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Archeologia funeraria della Sicilia islamica (IX-XIII secolo)

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Archeologia

Tesi di Laurea

Archeologia Funeraria della Sicilia islamica

(IX-XIII secolo)

Relatore

Prof. Gino Fornaciari

Correlatore

Candidato

Prof. Antonio Fornaciari

Teodoro Pelligra

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Indice

Introduzione...

1

I. Popolamento islamico della Sicilia ...

3

I.I Tra IX e X secolo: La lunga espansione politica e culturale ... 3

I.II Tra X e XI: Stabilizzazione e crescita interna ... 5

I.III Tra XI e XIII secolo: Dal cambio di potere alla scomparsa della popolazione islamica ... 7

II. L’Islam e la morte ...

10

II.I. Escatologia ... 10

II.II Pratica funeraria ... 12

II.III Orientamento della tomba e posizione del defunto ... 14

II.IV La tomba e il cimitero ... 15

III. Catalogo dei siti siciliani con contesti funerari musulmani ...

22

Agrigento ... 23 Caltanissetta ... 25 Catania ... 27 Enna ... 29 Palermo ... 30 Siracusa ... 53 Trapani ... 55

IV. Contesti funerari musulmani di Sicilia ...

64

Agrigento ... 64 Caltanissetta ... 65 Catania ... 66 Enna ... 67 Palermo ... 67 Siracusa ... 83 Trapani ... 84

Conclusioni ...

86

Bibliografia ...

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1

Introduzione

Il presente lavoro prende in esame i contesti funerari islamici della Sicilia medievale per l’intero periodo in cui l’isola è interessata dalla presenza musulmana, dal IX al XIII se-colo. Negli ultimi anni l’interesse per il medioevo siciliano in generale è cresciuto, e le ricerche storiche e archeologiche stanno riuscendo a porre nuovi quesiti e indirizzare le indagini secondo metodologie aggiornate, tuttavia ancora molto resta da fare per definire il quadro del popolamento, le caratteristiche degli insediamenti e delle aree cimiteriali islamiche siciliane e poterlo rapportare tanto al periodo precedente, quello bizantino, quanto ai periodi successivi, normanno e svevo, anche questi per certi versi carenti di ricerche sistematiche. La ricerca archeologica su singoli siti, sul territorio e sulle testimo-nianze ceramiche riguardanti la cultura islamica della Sicilia medievale è sicuramente in vantaggio rispetto allo studio tanto dei contesti funerari quanto dei resti umani.

Si è tentato dunque di offrire inizialmente un quadro di quello che è stato il popolamento della Sicilia tra il IX e il XIII secolo, cercando di mostrare il rapporto tra la componente autoctona dell’isola e i nuovi arrivati di religione musulmana, soffermandosi sulle conse-guenze politiche, economiche e sociali di questo incontro e sull’ulteriore evoluzione nel periodo in cui altri poteri assumeranno il controllo dell’isola. Di seguito ci si occupa di analizzare il rapporto tra l’Islam e la morte: viene esaminato l’aspetto escatologico, per carpire, dove possibile, i riferimenti al rapporto tra il credente e la morte, ed individuare le forme rituali che hanno potuto caratterizzare i contesti funerari qui presi in esame; se-gue una parte dedicata alle forme delle sepolture, alla posizione del defunto all’interno di essa e all’importanza che questi aspetti ricoprono nella prassi di seppellimento; per com-pletare vengono analizzate le tipologie tombali e i cimiteri tanto nelle loro forme teoriche previste dal diritto islamico quanto nelle realizzazioni materiale che sono state fatte nel periodo qui preso in esame. Si è proceduto quindi esponendo, in maniera quanto più esau-stiva possibile, le notizie riguardanti i siti archeologici siciliani di periodo medievale presso i quali sono stati individuati cimiteri o singole sepolture di rito musulmano. Ci si propone quindi di analizzare quanto è emerso riguardo all’aspetto funerario dei siti con presenza islamica della Sicilia medievale e riconsiderare quanto già edito preceden-temente, in una sintesi che possa offrire un punto di partenza per nuove ricerche.

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Desidero ringraziare sinceramente il professor Antonio Fornaciari, con cui ho avuto la fortuna di lavorare in occasione di alcuni tirocini formativi organizzati dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, per la totale disponibilità, la professionalità, la puntualità e la curiosità con cui ha accompagnato e reso possibile il mio lavoro di tesi. Vorrei ringraziare, inoltre, il professor Gino Fornaciari per aver accolto la mia proposta di tesi, per la disponibilità, anche quando si è trattato di meri adempimenti burocratici, e per la professionalità e cortesia che avevo già avuto modo di apprezzare seguendo, du-rante gli studi magistrali, i corsi e i laboratori da lui tenuti.

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I. Popolamento islamico della Sicilia

Per l’archeologia funeraria dei musulmani di Sicilia è fondamentale prendere in conside-razione non solo il periodo della conquista e della dominazione islamica dell’isola del secondo quarto del IX alla seconda metà del XI secolo, ma anche i successivi periodi normanno e svevo, tra l’ultimo quarto del XI e la seconda metà del XIII secolo, in cui continua a registrarsi la presenza di popolazione musulmana in Sicilia. Si tenterà di for-nire un quadro d’insieme riguardo al popolamento dell’isola, accennando, quando è ne-cessario, alle questioni emerse recentemente da un rinnovato interesse della ricerca per il medioevo siciliano.

Se infatti, per quanto concerne in particolare la Sicilia islamica, rimane un punto di rife-rimento, per l’ampiezza e gli interessi multidisciplinari, l’opera di Michele Amari, più recenti studi permettono di rileggere questo periodo particolare e importante della storia dell’isola in un’ottica diversa, ridimensionando in parte l’enfasi storiografica della ricerca storica tradizionale. A queste nuove proposte storiografiche vanno sicuramente aggiunti, riguardo al medioevo siciliano nel suo complesso, gli studi su nuove fonti, ed in partico-lare i risultati della ricerca archeologica che hanno caratterizzato gli ultimi decenni.

I.I Tra IX e X secolo: La lunga espansione politica e culturale

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Le fonti indicano come inizio della vera e propria conquista l’anno 827 e come luogo d’approdo Mazara del Vallo. Gli eserciti musulmani salpano dall’ Ifrīqiya e portano con se l’eterogeneità etnica sviluppatasi nei due secoli precedenti, tra arabi, persiani e berberi. Le cronache arabe disponibili che trattano della Sicilia, a parte un’accennata trattazione di quelle più tarde e dettagliate, non riportano informazioni riguardanti i berberi in parti-colare o le tribù in generale e difficile risulta stabilire quanto e come questi aspetti “etnici” abbiano caratterizzato il popolamento dell’isola, anche se in questo senso nuovi tentativi sono stati fatti. Può essere, ad esempio, ridimensionata la portata di alcuni elementi, come

1 A. Molinari, La Sicilia islamica: riflessioni sul passato e sul future della ricerca in campo archeologico,

in (MEFRM), 116-1, 2004, pp. 19-46; A. Molinari, La Sicilia e lo spazio mediterraneo tra i bizantini e

l’islam, in J. Fernández Conde, C. G. De Castro Valdés (a cura di), Symposium Internacional: Poder y simbología en Europa. Siglos VIII-X, (Actas del Symposium Internacional convocado en Oviedo, 22-27 de septiembre del 2008), Territorio, Sociedad y Poder: Revista de Estudios Medievales, 2, 2009, pp.123-142;

A. Nef, La désignation des groupes ethniques de la Sicile islamique dans les chroniques en langue arabe:

source d’information ou topos?, in Annales islamologiques, 42, 2008, pp. 57-72; A. Nef, V. Prigent, Per una nuova storia dell’alto medioevo siciliano, in Storica, 35-36, XII, 2006, pp. 9-63.

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il contrasto tra arabi e berberi o la preponderanza numerica di quest’ultimi nel complesso dei nuovi occupanti, che avrebbero caratterizzato, secondo gli autori del XIX secolo e di chi successivamente ha preso per buona questa visione, il lungo periodo di conquista. La fase di pieno controllo e forte islamizzazione dell’isola avverrà solo nel corso del secolo successivo allo sbarco e l’iniziale instabilità è direttamente condizionata dall’evoluzione politica in Ifrīqiya, sotto la dominazione aghlabita2.

È ipotizzabile, per quanto riguarda in particolar modo le aree rurali, un’islamizzazione dell’isola con modi e tempi diversi nelle diverse aree della Sicilia. Quello che sembra emergere dai dati archeologici è un certo mantenimento degli insediamenti aperti di epoca bizantina che verosimilmente, nel periodo delle scorrerie che precedettero lo sbarco, tra VII e VIII secolo, vennero in parte abbandonati e selezionati, ma senza per questo favorire necessariamente i siti d’altura protetti naturalmente. Può dunque immaginarsi un mondo contadino per lo più composto, anche dopo la metà del X secolo, ultimata la conquista, da autoctoni di rito greco con i quali i nuovi arrivati si integrano senza privarli della loro cultura.

La ceramica per questo periodo sembra rimanere nel solco della “tradizione tardoantica” del mediterraneo. Molto labili le conoscenze per il IX secolo, diventano più consistenti per il X e i ritrovamenti ceramici riguardanti l’intervallo tra questi due secoli sembrano suggerire una differenziazione sub-regionale, in linea con l’andamento della conquista così come riportato dalle fonti, tra la parte occidentale, più velocemente assimilata, e quella orientale che ancora per qualche tempo rimane legata agli scambi con l’oriente bizantino. A più stretto raggio una differenza è possibile notarla anche tra centri urbani e contesti rurali. Nel corso del IX secolo inoltrato la frontiera tra est e ovest dell’isola do-vette ulteriormente spostarsi e i territori non ancora conquistati dai musulmani ridursi alla sola cuspide nord orientale e ad alcuni centri ancora legati in maniera solida alle province meridionali dell’impero bizantino. A questo periodo, e maggiormente poi tra la seconda metà del X e l’inizio dell’XI secolo, si deve attribuire un’impennata demografica attribui-bile sia alla crescita interna che a una maggiore immigrazione dall’Africa.

2 In questo senso è stato fatto notare come la conquista della Sicilia servisse da “valvola di sfogo per gli

elementi più turbolenti dell’Ifrīqiya” e che la seconda metà del IX secolo può essere visto come un periodo proto-islamico: A. Nef, V. Prigent, Per una nuova storia dell’alto medioevo siciliano, in Storica, 35-36, XII, 2006, p. 41, 54.

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I.II Tra X e XI: Stabilizzazione e crescita interna

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Nella stessa misura in cui sembra riverberarsi sull’isola, nel secolo precedente, la trabal-lante condizione dell’emirato aghlabita, la Sicilia si giova, a partire dal X secolo, dalla stabilità che caratterizza il nuovo e potente califfato fatimida, appoggiato nelle conquiste dai berberi kutāma. Il controllo dell’isola viene affidato alla dinastia degli emiri kalbiti, dipendenti dai fatimidi4.

La prosperità che ne dovette conseguire sembra suggerita dalle recenti indagini archeolo-gici svolte a Palermo, protagonista, in questo periodo, di un’espansione urbana che appare programmata. Riguardo alle altre città dell’isola, un certo ruolo è stato riconosciuto, pren-dendo in considerazione gli scambi commerciali, soprattutto ai centri occidentali dell’isola, come Mazara, anche se recenti studi sulla ceramica dimostrano una consistente attività di scambio tra i nuclei urbani orientali, come quello di Taormina, e l’area medi-terranea d’influenza bizantina. Per quanto riguarda la Sicilia centromeridionale, a partire dalla seconda metà del X secolo, è stato proposto un sistema di occupazione del territorio che, pur in assenza di città, è caratterizzato da alcuni centri importanti (mudun, come dovevano essere, ad esempio, Ragusa e Butera, da un certo numero di capoluoghi con relativi distretti (aqualim) e abitati aperti, indicati nelle fonti normanne come casali (ra-hal, manzil, per i quali diversi esempi sembrano attestati nell’area di Butera, Piazza Ar-merina, Caltagirone e Ragusa). Anche se non sono definibili con precisione i rapporti tra questi diversi nuclei demici, si ipotizza l’esistenza di pochi centri elevati a controllo dei corsi d’acqua e assi viari attorno ai quali si sviluppano insediamenti aperti che crescono durante il periodo islamico e inoltre alcuni insediamenti rupestri.

Per quanto riguarda la produzione ceramica (sicuri fossili guida possono considerarsi le ceramiche dipinte e invetriate), dalla metà del X secolo sembra avvenire un rinnovamento delle forme, decorazioni e delle tecniche, in particolar modo per la ceramica fine da mensa. Più che da un lento sviluppo tecnico interno, tale rinnovamento, coincidente con

3 A. Molinari, La Sicilia islamica: riflessioni sul passato e sul future della ricerca in campo archeologico,

in (MEFRM), 116-1, 2004, pp. 19-46; A. Molinari, Paesaggi rurali e formazioni sociali nella Sicilia

isla-mica, normanna e sveva (secoli X-XIII), in Archeologia Medievale, XXXVII, 2010, pp. 229-245; A. Nef, La désignation des groupes ethniques de la Sicile islamique dans les chroniques en langue arabe: source d’information ou topos?, in Annales islamologiques, 42, 2008, pp. 57-72; A. Nef, V. Prigent, Per una nuova storia dell’alto medioevo siciliano, in Storica, 35-36, XII, 2006, pp. 9-63; S. Fiorilla, Insediamenti e terri-torio nella Sicilia centromeridionale: primi dati, in (MEFRM), 116-1, 2004, pp. 79-107;

4 Sulla fedeltà dei kalbiti al califfato fatimida e sull’importanza economica e strategia della Sicilia si veda:

A. Nef, V. Prigent, Per una nuova storia dell’alto medioevo siciliano, in Storica, 35-36, XII, 2006, pp. 55-56.

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lo sviluppo economico in atto in questo periodo in Sicilia, sembra dovuto all’immigra-zione di maestranze alloctone, probabilmente tunisine, interessate, con breve anticipo, da un gusto per lo stile “orientale” che nel X secolo caratterizzerà tutto l’occidente musul-mano. A livello sociale, inoltre, deve essere stata la classe aristocratica, connessa al resto del mondo islamico, a interessarsi alle nuove tipologie ceramiche, per poi essere imitata dalle altre componenti sociali, e del resto la qualità della produzione è la stessa sia nei grandi centri, come ad esempio Palermo, Mazara del Vallo e Agrigento, sia in villaggi rurali, come quello della Villa del Casale, nei pressi di Piazza Armerina e l’omogeneità della cultura ceramica investe tutta l’isola.

Da più parti è stato affermato come la cultura musulmana abbia causato nell’isola un’evo-luzione, o meglio una “rivoluzione” agricola. I contesti rurali sembrano vivere un parti-colare sviluppo, tanto da vedere occupate nuove aree e rioccupate zone reduci, in alcuni casi, da secolari abbandoni. Il propulsore sarebbe da individuare nelle tecniche di irriga-zione che avrebbero migliorato la resa dei terreni e permesso l’introduirriga-zione di colture importate dai nuovi abitanti. Il tenore produttivo, in generale, non era dissimile da quello dei grandi centri urbani. I villaggi rurali, poco gerarchizzati internamente, con forti co-munità contadine benestanti, non dovettero sottostare a un sistema di “signorie” e a un eccessivo controllo del mercato interno e presero forma tanto di villaggi “aperti”, su pendi a media e bassa quota, quanto di villaggi d’altura, difesi naturalmente ma non forniti di particolari strutture difensive. Del resto, il rescritto del califfo fatimida al-Mu’izz, del 967 più che provocare la scomparsa degli insediamenti sparsi, come dimostrano le ricerche sui territori di importanti centri, Entella e Segesta, sembra stimolare, in particolare a par-tire dalla seconda metà del X secolo, lo sviluppo di centri eminenti in siti d’altura, nei quali il rescritto prevedeva la costruzione di una moschea. Tra X e XI secolo, all’interno di questi villaggi, come osservato presso la Villa del Casale, nel sito di Malena, a Caliata, a Calathamet e a Entella, emerge un tipo di abitazione “pluricellulare”, con pianta a U o a L, caratterizzata da una distribuzione spaziale irregolare, perimetrata da una viabilità tortuosa. La stessa tipologia in Spagna è stata collegata con sistemi familiari allargati. Prima dell’arrivo dei normanni, a seguito della disgregazione del potere centrale, emer-gono importanti città ed entità politiche locali e si assiste alla formazione di tre emirati concorrenti. La frantumazione dell’emirato kalbita, che va vista comunque in un più am-pio quadro di fermento internazionale che interessa tanto il mondo cristiano quanto quello musulmano, non sembra comportare la scomparsa delle forme periferiche di amministra-zione pubblica dell’isola. Tra X e XI secolo, a seguito della graduale assimilaamministra-zione della

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nuova cultura da parte delle popolazioni locali da un lato e a causa di importanti fenomeni di immigrazione, in particolar modo dall’area maghrebina, dall’altro, l’area occidentale e quella sudorientale dell’isola risultano più profondamente islamizzate e arabizzate. Seb-bene nel Valdemone si concentrasse la maggior parte della popolazione greco-cristiana, al momento dello sbarco dei Normanni a Messina, nel 1061, nella città doveva essere presente una consistente comunità araba. Del resto non doveva mancare un certo numero di arabo-cristiani nell’area maggiormente islamizzata. Tenendo conto dell’integrazione, a cui si è già accennato, tra la compagine culturale araba e quella greca, doveva inoltre esistere una fascia sociale intermedia, caratterizzata da una cultura mista.

I.III Tra XI e XIII secolo: Dal cambio di potere alla scomparsa della

popo-lazione islamica

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Almeno nel periodo iniziale della presenza normanna, alle diverse componenti che occu-pavano l’isola dovette essere garantita una certa autonomia nella gestione giuridica e re-ligiosa. I Normanni, del resto, si servirono di alcune pratiche giuridiche e fiscali (è il caso della ğizya, tassa destinata precedentemente a tutti i non-musulmani) di tradizione isla-mica, utili a gestire una popolazione con differenze religiose.

Fino alla metà del XII secolo almeno si registra poi una sostanziale continuità per quanto riguarda la cultura materiale, tanto per la parte occidentale quanto per quella orientale dell’isola.

L’affermazione del nuovo potere in Sicilia darà comunque inizio a una serie di fenomeni che porteranno ad una elevata tensione nel corso XII secolo e alla definitiva rottura nel XIII secolo. Inizialmente, risulta poco consistente l’emigrazione delle popolazioni mu-sulmane verso paesi islamici, mentre l’avvenimento che nel tempo sembra più impattante è l’immigrazione di comunità cristiano-latine, definite ‘lombarde’ e provenienti dall’area ligure e piemontese, stanziatesi inizialmente in borghi fortificati nella parte nord-orientale e centrale dell’isola. Qui avrebbero costituito delle comunità fortemente coese e ostili agli

5 A. Molinari, La Sicilia islamica: riflessioni sul passato e sul future della ricerca in campo archeologico, in (MEFRM), 116-1, 2004, pp. 19-46; A. Molinari, La Sicilia tra XII e XII secolo: conflitti “interetnici” e

“frontiere” interne, in G. Vannini, M. Nucciotti (a cura di), La Transgiordania nei secoli XII-XIII e le ‘frontiere’ del Mediterraneo medievale, BAR IS 2386, Oxford, 2012, pp. 345-360; A. Molinari, Paesaggi

rurali e formazioni sociali nella Sicilia islamica, normanna e sveva (secoli X-XIII), in Archeologia Medie-vale, XXXVII, 2010, pp. 229-245.

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sconfitti greci e musulmani. Non manca l’immigrazione di gruppi greco-cristiani appar-tenenti ai diversi strati sociali, mentre molto contenuta e legata agli alti poteri feudali ed ecclesiastici appare quella dall’Europa settentrionale.

A contribuire ai contrasti sociali dovette essere, inoltre, il nuovo controllo delle campagne tramite un sistema maggiormente gerarchizzato e, a differenza di quello precedente, “si-gnorilizzato”, nel quale erano garantiti vantaggi alla componente cristiano-latina. Un ul-teriore elemento di contrasto va visto nella gestione militare del territorio e gli studi in merito hanno suggerito, ad esempio, l’impianto di villaggi fortificati da destinare ai nuovi “coloni”, relegando le popolazioni vinte in villaggi aperti, anche se i dati archeologici confermano questo fenomeno solo per parte dell’isola. Un'altra procedura attuata dai Nor-manni è quella dell’occupazione dei capoluoghi di distretto musulmani, tramite la realiz-zazione di fortilizi.

La conseguenza diretta di questi cambiamenti, riportata dalle fonti storiche e riscontrata nei dati archeologici, è quella di un abbandono dei villaggi aperti e un graduale sposta-mento della popolazione rurale verso la parte occidentale dell’isola a seguito di disordini sociali crescenti. La situazione va aggravandosi anche in corrispondenza di eventi critici, come la morte di Guglielmo II nel 1161, che portò a repressioni sanguinose dei musul-mani, sia nelle città che nelle campagne. Indicativa, a seguito di questo avvenimento, è la narrazione fatta dallo pseudo-Falcando che parla della distruzione sistematica di villaggi musulmani, del progressivo spostamento verso la parte occidentale della Sicilia e dell’in-cremento di insediamenti difesi in siti d’altura, alcuni dei quali, dai dati archeologici, risultavano abbandonati da secoli (esemplare il caso di Segesta). La conferma archeolo-gica della distruzione sistematica può essere confermata dai dati riguardanti il grosso vil-laggio rurale musulmano sviluppatosi sulla Villa del Casale di Piazza Armerina, interes-sato da una frequentazione tra X e XI secolo, proseguita fino all’inizio del XII e che viene interrotta bruscamente verso la metà del XII secolo, così come testimoniano i numerosi segni di incendio. Riscontri archeologici per le fonti che parlano dello spostamento verso occidente e dell’impianto di grandi siti di altura nel Val di Mazzara, quasi delle città, si hanno dagli scavi sistematici presso Calathamet, Entella e Iato, e dalle ricognizioni di superficie, come quella effettuata nell’area del fiume Platani. Nel periodo interessato dalla reggenza di Federico II, a una maggiore sistematicità e organicità dello sviluppò di queste realtà contribuirà l’adesione dei rappresentanti delle nobiltà arabofone al generale movimento delle masse rurali. La ribellione, così definita, assume l’aspetto di un vero e

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proprio “emirato” la cui testimonianza sembra suggerita dall’emissione di monete d’ar-gento, la cui circolazione si limita alla Sicilia Occidentale, a nome dell’emiro ribelle Mu-hammad ibn ‘Abbād. Il secondo quarto del XIII secolo vede l’impegno di Federico II contro questi grandi centri che entro la metà di questo secolo scompariranno totalmente e in maniera violenta. I dati archeologici di Iato, Entella e Segesta sembrano confermare una fase di sistematica distruzione dei centri di altura durante gli anni centrali di questo secolo che, assieme alle conversioni forzate, alla disperata fuga di quanti riuscivano a emigrare e alle deportazioni di massa, portarono verso la fine dell’età sveva, alla scom-parsa della popolazione arabo-musulmana dall’isola.

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II. L’Islam e la morte

II.I. Escatologia

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Per cercare di evidenziare gli aspetti teologici più strettamente legati alla morte e alle pratiche ad essa connesse è bene precisare alcuni punti cardine dell’escatologia islamica. Tra i più importanti messaggi del Profeta derivati dalle rivelazioni avute alla Mecca, spic-cano due concetti tra loro strettamente connessi: l’unicità di Dio (tawḥīd) e la responsa-bilità dell’essere umano nel giorno finale (yawn al-qiyāma, letteralmente “il giorno della resurrezione”). L’ammissione dell’unicità di Dio necessita di un’integrità morale ed etica in vita che di conseguenza determinerà l’esito, la punizione o la ricompensa, nel giorno del giudizio. C’è dunque una connessione diretta tra il mondo presente (al-dunyā) e il prossimo (al-ākhira) e allo stesso tempo una netta distinzione tra il primo inteso come regno delle azioni e il secondo inteso come regno delle ricompense per quelle azioni. In vari punti del Corano il regno in terra viene presentato come il luogo della vanità e dei falsi piaceri, mentre nel regno che verrà dimora la stabilità e la vita vera. Molti commen-tatori del Corano, distinguendo i piaceri di questo mondo e quelli del prossimo, non ve-dono i primi come fisici e i secondi come spirituali ma piuttosto indicano i primi come portatori di sofferenze e pene e i secondi no, i primi soggetti a cambiamento e i secondi costanti, i primi temporanei e i secondi eterni. Inoltre, ritorna più volte la visione di tutta la vita come un continuo processo di creazione e ricostruzione. La creazione riguarda sia la collettività del genere umano che il singolo individuo che la compone e il lasso di tempo che intercorre tra la nascita e la morte è determinato (ajal) sia per gli individui che per le comunità.

Tutti gli eventi legati al giorno della resurrezione, dai segni della venuta dell’ora (ashrāṭ al-sā’a) al giudizio e alla decisione finali, reggono due argomenti basilari e centrali nell’escatologia islamica: il primo è che i corpi risorgeranno e si uniranno alle anime nel ritrovo di tutta la comunità degli individui imputabili; il secondo è che ci sarà un giudizio finale degli atti e delle opere di ogni individuo e che il giudizio sarà nelle mani di Dio e attraverso la giustizia assoluta di Dio.

6 Sull’escatologia islamica: J. I. Smith, Eschatology, in J. D. McAauliffe (General Editor), Encyclopaedia

of the Qurʾān, 2, E-I, Brill, Leiden-Boston, 2002, pp. 44-53; A. Rippin, Muslims: Their religious beliefs and practices (Library of religious beliefs and practices), Routledge, New York and London, 2005.

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Nel Corano non c’è alcuna indicazione su quando arriverà il giorno finale, solo Dio ne è a conoscenza. Più esplicita è la descrizione dei segni cataclismatici dell’ora finale, a si-gnificare un capovolgimento dell’ordine naturale delle cose e la distruzione strutturale dell’universo, un processo, dunque, opposto alla creazione del mondo. Questo sconvol-gimento, quasi un ritorno a un caos primordiale, è segnato da un primo squillo di tromba, a cui ne segue un secondo che decreterà la cessazione di tutto all’infuori di Dio. È questo il punto culminante, spesso chiamato lo sgomento dell’assemblea (ḥashr), in cui l’insieme di corpi e anime, riuniti dopo la resurrezione, attenderà il giudizio divino.

L’arrivo di un giorno del giudizio è una costante nel Corano e non vi è dubbio che ogni individuo singolarmente sarà responsabile delle sue decisioni e dei sui atti in vita. Questi vengono elencati in un “libro” personale che è assicurato al collo del defunto nel momento in cui l’anima lascia il corpo alla sua morte. Tra quelle che sono state categorizzate come modalità di giudizio, anche se il testo sacro si limita ad accennarle senza procedere a raggruppamenti, compare spesso la bilancia (mīzān), una delle più importanti verità esca-tologiche. Al giudizio divino non si può fare appello, si può solo accettarlo come conse-guenza diretta delle proprie azioni. Sebbene nel Corano compaia più volte e in varie forme la parola “intercessione” (shafā’a), il testo non dà nel complesso alcuna speranza in tal senso e non dà adito a dubbi sul prevalere della giustizia divina nel giorno finale. Nono-stante questo, in alcuni versi si è voluta vedere una qualche forma di possibilità di inter-cessione da parte di angeli (C 53:26), testimoni del vero (C 43:86) e quelli che hanno fatto un patto con Dio (C 19:87). La tradizione inoltre, malgrado l’assenza di riferimenti cora-nici, ha voluto vedere in Maometto il principale mediatore per conto della sua comunità nel giorno del giudizio. Il dibattito sulla questione ha interessato anche la teologia della shīʿa che tra le tante funzioni dell’imām riconosce quella di intermediario nell’aldilà per conto dei suoi seguaci.

Poco altro aggiunge il testo sacro al processo di giudizio in sé, consistenti invece sono le testimonianze sulle due alternative possibili, i due regni o dimore, verso le quali viene indirizzato e abiterà in eterno ogni individuo a seguito del giudizio divino: la benedizione del giardino per i redenti e il tormento del fuoco per i dannati. In generale, per molti particolari sia del giardino che del fuoco, a parte qualche reminiscenza biblica e occasio-nali prestiti dallo stile dei primi poeti arabi, l’immagine offerta dal Corano è di per se peculiare. La struttura dei due regni non viene presentata in maniera ordinata ma è facile cogliere le corrispondenze tra le descrizioni delle due realtà, come ad esempio la

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visione in sette livelli, rappresentati da sette sentieri (ṭarā’iq) nel giardino e da sette can-celli nel fuoco, o i parallelismi tra gli atti compiuti dai redenti e le azioni commesse dai peccatori, per i quali il corano fornisce delle categorie di persone molto specifiche. Riguardo al processo di morte, la tradizione islamica amplierà notevolmente in seguito quelli che sono i pochi riferimenti coranici.

Nel Corano la morte viene descritta come una specie di processo di immersione (gha-marāt al-mawt) durante la quale angeli allungano le loro braccia chiedendo che venga loro affidata l’anima del morente e questa viene tirata fuori dalla sua gola. Una volta nella fossa la persona attenderà il giorno del giudizio in cui Dio infonderà la vita in tutto ciò che è morto e darà il suo verdetto. Riguardo alla condizione della persona nella tomba, prima dell’arrivo del giorno finale, vi sono state varie speculazioni e qualche accennata chiarificazione coranica. Dalle evidenze del testo sacro è difficile parlare con certezza del periodo tra la morte e la resurrezione nel giorno finale. Uno dei pochi indizi in tal senso (C 35:22) parla del fatto che i vivi e i morti sono diversi e che solo Dio può concedere a chiunque egli desideri di farsi ascoltare mentre i viventi non sono in grado di comunicare con chi è nelle fosse. In relazione ai due possibili esiti del giudizio divino nel giorno della resurrezione, il giardino e il fuoco, vi sono da un lato alcuni individui, come ad esempio quelli martirizzati per la causa islamica, che sono rinomati come viventi (C 2:154; 3:169) e si dice che si rallegreranno della ricompensa e della benedizione divina (C 22:58-9; 3:170-1), e dall’altro quelli che già sono nel fuoco (C 40:46-9; 71:25) anche se non è ben inteso se si tratti di una punizione passata, presente o futura. Brevi e indiretti, a differenza delle molte elaborazioni presenti nei manuali escatologici tradizionali, sono gli accenni che il corano fa a quella che è stata successivamente descritta come la punizione della tomba (ʿadhāb al-qabr). In due versi (C 8:50; cf. 46:27) si parla di angeli che, subito dopo averne preso l’anima, percuotono le facce e le schiene di coloro che rifiutano la parola di Dio (kuffār) come monito della punizione del fuoco.

II.II Pratica funeraria

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Il rito funerario islamico, in base a quanto stabilito dal diritto (fiqh) e da quanto riportato nelle tradizioni del Profeta (ḥadith), prevede che il volto venga indirizzato verso la Mecca

7 Sul rito funerario: A. Bagnera, E. Pezzini, I cimiteri di rito musulmano nella Sicilia medievale. Dati e

problemi, in (MEFRM), 116-1, 2004, pp. 267-271; M. Fierro, El espacio de los muertos: fetuas andalusies sobre tumbas y cementerios, in P. Cressier, M. Fierro et J.-P. Van Staevel (a cura di), L’urbanisme dans l’Occident musulman au Moyen Age. Aspects juridiques, Madrid, 2000, pp. 153-189; T. Bianquis, Sépul-tures islamiques, in Topoi, 4/1, 1994. pp. 209-218.

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già poco prima che sopraggiunga la morte. Accertata quest’ultima, il defunto viene denu-dato e lavato secondo un rituale da un addetto o dai familiari dello stesso sesso. Si procede chiudendo gli occhi e la bocca, si innalza l’indice al cielo per affermare un’ultima volta l’unità di Dio, si cosparge il corpo con essenza profumate e lo si veste con abiti funebri e/o avvolto in uno o più sudari, di solito bianchi, senza cuciture né nodi se non in corri-spondenza della testa e dei piedi. Il cerimoniale può variare nelle differenti zone del mondo islamico ma è quasi identico per uomini e donne e prevede il seppellimento del corpo nel più breve tempo possibile.

Il funerale procede con una sosta presso un luogo di preghiera, solitamente una moschea o un muṣallā8 e con il trasporto, su un catafalco o dentro una bara aperta portata a braccia, al cimitero. Qui il corpo, semplicemente vestito o avvolto nel sudario, viene inumato senza la cassa lignea o il catafalco usati per il trasporto, non accompagnato da oggetti o ornamenti ed evitando che venga a contatto con la terra considerata elemento impuro. Gli studi sulle fatwa-s (parere giuridico, fornito da un esperto di diritto, faqih, a seguito di un’interpellanza, che spiega o rende applicabili a casi speciali le prescrizioni dei trattati di fiqh) relativi al medioevo andaluso hanno, tra gli altri, evidenziato un ulteriore emento collegabile tanto al rito funerario quanto alla prassi costruttiva delle tombe: il le-game e la vicinanza con l’acqua. In Marocco, ad esempio, l’acqua avanzata dalle ablu-zioni mortuarie serviva a purificare l’ambiente domestico e chiunque fosse venuto in con-tatto con il defunto. In Egitto, gli uomini che hanno accompagnato il corteo funebre, dopo aver effettuato l’interramento nel cimitero, eseguono della abluzioni per eliminare la pol-vere che avrebbe potuto attrarre disgrazie nell’ambito familiare. Questa credenza, se-condo alcuni studiosi, giustificherebbe la presenza di bagni vicino al cimitero, così che fosse possibile anche un abluzione totale.

A questo punto conviene sottolineare che, se le testimonianze concordano sul trattamento della salma e sul rito funerario, lo stesso non avviene per quanto riguarda la costruzione della tomba e la deposizione del defunto, come del resto confermato dagli studi sulle fonti storiche e giuridiche e dai dati emersi dalle ricerche archeologiche effettuate in diverse aree del mondo islamico.

8 Si tratta di un luogo all’aperto adibito alla preghiera. Ibn Ḥawqal ne parla nella sua descrizione di Palermo,

facendo riferimento all’area cimiteriale, posta esternamente alle mura, presso una porta e in prossimità del mare (vedi anche paragrafo IV di questo capitolo). In molti centri dell’Africa del nord il muṣallā si trova vicino al cimitero principale o comunque vicino al cimitero e fuori dalle mura.

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II.III Orientamento della tomba e posizione del defunto

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Tolta l’assenza di corredo e la povertà delle strutture funerarie, caratteristiche generali condivise dalle tombe islamiche medievali con buona parte delle sepolture dello stesso periodo, in particolare quelle cristiane, sembra plausibile, in ambito archeologico, consi-derare come indicatori rituali specifici l’orientamento secondo la quibla (in direzione della Mecca) e la posizione in decubito laterale del defunto. Questo è vero solo in parte e vanno fatte le dovute considerazioni, soprattutto in merito al decubito laterale, che non è una condizione sempre rispettata.

Il corretto orientamento è codificato da una rigida normativa che viene rispettata in ogni luogo e tempo e per questo può essere considerato l’unico elemento distintivo del rituale islamico. L’invariabilità è garantita dalla direzione da rispettare, la quibla, cioè verso la Mecca e in tal senso non hanno rilevanza le variazioni di pochi gradi osservate spesso anche tra tombe dello stesso cimitero. Del resto è ormai noto come anche nel caso di edifici religiosi la definizione della quibla non è sempre corretta, nonostante la disponi-bilità di manuali e strumenti per una precisa determinazione dell’orientamento.

In generale poi, il rispetto della regola fondamentale dell’orientamento in direzione della Mecca è indipendente dalla posizione del defunto nella fossa. Nel mondo musulmano sono infatti previste come posizioni, oltre al decubito laterale, il decubito supino totale o parziale (in questo secondo caso con una lieve torsione laterale della parte superiore del tronco verso la quibla) e molto più raramente il decubito prono. Verificato, dunque, il corretto orientamento canonico, va considerata la possibilità di osservare le diverse mo-dalità di seppellimento. Il dato archeologico accerta, riguardo al mondo islamico medie-vale sia occidentale che orientale, l’uso, talvolta nello stesso ambito cimiteriale, di tre modalità di deposizione: il decubito laterale destro, il decubito supino con il volto indi-rizzato alla Mecca e in rari casi il decubito prono.

In queste diverse circostanze spetta a una parte del corpo il compito di guardare verso la mecca e cioè il volto. È possibile, del resto, intuire l’importanza di questa parte del corpo già in vita, nella pratica di ogni credente musulmano che durante la preghiera rivolge il viso verso la Mecca. Nei casi in cui, all’interno dello stesso gruppo sepolcrale, si sono registrate differenze di grado nella direzione dell’orientamento delle tombe e gli inumati al loro interno sono stati deposti in varie posizioni, il viso dei defunti risulta, in genere,

9 A. Bagnera, E. Pezzini, I cimiteri di rito musulmano nella Sicilia medievale. Dati e problemi, in

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correttamente rivolto verso la Mecca. A proposito del funerale nella Persia sciita, è stato riportato10 che a seguito della deposizione del defunto sul fianco e con il volto indirizzato secondo la quibla, si procede, al di là dello stato sociale del defunto, a coprire con due tegole la testa, in modo da evitare che la terra, come già detto elemento impuro, venga a contatto con essa, a riprova dell’importanza di questo elemento anatomico. Va comunque sottolineata la presenza, in cimiteri sicuramente appartenenti al culto islamico, di teste in posizioni diverse, in particolare poggiate sull’occipite e con il viso rivolto verso l’alto. Ulteriore elemento riguardante la deposizione e che, secondo i dati storici, giuridici e archeologici, rappresenterebbe una deroga a quanto previsto dagli ḥadith e il fiqh, è l’uso di deporre il defunto assieme alla cassa lignea (ataùd) o al catafalco utilizzati per il tra-sporto dall’abitazione al cimitero. Tale uso sembra particolarmente diffuso nell’Occi-dente musulmano, specificatamente in Spagna e in Sicilia e maggiormente nel XII e nel XIII secolo. Nelle altre aree del mondo islamico risultano rare le attestazioni di casse lignee e riguardano il periodo tardo e post medievale.

II.IV La tomba e il cimitero

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In arabo, dalla medesima radice q-b-r, derivano i termini qabr (plurale qubūr), che deno-mina la singola tomba e maqbara, usato genericamente per indicare il cimitero e che nel Corano figura solo una volta nella sua forma plurale maqābir.

La regola generale prevede per le tombe il massimo della semplicità, sobrietà e la bassa o nulla visibilità, a sottolineare l’umiltà del credente e l’uguaglianza con gli altri membri della comunità (umma), oltre che a confermare l’unicità di Dio ed evitare che si dia vita a un culto dei defunti, dei santi in particolar modo, che porterebbe a una deriva politeista. Tra i divieti si trova quello di apporre iscrizioni sulle tombe o di elevare strutture per segnalarle, se non il minimo necessario per evitare che venissero calpestate o ci si sedesse sopra. Il minimo della segnalazione era concesso, come visto nei documenti giuridici an-dalusi, anche per distinguere le tombe dei propri parenti da quelle di altri ed evitarne la

10 A occuparsi del funerale sciita è H. Massé, si veda: Ibid., pp. 268-269.

11 A. Bagnera, E. Pezzini, I cimiteri di rito musulmano nella Sicilia medievale. Dati e problemi, in

(ME-FRM), 116-1, 2004, pp. 247-300; L. Torres Balbás, Cementerios ispano-musulmanes, in Al-Andalus, XXII,

1957, pp. 144-207; M. Fierro, El espacio de los muertos: fetuas andalusies sobre tumbas y cementerios, in P. Cressier, M. Fierro et J.-P. Van Staevel (a cura di), L’urbanisme dans l’Occident musulman au Moyen

Age. Aspects juridiques, Madrid, 2000, pp. 153-189; Y. Rāġib, Structure de la tombe d’aprés le droi musul-man, in Arabica. Journal of arabic and islamic studies, 39, 1992, pp. 393-403; S. Ory, Maḳbara. I Dans le pays centraux du monde arabe, in Encyclopédie de l’Islam, VI, Leiden-Paris, 1991, pp. 120-121; K. L.

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riesumazione nel caso si volesse procedere a nuovi seppellimenti. Le stesse fonti, riferen-dosi al riutilizzo di sepolture e all’esumazione, le vietano in tutti i casi.

Gli studi sulle fonti storiche, giuridiche e archeologiche mostrano come già dai primi secoli dell’Islam molte delle prescrizioni vengano spesso disattese e del resto i giuristi, appoggiandosi alle tradizioni, hanno a lungo dibattuto su quali dovessero essere la strut-tura, le dimensioni e i materiali della tomba, tanto per il tratto sotterraneo quanto per quello superficiale. Il kitāb al ğanā’iz (libro dei funerali) racchiude le tradizioni del Pro-feta (ḥadith) e il diritto (fiqh) su cui la dottrina giuridica si è basata. I recenti studi su questo testo, unitamente ai già citati studi sulle fatwa-s riguardanti il medioevo andaluso e il loro confronto con i dati archeologici, permettono di delineare un quadro riguardante le strutture tombali.

Sebbene vietata dalla prima tradizione islamica, è noto come in tutto il mondo islamico avvenga la segnalazione superficiale delle tombe, in maniera mutevole, per forma e com-plessità, in base al contesto. Altrettanto variegata risulta la normativa riguardante la parte sotterranea, la fossa, che vede divergenze interpretative ed esecutive anche tra le quattro scuole giuridiche della sunna. Prendendo ad esempio la profondità: la scuola hanafita è indifferente alla questione; i malikiti raccomandano di seppellire a una profondità di un cubito (0,54 m), quanto basta per evitare che gli animali carnivori raggiungano il cadavere e che le esalazioni di questo siano percepibili; gli hanbaliti preferiscono una profondità della fossa superiore ma non eccessiva, che vada, mediamente, dai piedi al torace di una persona; in accordo con quanto raccomandato dagli sciiti, la scuola shafi’ita predilige una fossa molto profonda e indica una misura di 2,5 m circa, anche in questo caso con l’intento di trattenere i miasmi del corpo in putrefazione e per evitare profanazioni, sia umane che animali. Fosse strette e poco profonde, ritrovate nei siti spagnoli e attribuite al rito mali-kita, sono attestate anche in diversi contesti siciliani, sia di epoca araba che normanna e sveva, scavate tanto in piena terra quanto parzialmente o totalmente in banchi rocciosi. I primi musulmani conoscono due tipologie di sepolture che si differenziano per il posi-zionamento di una cavità, in cui troverà effettivamente posto il corpo, sul fondo di una prefossa, più larga rispetto alla fossa vera e propria, il cui scopo è garantire l’isolamento dalla terra: la laḥd, nella quale la cavità si trova al di sotto del lato quibla della prefossa; la shaqq o ḍarīḥ, nella quale la fossa è posta centralmente rispetto alla prefossa. I due tipi erano inizialmente considerati entrambi leciti ma secondo una tradizione, considerata rara, sembrerebbe che il Profeta prediligesse il primo tipo di tomba e alla sua morte, per

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volere divino, si decise il seppellimento nella maniera che il Profeta stesso preferiva, scio-gliendo la diatriba tra gli abitanti della Mecca, propensi per la deposizione in uno shaqq, e gli abitanti di Medina, che preferivano la deposizione in un laḥd. Quest’ultima forma di interramento, adottata dai primi califfi e sollecitata in vita dai compagni e dai seguaci del Profeta, divenne la sunna (consuetudine) sia tra i sunniti che tra gli sciiti. Nonostante il sostanziale accordo dei giuristi sulla tipologia da scegliere, vennero concesse deroghe in casi particolari, così che, ad esempio, in caso di terreni duri era preferibile la fossa laterale, in caso di terreni molli quella centrale. Del resto, si poteva rimediare all’inconsistenza del terreno realizzando all’interno di uno shaqq un laḥd con pietre o mattoni crudi. La scelta di propendere per una fossa larga centrale poteva essere motivata anche da altri fattori, come il volume corporeo che, se eccessivo, non avrebbe facilmente trovato posto in un laḥd. A seguito della deposizione, l’isolamento dalla terra, che va a riempiere la prefossa, avviene apponendo sull’imboccatura della cavità inferiore una copertura composta da blocchi o lastre di pietra, tavole lignee, mattoni posti di taglio o realizzando una volta in mattoni, avendo cura poi di colmare gli interstizi. Anche riguardo alla copertura della fossa sono nate dispute tra le diverse scuole giuridiche.

La fossa generalmente era caratterizzata dall’angustia dello spazio, lo stretto necessario alle dimensioni del corpo che avrebbe accolto e questo, oltre a essere un fattore di umiltà, era funzionale al mantenimento della posizione in direzione della Mecca, in special modo nel caso del decubito laterale. Presente in letteratura, anche se raramente riscontrato ar-cheologicamente, è il dato sull’uso di elementi che puntellano parzialmente la sola testa o la parte superiore del tronco, o completamente il corpo per garantirne la posizione e l’orientamento. Riguardo la Spagna, documenti del XIII secolo, confermati archeologi-camente dalla necropoli di IX-inizi XII secolo di Porta di Toledo a Saragoza e dalla ne-cropoli di XI secolo di San Nicolas di Murcia, indicano l’uso di collocare pietre e mattoni dietro il corpo o la testa.

Gli scavi eseguiti presso la città di Jaèn, in Andalusia, hanno restituito sette necropoli, la più grande delle quali, denominata N2, ben riassume per la Spagna la complessità delle varianti sepolcrali nel loro tratto sotterraneo. La III ed ultima fase di vita della vasta ma-qbara, collegata a una rioccupazione dell’area nel XII secolo, è caratterizzata da sepol-ture, datate tra il XII e la prima metà del XIII secolo, tutte prive di prefossa e volontaria-mente riempite di terra prima della loro chiusura, contravvenendo alla regola che impone l’isolamento del corpo da elementi impuri. L’affermazione posteriore di quest’uso che contravviene alle regole prescritte è del resto confermata dal confronto con altre necropoli

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spagnole, come quelle di Almerìa, Granada, Malaga, Murcia, Saragoza e sembra poter avere una certa corrispondenza anche in area orientale.

Anche per i cimiteri siciliani è possibile riscontrare un certo grado di variabilità che, se verificato su ampia scala, può fornire un corrispondente sviluppo cronologico. Presi ad esame i dati archeologici palermitani, sono state distinte le caratteristiche riguardanti le fosse dalla modalità usata per chiuderle. Una distinzione interna a questi due elementi riguarda i diversi materiali utilizzati.

Indipendentemente dalla natura del deposito in cui sono state realizzate, possono distin-guersi due tipi di fossa: il tipo I, semplice e senza una particolare sistemazione delle pareti e del fondo; il tipo II, caratterizzato da fosse foderate.

La più diffusa è la fossa semplice, scavata in piena terra, che nella maggior parte dei casi sembra totalmente priva di chiusura ma che, quando quest’ultima è attestata, risulta essere il tipo ad essa più frequentemente associato (Fig.1).

Le modalità di chiusura, anche in questo caso fondamentalmente due, si distinguono in base alla posizione degli elementi. Nel primo tipo, quello denominato A, gli elementi vengono posti in posizione obliqua, secondo l’asse nord-est/sud-ovest, alle spalle del de-funto per isolarlo e costringerne il corpo nel ristretto spazio sul lato quibla. La sottotipiz-zazione in base ai materiali distingue poi tra il tipo A.1 nel caso in cui vengano usate lastre fittili, e il tipo A.2, quando la delimitazione è affidata a un ampio frammento fittile, come può essere per esempio la parete di un’anfora. Nel tipo definito B, la fossa, coperta orizzontalmente, è affidata a lastre di calcarenite sovrapposte, tipo B.1, e in alcuni casi a grosse tegole, tipo B.2, nei casi palermitani esclusivamente associato a deposizioni infan-tili. A se stante potrebbe considerarsi un terzo tipo, chiamato C, caratterizzato dalla so-vrapposizione di “tumuli di

blocchi informi di calcare-nite”, per il quale però non andrebbe riconosciuto il ruolo di copertura quanto, più probabilmente, quello di parte emergente della tomba. Per quanto riguarda le fosse con foderatura, tipo II, il ma-teriale usato è il tufo e le

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per il taglio degli elementi: lastre, nel caso del tipo II.1 e conci di medio e piccolo taglio, nel caso del tipo II.2. In questa seconda tipologia è stato osservato l’uso dei conci, oltre che per ricoprire le pareti interne della fossa, anche per la realizzarvi sopra un tumulo e, inoltre, una certa cura costruttiva indicata dalla deposizione del corpo su un latto di piccoli ciottoli.

Come già accennato, la copertura della fossa, nei casi palermitani, è riconoscibile effetti-vamente nei casi di fossa semplice e un’ulteriore distinzione può essere dunque quella tra la fossa semplice con copertura obliqua, tipo I.A e la fossa semplice con copertura oriz-zontale, tipo I.B. Stabilendo in che modo la terra abbia occupato lo spazio interno alla fossa, se cioè volontariamente o per un’infiltrazione successiva, sarebbe possibile un con-fronto, oltre che una verifica delle sequenze cronologiche e delle modalità rituali, con le fasi della maqbara N2 di Jaén, per la quale, come già accennato, la deposizione volontaria riguarda la fase III, di XII- prima metà del XIII secolo, mentre le infiltrazioni caratteriz-zano tutte le tombe della fase I, di VIII-IX secolo, e la maggior parte delle tombe della fase II, di X secolo.

Non va escluso, come del resto osservato sempre nella necropoli di Jaén, l’uso di elementi lignei per garantire il giusto isolamento del corpo, nei casi risultati apparentemente privi di copertura, sia del tipo a fossa semplice che foderata, nelle quali il mantenimento della posizione doveva essere garantito dalla ristrettezza della fossa o dalla presenza di ele-menti di puntello, come sembra testimoniato da un esempio palermitano nel quale un grosso frammento d’anfora è stato posizionato dietro le spalle di un inumato deposto entro una fossa parzialmente scavata nella roccia. I tipi palermitani a fossa con copertura, I.A e I.B, sono confrontabili anche con contesti spagnoli di IX-XI secolo, come la necropoli islamica di Porta di Toledo a Saragoza, la necropoli Yabal Faruh a Malaga, il cimitero musulmano del circo di Toledo.

Nei siti siciliani, dalle sepolture palermitane di X secolo alle deposizioni di XIII secolo di altri contesti, la tipologia più diffusa risulta essere quella della fossa semplice, scavata in terra o nella roccia, anche se tra le tombe scavate presso Caliata alcune, datate tra XI e XIII secolo sembrano corrispondere al tipo laḥd. Nello stesso sito sono stati riscontrati anche altri tipi di sepoltura e se venisse confermato l’uso di tombe con prefossa, grazie al confronto con paralleli andalusi, sarebbe possibile stilare una sequenza tipologica per Ca-liata da usare anche per altri siti siciliani tardi.

Per quanto riguarda i cimiteri musulmani, la scelta del luogo in cui realizzarli appare poco regolata dal diritto. Dai racconti di viaggiatori, riferiti all’Egitto e alla penisola araba,

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sono state ricavate le notizie sulle pratiche corrette accettate, come ad esempio la scelta, secondo un logico criterio urbanistico, di impostare la maqbara fuori dalle mura, in pros-simità delle vie d’accesso alla città o sulle pendici o ai piedi di montagne cui si riconosce un carattere sacro. Un altro fattore determinante per la scelta del luogo, come del resto già osservato per il rito funerario, è la vicinanza all’acqua e diffusi sono i casi di cimiteri installati nei pressi della costa, come può osservarsi anche per le necropoli di Palermo, ma anche nelle vicinanze di torrenti e lagune. Solitamente, comunque, maggiori informa-zioni si ricavano sul rapporto tra città e cimiteri e sulle difficoltà di conciliare prescriinforma-zioni legali con esigenze pratiche. In Africa del nord, sia che si tratti di una città o di un villag-gio, il cimitero trova posto tanto dentro quanto fuori dall’abitato ed è quanto si riscontra, del resto, nei siti siciliani e spagnoli, per motivi che possono riguardare l’ampliamento del perimetro urbano o situazioni di emergenza, come un assedio, che può costringere gli abitanti di un centro abitato a seppellire all’interno delle sue difese. Si hanno, però, anche esempi, come quello del sito algerino di Sétif, in cui le sepolture trovano spazio dentro e in prossimità delle fortificazioni preesistenti. Sono inoltre attestate necropoli a diretto contatto di quartieri che si sviluppano fuori dal centro fortificato o a ridosso di insedia-menti aperti. Va tenuto conto che fenomeni di deposizioni all’interno del perimetro ur-bano o a ridosso di abitati non costituiscono deroghe perché non sembra esistere una re-golamentazione in tal senso. Considerando gli studi fatti in spagna sul diritto, va rilevato come, da una delle più antiche decisioni legali12 in tema di costruzioni funerarie, si evince che le aree funerarie sorte in terreni privati non sono suscettibili di giudizio e quindi non possono essere toccate da sanzioni ed essere distrutte, a differenza di quanto avviene per le aree sepolcrali pubbliche. Non stupisce che a partire dal IX, per garantirne il manteni-mento e la sopravvivenza, all’erezione di strutture funerarie coincidesse l’acquisto del terreno. Del resto, chi costruisce cimiteri è considerata una persona misericordiosa e me-ritevole di benefici nell’aldilà, al pari di chi costruisce una moschea, scava un pozzo o ripara un ponte.

Tra le proibizioni stabilite dal diritto ci sono il divieto di seppellire nelle case e nelle moschee, come è, d’altro canto, vietato erigere edifici o luoghi di preghiera sopra le tombe. Si fa inoltre divieto di seppellire i morti presso tombe di cristiani e ebrei. In questi

12 L’atto è del giurista Abū ʿAbd Allāh Muḥammad ibn Idrīs al-Shāfiʿī, vedi: M. Fierro, El espacio de los

muertos: fetuas andalusies sobre tumbas y cementerios, in P. Cressier, M. Fierro et J.-P. Van Staevel (a

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casi sono archeologicamente attestate deroghe alla norma, in particolare riguardo all’im-postazione delle tombe islamiche su precedenti aree cimiteriali, come quelle antiche e più raramente quelle cristiane, probabilmente anche per ragioni pratiche, nel caso in cui so-pravvivano le strade o le vie di ingresso dei centri antichi.

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III. Catalogo dei siti siciliani con contesti funerari musulmani

Di seguito verranno descritti i contesti di scavo siciliani ai quali è possibile riferire almeno una sepoltura di certa attribuzione al rito musulmano. L’esposizione dei dati archeologici è preceduta dalla localizzazione dei siti e dalla descrizione dell’attuale territorio. Quando è possibile verranno esposti i mutamenti geomorfologici avvenuti nel corso del tempo e inoltre si cercherà di dare un quadro topografico dei contesti. Verrà fatto inoltre riferi-mento alle fasi di vita, precedenti o successive, che nell’ambito dei lavori di indagine sono risultate in relazione con la fase qui presa in esame. Si rimanda al successivo capitolo l’esposizione dei dati riguardanti l’indagine archeologica delle sepolture. Solo per una questione di comodità verrà utilizzata una suddivisione secondo i liberi consorzi comunali e le città metropolitane (corrispondenti alle vecchie province in cui era suddivisa la re-gione Sicilia fino al 2014) in ordine alfabetico (fig. 2).

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Agrigento

Casale di Caliata

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Posto nell’area della medio-bassa valle del fiume Belice, a 2 km dal vecchio abitato di Montevago, percorrendo la S.S. 118 in direzione Partanna, contrada Caliata, nel 1988 è stata oggetto di indagine archeologica.

La strada taglia a metà quello che in antico era un insediamento senza soluzione di con-tinuità e che presenta a valle, in direzione ovest, nel fondo Ventimiglia e nei terreni co-munali, un casale, mentre a monte, in direzione est, si trova una necropoli, posta su una delle terrazze del costone calcarenitico che si affaccia sul fiume.

Alle strutture abitative e ai livelli messi in luce nel fondo Ventimiglia è stato possibile attribuire tre fasi di vita del casale, cronologicamente inquadrabili tra la prima metà dell’XI secolo e i primi decenni del XIII secolo. È stato inoltre possibile, in alcuni saggi stratigrafici, osservare livelli di vita precedenti, tardo-romani e bizantini.

Nello specifico, la fase più antica, contraddistinta dai resti di alcune strutture, vede la presenza di frammenti di ceramica invetriata, principalmente scodelloni a bordo quasi verticale con orlo bifido e carenatura tra il bordo e il fondo largo e quasi piano, con un impasto a volte giallino a volte arancione, e una decorazione in verde e bruno su fondo giallo-paglierino. La datazione di questo primo livello alla prima metà dell’XI secolo è possibile grazie al confronto con il materiale ceramico inserito nelle chiese pisane14. L’ambiente 4, alcune strutture murarie incerte e una fossa di discarica rientrano nell’am-bito di una riedificazione del casale che caratterizza la fase mediana. Qui la ceramica invetriata continua a essere rappresentata principalmente da scodelloni ma appare carat-terizzata da una maggiore varietà nella decorazione e nei motivi figurativi, con l’uso del bruno manganese nelle linee di contorno e da una maggiore resistenza della vetrina. Dal confronto con il materiale ceramico proveniente dagli ambienti musulmani del Casale di Piazza Armerina è possibile inquadrare cronologicamente il secondo livello di vita del

13 Per le sepolture: G. Castellana, La necropoli di rito musulmano di Caliata presso Montevago, in G.

Castellana (a cura di), Dagli scavi di Montevago e Rocca di Entella: un contributo di conoscenze per la

storia dei musulmani della Valle del Belice dal X al XIII secolo. Atti del convengo nazionale (Montevago, 27 - 28 ottobre 1990), Agrigento, 1992, pp. 223-229.

Per lo scavo: G. Castellana, Il casale di Caliata presso Montevago, ibid., pp. 35-49.

14 In particolare le ceramiche di produzione tunisina presenti sulle chiese di S. Zeno, S. Matteo, S. Piero a

Grado, cfr. G. Berti, L. Tongiorgi, I Bacini Ceramici Medievali delle Chiese di Pisa, Roma, 1981; G. Berti,

I “bacini” islamici del museo nazionale di San Matteo – Pisa: vent’anni dopo la pubblicazione del Corpus,

in M. V. Fontana, B. Genito (a cura di), Studi in onore di Umberto Sciarrato per il suo settantacinquesimo

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Casale di Caliata tra l’XI e il XII secolo. È però all’ultima fase che appartengono le testi-monianze più consistenti rappresentate da almeno cinque unità abitative costituite da am-bienti di forma rettangolare, in pezzame di pietra conchiglifera, isolati tra loro e diversa-mente orientati attorno a una corte centrale. Probabildiversa-mente soggetto a durare poco nel tempo, come è intuibile dall’assenza di vere e proprie fondazioni, questo tipo di abitazione doveva sembrare in parte un casolare in muratura e in parte una capanna-pagliaio tipica delle popolazioni berbere delle tribù Kutāmah trapiantate in Sicilia. A permettere la da-tazione del terzo livello di vita del Casale di Caliata sono alcuni frammenti ceramici, come il fondo di uno scodellone di produzione maghrebina e alcuni frammenti di cera-mica parzialmente invetriata di età federiciana, databili tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo.

Ad est rispetto all’abitato, lungo le ultime pendici di un costone calcarenitico, è stata messa in luce una necropoli collegabile al Casale di Caliata. Sono state scavate 27 tombe ma si ritiene che altrettante possano trovarsi a nord e a sud rispetto all’area indagata. Tutte le sepolture sono state scavate nel tufo conchiglifero e presentano gli inumati deposti sul fianco destro e rivolti verso la Mecca. La cronologia della necropoli è genericamente ri-feribile a quella della frequentazione del Casale, tra la prima metà dell’XI e la prima metà del XIII secolo.

Poggio Campanaio

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Si tratta di uno sperone di gesso, alto 118 m. s. l. m. posto a quasi 2 km dall’attuale centro abitato di Montallegro e a 3,5 km dal fiume Platani, poco prima che quest’ultimo sfoci nei pressi delle rovine dell’antica Eraclea Minoa.

Sul versante occidentale del Poggio che digrada verso il Lago Gorgo, piccolo bacino idrico realizzato a metà circa del secolo scorso e distante appena 150 m, sono state svolte tra il 1994 e il 1998 una serie di indagini archeologiche, a seguito di precedenti ricogni-zioni che avevano indicato in questa zona la presenza di un insediamento rurale di epoca tardo-ellenistica e romana. Le campagne di scavo hanno riguardato sette differenti aree (A, B/D, C, E, F, G e H) e sono state distinte fasi di periodo tardo-ellenistico (fasi I-III), una fase con scarse testimonianze di prima età imperiale (fase IV), un periodo di rinnovata

15 Per lo scavo e le sepulture: R. J. A. Wilson, Rural settlement in Hellenistic and Roman Sicily: excavations

at Campanaio (AG), 1994-8, in Papers of the British School at Rome, LXVIII, 2000, pp. 337-369.

Per lo scavo: R. J. A. Wilson, Una villa romana a Montallegro (Agrigento), in Sicilia Archeologica, XV,

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occupazione e di edificazione in età tardo imperiale (fase V), un abbandono a metà del V secolo, seguito da un’ulteriore ridotta occupazione tra la fine del V e l’inizio del VI secolo d.C. (fase VI) e un’ultima fase di vita in età medievale scandita da sepolture ma priva, ad oggi, di testimonianze di cultura materiale (fase VII).

Risalendo il Poggio, all’estremità est del sito, il saggio nell’area E ha restituito le testi-monianze delle ultime fasi di frequentazione. È stato messo in luce un edificio riferibile al periodo tardo imperiale e composto da più vani delimitati da una muratura di scarsa tecnica, in mattoni d’argilla. Dai materiali rinvenuti è evidente che vi si svolgessero atti-vità legate all’agricoltura, in particolare la produzione dell’olio e in misura minore quella cerealicola. Alcuni degli ambienti erano rappresentati da cortili aperti sui quali si affac-ciavano vani con coperture in tegole i cui crolli sono visibili in particolare da un ampio strato che copriva tutta l’area del vano 8 e da uno strato di crollo presso il vano 7. L’ab-bandono dell’intero edificio avvenne a causa di un violento incendio del quale sono ben visibili le tracce e che dai rinvenimenti ceramici e numismatici può datarsi alla metà circa del V secolo.

Al di sopra dei crolli è stato osservato un ulteriore livello di attività, databile dal materiale ceramico tra la fine del 500 e l’inizio del 600 d. C.

L’ultima fase è rappresentata unicamente da tre deposizioni eseguite in strette fosse ter-ragne e secondo il rituale islamico. Una delle tombe tagliava lo strato di crollo del vano 8 mentre le altre due furono scavate nello strato di fine VI – inizi VII secolo, una all’esterno e una all’interno del vano 7, presso la parete sud. La totale assenza a Campa-naio e nelle immediate vicinanze di materiali databili al periodo di occupazione araba e ai successivi periodi normanno e svevo non permettono di stabilire una cronologia per queste sepolture.

Caltanissetta

Santo spirito

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La città di Caltanissetta si estende su un rilievo ai piedi del Monte San Giuliano (727 m. s. l. m.) che ad est digrada verso il fiume Salso di cui domina l’alta valle. A nord del

16 Per lo scavo e le sepolture: S. Fiorilla, Caltanissetta medievale: “l’oro del grano” e lo sviluppo della

città, in S. Gelichi (a cura di), I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa 29 – 31 maggio 1997), Firenze, 1997, p. 36-40.

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centro urbano, non ancora inglobata nel suo perimetro, si trova l’Abbazia di Santo Spirito, costruita in epoca normanna e alla quale le fonti scritte associano un casale documentato separatamente da Caltanissetta.

Saggi di scavo all’esterno della Abbazia hanno accertato una frequentazione fra il XII e il XIII secolo e l’utilizzo dell’area come necropoli musulmana. Accanto all’Abbazia, ad est, nell’area dove sorge il Museo archeologico Regionale, nei primi anni ’80 del nove-cento sono state rinvenute testimonianze riguardanti probabilmente parte dell’abitato di Santo Spirito. Dai reperti si può ipotizzare la frequentazione di quello che doveva già essere il casale a partire dall’XI secolo, ad occupare un’area forse precedentemente abi-tata, presso la quale nel XII secolo venne edificata l’Abazia con il probabile scopo di controllare e convertire la comunità musulmana presente. Pentole da fuoco eseguite a mano libera, paragonabili con quelle ritrovate a Monte Iato e altri siti dell’isola e fram-menti di scodelle con parete carenata e decorazione a pavoncella sono validi indicatori per circoscrivere la cronologia della prima fase insediativa. Il ritrovamento poi di scodelle invetriate in verde e decorate con solcature, assieme a monete di Guglielmo II, indiche-rebbero una fase di seconda metà – fine del XII secolo (qui Salvina Fiorilla indica la seconda metà del XI – inizio del XII come datazione per l’invetriata verde). Pentole con orlo bifido invetriato in piombo ed esemplari di proto-maiolica, sia di tipo Gela che de-corate in bruno, indicano una fase più recente di XIII secolo. Sembrano esserci alcune similitudini con Entella per quanto riguarda il silenzio dei reperti riferibili all’inizio del XII secolo e la presenza di sepolture musulmane all’interno di quella che diventa succes-sivamente l’area consacrata di epoca normanna. Difficile stabilire il rapporto che doveva avere l’abitato di S. Spirito con il contiguo abitato presso il castello di Pietrarossa, il qal‘at al-nisā ricordato da Idrisi. Il castello, posto su un rilievo che domina il cimitero moderno della città, è stato probabilmente realizzato nel XII secolo e ad ovest di esso doveva svi-lupparsi l’abitato islamico, testimoniato da frammenti ceramici dello stesso periodo, pro-babilmente in un’area, quella della futura Caltanissetta, già occupata, nel secolo prece-dente, dalla popolazione musulmana. Dal versante est del castello provengono i pochi frammenti che testimoniano la frequentazione durante l’XI secolo. Un ulteriore conferma del fatto che il centro musulmano rimanga attivo per buona parte del XII secolo sembra data dal fatto che le chiese segnalate dalle fonti per questo periodo, cioè S. Giovanni, S. Salvatore e S. Leone, vengano indicate come edifici extra moenia. I rapporti tra l’abitato di S. Spirito e il castello dovettero cambiare quando presso quest’ultimo, nella prima metà

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del XIII secolo, venne costruito un sacello dedicato a S. Maria delle Grazie. In quest’ul-timo, nel 1225, Federico II fece trasferire, da S. Spirito, la parrocchia e concesse parte dei proventi garantiti dalla sempre più fiorente attività agricola, in particolare quella cereali-cola.

Catania

Monte Catalfaro

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A margine del versante settentrionale degli Iblei, a circa 2 km a nord-est della città di Mineo e compresa tra questa e Palagonia, si trova l’altura di Monte Catalfaro. Questa domina la valle del fiume Margi (o fiume Caltagirone), affluente del fiume Gornalunga tramite il quale viene compreso nell’ampio bacino idrografico del Fiume Simeto. Il monte vero e proprio è costituito da una cresta rocciosa a sud-ovest del complesso, alta 513 m. s. l. m, che verso est si congiunge, tramite una stretta sella, a un campo digradante verso sud-est. Inaccessibile dai versanti nord, ovest e sud-ovest e sud-est, la salita al pianoro è resa possibile dai dolci pendii sul lato di nord-ovest.

Dagli scavi sul pianoro, iniziati nel 1997 della soprintendenza di Catania, è stata definita meglio le struttura a pianta rettangolare, fortemente allungata (larga 6 metri e lunga oltre 23 m), i cui resti sembrano adattarsi alla morfologia della sommità, seguendone l’orien-tamento nord-ovest/sud-est. I muri, costruiti con tecnica a doppio paramento, risultano poggiare direttamente sul piano roccioso e in alcuni punti si conservano in elevato fino a 3 metri, presentano uno spessore tra 1,25 e 1,50 m e sono definiti da un’alternanza di blocchi calcarenitici sbozzati grossolanamente e da un ampio uso di malta e laterizi di rinzeppatura. I cantonali che li delimitano sono costituiti da blocchi di pietra concia. Ele-mento ulteriore di difesa è rappresentato da una feritoia osservata sul lato breve di nord-est che guarda al lato più esposto sul quale si trovava il percorso preferenziale di ingresso al sito. Riguardo alla suddivisione interna, è stato possibile distinguere un solo muro in senso est-ovest che taglia l’ambiente in due vani. Il vano A, lungo circa 7 m, oltre che della feritoia sul lato di nord-est già menzionata, è fornito di un’apertura lungo il muro di nord-ovest simile, per la lavorazione dei conci, all’ingresso di sud-est che interessa il vano

17 Per lo scavo e le sepolture: L. Arcifa, Dinamiche insediative nel territorio di Mineo tra tardoantico e

bassomedioevo. Il castrum di Monte Catalfaro, in Mélanges de l'École française de Rome – Moyen Âge (MEFRM), 113-1, 2001, pp. 269-311.

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B. Quest’ultimo conservato per una lunghezza di circa 4,5 m è da considerare ad una quota inferiore rispetto al primo, visto il naturale dislivello del terreno in quel punto. Pro-babilmente in un momento successivo, lo spazio del vano A viene ridotto dalla costru-zione di una cisterna di 4 m x 2 m ottenuta dalla rifoderatura di parte dei muri lunghi e della parete che separa i due vani. Sempre nel vano A, lungo il muro di sud-est, un blocco di spiccato della volta suggerisce che almeno in quest’ambiente ci fosse una copertura voltata in pietra, sopra la quale doveva trovarsi almeno un piano superiore. A quest’ultimo si accedeva attraverso una rampa che costeggiava il parametro murario esterno del vano A prima sul lato corto di nord-est e, compiuto l’angolo, sul lato lungo di sud-est. Qui una scalinata posta ortogonalmente si immetteva nella rampa e, servendosi di un muro di so-struzione tutt’ora visibile, proseguiva lungo il muro della struttura.

La presenza sul pianoro di altri ambienti è poi suggerita dai resti di scavi clandestini os-servabili a circa 3 m di distanza dall’angolo nord-ovest dell’edificio. Qui blocchi di pietra concia addossati alla roccia affiorante e formanti due stipiti di ingresso suggeriscono un ulteriore fabbrica.

Pur non potendo fornire una quadro cronologico preciso sembra osservabile un impianto unitario nella sua concezione e riconoscibili elementi costruttivi che riconducono all’epoca sveva.

Nel caso di Catalfaro l’unico elemento che testimonia la presenza musulmana è un gruppo di sepolture (fig. 2) di rito islamico (necropoli?) scoperte sulla sella che conduce all’al-tura. Il ritrovamento sulla sella di tombe protostoriche testimonia l’uso a scopo funerario di quest’area anche in epoca precedente. Si ritiene che le sepolture islamiche non superino cronologicamente la metà del XII secolo e che quindi non siano coeve all’impianto forti-ficato. Il mancato ritrovamento di materiale archeologico riferibile a età islamica o nor-manna rende difficile ipotizzare un abitato in questi periodi sulla sommità dell’altura. Non si può supporre né tantomeno escludere con certezza che sulla sommità la fortificazione si sia sovrapposta ad un casale più antico o quanto meno alla sua parte più protetta e fortificata.

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