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Percorsi semantici e rappresentativi in Between the Acts di Virginia Woolf

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE

MODERNE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Percorsi semantici e rappresentativi in Between the Acts di Virginia Woolf

CANDIDATO

RELATORE

Silvia Calderini

Chiar.ma Prof.ssa Laura Giovannelli

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Indice

Premessa...p. 1

Capitolo I L'autrice e il suo vissuto

1.1 Un breve excursus biografico...p. 4 1.2 L'arte della scrittura...p. 9 1.3 Eros e repressione...p. 12 1.4 La terapia della scrittura...p. 16 1.5 Il lirismo woolfiano e gli echi shakespeariani...p.18 Capitolo II Between the Acts: scenografie della storia e della mente

2.1...p. 24

2.2...p. 26

Capitolo III L'universo dei personaggi...p. 57

Capitolo IV Per chiudere il cerchio: le prime risposte critiche al romanzo...p. 76

Bibliografia...p. 88

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PREMESSA

Questo elaborato si concentra sull'analisi di Between the Acts (1941), romanzo postumo della celebre autrice britannica Virginia Woolf. Tale opera, ambientata in Inghilterra poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, ha come punto di focalizzazione una rappresentazione teatrale, un pageant dedicato alla raccolta fondi per l'illuminazione di una chiesa in un centro rurale, obiettivo verso il quale tutti i personaggi appaiono orientati.

Il romanzo si svolge in ventiquattro ore: la narrazione si apre la sera prima della rappresentazione e termina la sera seguente. Tra gli atti della recita, in cui anche gli attori si faranno in qualche modo spettatori, coloro che assistono, ognuno di loro, reagirà in modo intimo alle sollecitazioni della pièce. Le persone del pubblico ricreeranno così altre storie, le loro storie, imperniate sugli eventi della loro esistenza, sulla loro sensibilità, i desideri, le paure e le potenzialità. Da qui il titolo – Between the Acts –, il quale allude ai cruciali momenti di pausa tra un atto e l'altro che consentono di dar forma a una sfaccettata storia parallela nella mente di ognuno dei personaggi. Questi sembrano voler evadere da una realtà grigia e deludente, percepita come una prigione da cui fuggire, e la recita funge da spaccato “fuori del tempo” in grado di abbattere tale gabbia esistenziale, dove nulla accade e tutto si ripete (anche se, ironicamente, la guerra avrebbe sconvolto a breve la piatta quotidianità).

Il testo pare suggerire come l'essere umano cerchi disperatamente appigli per catturare un “frammento” di vita e avere la dimostrazione che qualcosa possa davvero accadere, qualcosa di diverso dall'usuale, dallo scontato. Nonostante l'apparente banalità della trama, Between the Acts è intriso di rimandi simbolici e figurali, cui si accompagna uno spessore filosofico: i personaggi si chiedono che cosa la recita abbia lasciato in loro, quali domande o chiavi di lettura vi si celino. E forse è proprio questo il punto: sapere quali domande porsi – ma nella realtà, nel presente – , quali cose non aver paura di affrontare per crescere e migliorare.

Lo spettacolo è suddiviso in quattro atti, ciascuno dei quali intende evocare una fase della storia britannica: nel primo atto si profila un'Inghilterra “giovane” ed esuberante, quella del periodo elisabettiano; nel secondo atto si allude all'Età della Ragione, attraverso

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richiami alla commedia della Restaurazione; il terzo simboleggia la pubertà, con riferimenti all'ethos vittoriano, e l'ultimo incornicia “Ourselves”, il Presente, noi stessi, il nostro secolo. Si tratta, in quest'ultimo caso, di una bozza ancora da scrivere: siamo quindi noi a dover creare il nostro presente.

Un fatto molto importante e alla base dell’ontogenesi del testo è che il romanzo è stato scritto a guerra già iniziata – l'azione si svolge nel giugno del 1939 – cosicché, se si percepisce una venatura di pessimismo, non è difficile collegarlaanche al contesto epocale. La Storia e il suo scorrere ci spingono a prendere coscienza della transitorietà dell’esistenza di ognuno di noi, e la Woolf pare aver scritto il suo ultimo romanzo proprio in quest’ottica, con un senso di triste premonizione, con struttura e contenuto apparentemente labili ma pieni di timori, di paure, di voglia di aggrapparsi a un punto fermo pur di cambiare il Presente.

Il timore di un incombente inabissarsi della civiltà è qui oggettivato dall’immagine degli abitanti delle caverne, avvolti nell’oscurità, e dal fatto che l’opera si conclude con la notte, col dilagare delle tenebre sul mondo e sull’esistenza. Lo svanire della luce metaforizza la perdita della positività e della speranza. Al tempo stesso, però, i due protagonisti dell’ultima scena, dopo aver litigato, si parlano (“they spoke”), si chiariscono, si abbracciano, circostanza che lascia presagire una seppur minima speranza: la speranza di un mondo migliore, di un tipo di vita da condurre insieme, che si tratti di moglie e marito, fratello e sorella, o altri soggetti. Se non è possibile evitare la tempesta, almeno ci si prepara ad affrontarla insieme.

L’onda emotiva che in genere pervade i romanzi woolfiani è sostanziata da elementi come la meditazione, i percorsi del pensiero, il senso dell’angoscia, la passione e la confessione, l’anelito alla bellezza e all’armonia. L’autrice si misurò con i rovelli dell'anima e una lotta impari, oltretutto privata delle certezze della fede, contro le crudeltà della vita; come suggerisce Vittoria Sanna1, si tratta dunque di romanzi non certo privi di

simboli, passioni, problemi, proiettati su un orizzonte tormentato ed evanescente.

In generale, tutta la narrativa woolfiana è costellata di referenti simbolici, in un intrecciarsi di componente meditativa e psichico-emotiva, sullo sfondo di problematiche spesso insolubili, associate ad eventi catastrofici. Nonostante ciò, permangono il bisogno e il desiderio di trovare una soluzione, un modo per proseguire avvalendosi di un patrimonio umano edificato sui valori del rispetto, dell’amicizia e dell’amore, sul vivo interesse per la

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cultura e la letteratura; altrimenti la vita sarebbe semplicemente un surrogato microcosmico della Storia, ovvero spesso tragica e priva di senso. Nei suoi romanzi troviamo inoltre donne alto-borghesi raffinate, attraenti, e altre meno raffinate, ma tutte ricche di essenza, mai prive di significato, ognuna con le proprie caratteristiche spesso incompatibili con le logiche del mondo esterno (e patriarcale).

La Woolf è stata paragonata a “una creatura essenzialmente poetica, uno di quei rari casi in cui il fisico è perfetta espressione dell'anima”2, e senza dubbio anche nei suoi

romanzi si colgono tracce del suo essere. Anche nell'ultima fase della sua scrittura, e specialmente nel romanzo qui analizzato, ritornano i temi del Tempo e dell'affondo psicologico, ma i personaggi coinvolti non sembrano avere la vitalità dei precursori, poiché uno spazio maggiore viene dedicato alla prospettiva contestuale, alla “documentazione” dell’iter etnoculturale dell’Inghilterra nelle sue fasi costitutive.

Il finale di Between the Acts lascia, a mio parere, presagire una seppur minima speranza: vi si evince che, nonostante la guerra e le passioni represse, ci si possa ritrovare con l’Altro dopo aver ritrovato se stessi. È proprio questo che si coglie nell’epilogo: un abbraccio riparatore, soprattutto un dialogo riparatore, in vista di una riconciliazione, perlomeno a livello interpersonale.

Da queste premesse si partirà per analizzare l’opera, presentando dapprima una breve introduzione sull’autrice (la sua formazione e le sue idee politiche, religiose, etiche e morali), per poi mettere in luce le analogie tra la struttura del romanzo e il device teatrale. Seguiranno un’analisi del contesto e dei personaggi, soprattutto quelli di particolare rilievo, e considerazioni sull’omosessualità che riguarda alcune di queste figure, da mettere a confronto con la bisessualità (sostanzialmente platonica) della Woolf.

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CAPITOLO I

L’AUTRICE E IL SUO VISSUTO

1.1 Un breve excursus biografico3

Virginia Stephen (Woolf) nacque nel 1882 a Londra, da Leslie Stephen, un brillante pensatore e critico letterario, e Julia Jackson, ex modella dei Preraffaelliti e amica delle sorelle Thackeray. Entrambi i genitori avevano già alle spalle un matrimonio, nel corso del quale avevano avuto altri figli ed erano rimasti vedovi (Leslie aveva appunto sposato una delle figlie di William Thackeray). Dall’unione di Leslie e Julia nacquero Vanessa (1879), Thoby (1880), Virginia, Adrian (1883). Essi vivevano al numero 22 di Hyde Park Gate, nel quartiere di Kensington, e la loro fu una casa piena di vitalità, nella quale facevano spesso visita zie, zii e cugini. Virginia e Vanessa acquisirono la classe e lo stile dei parenti della madre, i Pattle, e tutta la famiglia apparteneva alla benestante upper-middle class. Leslie Stephen, in gioventù, era stato membro onorario del Trinity Hall, il quinto tra i college più antichi dell'Università di Cambridge fondato dal vescovo di Norwich. Pochi anni dopo, si ancorò su posizioni di scetticismo religioso, percorso lungo il quale si sarebbe incamminata pure la figlia Virginia. Egli lasciò dunque Cambridge per diventare un giornalista di stampo liberale, schierandosi ad esempio a favore dei nordisti nell’ambito della guerra civile americana.

L'autrice crebbe in un'atmosfera intrisa di fervore letterario, e per di più il padre possedeva una grande biblioteca di cui lei ovviamente si servì; studiò letteratura inglese e prese lezioni private di greco e latino, ricevendo un'educazione sicuramente liberale per una donna di quel tempo. Nonostante ciò, nutrì sempre un certo risentimento nei confronti dei suoi coetanei di sesso maschile, per i quali l’accesso alla cultura era decisamente più ampio e istituzionalizzato. Suo fratello Thoby, ad esempio, avrebbe potuto godere di tutti i vantaggi offerti dai corsi universitari a Cambridge, strada a lei preclusa, in quanto donna. Gran parte della formazione e dell'educazione della Woolf si realizzò dunque grazie a lezioni private e alla biblioteca di famiglia, che le consentì di aprire molto gli orizzonti mentali e la sua immaginazione. A ciò si accompagnarono le preziose esperienze umane

3 Per la stesura di questo paragrafo si è fatto principalmente riferimento a John Lehmann, Virginia Woolf and

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vissute durante le sue vacanze in Cornovaglia. Ogni anno, in estate, la famiglia si trasferiva nella baia di St. Ives, dove il padre aveva comprato una casa e i bambini si immergevano in un’atmosfera gioiosa: facevano gite in barca, pescavano, giocavano in riva al mare, guardavano passare le navi, giocavano a cricket, e di notte osservavano ammirati la luce del faro di Godrevy. Questo faro diverrà poi il simbolo centrale nel celebre To the Lighthouse, romanzo del 1927, a segnale di come il rifrangersi di questa lontana luce intermittente sollecitasse Virginia a sprofondare nei suoi pensieri, nei meandri della mente e di un’immaginazione che arricchisce e trasfigura la realtà mimetica, elementi cruciali della sua arte.

Quest’atmosfera sognante di appagamento e armonia si spezzò tuttavia in modo tragico nel 1895, a seguito della morte prematura della madre, Julia. Leslie Stephen accusò molto questa perdita, divenendo scontroso e incapace di nascondere la lacerazione interiore (soffriva, si lamentava). Virginia, ovviamente stroncata da questo evento, ebbe il primo dei suoi crolli psicologici, con uno sconvolgente altalenarsi di momenti di iperestesia e depressione; non scriveva, ma si immergeva nella lettura, mentre il medico le prescrisse molto esercizio all'aria aperta come primo passo verso la guarigione.

Virginia si riprese, ma, poco dopo, un altro evento luttuoso si abbatté sul suo percorso: nel 1897, l’amatissima Stella Duckworth, figlia di primo letto di Julia, morì durante un intervento chirurgico. Ciò portò ad un ulteriore tracollo da parte di Leslie, di cui Vanessa, la figlia maggiore, dovette fare le veci; quest'ultima, avendo sulle spalle tutti i doveri, iniziò a provare ostilità nei confronti del padre, cosicché si creò una situazione di estrema tensione che di certo non giovava alla salute mentale di Virginia. Leslie sarebbe infine morto di cancro nel 1904, e Virginia ebbe un altro crollo molto serio, come se stesse scivolando nella spirale della follia: “The result was that when Sir Leslie finally died of cancer in 1904 she had a far more alarming breakdown, which one cannot call anything but madness”4. Era afflitta da emicrania, crisi di nervi, incubi nei quali si accusava per la

morte del padre; arrivò perfino a credere che le infermiere che la accudivano fossero incarnazioni del diavolo. Fu in questo periodo che venne caramente assistita e sostenuta da una donna di nome Violet Dickinson, per la quale provò un sentimento affine a quello di un vero e proprio innamoramento.

Violet non era particolarmente bella, ma aveva una forte personalità: era gentile, buona e molto comprensiva. Questa non era del resto la prima volta che Virginia si

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innamorava di una persona del suo stesso sesso, poiché, anni prima, ebbe un'infatuazione per una cugina, Madge Vaughan, una donna attraente, con un'aura romantica attorno a sé, che si interessava di arte ed era anche lei una scrittrice. È importante precisare che questo tipo di amore era puramente platonico: “puro” nel senso letterale della parola, dato che lo sviluppo sessuale della Woolf mostrò evidenti segni di ritardo, probabilmente connessi al trauma legato alle avances del fratellastro George Duckworth. Questi, in un episodio da adolescenti, la accarezzò in modo fin troppo “impetuoso”, per non parlare dell'altro fratellastro (Gerald), che avrebbe parimenti esternato attenzioni simili verso di lei.

I fratelli Stephen decisero di cambiare casa, per non ricordare ogni giorno quei tragici eventi accaduti nella dimora di Hyde Park Gate, e così si trasferirono a Bloomsbury, al numero 26 di Gordon Square. Fu qui che Thoby decise di invitare, ogni giovedì sera, i suoi compagni d’università, e in questo modo si costituì in embrione il circolo letterario di Bloomsbury. In questo salotto domestico essi potevano discutere in libertà degli argomenti più svariati, senza l’incombere delle censure sociali dell’élite londinese, e Virginia e Vanessa si unirono a loro. I principali protagonisti erano: Lytton Strachey, il colto e affascinante critico e biografo, che quasi suscitava soggezione in coloro che non lo conoscevano intimamente; Clive Bell, talento della pittura e futuro marito di Vanessa; Desmond MacCarthy, un perfetto oratore grazie al suo fascino e al suo modo di argomentare; il laconico Saxon Sydney-Turner, intellettuale e funzionario di stato con velleità di scrittore e compositore. Le due sorelle agli inizi rimanevano in silenzio, quasi scioccate dagli argomenti affrontati dagli ospiti, come per esempio il sesso.

Leonard Woolf (1880-1969) fu l'unico dell'originale circolo a non partecipare troppo a queste discussioni, in quanto nel 1904 si imbarcò per l’India in qualità di funzionario del Ceylon Civil Service (l’organo amministrativo che fungeva da segretariato per la Corona britannica). Egli si fece però subito un'idea ben precisa delle sorelle Stephen, paragonandole con sottile ironia a un cavallo sul quale si sale la prima volta, che all'apparenza sembra calmo e obbediente, ma che, se lo si guarda negli occhi, lancia un avvertimento:

[Vanessa and Virginia] were also very silent and to any superficial observer they might have seemed demure. Anyone who has ridden many different kinds of horses knows the horse who, when you go up to him for the first time, has superficially the most quiet and demure appearance, but, if after bitter experience you are accustomed to take something more than a superficial glance at a strange mount, you observe at the back of the eye of this quiet beast a look which warns you to be very, very careful. So too the observant observer would have warned him to be cautious, a look

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which belied the demureness, a look, of great intelligence, hypercritical, sarcastic, satirical5.

I fratelli Stephen fecero poi alcuni viaggi in compagnia di Violet, in Spagna, in Italia e in Grecia, dove Vanessa e Thoby si ammalarono, forse per un'intossicazione alimentare; Violet e Vanessa guarirono, mentre Thoby morì di tifo nel novembre del 1906. Questo fu un altro duro colpo per Virginia, dal quale mai si riprese del tutto, nonostante non avesse subìto i crolli psicologici che seguirono alla morte dei genitori. Dedicò il romanzo The Waves alla memoria del fratello, la cui figura aleggia prepotentemente anche in Jacob’s Room. Due giorni dopo il decesso di Thoby, Vanessa decise di sposare Clive Bell, altra circostanza che non lasciò indifferente Virginia, oltre al fatto che lei e suo fratello minore Adrian avrebbero dovuto ritrasferirsi; il loro indirizzo sarebbe divenuto il numero 29 di Fitzroy Square, dove invitavano molti amici intellettuali e artisti, uomini e donne.

Una Virginia più matura si comportava ora in modo diverso rispetto al silenzio e alla reticenza mostrati al cospetto degli amici di Thoby: aveva acquisito maggiore fiducia in se stessa, parlava di tematiche sessuali e argomentava la propria opinione su fatti e persone, a volte forse anche in modo “irriverente”. Come emerge dalle sue lettere e dai suoi diari, la sua penna era pungente, così come la sua lingua, e le capitava di creare un ritratto tutto suo di una persona che aveva incontrato, facendosi un’opinione personale su tutti. Leonard Woolf ci offre un abbozzo molto significativo della personalità dell'autrice, in linea anche con le sue peculiarità fisiche, affermando che

When she was well, unworried, happy, amused and excited, her face lit up with an intense almost ethereal beauty. She was also extremely beautiful when, unexcited and unworried, she sat reading or thinking. But the expression, even the shape of her face, changed with extraordinary rapidity as the winds of mental strain, illness or worry passed over its surface. It was still beautiful, but her anxiety and pain made the beauty itself painful6.

In questo periodo, Virginia iniziò la sua carriera da scrittrice professionista, preparando articoli per alcune riviste e revisionando instancabilmente ciò che componeva: se quello che aveva prodotto non la soddisfaceva, lo riscriveva. Solitamente non lasciava leggere a nessuno i suoi lavori prima che fossero del tutto terminati, ma decise che Clive

5 Leonard Woolf, Sowing: An Autobiography of the Years 1880 to 1904 (1960), cit. in ivi, p. 18. 6 Cit. ivi, p. 24.

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Bell poteva essere un ottimo critico per le sue opere.

Essendo una donna attraente e intelligente, suscitò particolare interesse in molti uomini ed intrecciò qualche legame prima del matrimonio, ad esempio con Walter Headlam. Tra i suoi pretendenti figuravano Edward Hilton Young e Sydney Waterlow, ed ebbe anche un flirt con Clive, cosa che ovviamente turbò la sorella, ma ciò accadde probabilmente perché Virginia amava così tanto Vanessa da volerla tenere vicino a sé: There was probably no one in her whole life whom Virginia loved more than her sister, and one cannot help suspecting that there was a slight element of revenge in this flirtation. Vanessa's marriage had taken her away from Virginia; obscurely, Virginia was getting her own back7.

Anche Lytton Strachey la corteggiò, ma la relazione era destinata ad esaurirsi presto, viste le inclinazioni omosessuali di Strachey stesso. Fu proprio Lytton, in seguito, a proporre a Leonard di avvicinarsi a Virginia, considerandolo l'uomo giusto per lei, cosicché, tempo dopo, Leonard provò ad esprimerle il proprio affetto. Nel 1910, purtroppo, Virginia si ammalò di nuovo, tanto che le fu prescritto di evitare ogni tipo di stress emotivo; lei ed Adrian decisero dunque di trasferirsi, e stavolta andarono ad abitare a Brunswick Square, in una grande casa che divisero con i loro amici, fra cui Leonard. Nel 1912 fu la volta del trasloco ad Asheham House, dove Leonard continuò a farle spesso visita; con il tempo, i due si innamorarono, e nell'agosto del 1912 si sposarono. Egli scoprì suo malgrado che Virginia era spaventata dall’idea di consumare il loro amore e, quel che è peggio, la scrittrice si ammalò ancora nel 1913, con un percorso di guarigione che si protrasse fino al 1915, anno di pubblicazione di The Voyage Out, il suo primo romanzo. Dall'età adulta in poi, gli attacchi di depressione la coglievano sempre nell'ultima fase di scrittura dei romanzi, e quest’esperienza lacerante, sommata agli eventi tragici della guerra, la porterà al suicidio: l’annegamento nel fiume Ouse nei pressi di Rodmell (Sussex) avvenne nel 1941, quando Between the Acts era ormai terminato. Durante gli stadi finali della malattia, l’amica Katherine Cox le tenne spesso compagnia, e possiamo dire che prese il posto di Violet Dickinson. Katherine, detta Ka, era presente anche il giorno del suicidio, tanto che fu lei a chiamare Leonard in soccorso.

In quegli anni Virginia passava da uno stato di equilibrio mentale ad uno di totale instabilità, in cui sembrava reprimere e cancellare ciò che conosceva del mondo esterno; si rifiutava di mangiare, provava sensazioni di colpa e disperazione, e passava poi improvvisamente ad uno stato di totale eccitazione. Assumeva atteggiamenti violenti con le

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infermiere, che, come già detto, per lei simboleggiavano il Male, e parlava incessantemente per giorni, all'inizio in modo sensato, poi deragliando nella farneticazione. Dopo tutto ciò, cadeva in uno stato comatoso, dal quale si risvegliava stanca, per poi riprendersi lentamente. Un fatto interessante, se così si può dire dato che si parla pur sempre di disturbi psichici, è che in lei non solo rimanevano tracce dell’esperienza relativa a questo stato di instabilità e confusione, ma che queste tracce venivano poi trasposte e tradotte in scrittura. Quindi possiamo affermare che, nel bene e nel male, la sua mente restava influenzata da tali esperienze, e se le sue opere sono così piene di vita e di malinconia, lo dobbiamo purtroppo anche a questo.

Fondamentale fu naturalmente il continuo e paziente supporto di Leonard, che, aggrappandosi ai consigli dei medici, insisté per farla vivere in uno stato quasi “forzato” di quiete e riposo. Importante, dopo il loro trasferimento a Richmond nel 1914, fu pure il periodo della residenza a Hogarth House in Paradise Road (1915-1924), dove Virginia e Leonard decisero di stampare autonomamente i loro scritti (e non solo); il luogo avrebbe poi dato il nome all’illustre casa editrice nota tutt’oggi, la Hogarth Press. Nei primi anni questa iniziativa di imprenditoria culturale diede loro grande soddisfazione, anche finanziaria, ma diventò poi causa di ansia e di un carico eccessivo di responsabilità. In ogni caso, la Hogarth Press è rimasta nella storia per aver dato spazio ad autori del calibro di T. S. Eliot e ai membri stessi del Bloomsbury Group, promuovendone il pensiero innovatore e le sperimentazioni.

1.2 L'arte della scrittura

Già nel suo primo romanzo, The Voyage Out (1915), è possibile cogliere qualche sentore di una qualità poetica visionaria tipica delle opere più mature, nonché alcune tematiche riconoscibili: il senso della bellezza della natura, delle cose e degli elementi, i percorsi reminiscenziali, la percezione di un tempo stratificato anche in senso geologico (come, appunto, vedremo per Between the Acts), e il significato profondo del matrimonio e di ciò che esso comporta.

Dopo una sua prima guarigione nel 1915, la Woolf cominciò a riscuotere successo, prima ancora che per i romanzi, per i suoi saggi ed articoli. Uno dei più celebri e

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significativi, scritto nel 1919, è “Modern Fiction”, in cui mosse forti critiche all’impianto “materialista” di autori del calibro di Wells, Bennett e Galsworthy e redasse una sorta di manifesto di una nuova poetica in grado di misurarsi con una percezione più complessa del concetto di “realtà”, a suo avviso non riducibile alla dimensione tangibile ed empirica. Il passo seguente è uno dei più noti e ben registra una svolta verso un cambiamento epistemico e un avvicinamento all’ambito psicologico:

if a writer were a free man and not a slave, if he could write what he chose, not what he must, if he could base his work upon his own feeling and not upon convention, there would be no plot, no comedy, no tragedy, no love interest or catastrophe in the accepted style, […] Life is not a series of gig-lamps symmetrically arranged; life is a luminous halo, a semi-transparent envelope surrounding us from the beginning of consciousness to the end. Is it not the task of the novelists to convey this varying, this unknown and uncircumscribed spirit, whatever aberration or complexity it may convey, with as little mixture of the alien and external as possible?8

Nel 1915 l’autrice iniziò anche a stilare un diario – prassi che coltiverà fino alla morte – dove formulava i propri pensieri sulla scrittura, si appuntava come pianificare ogni suo libro, annotando pure i cambiamenti di umore durante la stesura delle opere. Ne emerge lo stato di profonda apprensione nel confrontarsi con le bozze, prima che un libro venisse pubblicato (atteggiamento, questo, che lascia comprendere come non si sentisse mai pienamente soddisfatta). Le tecniche del monologo interiore e, in parte, dello stream of consciousness – sintagma coniato dallo psicologo americano William James (1842-1910) – diverranno per lei uno strumento essenziale, come per altri scrittori modernisti. Per la nostra autrice, la focalizzazione interna sui percorsi emozionali, percettivi e mentali del personaggio consentiva di tracciare un profilo della coscienza in tutta la sua complessità, di “mostrare” l'anima con le sue intuizioni e i suoi tormenti. A ciò si accompagnò il ricorso a immagini cariche di connotazioni simboliche, come quelle oggettivate dal litorale marino, da case vetuste in cui si sono alternate molte generazioni, e da una Londra poliedrica.

Su un fronte complementare, la Woolf non fu comunque mai indifferente al panorama storico inglese, percorso di rivisitazione che coronerà con Between the Acts, secondo alcuni testo frammentario ed incompleto, ma, secondo quanto riportò Leonard, “[it was

8 Virginia Woolf, “Modern Fiction” (1919), in Collected Essays, ed. by Leonard Woolf, volume II, The

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said to be] more vigorous and pulled together than most of her other books, to have more depth and to be very moving. I also thought that the strange symbolism gave it an almost terrifying profundity and beauty”9.

Uno dei temi relazionati all’ambito storico è poi la condizione della donna e la sua subordinazione in una società di stampo patriarcale, ottica al centro del saggio A Room of One's Own (1929), in cui vediamo l'autrice impegnata a sostenere la causa femminile e la dignità intellettuale delle scrittrici, spesso indotte a firmare le proprie opere con pseudonimi maschili per cautelarsi da eventuali attacchi censori (si pensi a George Eliot e a Currer, Ellis e Acton Bell, pseudonimi delle sorelle Brontë). Dal punto di vista della creazione letteraria, vi si incentivava l’espressività di una mente “androgina”, capace di travalicare i confini dei generi e proiettarsi in universi molteplici.

Con il maturare del suo percorso artistico e il crescere della notorietà, la Woolf fece viaggi all’estero (ad esempio negli Stati Uniti) e ricevette onorificenze pubbliche, che non sempre accettò, per motivi etici o politici. Intrecciò amicizie e rapporti con estimatori, fra cui la poetessa e scrittrice Vita Sackville-West (1892-1962), moglie del diplomatico Harold Nicolson. Entrambe nutrivano un grande interesse per la letteratura, e si conobbero ad una festa nel 1922. Vita possedeva una personalità spiccata e una bellezza dal tocco “esotico”, con ascendenze latine (sua nonna era spagnola). Aveva due figli, ma in realtà le sue inclinazioni sessuali erano maggiormente rivolte alle donne (non a caso, il suo matrimonio a un certo punto si sciolse). Inizialmente, Virginia non fu particolarmente colpita da Vita, mentre quest'ultima la trovava bella, desiderabile, e molto intelligente. Le due vissero poi una storia d'amore negli anni seguenti. Vita, in una lettera indirizzata a Virginia nel 1924, scrisse che quest'ultima amava le persone più per il loro cervello che per il loro cuore: era forse un'accusa con un fondo di verità, cui si accompagnava il fatto che la Woolf mostrava tutti i segni di un'amante volubile, un momento corrucciata e il momento dopo piena di considerazioni. La Woolf decise poi di scrivere un romanzo in parte ispirato a questo loro connubio, e lo intitolò Orlando, un'opera costruita intorno al tema dell'androginia e della mutazione da uomo a donna (e viceversa), ascrivibile alla personalità di Vita. In Orlando si respira un'atmosfera di fantasiosa leggerezza, di ironica provocazione unita a una serie di situazioni improbabili; Virginia stessa, mentre lo scriveva, affermò che “[I wanted it to be] half laughing, half serious, with great splashes of

9 Leonard Woolf, in una lettera a Roger Fry, artista, critico d'arte e membro del Bloomsbury Group, cit. in

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exaggeration”10.

Hugh Walpole, uno dei più prolifici tra gli scrittori britannici del XX secolo ed omosessuale, aveva intrecciato un'intima amicizia con la Woolf, nonostante talvolta criticasse il suo lavoro, e Virginia, da parte sua, godeva di questa stima e lo prendeva in giro amorevolmente. Egli le raccontava i suoi segreti interessi omosessuali, essendo lei, come sappiamo, dalla mente aperta riguardo questo argomento. Leonard non era completamente ostile a tutte queste amicizie, ma pensava che troppe frequentazioni la destabilizzassero, data la sua psiche fragile. D'altro canto, Virginia aveva ormai una stanza tutta per sé per scrivere a Monk's House, e anche Leonard si dedicava all'attività intellettuale in quella casa. Per l'autrice, la scrittura non passò mai in secondo piano, nonostante l'ansia e i pensieri che le procurava.

1.3 Eros e repressione

Per quanto riguarda lo studio e le letture sul padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, Virginia Woolf inizialmente non aveva particolari conoscenze in materia, e così, anche grazie al fratello Adrian (destinato a diventare uno psicanalista), decise di cominciare a familiarizzare con l'argomento, anche “to enlarge the circumference, to give my brain a wider scope: to make it objective; to get outside”, come spiegò nel suo diario il 2 dicembre del 193911. Alcuni giorni dopo, l'autrice si mostrò non solo “preparata” sulla

terminologia introdotta da Freud, ma anche molto stimolata dalla sua lettura, e dunque continuò a studiarlo. Nel 1940, in una sezione di A Sketch of the Past, la Woolf riconobbe il supporto virtuale di Freud in relazione all'analisi delle proprie reazioni al comportamento del padre durante il periodo che seguì la morte della madre e della sua sorellastra; lei stessa afferma che

But in me, though not in her [Vanessa Stephen], rage alternated with love. It was only the other day when I read Freud for the first time, that I discovered that this violently disturbing

10 Virginia Woolf, cit. in John Lehmann, Virginia Woolf and Her World, p. 63.

11 Virginia Woolf, cit. in Panthea Reid Broughton, “'Virginia is Anal': Speculations on Virginia Woolf's

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conflict of love and hate is a common feeling; and is called ambivalence12.

In una lettera indirizzata a Vanessa Stephen, Roger Fry definì Virginia anal e Vanessa erotic, e ciò portò inevitabilmente l'autrice a chiedersi il perché di questa definizione; Freud asserisce che “the anal eroticism is from the first subjected to the 'organic repression' which opened up the way to culture”.13 In altri termini, la Woolf

avrebbe incanalato l'erotismo mediante la repressione, un po' come la civilizzazione avrebbe inibito la sessualità umana attraverso la rinuncia delle gratificazioni dell'istinto. La Woolf fu particolarmente turbata da questo argomento, proprio perché percepì questa affinità, e, in uno sfogo nel suo diario, sostenne che Freud aveva operato una scissione troppo categorica tra parte conscia e inconscia. Concordava sul fatto che la coscienza si connotasse dell'autorità necessaria per reprimere la libido e gli istinti aggressivi, ma si sentiva a disagio nel rimarcare una distinzione netta tra civilizzazione e inconscio. La Woolf era come intimorita dal contrasto tra l'istintivo, l'inconscio e l'erotico e, dall'altra parte, il represso, il conscio e l'erotismo anale.

È dunque di repressione che occorre parlare in primo luogo: forse in tutta la vita della Woolf la repressione si è manifestata in varie forme culminando in Between the Acts, dove viene giustapposto il progresso della civilizzazione inglese, rappresentato nel pageant, al passato primitivo dell'Inghilterra stessa e alle origini animali dell'uomo; si ha dunque una messa in scena dell'opposizione tra civilizzazione ed istinto di cui parlava Freud.

Virginia Woolf è spesso stata vista come una donna tormentata e dalla forte personalità e in qualche modo, appunto, sessualmente “ambigua”; possiamo ricostruire nel dettaglio la vita intima dell'autrice, per cui non è detto che il termine “frigidità” sia il più adeguato. Di nuovo, sembra riemergere l'aspetto della rimozione (ad esempio delle avances di George Duckworth) o della repressione causata da esperienze dolorose e traumatiche.

Ci dobbiamo chiedere innanzitutto quale sia la relazione tra la vita dell'artista e la sua scrittura, e già possiamo affermare che non sempre c'è un parallelismo diretto tra l'una e l'altra, o comunque tale congiunzione può non essere presente in tutte le opere. In alcuni

12 Virginia Woolf, Moments of Being, ed. Jeanne Schulkind, second edition, London, The Hogarth Press,

1985, pp. 107-108.

13 Sigmund Freud, Civilization and Its Discontents, trans. Joan Riviere, London, The Hogarth Press and the

Institute of Psycho-Analysis, 1930, p. 62, cit. in Panthea Reid Broughton, “'Virginia is Anal': Speculations on Virginia Woolf's Writing Roger Fry and Reading Sigmund Freud”, cit., p. 156.

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autori emergono chiaramente i richiami alle esperienze fatte, ma in altri, come nella Woolf, non affiorano precisi riscontri autobiografici. Al contempo, si nota una matrice di coinvolgimento psicologico profondo, che trova esplicazione in una rete di simboli e allusioni, come un bacio, che può ovviamente richiamare l'unione fisica tra due persone. Il fulcro delle opere woolfiane non poggia sulle azioni quotidiane o su un lessico esplicito, ma piuttosto sul veicolare l'energia e le emozioni dei personaggi attraverso un linguaggio allusivo e metaforico. Se dunque manca l'evento, certamente non manca l'energia erotica. Per esempio, in Mrs Dalloway essa è una forza palpabile, e in To the Lighthouse la natura e le relazioni tra i due sessi sono al centro dell'opera; in The Waves il sesso connota le esperienze di almeno tre dei personaggi; in Orlando esso è il soggetto virtuale di tutta l'opera; in The Years è un argomento preso in esame dalle odierne femministe; in Between the Acts è il filo più importante nel tessuto diegetico.

Fu anche grazie al Bloomsbury Group che l'autrice maturò una visione più aperta su questa tematica, con confronti e dibattiti su un argomento considerato ancora un tabù. Il rapporto intrecciato con Vita Sackville-West, trasfigurata appunto in Orlando, ed altre donne, indicano come in lei fosse presente una forte sensibilità erotica olistica, sicuramente radicata nella sua psiche. La Woolf non era omosessuale, anzi aveva interessi sia per il sesso maschile che quello femminile, essendo dotata di una mente androgina che le permetteva di stabilire un'empatia con vari soggetti in un contesto decisamente narrow-minded. La sua proiezione empatica mostrava una tonalità e un timbro appassionati, addirittura vibranti. Nel suo mondo si coglie un arcobaleno di emozioni e sensazioni, un “vortice” che, per tornare alla terminologia di Freud, può ricordare l'eccitazione che precede l'atto sessuale.

A fianco di sentimenti o pulsioni repressi, riscontriamo nelle sue opere un vero e proprio interesse per l'inconscio, il non detto, l'intimo dei personaggi. Dunque esiste un complesso edificio psicologico dietro gli eventi accennati o i “non eventi” (al contrario del linguaggio “aggressivo” di Lawrence, in cui l'atto in sé di certo non manca, come ricorda Harold Fromm14).

Se Quentin Bell, suo nipote e suo primo biografo, e Clive Bell, suo cognato, definirono la Woolf come una donna che vedeva la vita in modo “puro”, ma meno “appassionato” di tutti gli altri, oggi la critica tende invece ad affermare che le sue metafore intensifichino, piuttosto che nascondere, la sessualità; sarebbe la vera e propria

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www.vqronline.org/essay/virginia-woolf-art-and-immersione nell'esperienza a connotare il linguaggio di sfumature semantiche e figurali. Tra queste voci critiche più recenti, Mitchel Leaska, biografo, ha affermato che la passione di Virginia per Vita trovava le sue radici in un desiderio insoddisfatto di affetto materno, sostenendo che

there was something strong and protective in Vita […] clearly [Virginia] was responding to the nurturing, custodial atmosphere that surrounded Vita; and it was the maternal aura that attracted the thirteen year old child in Virginia.15

Può sicuramente esserci un fondo di verità in tale affermazione, ma Leaska, così come altri, ha reso un po' troppo “infantile” la natura di tale relazione, nutrita di una passionalità sicuramente diversa da quella che univa l'autrice al marito Leonard, da lei comunque amato. La passione che ella provò per Vita è indubbia, tanto che la dipinse “like a moth, with heavy scarlet eyes and a soft cape down – a moth about to settle in a sweet, bush – Would it were – ah but that's improper”, come scrisse in una lettera nel 192816. Nel

suo diario, molti sono inoltre i riferimenti espliciti a Vita, o le dediche, piene di vita e di gioia al pensiero del tempo che avrebbero passato insieme. L'autrice definì per esempio le notti di giugno come “long and warm; the roses flowering; and the garden full of lust and bees, mingling in the asparagus beds”17, o ancora “the flowers have come, and are

adorable, dusky, tortured, passionate like you”18. La Woolf stessa si definì eunuch, o “not a

man nor a woman”19 in una lettera indirizzata alla sorella Vanessa, e inoltre invitò Vita a

“falling in love”, ma non nel senso che la società di quel tempo intendeva. Possiamo quindi definire la Woolf una outsider e, se parliamo di indifferenza al sesso o astinenza, possiamo ipotizzare che il suo apparire distaccata fosse una strategia di resistenza, piuttosto che un fallimento personale.

È anche importante sottolineare che sia Leonard che Vita amarono e sostennero sempre Virginia e il suo lavoro: queste non sono state, dunque, relazioni torbide e degradanti, fatto che conferma ulteriormente la libertà e la liberazione sessuale che l'autrice

15 Mitchel Leaska, Granite and Rainbow: The Hidden Life of Virginia Woolf, New York Farrar, Straus,

Giroux, 1998, cit. in Patricia Morgne Cramer, “Virginia Woolf: Liberating Lesbian Readings from Heterosexual Bias”, Articles, Papers and Presentations, 2, Stanford 2010, pp. 1-12.

16 Cfr. Patricia Morgne Cramer, “Virginia Woolf: Liberating Lesbian Readings from Heterosexual Bias”, cit.,

p. 3.

17 Cfr. Ibidem. 18 Cfr. Ivi, pp. 3-4.

19 Cfr. Ellen Bayuk Rosenman, “Sexual Identity and A Room of One's Own: 'Secret Economies' in Virginia

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si ritagliò. Accanto a processi di repressione o traumi infantili, nella Woolf si alternarono una componente inconscia e la volontà chiara di portare tali questioni in superficie; oltretutto, a suo avviso la castità era un'arma di dominazione maschile sulla donna, e dunque una condizione da “angelo del focolare” da abbattere.

1.4 La terapia della scrittura

È possibile fare alcune riflessioni ulteriori sull'esperienza dolorosa o il disagio.

L'esistenza umana si alterna tra illusioni e disillusioni e ciò può generare smarrimento; al momento di una perdita ci troviamo appunto smarriti, e le emozioni possono trasformarsi in premessa di un processo creativo o, al contrario, distruttivo. La scrittura nasce dal canto suo come bisogno di lasciare una traccia di sé e delle proprie sensazioni o visioni, nella speranza di trovare una consolazione riguardo alla perdita. Scrivere è un'attività che ci mette a contatto con la nostra personalità, con il nostro passato e anche, possibilmente, con le parti più oscure della nostra esistenza: tutto ciò ci permette di guardarci con altri occhi, e magari superare un conflitto. In quest'ottica, quindi, la scrittura può essere vista come scudo, percorso di cura e recupero. Anche la letteratura può svolgere questa funzione, e la psicoanalisi ce lo conferma, se si pensa ad esempio a Freud e a L'interpretazione dei sogni, in cui si postula lo “psichico” come drammatizzazione figurativa e immaginaria del reale, con una stretta relazione tra arte, letteratura e psicoanalisi. Il linguaggio verbale non può mai essere totalmente scisso da una rappresentazione del sé e del mondo, anche in chiave antitetica o negazionista. Attraverso la scrittura, inoltre, l'ansia o il dolore della perdita si proiettano terapeuticamente su qualcos'altro.

Virginia Woolf, con la sua scrittura, ha rivendicato un modo di essere, il suo non voler mentire, la sua irrinunciabile solitudine e il diritto a un “nascondiglio” psichico. Nei suoi romanzi il lettore è indotto a raccogliere frammenti di sensazioni, fare ipotesi senza poter dare risposte univoche, per cui si creano varie dimensioni soggettive. È una scrittura senza tempo, allorché pensieri e parole fluiscono in uno stream of consciousness esplorando la psiche; si arriva così ai suoi famosi moments of being, caratterizzati da improvvise epifanie, “rari istanti in cui i personaggi sono in grado di rompere la quotidianità degli eventi per spingersi nella dimensione di interiorità e scorgere una realtà

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diversa da quella che appare, cioè da quella che può essere colta con la sola vista”.20

Virginia Woolf ci offre visioni diverse e variamente declinate in più registri, facendoci considerare i vari punti di vista ed “entrando” completamente nel personaggio. Per l'autrice le interpretazioni e lo sguardo ricettivo sono una roccaforte a cui aggrapparsi per non sprofondare nel senso di frammentazione e di sgretolamento, pericoli che anche la formazione culturale contribuisce a combattere (si pensi alla sua passione per la lingua greca).

La Woolf oscillò tra depressione, malinconia e fasi di follia vera e propria, con uno scivolare aberrante nel soliloquio, nelle risate stridule, nell'iperattività maniacale, nell'anoressia e nel mutismo, in contrapposizione ai momenti di benessere psichico, nei quali mostrò grande intelligenza, ironia e spinta creativa, pur essendo consapevole della propria fragilità. Dunque, solo nella scrittura ella trovava effettivamente la pace. Non dimentichiamo poi che il travaglio e lo spaesamento si correlano a un contesto storico critico: la Woolf visse tra le due guerre mondiali, testimonianza angosciante della precarietà della vita. La scrittura, comunque, fu anche un modo per elaborare le proprie sofferenze, alla base di una tristezza sana, non solo patologica, ma anzi necessaria per superare determinate perdite o difficoltà.

Attraverso la sua opera, saggistica, letteraria, diaristica ed epistolare, la Woolf delineò più o meno esplicitamente due immagini opposte di sé in quanto donna: una è triste, malinconica, depressa, timida, riservata e preda di istinti suicidi, l'altra è allegra, ironica, sagace, intelligente e perfino spensierata, creativa e produttiva; due immagini inconciliabili, ma entrambe autentiche. Forse è proprio per questa polarità che ella non riuscì a trovare una stabilità psichica, poiché né l'una né l'altra parte possono essere eliminate o, peggio, sublimate. Fin da giovanissima, del resto, la Woolf si sentì “in gabbia”: doveva studiare a casa con le sorelle, mentre i fratelli potevano andare a scuola o all'università; da adulta si sentì poi ostacolata dai critici ed era proprio nel periodo precedente alla pubblicazione di un suo romanzo che precipitava nell'angoscia. Percepiva ostacoli anche in quanto donna, e si creava un'immagine vicaria di ribelle, ma succube del giudizio altrui e di quella società che amava provocare.

Anche dal punto di vista sessuale, si mostrò aperta e spregiudicata, ma in realtà il sesso rappresentò per lei un limite, un “problema” che la inibiva e a cui si sottraeva. Sotto tutti i punti di vista, ella appare ambivalente: da quello politico, proclamandosi progressista

20 Maria Antonella Galanti, Smarrimenti del sé – Educazione e perdita tra normalità e patologia, ETS, Pisa

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ma poi provando condiscendenza per le classi meno elevate; nello stile di vita, mostrando preferenze prima per le case di Londra, centro frenetico e brulicante di attività, e poi per i cottage di campagna e la quiete che ne deriva, con i ritmi lenti, la fauna, la flora e i corsi d'acqua. Si mostrava moderna nel vestire e nell'arredare, ma al contempo restava ancorata al passato, nutrendo un forte interesse per l'architettura della cattedrale di Saint Paul o, appunto, il greco.

È molto importante sottolineare il fatto che la Woolf non riuscì in fondo a imboccare né la strada del “femminino”, né quella del “mascolino”, idealizzando l'androginia o abbandonandosi ad atteggiamenti passionali verso altre donne, giustapposti a sentimenti di rabbia. La perdita prematura della madre, una donna forte e affascinante, le fece provare una sensazione come di tradimento, e l'invidia per la sorella Vanessa, come sappiamo, suscitò in lei varie emozioni.

1.5 Il lirismo woolfiano e gli echi shakespeariani

I romanzi sono solitamente associati all'idea del raccontare una storia: il lettore cerca un personaggio con il quale identificarsi, un evento in cui potrebbe prendere parte, o idee e scelte morali che potrebbe approvare; la poesia lirica, al contrario, punta in genere sull'emozione, attraverso la suggestività di immagini e suoni. Se “mescoliamo” queste caratteristiche, il cosiddetto lyrical novel si colloca a un crocevia, costruendosi su una trama esile di eventi e potenziando la componente lirica ed evocativa: è un genere, dunque, che trascende i limiti di spazio e tempo per concentrarsi sull'universo interiore. Non è altresì possibile identificare un' unica strategia stilistica per questo tipo di romanzo, la cui fisionomia può presentare tratti peculiari in relazione agli autori che si misurano con esso.

La Woolf può iscriversi nell'ambito del romanzo lirico in quanto, a suo avviso, colui che scrive deve certamente misurarsi con i fatti in sé, ma deve poi trascendere, perché ciò avvenga, occorre relazionarli al personaggio; ciò diventerà una tecnica tipica dell'autrice, ovvero registrare con finezza l'impatto del mondo esterno sulla vita interiore. Non si deve però pensare che il momento in cui avviene questo impatto sia “esclusivo” del personaggio o si riferisca soltanto ad un'esperienza:

the facts, however, do not belong to the moment due to haphazard accidents of time and space – described by that “appalling narrative business of the realist: getting from lunch to dinner” - but by virtue of an artist's significant apprehension. […] The rendering of the “moment” as an act

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of awareness, and its distillation in poetry or fiction, solve the dilemma of solipsism by compelling the self to come to terms with the objects of its world. At the same time, [...] it liberates the novelist from photographic realism by allowing him to fashion novels of facts and manners, as well as of inner experience, in a lyrical form21.

La Woolf osserva dunque i “fatti”, ma li interpreta in modo simbolico, cosicché “the fact and the vision, the photograph and the poem, as Virginia Woolf calls them, are united in a symbolic self”22.

La genesi delle sue opere pare gravitare intorno a tre impulsi: il primo è quello di dialogare con la vita anche nelle sue forme di crudeltà, ingiustizia e violenza (come la guerra); il secondo è quello di comunicare messaggi profondi attraverso il monologo interiore, sostituendo gli eventi con i momenti. Il terzo impulso è l'attenzione rivolta agli oggetti e ai fenomeni relazionati a ciascun personaggio. Per esempio, in Between the Acts il mondo e la società rivestono una funzione fenomenica ma vengono pure trasfigurati in una dimensione mitica, trasposti in una rappresentazione che condensa il contenuto del romanzo ed emerge come complesso di motivi simbolici. Come autrice di romanzi, dunque, la Woolf presenta i personaggi e le loro relazioni, si concentra sulle vite delle persone e sui contesti, sull'impatto inesorabile del tempo e della morte; come “poetessa”, invece, trascende la sfera della soggettività singola e immortala il “momento” con l'incisività e la pregnanza tipiche della poesia lirica.

Secondo la Woolf, un simbolo, utilizzato per veicolare un'idea, dovrebbe avere una relazione e una somiglianza con l'oggetto rappresentato; un simbolo dovrebbe essere una “cosa sola” con l'oggetto, perché, in caso contrario, perderebbe la specificità e il suo potere evocativo e diventerebbe semplice metafora. È importante sottolineare che tali simboli non scavano necessariamente nel terreno dell'inconscio, ma, anzi, sono consapevolmente forgiati; sono simboli estetici plasmati razionalmente per catturare l'ineffabile nei pensieri e nelle sensazioni, o per enfatizzare le emozioni, i desideri e le idee. L'autrice ci fornisce tali simboli attraverso la ricorsività delle immagini, attraverso i personaggi, l'atmosfera e perfino i risvolti dell'azione. La Woolf si affida a un substrato di simboli anche perché pensa che la vita sia un flusso mutevole e, dunque, difficile da ingabbiare mediante il linguaggio mimetico. Un altro motivo per cui ella ricorre a questa modalità, come confermano i suoi diari, è il fatto che, nei momenti di crisi e angoscia, sentiva che

21 Ralph Freedman, The Lyrical Novel – Studies in Herman Hesse, André Gide, and Virginia Woolf, Princeton

University Press, Princeton 1963, pp. 192, 193.

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l'ispirazione le giungeva in modo palpabile:

Once or twice I have felt that odd whirr of wings in the head, which comes when I am ill so often – last year for example at this time I lay in bed constructing A Room of One's Own […] if I could stay in bed another fortnight […] I believe I should see the whole of The Waves23

o ancora:

Something happens in my mind. It refuses to go on registering impressions. It shuts itself up. It becomes chrysalis. I lie quite torpid, often with acute physical pain […] Then suddenly something springs […] ideas rush in me; often though this is before I can control my mind or pen.24

La Woolf nutriva inoltre una passione per la letteratura elisabettiana, e quasi tutti i suoi romanzi hanno in qualche modo trattato del Rinascimento inglese. Era anche molto interessata alle scoperte geografiche e lesse ad esempio con grande diletto Voyages, Travels, and Discoveries of the English Nation di Richard Hakluyt, compendio dei viaggi inglesi di esplorazione che influenzarono la sua immaginazione e, in parte, la sua narrativa. Vi sono anche numerosi riferimenti a Shakespeare nella scrittura woolfiana, per esempio a The Tempest, a Hamlet, o a King Lear, di cui ella apprezzava la caratterizzazione dei personaggi, così come allusioni ad altri autori elisabettiani che la incuriosivano e la affascinavano.

L'interesse della Woolf per la prosa rinascimentale nacque con Hakluyt e con Bacon, di cui la colpì lo stile, forbito e concettualmente denso. Anche molti poeti rimasero impressi nella mente dell'autrice, come per esempio John Donne, Sidney, Jonson, Herrick, Campion e Marvell, in relazione ai quali si focalizzò non tanto sul contesto storico o letterario quanto piuttosto sulla forza delle emozioni che essi suscitavano e sulla capacità di stimolare o sfidare il lettore.

La Woolf indagava gli effetti di una prospettiva meditativa e malinconica del mondo, o l'intensità appassionata del verso tragico, o l'occasionale stravaganza retorica del comico. In Between the Acts, oltre a un'allusione al sonetto 66 di Shakespeare in cui si parla della morte, filtrata attraverso richiami a The Way of the World, una restoration comedy di William Congreve, si ha un riferimento a Volpone e a Bartholomew Fair,

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soprattutto per quanto riguarda i nomi di alcuni personaggi. Si colgono anche alcuni cambiamenti nella Woolf, o meglio si delinea una crescita che raggiunge il pieno apprezzamento delle rappresentazioni rinascimentali, e proprio in Between the Acts ella sfruttò abilmente le qualità del dramma poetico. Il filo conduttore del romanzo evoca il concetto della vita come beffa e illusione, comune ai personaggi rinascimentali, e dunque ciò che sottende l'opera è il motivo della morte e del disincanto. Ma qui c'è anche la vita, e si passa dunque da un registro tragico a uno comico, un'ibridazione di nuovo riscontrabile nelle commedie del Rinascimento, incluse quelle shakespeariane, soprattutto a livello di trama e di epilogo.

In Between the Acts affiora anche un riferimento a Romeo and Juliet, per quanto riguarda la forza delle impressioni e delle emozioni in una personalità acerba; vi si paragona una reazione di Isa Oliver a quella di Romeo quando vede per la prima volta Giulietta. Anche Macbeth ebbe una grande influenza sull'autrice, ma le opere più importanti per lei furono Othello, King Lear e Hamlet (in quest'ultimo dramma ella colse la capacità di sondare nel profondo la vita). In King Lear, ciò che la Woolf notò è prevedibilmente l'intensità del rapporto tra il padre e le figlie, forse riconoscendo qualche tratto comune alla propria famiglia di origine. Di Othello, ella ammirò la passione incondizionata del protagonista per Desdemona e, a differenza delle altre due opere, il fatto che questa fosse una 'tragedia individuale'.

Negli anni maturi, la Woolf apprezzò ancora di più le opere di Shakespeare e il suo ritrarre tipologie svariate di personaggi con naturalezza, dalla persona comune al re, dall'uomo alla donna, dal savio al pazzo; in Between the Acts c'è anche un parallelismo con Measure for Measure, nella visione di Isa Oliver riguardo la morte, dove l'“eyeless wind”25

ricorda i “viewless winds” del personaggio di Shakespeare, Claudio, paragone che suggerisce come Isa abbia un'immaginazione fervida.

Un'altra opera molto importante fu per la Woolf Antony and Cleopatra, nella quale emerge una perfetta combinazione tra un linguaggio ricco e un'eroina tragica e viene esaltato l'amore travagliato tra i due protagonisti; in Between the Acts viene citata proprio Cleopatra quando Mrs Swithin si rivolge alla regista della rappresentazione, Miss La Trobe, dicendole che l'ha fatta sentire come la sovrana d'Egitto, (c'è qui un tocco di ironia, dal momento che Mrs Swithin è ben lontana da un simile modello mitizzato). D'altro canto, Mrs Swithin possiede una grande intelligenza e potere di immaginazione, per cui,

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forse, il paragone con Cleopatra non risulta così assurdo: è lei che sceglie di essere 'frivola' o addirittura “batty” o “flimsy”, e dunque ha la possibilità di interpretare due personaggi, dotandosi di una personalità sfaccettata.

Di Shakespeare la Woolf apprezzò comunque più le tragedie che le commedie, ma soprattutto la forza delle idee, dei sogni, dell'immaginazione, del linguaggio e della poesia che ne permeavano le opere, e una tecnica a lei cara era il soliloquio, l'elemento più introspettivo del dramma shakespeariano. Un altro paragone potrebbe essere fatto con Coriolanus, stavolta dal punto di vista specifico del linguaggio, poiché è come se gli anni della seconda guerra mondiale, che la Woolf evocò con un lessico caratterizzato da termini come “rugged”, “turbid”, “broken” e “violent”, si riallacciassero all'esperienza militare di Coriolano.26 Possiamo in sostanza affermare che “in her last lap she would be reading

Shakespeare, thereby holding in her mind, as she had held in every one of her novels, the best of England”27.

Oltre a Shakespeare, nella scrittura della Woolf si individuano cifre che richiamano Spenser, Marvell, Herrick, Herbert, Marlowe, Jonson e Ford, ed è proprio la varietà e la bellezza di questa letteratura che la convinse che il Rinascimento fosse un'era di possibilità illimitate, sia di azione che di espressione; ad ogni modo, nonostante tutti i romanzi woolfiani alludano alla letteratura rinascimentale, soltanto Orlando è ambientato, almeno all'inizio, nell'era elisabettiana, e solo The Voyage Out fa riferimento esplicito a quell'epoca.

Un'altra peculiarità del linguaggio utilizzato dall'autrice è il ricorrere di metafore “organiche” (legate ai giardini e agli scenari naturali) proprie dell'universo palpabile di un'era fiorente, giovane e fertile, linguaggio che tra l'altro possiamo riscontrare anche nei suoi diari (in Between the Acts, per esempio, ella mutuò la tipica immagine elisabettiana del fiore che sta appassendo per segnalare il passare del tempo).

Ad attrarre la Woolf fu infine la dualità o la complessità che Shakespeare presentava in ogni personaggio, sulla scia del concetto di androginia. In Between the Acts, verrà addirittura rivolto uno sguardo alle straordinarie capacità e qualità della regina Elisabetta, personificata da una donna forte e muscolosa: Eliza Clark, autorizzata a vendere tabacco (licenza introdotta in quell'epoca) e associata anche ai viaggiatori (in

26 Tra gli altri echi shakespeariani presenti in Between the Acts, ricordiamo il “loud laughter” di Giles, (da A

Midsummer Night's Dream), e la somiglianza di Giles e Isa Oliver con Posthumus e Imogen (in Cymbaline), i quali sono separati. Certi toni crepuscolari di Between the Acts potrebbero infine ricondurre a The Tempest.

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un'allusione a Hakluyt):

Mistress of ships and bearded men Hawkins, Frobisher, Drake,

Tumbling thier oranges, ingots of silver, Cargoes of diamonds, ducats of gold Down on the jetty, there in the west land28.

Possiamo così affermare che Miss La Trobe riesumi sia la figura di Shakespeare, sia quella della regina Elisabetta, rendendoli attuali.

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CAPITOLO II

BETWEEN THE ACTS: SCENOGRAFIE DELLA STORIA E DELLA MENTE

2.1

Between the Acts, come già detto, è stato scritto poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, e nel romanzo acquista inevitabilmente centralità l’idea della Storia, insieme ad altre tematiche, come la bellezza; i valori della civiltà in contrasto con la ferocia della guerra, con lo squallore e la cupidigia; il prevalere dell’amore sulla lussuria, il mero appetito sessuale o l’egoismo.

L'azione si sviluppa in base al criterio dell’unità di tempo e di luogo, in occasione della rappresentazione annuale a Pointz Hall. C'è una breve introduzione, la sera prima del pageant, nella quale tutti i temi, anche se in modo impercettibile, vengono annunciati. Già vi si configura una prima contrapposizione, riguardante l'immagine di una serena notte d'estate posta in parallelo al dialogo di alcuni personaggi sui ritardi nell'attivazione del pozzo del paese, cosicché il motivo della serenità si scontra con quello della torbidezza: “It was a summer's night and they were talking, in the big room with the windows open to the garden, about the cesspool. The county council had promised to bring water to the village, but they hadn't”29.

Poi viene esaltata l’antichità austera del paese, in apertura come in tutto il romanzo, come se i segni della civiltà dovessero essere custoditi dalla minaccia di distruzione apportata dalla guerra. Uno dei primi personaggi ad essere introdotti è Isa Oliver, la nuora di Mr Oliver, proprietario dell’abitazione, la quale prova un sentimento di attrazione per Mr Haines, il vicino di casa: “She had met him at a Bazaar; and at a tennis party. He handed her a cup and a raquet – that was all. But in his ravaged face she always felt mystery; and in his silence, passion”30. Se Isa prova una forma di desiderio per Haines,

suo marito Giles è a sua volta attratto da Mrs Manresa, una degli ospiti, una donna volgare ed estroversa, accompagnata da William Dodge, un artista omosessuale; quest'ultimo stabilisce una tacita intesa con Isa, suscita odio in Giles e avverte un senso di pace spirituale in presenza di Mrs Swithin, una donna religiosa capace di alimentare la

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comunione tra le persone. Mr Oliver, suo fratello, è invece un razionalista, il cui effetto sulle persone è piuttosto quello di creare divisioni.

A questo primo quadro variegato di un mondo di matrice borghese si contrappone la brutalità di alcuni soldati della cavalleria che adescano una ragazza e la violentano, notizia letta da Mr Oliver nel Times. A ciò si aggiunge un tragico evento consumatosi al di là del Canale, nel quale alcuni uomini innocenti sono stati uccisi. Queste tristi circostanze creano un forte disagio in Giles, anche per quanto riguarda l’organizzazione della pièce. Egli è tormentato dalla paura che la guerra sia ormai imminente, e, a conferma dei suoi presentimenti, avverte il suono di una squadra aerea che vola sopra le loro teste. Assistiamo anche a un moment of being, da parte del bambino di Isa e Giles, intento a scavare nel terreno ai piedi di uno degli alberi secolari del giardino:

The flower blazed between the angles of the roots. Membrane after membrane was torn. It blazed a soft yellow, a lambent light under a film of velvet; it filled the caverns behind the eyes with light. All that inner darkness became a hall, leaf smelling, earth smelling of yellow light. And the tree was beyond the flower; the grass, the flower and the tree were entire.31

L’incanto si interrompe con l’arrivo del nonno, che gli gioca un brutto scherzo, fingendosi un mostro spaventoso senza un occhio, pronto ad attaccare. Questa circostanza può forse leggersi come un'improvvisa interruzione di una visione illuminata: il bambino, che si era soffermato su alcuni elementi della natura, abbandonandosi alla contemplazione della sua organicità, viene bruscamente interrotto dal nonno che lo vuole spaventare, benché in forma di gioco (possibile metafora di ciò che potrebbe accadere nella vita).

Quando poi la rappresentazione ha inizio, le parole degli attori, ma anche l’accompagnamento corale, sono come spazzati via dal vento, arrivando agli spettatori solo in frammenti, tecnica evidentemente utilizzata dalla Woolf per stimolare l'immaginazione del lettore, ma soprattutto per conferire spessore drammatico al tema del contrasto tra civiltà e annichilimento. Alla fine del romanzo, in Miss La Trobe, l’eccentrica, solitaria autrice e produttrice del pageant (personaggio in cui la Woolf pare identificarsi), resterà la sensazione di non essere riuscita a trasmettere un messaggio. Forse, però, a livello metaletterario anche questo è un modo per comunicare qualcosa; alla fine, inoltre, a Isa e Giles accade proprio quello che è accaduto a Miss La Trobe, ossia intorno a loro continua

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ad aleggiare un insieme di parole non dette, un dialogo che diventerà una lite, ma che porterà probabilmente a un nuovo inizio, a un’alba che scaccia l’oscurità della notte. La rappresentazione, in sostanza, può non essere colta in pieno dagli spettatori sul piano linguistico, ma di fatto si connota di un forte potere simbolico e catartico, allorché “looking up she [Miss La Trobe] received two great blots of rain full in her face. They trickled down her cheeks as if they were her own tears. But they were all people's tears, weeping for all people. […] The rain was sudden and universal”32.

Questo romanzo fornisce quindi anche una sorta di dimostrazione del potere creativo e aggregante dell’arte e della ricchezza dell’eredità culturale. Miss La Trobe, con la sua pièce, combatte la morte senza arrendersi, come suggerisce a un certo punto l'immagine di un uccellino che svolazza tra i rami e le foglie di un albero. Pieno di vita, preso dal suo cinguettare, l’uccello trasmette una grande energia, si fa veicolo sonoro della voglia di vivere e di lottare. In generale, in quest’opera il mondo naturale (ad esempio i cicli stagionali, le rondini e le loro migrazioni) ha spesso la funzione di ricordarci e di dimostrarci che tutti noi siamo parte di un ciclo vitale perdurante. Ne deduciamo che, benché la rappresentazione si svolga in una sola giornata, in effetti essa mira a tessere legami tra passato, presente e futuro.

2.2

Durante gli anni, Virginia Woolf ha mostrato un interesse in fatto di politica, elemento che si percepisce anche all'interno dei romanzi, soprattutto per le trasformazioni della forma narrativa. In essi trapela una protesta contro le strutture di potere gerarchiche e, in Between the Acts, distinzioni di genere e di privilegio sono sottoposte al filtro di modalità comiche capaci di sovvertire i presupposti alla base delle demarcazioni dei ruoli, ad esempio dei leaders politici e del popolo. Nella società occidentale (e non solo), una visione politica è spesso leader-centered e belief-centered, con un leader che si fa portavoce di valori condivisi dal gruppo, intensificando un senso di omogeneità e di appartenenza.

Tra le varie posizioni teoriche, Freud, in Psicologia delle masse ed analisi dell'Io (1921), ha fornito una spiegazione psicologica al bisogno di avere un leader, affermando che i membri del gruppo inizialmente superano la sensazione di invidia e competizione

(29)

sublimandola in un “ego ideale”, come se la loro guida fosse un “padre temuto”. Gli aspetti negativi di questo ruolo rimandano dunque a istinti aggressivi repressi, come Freud avrebbe ribadito ne Il disagio della civiltà (1930). La Woolf, che lesse entrambe queste opere, forse aveva presenti questi concetti quando compose il suo ultimo romanzo, con una comunità frammentata e senza un'autorità sullo sfondo, come se volesse offrire elementi di discussione sull'idea di un gruppo alla ricerca di un “capo”.

Molti critici hanno colto in questo romanzo un tragico ritratto di un collasso sociale, ma è possibile che la Woolf volesse pure adombrare un nuovo tipo di società, la quale prenderebbe forma proprio da un decentramento dell'autorità; invece di mostrare la dissoluzione come metafora incontestata della perdita, la storia potrebbe voler suggerire che dalla frammentazione può emergere un nuovo e fluido senso del vivere comunitario. Un'altra autrice con la quale la Woolf familiarizzò è l'inglese Jane Harrison (1850-1928), storica delle religioni e classicista che, in Ancient Art and Ritual (1912), si confrontò con le origini delle rappresentazioni teatrali all'interno di pratiche ritualistiche, tema rilevante nel romanzo da noi analizzato. Come Freud, inoltre, Jane Harrison associò l'impianto dell'epica a un concetto leader-centered, anche se il suo interesse primario riguardò i generi di teatro arcaici e le loro capacità di assimilare elementi di carattere antropologico e politico. Questi elementi sarebbero affiorati tramite l'azione stessa: “the center of this performance is the heart, not the leader's tent or ship”33, come se non ci fosse

distinzione tra attori e spettatori, uniti dalla forza trascinante delle emozioni collettive, come in un certo senso accade in Between the Acts. Quando il rituale è trasposto in arte, gli attori, i danzatori e le voci trovano un'espressività connotata tramite il coro del teatro greco; per Harrison, lo “strano” e “incomunicabile” fascino del coro è un segno della sua origine nelle prime danze rituali, che sarebbero sopravvissute nella sottotraccia della rappresentazione. Quest'idea del coro suggerirebbe di vedere nell'assenza di un'autorità non una mancanza, quanto una spinta all'aggregazione e all'empatia. In Between the Acts, i canti si collocano significativamente tra un atto e l'altro del pageant, dando una voce a tutti i membri del gruppo. In questo modo viene sovvertita la predominanza della figura del leader a vantaggio di un concetto di comunità nel quale la dicotomia dentro-fuori si attenua; il legame di un'identità comune trova sbocchi in un agire comune. Anche la voce del leader viene assimilata nel coro, in una forma inclusiva.

Nel suo ultimo romanzo, la Woolf pare dunque attribuire al coro la funzione di

33 Melba Cuddy-Kane, “The Politics of Comic Modes in Virginia Woolf's Between the Acts”, PMLA, Vol.

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