-pieghettati a formare le fibre insolubili, tipiche delle placche amiloidi avanzate. Oligomeri solubili e amiloidi intermedi, sono le principali forme neurotossiche di Aβ. In campioni di cervello analizzati, dimeri e trimeri di Aβ sono risultati tossici per le sinapsi. La severità del deficit cognitivo, associato all’AD, è correlata al livello di oligomeri nel cervello, ma non al totale di Aβ. L’attivazione neuronale, accresce rapidamente la secrezione di Aβ nelle sinapsi, processo correlato al normale rilascio di vescicole contenenti neurotrasmettitori. Livelli fisiologici di Aβ sinaptico, possono smorzare la trasmissione eccitatoria e prevenire l’ipereccitabilità neuronale.

Le proteasi niprilisina e l’enzima insulina degradante (IDE), regolano i livelli plasmatici di Aβ. La niprilisina, una glicoproteina appartenente alla classe delle metallo-endopeptidasi di membrana, ha la capacità di degradare monomeri ed oligomeri di Aβ. Perciò una riduzione dei livelli di questa proteasi, causa un accumulo di Aβ a livello cerebrale. L’IDE è una tiolo-metalloendopeptidasi, che degrada piccoli peptidi come insulina e monomeri di peptide β-amiloide. Studi effettuati sul topo, hanno dimostrato che una delezione di questo enzima, comporta un deficit nella degradazione di Aβ superiore al 50%. Al contrario, una sovraespressione di niprilisina e IDE hanno un’attività preventiva della formazione delle placche amiloidi.

TAU

I grovigli neurofibrillari, inclusioni filamentose dei neuroni piramidali, sono evidenti nella AD come in altre malattie neurodegenerative, definite tautopatie. Il numero di NFTs è un marcatore della severità della AD. Come detto precedentemente, il principale componente dei NFTs, è una forma anomala di proteina Tau,

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iperfosforilata ed aggregata. Normalmente Tau è una proteina solubile, localizzata a livello assonale e promuove l’assemblaggio e la stabilità dei microtubuli e delle vescicole di trasporto. Nella forma iperfosforilata, Tau è insolubile, manca l’affinità per i microtubuli e si associa a formare una struttura a filamento elicoidale accoppiato (Fig.5). Gli enzimi che aggiungono e che rimuovono i residui di fosfato, sono quelli che regolano il grado di fosforilazione di Tau.

Fig. 5 Proteina Tau in a) neurone sano e b) neurone con AD.

Come visto per gli oligomeri di Aβ, anche gli aggregati intermedi di proteina Tau anomala provocano neurotossicità e compromettono la cognizione. I filamenti elicoidali insolubili possono essere inerti, tuttavia dal momento che diminuisce il trasporto assonale e il numero dei neuroni sono indipendenti dal carico di NFTs. Questi filamenti elicoidali inoltre, sequestrano specie intermedie tossiche di Tau, pertanto possono avere un effetto protettivo. Più di 30 mutazioni di Tau sul

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cromosoma 17 sono state rilevate, nella demenza frontotemporale con parkinsonismo. Per contro, mutazioni di Tau non sono associate all’insorgenza di AD, e l’entità di perdita dei neuroni è fuori proporzione rispetto al numero di NFTs. Tuttavia, l’aumento dei livelli di fosforilazione e della concentrazione totale di Tau nel fluido cerebrospinale, sono associate alla riduzione del punteggio ottenuto nell’esame cognitivo di pazienti con AD. Elevati livelli di aminoacidi fosforilati, della proteina Tau, T181 e T231, e la Tau totale nel fluido cerebrospinale costituiscono assieme un importante marcatore, dotato di elevata accuratezza, per predire la AD incipiente, in pazienti con lieve decadimento cognitivo. Evidenze sperimentali indicano che, l’accumulo di Aβ precede e guida l’aggregazione della proteina Tau. Inoltre, la degenerazione β-indotta dei neuroni e il deficit cognitivo, analizzate in tipo con AD, richiedono la presenza di Tau endogena.

PROCESSAZIONE DEL PEPTIDE PRECURSORE AMILOIDE

MECCANISMI AMILOIDOGENETICI ED ANTI-AMILOIDOGENETICI

Il peptide β-amiloide, composto da 37-43 amminoacidi, è prodotto mediante un processo proteolitico a partire dalla proteina precursore amiloide (APP). Quest’ultima è una proteina di membrana orientata di Tipo I, la quale presenta una porzione N-terminale extracellulare e una porzione C-N-terminale citosolica. APP è sottoposta all’azione proteolitica da parte di tre enzimi: α-, β- e ϒ-secretasi; il nome “secretasi” si riferisce alla secrezione di substrati conseguente alla scissione proteica.

In particolare, si distinguono due percorsi: (Fig. 5)

1) Amiloidogenetico, che promuove la produzione di Aβ; 2) Anti-amiloidogenetico, che previene la produzione di Aβ;

Nel percorso amiloidogenetico, le β-secretasi agiscono per prime, rilasciando gran parte del dominio extracellulare di APP e generando un frammento C-terminale (CTF) denominato βCTF o C99 il quale sarà sottoposto a scissione da parte delle ϒ-secretasi. Quest’ultima si verifica all’interno dell’ambiente idrofobico delle membrane cellulari.

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Fig. 5 Percorso anti-amiloidogenetico e percorso amiloidogenetico.

Le gamma-secretasi possono tagliare il βCTF in due diversi punti della sequenza: gamma 40 o gamma 42, generando così due tipi di peptide amiloide Aβ40 e Aβ42, in grado di assumere la conformazione a foglietto β ed aggregarsi in fibrille.

Conseguentemente alla scissione da parte della ϒ-secretasi, Aβ è liberato nel fluido extracellulare come, il plasma o il fluido cerebrospinale.

Le α-secretasi, agiscono invece nella via anti-amiloidogenetica, permettendo la scissione di APP, alla metà della regione di Aβ. In questo processo, viene prodotto un APP CTF troncato, (αCTF o C83) che manca della porzione C-terminale. La conseguente scissione di questo prodotto da parte delle ϒ-secretasi permette la formazione di un Aβ tronco, chiamato p3, il quale sembrerebbe patologicamente irrilevante. Le gamma-secretasi, non solo liberano Aβ dal frammento C99 e p3 dal frammento C83, ma promuovono anche la formazione del dominio intracellulare di APP (AICD), il quale viene rilasciato all’interno dello spazio citoplasmatico, dove è coinvolto in alcuni segnali nucleari.

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Oltre a meccanismi di produzione fisiologica, sono stati identificati anche meccanismi di rimozione fisiologica di Aβ, ed in particolare:

1) Il trasporto di Aβ, prevalentemente nella forma di Aβ40, attraverso la BEE nella circolazione. Il meccanismo di trasporto ematico è mediato da LRP-1 (LDL receptor-related protein-1) presente sull’endotelio microvascolare cerebrale; 2) La degradazione di Aβ, principalmente nella forma di Aβ42, mediante peptidasi come ad esempio NEP (neutral endopeptidase) o IDE (Insulin Degrading Enzyme).

β-SECRETASI

Le β-secretasi o enzima 1 per il sito β della APP (β-site APP cleaving enzyme-1, BACE1) sono quelle che danno inizio alla via amiloidogenetica, e ad oggi ne è stata riscontrata una sola tipologia.

BACE1 è una proteasi di membrana, il cui sito attivo è localizzato nello spazio extracellulare ed ha una struttura simile alle proteine della famiglia delle pepsine. Oltre alla BACE1 è stata identificata una proteina omologa BACE2 la quale non sembra essere coinvolta nella via amiloidogenetica ma piuttosto può esercitare un’attività simile a quella delle α-secretasi in cellule non neuronali. BACE1 è la sola secretasi in grado di inibire il blocco della produzione di Aβ. La proteina è espressa in modo ubiquitario sia a livello cerebrale a livello pancreatico, anche se non è ancora nota la sua funzione a questo livello.

ϒ-SECRETASI

Le ϒ-secretasi, sono gli enzimi responsabili della liberazione di Aβ da APP, che si verifica all’interno del dominio transmembrana (TMD). Le ϒ-secretasi sono proteasi complesse, caratterizzate da quattro domini. PS1 e PS2, contengono i due residui critici di acido aspartico nel dominio 6 e 7, i quali costituiscono una parte del sito catalitico necessario all’attività di aspartil proteasi della gamma-secretasi. Altri

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complessi addizionali sono, la nicastrina (NCT), anterior pharnyx defective (APH-1α o APH1β) e la PS enhancer (PEN-2).

Questi quattro componenti, sono fondamentali per la completa attività dell’enzima.

IPOTESI AMILOIDE

Aβ fu sequenziato per la prima volta venti anni fa, nei vasi sanguigni delle meningi di pazienti con AD e individui con la Sindrome Down. Qualche anno dopo, Aβ è stato riconosciuto come componente principale delle SP nel tessuto cerebrale di pazienti con AD. La successiva clonazione del gene che codifica per APP e la sua localizzazione sul cromosoma 21 ne ha permesso la correlazione con la Sindrome stessa, ed ha lasciato spazio all’idea secondo la quale l’accumulo di Aβ è il principale evento della neuropatologia di AD. Inoltre, l’identificazione di mutazioni del gene che codifica per APP, che causa emorragia cerebrale ereditaria con amiloidosi, ha dimostrato che mutazioni a questo livello potrebbero essere la causa della deposizione di Aβ, sebbene largamente al di fuori del parenchima cerebrale. Presto furono identificate le mutazioni più interessanti del gene che codifica per APP, molte delle quali localizzate in corrispondenza, o comunque molto vicino al sito di APP che lega gli enzimi adibiti alla sua scissione come, α-, β- e ϒ- secretasi. Tali mutazioni promuovono le attività proteolitiche su APP da parte di questi sistemi enzimatici, favorendo la produzione di Aβ. L’ipotesi amiloide (Fig. 6) è stata rafforzata, inoltre, con l’evidenza che anche mutazioni che interessano la Presenilina (PS), valutate attraverso clonazione di Presenilina 1 e Presenilina 2 (PS1 e PS2), sono anch’esse coinvolte nell’incremento della produzione di Aβ da parte di APP. In particolare queste andrebbero ad alterare il metabolismo di APP, attraverso un’azione diretta su ϒ-secretasi [6].

Comunque, le quattro osservazioni importanti che stanno alla base dell’”ipotesi β-amiloide” sono:

1) Mutazioni del gene che codifica per la proteina Tau provocano demenza frontotemporale associata a Parkinsonismo; questo disordine

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neurodegenerativo è caratterizzato da elevata deposizione di proteina Tau all’interno dei grovigli neurofibrillari nel cervello, ma non di peptide amiloide. Risulta chiaro che, le più severe conseguenze scaturite da alterazioni della proteina Tau, non sono sufficienti ad indurre la formazione di placche amiloidi caratteristiche dell’AD. Pertanto la deposizione della proteina Tau all’interno di NFTs osservate nel cervello con AD, probabilmente è avvenuta conseguentemente al cambiamento nel metabolismo di Aβ e all’inizio della formazione delle placche, piuttosto che prima;

2) Studi su topi transgenetici caratterizzati da una sovraespressione sia di APP che di Tau umane mutate, rivelano che quest’ultimi presentano un aumento di NFTs positivi per Tau (se comparati con topi transgenici che presentano la sola mutante umana Tau), sebbene la struttura ed il numero delle loro placche amiloidi rimangano essenzialmente inalterate. Tale scoperta suggerisce che, l’alterazione nei meccanismi di processazione di APP è precedente alle alterazioni che interessano Tau, nella cascata patogenetica dell’AD; nozione rafforzata dalla recente osservazione che la tossicità data da Aβ, nei neuroni dell’ippocampo primario del topo, è Tau dipendente;

3) Incrociando topi transgenici, sovraesprimenti APP umana mutata, con topi mancanti di Apolipoproteina E (ApoE), è stata osservata una forte riduzione della deposizione di Aβ nella prole, ciò fornirebbe una forte evidenza del ruolo patogenetico dalla variabilità genetica nel locus dell’ApoE umana nel metabolismo di Aβ;

4) Quarta e ultima considerazione, riguarda la variabilità genetica; essa può influire sul catabolismo e sull’eliminazione di Aβ, contribuendo ad aumentare il rischio di AD tardiva.

Prese insieme, queste quattro considerazioni, definiscono che la deposizione di Aβ è il meccanismo alla base dell’insorgenza di AD, e che le seguenti alterazioni, compresa la formazione e l’accumulo della proteina Tau in NTFs, sono dovute ad un’alterazione dell’equilibrio tra meccanismi di produzione e rimozione di Aβ.

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Fig. 6 Cascata degli eventi che conducono all’insorgenza della AD, secondo l’ipotesi β-amiloide. La freccia viola curva indica che, gli oligomeri di Aβ possono danneggiare direttamente le sinapsi ed i neuriti dei neuroni cerebrali, in addizione all’attivazione della microglia e degli astrociti.

IPOTESI COLINERGICA

L’ipotesi colinergica (Fig. 7) è stata presentata più di 20 anni fa, ed è basata sull’evidenza che una perdita della funzione colinergica a livello del sistema nervoso centrale (SNC) contribuisce sostanzialmente al declino cognitivo evidente in età avanzata ma anche nella AD. Un’ampia varietà di studi, effettuati sul cervello umano, indicano che i percorsi colinergici della parte basale del proencefalo, che comprende l’emisfero cerebrale, il talamo e l’ipotalamo, svolgono un ruolo importante nella

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regolazione della consapevolezza, dell’attenzione, della memoria e in un ampio numero di processi mnemonici. Studi su campioni di cervello di pazienti con età avanzata e con AD, hanno riscontrato la presenza di danni e anomalie in questi percorsi colinergici, che risulterebbero essere correlati con il livello di declino cognitivo [7].

In particolare, dettagliate analisi effettuate sull’innervazione colinergica nelle varie aree cerebrali di pazienti con AD, definiscono una marcata perdita di neuroni colinergici nelle aree adibite alla cognizione e alla memoria, quali ippocampo ed aree non-motorie temporali e frontali. Altre evidenze che supportano la teoria colinergica riguardano studi effettuati su campioni di cervello post-morte di pazienti con AD che hanno rivelato una riduzione dell’attività di un importante enzima coinvolto nella sintesi della ACh, ovvero la piruvato deidrogenasi, il quale è altamente attivo nei neuroni colinergici del nucleo basale di Meynert.

Alcuni studi hanno inoltre evidenziato, la riduzione dei recettori colinergici nicotinici centrali, nel cervello di pazienti con AD o altre tipologie di demenza età-correlate. In AD, è stata osservata una riduzione del sottotipo recettoriale α4, dei recettori nicotinici centrali, rispetto ad altri sottotipi.

Una notevole quantità di prove suggerisce che, il fattore di crescita neuronale, Nerve Growth Factor (NGF), importante fattore di supporto per le cellule neuronali e quindi anche per quelle colinergiche del proencefalo basale, risulterebbe carente in AD inducendo atrofia e morte cellulare. La sua carenza non sarebbe correlata a una riduzione della sintesi o ad una scarsa disponibilità, ma alla compromissione del trasporto retrogrado della neurotropina, e del processo di trasduzione del segnale che si realizza attraverso l’alta affinità del ligando per la tirosina chinasi (TrkA receptor) sebbene non sia dimostrato specificatamente in quale fenotipo colinergico, in AD si osserva anche un’alterazione del trasporto assonale a livello dei neuroni corticali. Questa è un’evidenza importante che può riguardare diverse popolazioni neuronali nel cervello AD, ed inoltre il deficit nel trasporto assonale potrebbe essere alla base dell’alterazione del trasporto retrogrado del NGF e potrebbe anche riguardare markers colinergici come AChE e Colina Acetil Transferasi (ChAT).

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Fig. 7 Ipotesi colinergica.

L’importanza della funzione colinergica cerebrale per l’apprendimento e la memoria, è stata riconosciuta più di 30 anni fa, a partire dalla scoperta che gli antagonisti colinergici (in particolare antagonisti muscarinici) provocavano alterazione della memoria nei ratti. Prove più recenti supportano fortemente il lavoro effettuato in precedenza, e agenti antimuscarinici, come scopolamina e atropina hanno dimostrato di alterare memoria e processi cognitivi in cavie sottoposte a vari tipi di esperimenti comportamentali, come la capacità di evitare alcuni procedimenti, la capacità di attuare delle mansioni o l’apprendimento spaziale per valutare la funzione mnemonica. Questi studi hanno ampliato le considerazioni effettuate con l’utilizzo di antagonisti muscarinici selettivi come la pirenzepina, nonché antagonisti nicotinici con attività centrale come la mecamilamina. Inoltre, lesioni che danneggiano l’input colinergico derivante dalla porzione anteriore del cervello, e diretto alla neocorteccia o all’ippocampo, distruggono le stesse funzioni mnemoniche che sono alterate dal blocco colinergico. Ciò denota che, simili danni a livello del proencefalo basale

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nell’uomo (come risultato di aneurismi arteriosi, oppure la resezione di una malformazione arterovenosa) possono essere associati con gravi deficit della memoria. Per tutti i risultati citati sopra, un primo approccio al trattamento della AD fu quello di compensare la perdita cognitiva, attraverso la somministrazione di agenti agonisti del sistema colinergico. Tale approccio riguardava l’utilizzo di agonisti muscarinici e nicotinici e antagonisti dell’AChE dei quali sarà discusso più avanti.

ALTRI MECCANISMI COINVOLTI NELLA AD FALLIMENTO SINAPTICO

L’Alzheimer può essere definito primariamente come un disturbo da fallimento sinaptico. Le sinapsi a livello dell’ippocampo iniziano a diminuire in pazienti con lieve declino cognitivo (che generalmente precede la fase di demenza), quelle che rimangono inalterate mettono in atto un meccanismo di compensazione della perdita (Fig. 8). In forme lievi di AD, c’è una riduzione di circa il 25% di sinaptofisina all’interno delle vescicole sinaptiche; questa è una glicoproteina coinvolta nei meccanismi di rilascio neurotrasmettoriale. Con l’avanzare della patologia, le sinapsi divengono sempre minori, rispetto all’effettivo numero di neuroni. L’invecchiamento stesso è correlato con la perdita delle sinapsi, che interessa prevalentemente la regione dell’ippocampo dentellato. La trasmissione basale dei singoli impulsi e il “potenziale a lungo termine”, indicatori sperimentali di funzione mnemonica e delle sinapsi, risultano alterati nel cervello di topi con AD, presentanti placche-cuscinetto e pepetide β-amiloide. Successivamente a queste alterazioni, vengono inibite importanti molecole segnale coinvolte nella funzione mnemonica. La distruzione del rilascio presinaptico di neurotrasmettitori e della corrente ionica postsinaptica del recettore del glutammato si verificano parzialmente come risultato dell’endocitosi della superficie del recettore per l’N-metil-N-aspartato (NMDA) e dell’endocitosi della superficie del recettore dell’acido α-ammino-3-idrossi-5-metil-4-issossazol propionico. Quest’ultimo riduce ulteriormente l’attività sinaptica, inducendo la riduzione duratura del passaggio di corrente conseguentemente ad una stimolazione

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ad alta frequenza. Una simile alterazione nell’equilibrio tra potenziamento e depressione sinaptica si verifica nel fisiologico invecchiamento cerebrale. La presenza di peptide β-amiloide all’interno dei neuroni può determinare questo effetto anche prima.

Fig. 8 Disfunzioni sinaptiche nella AD;

Un’altra caratteristica riscontrata nell’AD è la deplezione di neurotropine. Il normale numero di recettori per le neurotropine, subisce una riduzione soprattutto negli ultimi stadi della patologia. Nella AD e nelle condizioni di lieve decadimento cognitivo, risultano ridotti i livelli del fattore neurotrofico cervello-derivato (Brain-derived Neurotrophic Fator, BDNF); è stato dimostrato che, il trattamento con BDNF in

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roditori e cavie, promuove la sopravvivenza neuronale, la funzione sinaptica e la memoria. Ciò suggerisce la possibilità di utilizzare tale fattore come alternativa terapeutica.

Sebbene la carenza di trasmissione colinergica nell’AD sia stata correlata alla formazione di Aβ e Tau, possono essere coinvolti anche altri meccanismi. Ad esempio è stato osservato che, i recettori colinergici nicotinici presinaptici come l‘α7, essenziali per i processi cognitivi, subiscono un iniziale incremento nelle precoci fasi di AD, per poi ridurre ampiamente nelle fasi più tardive. Studi sperimentali hanno mostrato che il legame di Aβ con questi recettori presinaptici, altera il rilascio dell’ACh e il mantenimento del potenziale a lungo termine.

Altrettanto ridotti, nel cervello con AD sono i recettori colinergici muscarinici. Stimolazioni farmacologiche dei recettori muscarinici di tipo 1 (M1) comportano l’attivazione della proteina chinasi C, favorendo un’elaborazione della APP, che dà un minor rendimento nella produzione di Aβ.

Inoltre, l’attivazione dei recettori colinergici nicotinici o muscarinici di tipo 1, limitano la fosforilazione di Tau.

DISFUNZIONI MITOCONDRIALI

Il peptide β-amiloide è un potente veleno mitocondriale. Nell’AD l’esposizione al peptide β-amiloide inibisce l’attività sia di sistemi enzimatici mitocondriali presenti nel tessuto cerebrale che di mitocondri isolati. Il sistema più sensibile è la Citocromo C ossidasi, la sua alterazione comporta anche quella del trasporto elettronico, della produzione di ATP, del consumo di ossigeno, e del potenziale mitocondriale di membrana.

L’aumento della formazione del radicale superossido e la sua conversione in perossido di idrogeno causa stress ossidativo, rilascio di citocromo C e l’apoptosi cellulare. L’alcool deidrogenasi è uno dei sistemi enzimatici target di Aβ. Cambiamenti simili sono stati osservati in cellule normali che sono state ripopolate con DNA mitocondriale (mtDNA) da pazienti con AD sporadica. Sia nell’AD che nei

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normali processi di invecchiamento, mtDNA mantiene alto il livello del danno ossidativo.

Tra le disfunzioni mitocondriali abbiamo: 1) Stress ossidativo;

2) Alterazione del segnale insulinico; 3) Effetti vascolari;

4) Infiammazione;

5) Perdita della regolazione degli ioni Calcio; 6) Deficit del trasporto assonale;

7) Anomalia del ciclo cellulare; 8) Metabolismo del colesterolo;

STRESS OSSIDATIVO

La disfunzione mitocondriale, comporta il rilascio di specie radicaliche nel cervello di soggetti con età avanzata e con AD, provocando una condizione di stress ossidativo (Fig. 9). Modelli sperimentali mostrano che alcuni markers di danno ossidativo precedono i cambiamenti patologici della AD. Il peptide β-amiloide è un potente generatore di specie reattive dell’ossigeno e dell’ossido nitrico, è si comporta come iniziatore di questo tipo di danno. Gli effetti pro-ossidanti di Aβ sui neuroni, sulle cellule della microglia e su quelle cerebrovascolari, sono mediati dal recettore per i prodotti finali di glicazione avanzata. Il perossido di idrogeno prodotto a livello mitocondriale, diffonde rapidamente nel citosol dove partecipa alla formazione metallo-ione catalizzata di radicali idrossile. La perossidazione dei lipidi di membrana comporta la produzione di specie aldeidiche tossiche che alterano gli enzimi mitocondriali. Altre proteine di membrana vengono ossidate producendo derivati carbonilici e nitrati. Successivamente, l’aumento di permeabilità di membrana al calcio ed altri squilibri ionici, e l’alterazione del trasporto del glucosio all’interno delle cellule, producono un deficit energetico.

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Fig. 9 Alterazione mitocondriale e stress ossidativo: al centro dello schema è rappresentata la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e di specie reattive dell’ossido nitrico (RNS).

Elevati livelli di metalli di transizione bivalenti (come Ferro, Rame e Zinco) e Alluminio sono collegati ai danni provocati dalle specie reattive dell’ossigeno e alla neurodegenerazione con diversi modi. Questi ioni metallici promuovono l’aggregazione di Tau e comportano un cambiamento della sua conformazione o del grado di fosforilazione. In particolare, lo Zinco che sembra essere una tossina nella AD, in realtà potrebbe, a concentrazioni più basse, esercitare un meccanismo di protezione cellulare, bloccando i siti per Aβ e competendo con il Rame per il legame con essi.

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ALTERAZIONE DEL SEGNALE INSULINICO

Un altro disturbo metabolico emergente nella AD, è rappresentato dall’alterazione dell’omeostasi sinaptica ed energetica, nel quale sembrerebbero coinvolti meccanismi mediati dall’insulina a livello cerebrale. Sottogruppi di pazienti con AD avanzata presentano alti livelli di insulina rapida e una bassa concentrazione di glucosio disponibile a livello cellulare (resistenza periferica). L’alterata tolleranza al glucosio ed il diabete di tipo 2 sono considerati fattori di rischio per AD. In alcuni studi, effettuati sul cervello di pazienti con AD, risulta un decremento dei recettori per l’insulina, delle proteine per il trasporto del glucosio e di altri componenti coinvolti nei percorsi insulinici (resistenza centrale). La resistenza ai segnali dell’insulina, rende i neuroni carenti di energia e suscettibili a reazioni di ossidazione e ad altri danni metabolici, alterando la plasticità sinaptica. Inoltre, elevati livelli di glucosio nel siero, normalmente presenti in età avanzata, danneggiano direttamente le strutture dell’ippocampo, aumentano l’espressione delle tau chinasi, della glucosio sintetasi 3β, e riducono i livelli dell’enzima degradante l’insulina (IDE) nel cervello.

EFFETTI VASCOLARI

La malattia ischemica è presente nel 60-90% dei pazienti con AD, e 1/3 dei presunti casi di demenza vascolare hanno caratteristiche patologiche comuni con quelle della AD. Per questo motivo, sebbene siano stati riconosciuti casi di pura demenza vascolare, diventa piuttosto difficile fare una distinzione tra le due, ma spesso vengono riscontrate forme di demenza miste. Cambiamenti patologici includono, l’angiopatia amiloide cerebrale, che interessa più del 90% dei pazienti con AD, anomalie del tessuto capillare, alterazione della barriera emato encefalica (BEE) e malattia ateromatosa vascolare. Nessuna di queste alterazioni spiega da sola, la riduzione simmetrica del flusso sanguino cerebrale, che si verifica più comunemente nelle aree di minor utilizzo di energia.

Inoltre, sembra che, nei pazienti con AD, la clearance di Aβ lungo i canali perivascolari alterati e attraverso la BEE, sia compromessa. L’accumulo del peptide amiloide a

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livello vascolare promuove la vasocostrizione, come è stato analizzato in studi ex vivo. Aβ è citotossico per l’endotelio e per le cellule della muscolatura liscia. Il “disaccoppiamento neurovascolare” è l’ipotesi secondo la quale la compromissione del trasporto di Aβ attraverso la BEE sarebbe causata da uno squilibrio dell’espressione dei recettori per le lipoproteine a bassa densità e dei recettori per la glicazione avanzata dei prodotti finali, i quali mediano rispettivamente l’efflusso e l’influsso di Aβ.

INFIAMMAZIONE

Nel cervello con AD, è stata osservata un’elevata attivazione delle cellule della microglia (cellule della glia, che promuovono le prime difese del SNC) di astrociti reattivi e dei loro markers biochimici. Inizialmente i fagociti della microglia fagocitano e degradano il peptide amiloide. Tuttavia cronicamente attivata, la microglia comporta il rilascio di chemochine e di citochine potenzialmente dannose, come interleuchina-1, interleuchina-6 e NTF-α (Tumor Necrosis Factor α) (Fig. 10). In maniera analoga alle cellule vascolari, anche quelle della microglia esprimono recettori per i prodotti finali della glicazione avanzata, i quali legano Aβ, amplificando la produzione di citochine, glutammato ed ossido nitrico. Le fibrille di Aβ e l’attivazione della glia stimolano il sistema del complemento. Grovigli neurofibrillari e placche amiloidi contenenti prodotti di scissione del complemento, come C1q e C5b-9, sono indicatori di opsonizzazione e distruzione autolitica. La stimolazione degli astrociti, comporta invece il rilascio di mediatori di fase acuta come, α1 –

antichimotripsina, α2 – macroglobulina e proteine C reattive che possono aggravare

o migliorare la AD. In conclusione le cellule della glia svolgono un ruolo contraddittorio nella AD, da una parte degradano Aβ e dall’altra, promuovono il processo infiammatorio, ciò rende complicato il relativo trattamento.

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Fig. 10 Infiammazione e clearance di Aβ: l’apolipoproteina E (ApoE) e α2-macroglobulina (α2M) si comportano come trasportatori di Aβ in questo processo e nella genesi di placche extracellulari. Vengono reclutati microglia ed astrociti, stimolati a rilasciare citochine proinfiammatorie e reagenti della fase acuta.

PERDITA DELLA REGOLAZIONE DELLO IONE CALCIO

La perdita della regolazione del flusso ionico del calcio è una delle alterazioni più comuni ed importanti delle patologie neurodegenerative. Nella AD elevate concentrazioni di calcio citosolico promuovono l’aggregazione di Aβ e l’amiloidogenesi. L’equilibrio degli ioni calcio è mantenuto e regolato dalla

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presenilina (PS). Mutazioni della PS sono responsabili della metà dei rari casi (<1%) di AD di tipo familiare, ad insorgenza precoce.

Il principale effetto delle mutazioni della PS è quello indurre un incremento dei livelli del Aβ42, che a sua volta aumenta le riserve di calcio nel reticolo endoplasmatico e ne

induce il rilascio nel citoplasma. La rilevanza di questo meccanismo nella forma sporadica AD, non è ancora chiara.

Uno stato di attivazione cronica dei recettori per neurotrasmettitori eccitatori (come il glutammato) sembra aggravare il danno neuronale associato allo stadio avanzato della AD. Il glutammato aumenta la concentrazione di calcio nel citosol, il quale a sua volta induce il rilascio di calcio dai canali del reticolo endoplasmatico. Comunque tali osservazioni hanno tutte una debole evidenza nella fisiopatologia della AD.

In alcune forme di Aβ i canali ionici voltaggio dipendenti, concorrono alla up-regolazione del calcio e alla degenerazione dei neuriti. Indirettamente, il glutammato attiva l’apertura voltaggio dipendente dei canali del calcio.

DEFICIT DEL TRASPORTO ASSONALE

Un’altra alterazione, evidente nella AD, è la possibilità di riduzione del trasporto di proteine critiche per il carico sinaptico. Molecole motrici della famiglia delle chinesine guidano vescicole e mitocondri destinati per la terminazione sinaptica lungo i microtubuli degli assoni. La super famiglia delle chinesine a catena pesante 5, associate alle chinesine a catena leggera 1, aumentano la velocità del trasporto anterogrado.

L’alterazione del trasporto causa un accumulo di APP, vescicole e chinesine a livello assonale, con deposizione locale di Aβ e neurodegenerazione.

La distribuzione anatomica delle caratteristiche patologiche nella AD suggerisce che i microtubuli sono disfunzionali, dato che Tau è primariamente disorganizzata alla base delle proiezioni corticali. Inoltre, difetti di alcuni tratti della materia bianca sono stati osservati in pazienti con AD in tutti gli stadi della patologia e in modelli animali.

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La distruzione farmacologica dei microtubuli e l’inibizione della tau fosfatasi causa alterazione assonale simile e fallimento sinaptico.

ANOMALIA DEL CICLO CELLULARE

In AD è stato ipotizzato un meccanismo di fallimento della normale attività di soppressione del ciclo cellulare. I markers di questo ciclo cellulare anomalo, sono stati ritrovati in tutti gli stadi della AD e nelle condizioni di lieve declino cognitivo, e giocano un ruolo più rilevante nello spazio tra la fase G1 e la fase S. Ciò può comportare, dopo la replicazione del DNA, la formazione di neuroni tetraploidi e l’attivazione di citochine mitotiche, mentre la mitosi è assente. Proteine inibitorie delle chinasi ciclina-dipendenti, che regolano il ciclo cellulare, sono anche esse depresse nella AD. Gli eventi che scatenano questi processi del ciclo cellulare sono ancora sconosciuti, inoltre non è chiaro se questo è un meccanismo patogenetico oppure se è una risposta per la sopravvivenza del DNA danneggiato.

ALTERAZIONE DEL METABOLISMO DEL COLESTEROLO

Un’alterazione del metabolismo del colesterolo, nella AD, è un’ipotesi plausibile in quanto correla Apolipoproteina E (ApoE), rischio genetico, produzione e aggregazione amiloide, e la vasculopatia presente nella demenza. Tuttavia le evidenze sono ancora poche per definire l’ipotesi corretta. Il colesterolo è un componente fondamentale della membrana neuronale, ed è concentrato in isole di sfingolipidi, denominate “zattere di lipidi”. Le “zattere” si comportano come piattaforme ordinate per l’assemblaggio di β-, ϒ-secretasi e per il processamento di APP in Aβ. Se produzione e aggregazione amiloide sono promosse, la clearance cerebrale si riduce in condizioni di sovrabbondanza di colesterolo esterificato che riduce il turnover lipidico di membrana.

L’ApoE di derivazione gliale è il principale trasportatore di colesterolo a livello cerebrale. Un rilevante fattore di rischio per l’insorgenza tardiva della AD, è la

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presenza della isoforma ereditaria della ApoE (APOE2, APOE3 e APOE4). L’APOE4 promuove la deposizione di Aβ e la fosforilazione di Tau, e tra le tre isoforme è quella meno efficace nel promuovere il normale turnover della membrana lipidica e l’assorbimento delle molecole lipoproteiche.

Alti livelli di colesterolo in adulti di mezza età aumentano il rischio di AD, tanto che in studi osservazionali è stata osservata una riduzione del rischio con l’utilizzo di statine.

ALZHEIMER DI TIPO FAMILIARE E MUTAZIONI DEL GENE CHE CODIFICA PER APP Ad oggi sono riconosciute più forme di AD:

- Forme sporadiche ad insorgenza tardiva, che sono le più comuni e comprendono l’85-90% dei casi e non hanno cause ben definite;

- Forme familiari ad insorgenza precoce; - Forme familiari ad insorgenza tardiva; - Forma associata con la Sindrome Down;

Le forme di AD di tipo familiare, definite FAD (Familiar Alzheimer Disease), hanno base autosomica dominante, e la loro insorgenza è correlata alla presenza di mutazioni su particolari geni, che codificano per substrati coinvolti nella produzione di Aβ: APP, PS1 e PS2.

La prima causa genetica identificata per la AD è la presenza di mutazioni non senso del gene che codifica per APP. Tali mutazioni localizzate a diversi livelli del gene, alterano il normale processo di scissione della APP, promuovendo il processo patologico in diversi modi. Alcune di esse, come quelle che interessano il dominio N-terminale di Aβ comportano un aumento della produzione totale di Aβ (come Aβ40 e Aβ42) in quanto promuovono la formazione di un substrato migliore per l’attività delle β-secretasi. Altre, localizzate appena al di là della regione C-terminale di Aβ, causano un aumento della produzione della forma Aβ42, la quale ha una maggiore capacità di aggregazione e sembra essere la più neurotossica delle due. Mutazioni a livello delle regioni centrali del peptide ne alterano la struttura, promuovendo una

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forma più propensa all’aggregazione. Alcune di queste mutazioni, localizzate a livello dei domini intracellulari di Aβ possono condurre anche all’insorgenza di diverse patologie amiloidi: angiopatia cerebrale marcata e formazione marcata di placche amiloidi. In generale queste promuovono l’insorgenza della AD prima dei 65 anni. Nella Sindrome Down, la presenza di elevati livelli del gene che codifica per APP, comporta un incremento della proteina, strutturalmente normale, che induce l’insorgenza precoce della forma classica di AD, intorno alla mezza età. In questi pazienti, la produzione di Aβ40 e Aβ42 è aumentata, ciò comporta la formazione precoce di placche amiloidi che può verificarsi addirittura a compimento del dodicesimo anno di età.

Altre mutazioni rilevanti sono quelle che interessano i geni codificanti per la PS1 e la PS2. Come detto, la PS1 è una delle proteine responsabili dell’attività ϒ-secretasica. Infatti l’attività enzimatica delle ϒ-secretasi è associata ad un complesso di proteine ad alto peso molecolare, in cui la PS1 risulta esserne il sito attivo. Le mutazioni a carico del gene codificante per la PS1, comportano un’aumentata sintesi di Aβ, l’alterazione dell’omeostasi degli ioni Ca2+ e, probabilmente, l’apoptosi mediata dalla

proteina G. Ciò comporta la comparsa della patologia, prima dei 50 anni, e il decesso del paziente intorno ai 60.

La PS2 è la seconda proteina omologa della PS1 che è stata ipotizzata avere un’azione ϒ-secretasica e che sembra agire in sinergia con PS1. Le mutazioni a carico di questo gene inducono effetti analoghi a quelli della PS1, con l’unica differenza che l’esordio della malattia è più tardivo, tra 40 e 55 anni.

Altri fattori di rischio, coinvolti nello sviluppo di forme di AD a insorgenza tardiva, sono alterazioni che riguardano il gene per l’Apolipoproteina E ed il complesso I del mtDNA. In particolare, la presenza dell’allele ε4 che codifica per la Apo E4 sembrerebbe essere il principale fattore di rischio ed aumentare notevolmente la probabilità di insorgenza della patologia, tra i 60 ed i 70 anni. Il complesso I del mtDNA, invece favorisce la produzione di intermedi reattivi dell’ossigeno nei mitocondri e dei neuroni e polimorfismi del mtDNA [8].

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Fig. 11 Fattori genetici e AD: relazione con il fenotipo β-amiloide.

TRATTAMENTI FARMACOLOGICI DELLA AD 1. Inibitori delle colinesterasi

Gli inibitori delle colinesterasi (Fig. 12) sono attualmente i farmaci più utilizzati nel trattamento clinico delle forme lievi e moderate di AD. L’utilizzo di questa classe di farmaci si basa sulla teoria colinergica, e cerca quindi di compensare la perdita di ACh evidente nella AD, attraverso l’inibizione dei due sistemi enzimatici principalmente coinvolti nella degradazione della ACh: l’acetilcolinesterasi (AChE) e la butirrilcolinesterasi (BuChE).

TACRINA

Il primo farmaco utilizzato nel trattamento della AD è stato la tacrina (tetraidroaminoacridina, THA) un inibitore delle colinesterasi e modulatore muscarinico a lunga durata d’azione. La tacrina è capace di bloccare sia la AChE che la Butirrilcolinesterasi (BuChE) e possiede complessi effetti inibitori sui colinocettori M1 e M2. Con questo meccanismo è possibile aumentare il tono colinergico e ripristinare in parte la trasmissione colinergica e la disponibilità di ACh a livello del SNC.

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Fig. 12 Struttura chimica degli inibitori delle colinesterasi utilizzati nel trattamento della AD.

La tacrina è inoltre, un debole bloccante nicotinico ed aumenta la liberazione dell’ACh dalle terminazioni colinergiche. Infine, può inibire le monoaminoossidasi (MAO), ridurre la liberazione di GABA ed aumentare la liberazione di Noradrenalina (NA), Dopamina (DOPA) e Serotonina (SER) dalle terminazioni nervose. Questa azione è altrettanto importante, osservato che nella AD vi è anche una riduzione della concentrazione di questi neurotrasmettitori. La tacrina presenta effetti collaterali di tipo colinomimentico, comprendenti nausea e vomito e un’importante tossicità epatica, che si manifesta con un aumento reversibile dei livelli delle Aspartato aminotransferasi (AST) o Alanina aminotransferasi (ALT) tale da richiedere la riduzione della dose o la sospensione del trattamento nel 40-50% dei pazienti. Negli SU l’elevato numero di pazienti che svilupparono insufficienza epatica, portò la FDA a ritirare il farmaco dal commercio. Conseguentemente, furono immesse in

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commercio altre molecole ad azione simile alla tacrina, come: donepezil, rivastigmina e galantamina.

RIVASTIGMINA

La Rivastigmina, commercializzata con il nome di Exelon®, è un derivato carbammidico, inibitore pseudo-reversibile sia della AChE che della BuChE, selettivo per il tessuto cerebrale, piuttosto che per quello periferico. La rivastigmina è il solo inibitore con la capacità di inibire significativamente anche la BuChE, tale proprietà è un valore aggiunto, visto che la BuChE è ampiamente distribuita a livello del sistema nervoso centrale ed è coinvolta sia nella trasmissione colinergica che nella degenerazione neuronale. La rivastigmina lega l’AChE, la quale scinde la molecola in metaboliti fenolici farmacologicamente inerti e eliminati rapidamente per via renale. La parte carbammica rimane legata al sito esterasico dell’enzima, al quale dovrebbe legarsi la porzione acetica dell’ACh per essere idrolizzata, per cui l’attività enzimatica è ostacolata fino a che l’inibitore non è rimosso dalla circolazione. La rivastigmina presenta una certa selettività per la forma G1 della AChE e della BuChE. Infatti, tali enzimi sono presenti nel nostro organismo in più forme, tra le quali, quella più abbondante è la forma G4. Tuttavia, con l’età ed anche nella AD, questa forma subisce una riduzione, mentre sembra aumentare la forma G1, che giocherebbe un ruolo importante nella reazione di idrolisi della ACh coinvolta nella progressione patologica. Essa ha dimostrato di avere una migliore efficacia nelle zone dell’ippocampo e della corteccia, nelle quali è presente un deficit colinergico maggiore. L’azione della rivastigmina determina un aumento dei livelli sinaptici di ACh e un miglioramento della funzione dei recettori colinergici. È stato proposto che, poiché sia l’AChE che la BuChE degradano l’ACh nel cervello umano, l’inibizione di entrambi gli enzimi può portare ad un effetto biologico più potente e risultati clinici migliori [9].

Un ulteriore vantaggio della rivastigmina, riguarda l’aspetto farmacocinetico, infatti nella sua metabolizzazione non è coinvolto il sistema CYP450, è ciò limita la possibilità

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di interazione con altri farmaci; questo è un aspetto importante, visto che pazienti con AD sono generalmente sottoposti alla somministrazione di molti farmaci. Specifici studi clinici dimostrano, che non vi è un aumento nel numero di eventi avversi, in pazienti che assumono contemporaneamente agenti antiacidi, antiipertensivi, bloccanti dei canali del calcio, estrogeni, antistaminici e benzodiazepine.

La rivastigmina è somministrata per via orale e raggiunge la concentrazione terapeutica in un’ora. La dose iniziale di 1,5 mg, due volte al giorno, fino a raggiungere un massimo di 6 mg, due volte al giorno. È stata inoltre sviluppata, una forma transdermica di rivastigmina, disponibile attualmente sul mercato, con la quale il principale obbiettivo è l’utilizzo di dosi più elevate, e quindi più efficaci, minimizzando gli effetti collaterali. Tale obiettivo è raggiunto, attraverso un lento rilascio di rivastigmina dalla formulazione, come dimostrato dai risultati relativi alla Cmax, raggiunta nelle 8 ore seguenti l’applicazione. La dose di inizio, è di 5 cm2, per arrivare

ad un massimo di 10 cm2.

Tra i più comuni effetti collaterali della rivastigmina ci sono, nausea, vomito, diarrea, anoressia, mal di testa, sincope, dolore addominale e vertigini. Nella pubblicazione, Investigation of transDermal Exelon in Alzheimer’s disase (IDEAL), la comparazione di due dosi transdermiche di rivastigmina con la somministrazione orale ha dimostrato che: un dosaggio transdermico elevato, pari a 20 cm2 (formulazione non disponibile

in commercio) non è più correlato ad un beneficio clinico, ma piuttosto alla comparsa di importanti effetti collaterali. Mentre la somministrazione della dose più alta di rivastigmina transdermica, 10 cm2 non è soltanto associata ad un beneficio clinico

pari a quello della massima dose orale, ma anche ad una buona riduzione degli effetti avversi gastrointestinali, rispetto alla stessa [10].

DONEPEZIL

Il donepezil è un derivato piperidinico che si comporta come inibitore reversibile della AChE. Una proprietà aggiuntiva, riscontrata nel donepezil, è la capacità, sebbene

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moderata, di inibire l’aggregazione amiloide e l’attività delle β-secretasi (BACE1) coinvolte nel processo. Il donepezil interagisce, inoltre, con il recettore σ-1, conosciuto per il suo coinvolgimento nella funzione mnemonica.

Esso è assorbito molto bene per via orale, e raggiunge il picco plasmatico nelle 3-4 ore, seguenti la somministrazione. Il donepezil ha un’elevata entità di legame con le proteine plasmatiche, circa del 96%, ed è metabolizzato dalle isoforme enzimatiche 2D6 e 3A4 del CYP450. La dose di inizio sono 5mg/die per arrivare ad un massimo di 10 mg/die.

GALANTAMINA

La galantamina è un agente alcaloide terziario che inibisce reversibilmente la AChE. Essa è inoltre, un modulatore allosterico del recettore nicotinico, e legandosi ad esso promuove la funzione colinergica. Tuttavia, la rilevanza clinica, di quest’ultimo meccanismo nell’uomo, rimane ancora poco chiara. La galantamina è ben assorbita per somministrazione via orale, e raggiunge la Cmax in circa un’ora. Essa si lega alle proteine plasmatiche per una quantità pari al 18% circa, ed è metabolizzata dalle isoforme 2D6 e 3A4 del CYP450. La galantamina è commercializzata come forma a rilascio prolungato, che ne permette la somministrazione una sola volta al giorno. Il dosaggio iniziale è di 8 mg/die, per continuare con 16 mg/die, fino ad un massimo di 24 mg/die.

2. Antagonisti del recettore per NMDA (N-methyl-D-aspartic acid)

Il recettore NMDA, è un recettore postsinaptico, il cui ligando è il glutammato. Quest’ultimo è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del SNC, (il 70% delle sinapsi eccitatorie del SNC utilizzano glutammato); esso è capace di regolare importanti funzioni, compreso apprendimento e memoria, prevalentemente a livello della corteccia e dell’ippocampo.

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Il recettore NMDA è un recettore ionotropico, eterodimerico, composto da quattro subunità, con tre caratteristiche principali: l’alta permeabilità agli ioni Ca2+, il blocco

voltaggio-dipendente del canale da parte del Mg2+ e una cinetica di apertura e

disattivazione piuttosto lenta. La presenza dello ione Mg2+ all’interno del canale

rende l’apertura di un recettore NMDA più complessa rispetto ad un canale con apertura ligando-mediata; infatti, il legame del glutammato, (insieme alla glicina) nei siti recettoriali delle 4 subunità è in grado di aprire il canale, ma non di spiazzare il legame dello ione Mg2+ dal suo sito. Il meccanismo che permette la rimozione dello

ione Mg2+ è la depolarizzazione della membrana plasmatica neuronale. Per cui,

l’attivazione recettoriale e la trasmissione sinaptica presuppongono una duplice azione: il legame del glutammato al proprio sito recettoriale e una concomitante depolarizzazione di membrana che spiazzi via lo ione Mg2+. Questa condizione si

ottiene quando il neurone presinaptico rilascia più volte ed in rapida successione il glutammato.

L’ippocampo ha un’alta densità di recettori per il glutammato, in particolare l’NMDA. Le sinapsi glutammatergiche hanno una pronunciata plasticità in termini di numero e forza sinaptica e sono anche caratterizzate dalla capacità di esprimere un potenziamento a lungo termine della trasmissione sinaptica (a long-lasting strengthening of synaptic transmission, LTP). Tale rimodellamento a livello cellulare e molecolare, è ormai accettato come meccanismo sinaptico dedicato alle funzioni cerebrali di apprendimento e memoria. La cascata di segnali, innescata dall’attivazione dei recettori NMDA, è fondamentale per l’induzione di un potenziamento a lungo termine, e quindi della plasticità neuronale.

Coerentemente con il coinvolgimento del sistema glutammatergico nei processi di apprendimento e memoria, disturbi della neurotrasmissione a questo livello sono stati correlati con la fisiopatologia della AD. In definitiva, la cronica, lieve attivazione dei recettori NMDA, conduce alla neurodegenerazione, effetto comunemente definito come, “eccitotossicità”.

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Tale tossicità è scaturita dall’influsso di ioni Ca2+ a livello del neurone postsinaptico.

Il prolungato sovraccarico di ioni Ca2+ conduce ad un’iniziale perdita della funzione

sinaptica, seguita dalla sinaptotossicità e infine alla morte cellulare, la quale è correlata alla perdita di memoria e della capacità di apprendimento nei pazienti con AD (Fig. 13).

Fig. 13 Rappresentazione della neurotrasmissione glutammatergica in condizioni A) fisiologiche e B) patologiche, e suo coinvolgimento nelle funzioni di apprendimento e memoria.

Alla base di queste alterazioni della trasmissione eccitatoria ci sarebbero vari meccanismi, compresi la deposizione di Aβ nelle PS, oligomeri solubili di Aβ, l’iperfosforilazione della proteina Tau nei grovigli neurofibrillari, lo stress ossidativo, le disfunzioni mitocondriali ed il deficit energetico, che andrebbero ad aumentare la sensibilità e/o l’attività del sistema glutammatergico [11]. In particolare, la

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deposizione di Aβ e la presenza di placche, sembrano inibire il re-uptake del glutammato da parte delle cellule della glia [12].

Il meccanismo di eccitotossicità del glutammato è stato il presupposto per l’utilizzo nel trattamento della AD, di antagonisti recettoriali dell’NMDA. Il capostipite di questa classe è la memantina (Fig. 14), commercializzata come Nameda®. La memantina è un antagonista non competitivo del recettore NMDA, con una forte voltaggio dipendenza e una rapida cinetica di sblocco. Con quest’ultime caratteristiche sarebbe in grado di prevenire il tono patologico dovuto al flusso di Ca2+

e lo stress ossidativo nei neuroni post-sinaptici e quindi la morte cellulare.

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