• Non ci sono risultati.

Essere autrici: le scritture autobiografiche di Sibilla Aleramo, Neera e Ada Negri.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Essere autrici: le scritture autobiografiche di Sibilla Aleramo, Neera e Ada Negri."

Copied!
166
0
0

Testo completo

(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Titolo della tesi

Essere autrici: le scritture autobiografiche di Sibilla Aleramo, Neera e

Ada Negri.

CANDIDATA

RELATORE

Alexa Fumo

Chiar.ma Prof.ssa Cristina Savettieri

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Sergio Zatti

(2)

1

INDICE

pag.

1 INTRODUZIONE

Scrivere di sé: la narrazione autobiografica 3

1. Aspetti teorici dell’autobiografismo 3

2. Infanzia e giovinezza nell’autobiografia 8

3. L’autobiografia delle scrittrici tra Otto e Novecento 10

2 ALERAMO, UNA DONNA 2.1 La questione del femminismo nel panorama italiano 14

2.1.1 Sibilla Aleramo e il femminismo 15

2.2 Testimoniare il femminismo: il romanzo Una donna 23

2.2.1 La struttura del romanzo 25

2.2.2 Tra il vissuto e il romanzesco 27

2.2.3 La pseudo-autobiografia 30

2.3 Le figure dominanti: il padre e il marito 32

2.3.1 Una vocazione forzata: il matrimonio 39

2.4 Il rapporto ascendente con la madre 43

2.4.1 La maternità: il sacrificio della propria individualità 46

2.5 Rinascita: scrittura e maternità 52

3 NEERA, UNA GIOVINEZZA DEL SECOLO XIX 3.1 Neera: donna scrittrice a cavallo tra Otto e Novecento 55

3.2 Autobiografie a confronto 64

3.3 Una giovinezza del secolo XIX: la struttura dell’opera 67

3.3.1 La scrittura di sé: una scansione tematica 68

3.3.2 «L’immobilità del corpo, il viaggio della scrittura» 69

3.4 Scrivere di sé: autore-narratore-protagonista 72

3.5 I luoghi della memoria: Milano, Caravaggio, Casalmaggiore, Caprino 75

3.6 Ricostruire la memoria: dispositivi visuali e testuali 82

3.7 I personaggi della memoria: la madre 86

3.7.1 I personaggi della memoria: le zie paterne 89

3.7.2 Le zitelle: riflessioni sociologiche 94

3.8 Una figura ideale: il padre 99

3.9 Gli anni della formazione: il binomio scuola/lettura 103

3.9.1 Educazione e differenze di genere 105

3.9.2 La vocazione intellettuale: «leggere, scrivere, pensare: ecco il riassunto della mia giovinezza» 107

3.10 Epilogo 116

4 NEGRI, STELLA MATTUTINA 4.1 Ada Negri: tra biografia e impegno letterario 118

4.2 Dalla poesia alla prosa 122

4.3 Tracce di sé: precedenti autobiografici 124

4.4 Il ritratto autobiografico: Stella mattutina 126

4.4.1 Un romanzo ibrido 129

4.4.2 La funzione dissociativa dello specchio 131

4.5 I luoghi della memoria 133

4.6 I personaggi della memoria: l’estraneità dei maschi 140

(3)

2

5 CONCLUSIONI 153

(4)

3

Introduzione

Scrivere di sé: la narrazione autobiografica

1. Aspetti teorici dell’autobiografismo

Il termine «autobiografia» è un’invenzione relativamente recente. A usarlo per la prima volta è un anonimo articolista inglese della «Monthly Review», che recensendo nel 1787 un libro di Isaac D’Israeli mette in discussione la legittimità del vocabolo «self-biography» e preferisce sostituirlo con «autobiography».1

Per una riflessione sullo statuto teorico dell’autobiografismo è opportuno partire dal seguente interrogativo: è possibile definire un’autobiografia? Philippe Lejeune nel suo contributo Il patto autobiografico del 1975 definisce l'autobiografia come un «racconto retrospettivo in prosa che una persona reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della sua personalità».2

La definizione di Lejeune mette a fuoco quattro criteri essenziali: partendo dalla forma, è necessario che il testo sia un racconto in prosa; il soggetto trattato può essere la storia della personalità; inoltre, deve essere stabilita l’identità fra autore e narratore; infine, per quanto riguarda la posizione del narratore, occorre che sia fissata sia l’identità fra il narratore e il personaggio principale, sia la visione retrospettiva.3 Affinché un’opera possa definirsi autobiografica è, dunque, necessario che le condizioni appena descritte vengano soddisfatte.

A questo punto è lecito chiedersi come venga espressa l’identità fra autore, narratore e personaggio. Frequentemente l’identità è stabilita attraverso l’uso della prima persona;

1 F. D’Intino, L’autobiografia moderna. Storia, forme, problemi, Roma, Bulzoni Editore, 1998, p.

15.

2 P. Lejeune, Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 12. 3

(5)

4

Genette chiama la narrazione in prima persona «auto-diegetica»; si tratta quindi di un’autobiografia classica. Dunque, impiegando la prima persona il narratore e il personaggio 000sono unificati in un’unica4 Ma l’identità fra l’autore e il personaggio si può esprimere ugualmente anche se si ricorre alla terza persona.5 Inoltre, può capitare che l’autore utilizzi la terza persona solo in alcune parti dell’autobiografia come espediente «per creare una distanza funzionale a un movimento di differenziazione, oggettivazione ed estraniazione di una parte della propria identità».6 Utilizzando la terza persona è comunque possibile fissare l’identità fra l’autore e il personaggio attraverso informazioni riportate nella prefazione o nel contesto. Narrando in terza persona si intrecciano due spinte, «quella all’identificazione e quella al distacco».7 Inoltre, è raro che la voce autoriale ricorra alla seconda persona per l’intero racconto autobiografico; ma non si esclude la possibilità che possa farlo, probabilmente per muovere un rimprovero o per confrontarsi con l’io narrato. Quindi, se l’uso della prima persona porta a confondere la persona grammaticale e l’identità dell’individuo, invece l’uso della terza e della seconda persona «impedisce di confondere i problemi grammaticali della persona con i problemi dell’identità».8

In particolare, il presupposto imprescindibile affinché «ci sia autobiografia» è l’identità fra l‘autore, il narratore e il personaggio. Lejeune deduce la sua definizione contrapponendo l’autobiografia ai generi affini, come le memorie, la biografia o il diario intimo. Lo studioso francese dà grande rilievo alla ricezione dell’opera letteraria; soprattutto, Lejeune

4 F. D’Intino, L’autobiografia moderna, cit., p. 146. 5

P. Lejeune, Il patto autobiografico, cit., p. 15.

6 M. G. Corda, Il profumo della memoria. Identità femminile e scrittura in Neera, Firenze, Firenze

Atheneum, 1993, p. 32.

7 F. D’Intino, L’autobiografia moderna, cit., p. 146. 8

(6)

5

ritiene essenziale la costruzione di un rapporto di fiducia tra l’autore e il suo pubblico, poiché i fatti narrati non possono essere verificati dal lettore.9

Attraverso la classificazione di Lejeune si possono rintracciare le peculiarità della scrittura autobiografica, anche se spesso al suo interno si manifestano varie modalità di rappresentazione soggettiva. Infatti, in alcuni casi i requisiti fissati non sono rispettati; in particolare, l’identità tra autore, narratore e personaggio ci consente di riflettere sulla forma narrativa più affine all’autobiografia, il romanzo autobiografico. Questa categoria si differenzia dall’autobiografia poiché «il lettore può sospettare […] che ci sia un’identità fra autore e personaggio, mentre proprio l’autore ha scelto di negare questa identità, o almeno di non affermarla».10 Se nel romanzo autobiografico il lettore può intuire una «rassomiglianza» per gradi, invece, nella scrittura autobiografica non può dubitare sull’identità. Un criterio che consente di differenziare il romanzo autobiografico dall’autobiografia è la coincidenza in quest’ultima del nome proprio dell’autore con quello del narratore e del personaggio. Così, in presenza di un romanzo autobiografico scritto in prima persona il lettore potrà differenziarlo dall’autobiografia perché gli eventi narrati non rinviano al nome dell’autore posto sulla copertina. Quindi, come ricorda Battistini, esistono anche i «casi di frontiera», cioè se il romanzo può ricorrere alla prima persona, tipica dell’autobiografia, «quest’ultima può assumere la terza, canonica del racconto impersonale».11 L’autore fuori dal testo è una persona reale che si assume la responsabilità dell’enunciazione del testo scritto, il cui nome compare in copertina. D’altra parte, pur non conoscendo l’autore reale, il lettore non dubita della sua esistenza e può immaginarlo in base a ciò che scrive e pubblica. Ciò che conta è la supposizione da parte del lettore della veridicità del messaggio. L’identità di nome è un criterio fondamentale perché definisce

9 A. Battistini, Il fluido della vita e il cristallo della scrittura, in Id., Lo specchio di Dedalo,

Bologna, Il Mulino, 1990, p. 143.

10 P. Lejeune, Il patto autobiografico, cit., p. 25. 11

(7)

6

quello che Lejeune chiama «patto autobiografico» stipulato fra l’autore e il lettore; questa identità è stabilita o implicitamente o in modo manifesto; nel primo caso, l’autore ricorre all’uso di titoli, che eliminano ogni possibile sospetto, oppure all’inizio del racconto sono messi in evidenza dei segnali attraverso cui «il narratore si impegna di fronte al lettore»;12 nel secondo caso, invece, la coincidenza di nome fra narratore e personaggio è esplicitata nel racconto. Lejeune ribadirà il ruolo decisivo del patto fra l’autore e il lettore anche negli scritti successivi: Je est un autre13 e Moi aussi.14

A proposito del nome proprio, il critico si sofferma sul caso dello pseudonimo, che considera come un secondo nome o un nome di «penna» assunto dall’autore per ragioni di discrezione. Ragionando sulla scelta degli pseudonimi, Lejeune afferma che se al personaggio, che ha anche la funzione di narratore, viene attribuito un nome fittizio il racconto non può essere accettato come autobiografia, «dato che questa presuppone, all’inizio, un’identità assunta a livello di enunciazione, e del tutto secondariamente una somiglianza prodotta a livello di enunciato».15 Per il critico lo pseudonimo è ammesso solo se si riferisce al nome dell’autore. Quindi, se ci si sofferma sulla pagina del titolo, in cui compare il nome dell’autore, si desume un «criterio testuale generale, l’identità del nome (autore-narratore-personaggio)».16 Inoltre, il patto autobiografico stabilisce l’attitudine del lettore: ad esempio, nel caso dell’identità non affermata il lettore cercherà tracce per stabilire delle somiglianze; invece, se l’identità è affermata il lettore cercherà delle differenze, come le deformazioni o gli errori. Secondo quanto afferma Lejeune, il patto può anche essere definito «romanzesco»; questo si fonda su due aspetti così espressi: «pratica

12 P. Lejeune, Il patto autobiografico, cit., p. 27. 13

P. Lejeune, Je est un autre, Paris, Éditions du Seuil, 1980.

14 P. Lejeune, Moi aussi, Paris, Éditions du Seuil, 1986. 15 P. Lejeune, Il patto autobiografico, cit., p. 25. 16

(8)

7

manifesta della non-identità (l’autore e il personaggio non hanno lo stesso nome), attestato di finzione (il sottotitolo del romanzo, sulla copertina, ha oggi questa funzione)».17

Abbiamo visto che, facendo riferimento all’identità, è possibile distinguere l’autobiografia dal romanzo autobiografico. Ma spesso si tende a confondere l’autobiografia con la biografia, anche se la differenza è piuttosto evidente: la non identità tra l’autore e il soggetto narrato. Per questo motivo, Lejeune ha cercato di rintracciare nella somiglianza un criterio per contrapporre l’autobiografia all’altro genere affine, la biografia. Innanzitutto, è utile ricordare un aspetto condiviso: sia l’autobiografia che la biografia sono testi referenziali poiché aggiungono un’informazione alla realtà extra-testo e l’obiettivo cui tendono è la somiglianza al vero. Questi testi comportano un «patto referenziale», che nel caso dell’autobiografia coincide con il patto autobiografico.18

Un’altra definizione di scrittura autobiografica viene data da Jean Starobinski, il quale afferma che l’autobiografia è «la biografia di un individuo scritta da lui stesso».19

Con questa formula Starobinski, oltre a sottolineare l’importanza di una condizione già analizzata, cioè l’identità fra il narratore e il personaggio, si sofferma su un altro criterio, ovvero «la presenza della narrazione e non della descrizione».20 Una volta definite le condizioni generali, il critico afferma che non si possa definire uno stile o una forma propria dell’autobiografia, perché «lo stile è qui un modo d’essere dell’individuo».21

In questo modo, viene lasciato un certo margine di libertà all’autobiografo, che narrando il proprio passato può regolarne la modalità, il tono e il ritmo.22 Proprio perché l’autore tiene conto dell’importanza del lettore, generalmente decide di fornire all’inizio la chiave di

17 Ivi, pp. 27-28, il corsivo è nel testo. 18 Ivi, p. 38.

19

J. Starobinski, L’occhio vivente. studi su Corneille, Racine, Rousseau, Stendhal, Freud, Torino, Einaudi, p. 204.

20 Ibidem. 21 Ibidem. 22

(9)

8

lettura per una corretta comprensione del racconto autobiografico. Quindi, le dichiarazioni di intenti o di criteri da parte dell’autobiografo assumono un gran rilievo. Inoltre, è l’importanza dell’esperienza individuale che consente di stabilire se un’autobiografia possa essere redatta. Spesso tale importanza è rafforzata da eventi significativi nella vita dell’autore, come un lutto, una conversione o una rinascita in seguito a traumi subiti. Quindi, secondo quanto nota D’Intino, possiamo affermare che «l’autobiografia non nasce come genere “letterario”, ma diventa tale soltanto quando, nel ‘700, un’intera tradizione sommersa e dispersa (cioè non riconoscibile e identificabile come tale) di scritti autobiografici comincia ad assumere caratteri formali e strutturali fissi».23

2. Infanzia e giovinezza nell’autobiografia

In un’autobiografia non viene necessariamente narrata una vita intera. L’autore può decidere di focalizzarsi su un breve periodo, ad esempio, interrompendo il racconto una volta terminato il periodo della formazione. Inoltre, non tutte le autobiografie condividono lo stesso punto di partenza; l’esordio della narrazione è fortemente legato al diverso tipo di autocoscienza che si intende rappresentare. Allo stesso modo, anche la fine del racconto varia da un’autobiografia all’altra. Possiamo parlare di una «molteplicità di finali»: ad esempio, in alcuni casi sono gli autori stessi a decidere di concludere il loro racconto; in altri casi è la morte a porre fine alla stesura dell’opera.

Nelle scritture autobiografiche esaminate nei capitoli seguenti sono valorizzate le esperienze degli anni della giovinezza e sono lasciate da parte gli anni della maturità e dell’esordio letterario. Franco D’Intino dedica un paragrafo nella sua opera sull’autobiografia moderna ai singoli periodi narrabili in un’autobiografia: l’infanzia, la

23

(10)

9

giovinezza e la maturità.24 In particolare, D’Intino nota che con il passare dei secoli le scritture autobiografiche tendono a trattare «un numero sempre minore di anni e che, soprattutto, si limitano ai primi e primissimi anni».25 Così, si tende a privilegiare quei fattori che influiscono sulla formazione dell’individuo, come i rapporti con la famiglia e le relazioni sociali.

Philippe Ariès, storico francese, colloca l’inizio di un interesse particolare per gli anni dell’infanzia alla fine del Seicento. Fino a quel momento, le Confessiones di Agostino costituiscono l’unica autobiografia incentrata sull’infanzia e sulla giovinezza. In quest’opera, l’attenzione riservata all’infanzia, segnata dal peccato, è strettamente legata ad una svolta decisiva nella vita dell’autore, il pentimento e la conversione. Quindi, a partire dal Settecento gli autobiografi danno maggiore rilevanza a questo periodo, che generalmente prima veniva trattato rapidamente e con poche notizie.26 È con Rousseau, autore delle Confessions pubblicate nel 1782, che per la prima volta l’infanzia viene raccontata e analizzata nel dettaglio, considerandone l’importanza in relazione allo «sviluppo futuro dell’adulto».27 In questo modo, il racconto autobiografico mette a fuoco gli eventi centrali nel processo di maturazione dell’individuo.

Soprattutto è nel corso dell’Ottocento e del Novecento che le prose autobiografiche trattano con maggiore frequenza il periodo della giovinezza. Alcune di queste lo rivelano già nel titolo: La giovinezza: frammento autobiografico28 di De Sanctis, i Ricordi

d’infanzia e di scuola29

di De Amicis, Una giovinezza del secolo XIX di Neera, che analizzerò nel secondo capitolo.

24 Ivi, p. 210. 25 Ibidem. 26 Ivi, p. 212. 27 Ivi, p. 213.

28 F. De Sanctis, La giovinezza: frammento autobiografico, Napoli, Morano, 1889. 29

(11)

10

Ricordiamo che l’autobiografia si fonda sulla memoria, la quale è per natura selettiva. Infatti, capita che alcune esperienze passate vadano perdute. Così, per cristallizzare il proprio io attraverso la scrittura gli autori possono ricorrere a fonti orali o scritte, a volte riportate nel testo. Il ricorso a questi documenti può avvenire quando, scegliendo di narrare un periodo più o meno lungo della propria giovinezza, gli autori fanno fatica a ricordare alcuni momenti dell’infanzia.30 Il materiale documentario funge da supporto al testo. L’inserzione dei dispositivi testuali o iconici nel testo ha l’obiettivo di testimoniare quanto si sta affermando e di illustrare una ricchezza di particolari.

Per quanto riguarda i dispositivi testuali, l’autore può ricorrere a lettere di familiari o di amici oppure a scritti personali, come diari o appunti. Soprattutto con l’inserimento di immagini, come dagherrotipi, fotografie o ritratti, l’autore intende mostrare i lineamenti fisici o gli stati d’animo della propria giovinezza. Ma questi dispositivi non sono accessibili al lettore, «al quale giungono filtrati dalla voce dell’autore».31

Un segnale che ci consente di capire se il documento inserito nella narrazione esiste ancora nel momento della scrittura può essere l’uso del presente da parte dell’autore. Quindi, il ricorso a queste fonti permette di materializzare la distanza, «mostrando l’io a diversi stadi di evoluzione».32

3. L’autobiografia delle scrittrici tra Otto e Novecento

Zambon, nel suo contributo Scrittori: scrittrici. Saggi di letteratura italiana

contemporanea, sostiene che «la storia dell’intellettualità femminile si svolge lungo tutti i

secoli della civiltà letteraria italiana».33 Le donne hanno sempre scritto ricorrendo a diverse forme espressive, come la poesia, i romanzi, i diari. Quindi, il fatto che le donne

30

F. D’Intino, L’autobiografia moderna, cit., p. 217.

31 Ivi, pp. 218-219. 32 Ivi, p. 218.

33 P. Zambon, Scrittori: scrittrici. Saggi di letteratura italiana contemporanea, Padova, Il Poligrafo,

(12)

11

compaiano con un’identità professionale non è una novità dell’Ottocento. Ma la loro presenza nel panorama letterario è passata spesso in secondo piano «a causa del predominio esclusivo esercitato dal “genere maschile” in ogni ambito della vita sociale e culturale».34

Ora, è utile soffermarsi sulla produzione letteraria delle autrici, limitando però il discorso al periodo preso in esame in questa tesi, che comprende gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento. In questo periodo, da un punto di vista editoriale c’è un’esplosione editoriale delle autrici.

La narrazione di sé per molte donne si lega alla volontà di riscatto sociale, di ribellione, di rinascita. La scrittura diventa anche uno strumento di emancipazione femminile, che consente alle autrici di porsi come esempio per le altre donne.35 La narrazione del sé si traduce in libertà e autodeterminazione. Considerando la produzione letteraria delle autrici a cavallo fra Ottocento e Novecento, Zancan rileva un’affinità di tematiche; nonostante la differente provenienza o formazione, la studiosa coglie «nella presenza costante di un forte intento autobiografico, nella qualità dello sguardo sul mondo»36 un aspetto che accomuna le scrittrici del periodo preso in esame. Intorno alla metà dell’Ottocento con l’allargamento del mercato librario e il progressivo mutamento all’interno della sfera pubblica, dove le donne diventano più visibili e parlano in prima persona, si intensifica la presenza delle autrici. Inoltre, le donne borghese hanno più tempo libero per leggere e scrivere Sono gli

34 M. G. Cossu, Lo specchio di Venere. La scrittura autobiografica di Neera, Ada Negri, Marina Jarre e Lalla Romano, Sassari, Editrice Democratica sarda, 2009, p. 35.

35

A. Cagnolati, M. A. Floréz, Vite ribelli. Storia, memoria, autobiografia. Postfazione, in La

scoperta del genere tra autobiografia e storie di vita, a cura di A. Cagnolati e C. Covato, Bogotà, La

Imprenta, 2016, p. 266.

36 M. Zancan, Il doppio itinerario della scrittura. La donna nella tradizione letteraria italiana,

(13)

12

anni del dibattito sulla questione femminile, all’interno della quale assume particolare rilievo il tema del lavoro.37

Le scritture autobiografiche analizzate nei capitoli centrali di questa tesi sono pubblicate in anni diversi: Una donna di Aleramo esce nel 1906, Una giovinezza del secolo XIX di Neera esce nel 1919 e Stella mattutina nel 1921. Narrando le loro vicende esistenziali, le autrici riflettono sulla loro formazione culturale e ripercorrono i luoghi della giovinezza, dallo spazio intimo e privato delle dimore domestiche allo spazio edenico del giardino, evidente soprattutto nelle autobiografie di Neera e di Negri. I luoghi della memoria percorsi da Aleramo comprendono uno spazio differente: l’azienda del padre.

Inoltre, nelle scritture autobiografiche di Aleramo, Neera e Negri sono riportate le risonanze psichiche derivate dai rapporti con la scuola e dalle relazioni familiari. Ogni evento di carattere pubblico o privato viene interiorizzato e si rivela significativo per la costruzione del sé. Ad esempio, acquistano una centralità indiscussa le figure genitoriali. Come ricorda Fanning nel suo contributo Italian Women’s Autobiographical Writing in the

Twentieth Century, gli effetti di queste relazioni sono ampiamente descritti nelle

autobiografie di Aleramo, Neera, Ada Negri.38 Le loro esperienze individuali mostrano come ciascuna autrice instauri un diverso rapporto con il padre e con la madre. Però, nel contesto familiare dell’infanzia l’io può identificarsi o rigettare uno dei due modelli genitorali. Ad esempio, nella prima opera che ho scelto di analizzare, Una donna di Aleramo, l’io modella la propria identità sulla figura paterna. Il padre è ammirato e adorato poiché rappresenta la libertà. Inoltre, Aleramo riflette a lungo anche sul rapporto con la madre, la cui presenza all’inizio del racconto è irrilevante. Infatti, l’io rifiuta di identificarsi

37 P. Zambon, Scrittori: scrittrici, cit., p. 59.

38 U. Fanning, Italian Women’s Autobiographical Writing in the Twentieth Century, Fairleigh

(14)

13

con la figura materna, in quanto rappresenta «the passive image of feminility».39 Solo dopo la violenza subita, l’io inizia gradualmente ad accostare la sua immagine a quella della madre. Quindi, nell’opera di Aleramo assistiamo ad un passaggio di modelli di riferimento. Nell’opera di Neera il vissuto è ripercorso attraverso le figure familiari. La giovinezza di Neera è segnata prevalentemente da presenze femminili, fatta eccezione per il padre, l’unico personaggio esemplare. Data la prematura scomparsa della madre, sono le zie a proporsi come modelli di identificazione. Sono figure connotate negativamente dall’io, costretto da queste all’immobilità e alla clausura domestica.

Nell’autobiografia di Negri, la voce autoriale, espressa in terza persona, analizza la propria identità attraverso la figura materna. Infatti, «il riconoscimento della propria soggettività avviene, in primo luogo, attraverso il confronto con questa figura fondamentale».40 Anche il sistema relazione di Negri è fortemente segnato da presenze femminili, come la nonna e la madre.

Dunque, le autobiografie sono scomposte a partire dai luoghi, dalle figure familiari per far emergere l’interiorità del soggetto autoriale. Nelle prose autobiografiche di Aleramo, Neera e Negri scrivere è un atto necessario, per sancire il riconoscimento della propria soggettività.

39 Ivi, p. 40. 40

(15)

14

2.

Aleramo, Una donna

1. La questione del femminismo nel panorama italiano

In Italia e in altri paesi, Rina Faccio, conosciuta con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo, è considerata una pioniera del femminismo italiano. La scrittrice nasce ad Alessandria nel 1876, periodo in cui l’Italia ha finalmente raggiunto l’unificazione. Dal 17 marzo 1861 l’Italia è unificata ma deve far fronte a problemi di carattere economico, sociale e culturale. Vi è la necessità di una integrazione del paese, data dalle differenze culturali tra le diverse regioni, e di una formazione degli italiani analfabeti. L’Ottocento si configura come un secolo di mutamenti e rivendicazioni; tra queste, va ricordata l’esplosione della questione della donna. La polemica sull’emancipazione femminili nella seconda metà dell’Ottocento ruota attorno alle attitudini e alle capacità della donna in relazione ai diritti rivendicati, come il diritto all’istruzione, la parità giuridica e il voto.41

Il nuovo ruolo sociale della donna, dato dall’ingresso nel mondo del lavoro, fa emergere una forte disparità rispetto all’uomo sul piano economico. Gran parte della mano d’opera femminile è sfruttata nel settore tessile dell’industria italiana per il suo basso costo. I primi segnali sulla necessità di una rivendicazione femminile si diffondono quando Anna Maria Mozzoni nel 1870 traduce il libro di Stuart Mill, La soggezione delle donne; nel 1879 esce il dramma Casa di

bambola di Ibsen e nel 1891 appare La donna e il socialismo di Bebel. Così, la questione

femminile viene assorbita da quella operaia, che la limitava però alla lotta per gli interessi economici.42 Questo aspetto è stato evidenziato da Mozzoni, che fondò nel 1881 la prima organizzazione femminile a livello nazionale, la «Lega degli interessi femminili». La

41 R. Guerricchio, Storia di Sibilla, Pisa, Nistri- Lischi, 1974, p. 34.

42 B. Conti, Introduzione, in S. Aleramo, La donna e il femminismo, Roma, Editori riuniti, 1978, p.

(16)

15

problematica da risolvere era la mentalità arretrata degli italiani, ancorata ad una concezione di inferiorità della donna. Negli anni Novanta anche Anna Kuliscioff interviene sulla questione, mostrando una grande sensibilità. Infatti, nel 1890 Kuliscioff tiene una conferenza a Milano su Il monopolio dell’uomo, in cui rivendica innanzitutto l’indipendenza economica della donna. Dunque, concepisce la formazione della personalità femminile da un’angolazione prevalentemente economica.

Un punto cruciale che segnò la rottura dei rapporti tra i movimenti femminili e il socialismo fu il primo congresso socialista nel 1900, in cui intervennero Kuliscioff e Mozzoni. Durante il congresso fu rifiutata la proposta di leggi della tutela della donna nel lavoro, come l’assicurazione obbligatoria per la malattia e il puerperio, e del suffragio universale.43 In questa occasione, Mozzoni sentì l’esigenza di distaccarsi dal socialismo. Il rifiuto socialista portò alla fondazione dell’«Unione femminile», un’associazione di impegno sociale sorta grazie a Ersilia Majno, cui aderirà anche Aleramo.

1. 1 Sibilla Aleramo e il femminismo

Il percorso di autodeterminazione di Aleramo attraverso la scrittura prende avvio a partire dagli anni Novanta dell’Ottocento. L’autrice inizia a interessarsi alle questioni del nascente femminismo, scrivendo alcuni articoli e inviandoli a vari giornali locali. L’attività giornalistica, parallela a quella di scrittrice, si concentra sulle peculiarità del mondo femminile, ponendo particolare attenzione ai limiti imposti alle scrittrici e intellettuali.

A partire dal 1897 Aleramo inizia a scrivere i primi articoli di carattere sociologico sulla «Gazzetta letteraria» e sulla «Vita internazionale». Il suo esordio nell’ambiente giornalistico è segnato dall’isolamento cui era costretta dal marito. Dunque, limitandosi a

43 B. Conti, Due bauli. Le carte dell’archivio, in Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, a cura di F.

(17)

16

contatti epistolari, la scrittrice si rivolge in particolare a Paolina Schiff, la quale44 «Lega femminile» nelle Marche. I suoi primi articoli discutono i mezzi affinché la donna possa raggiungere una dignità propriamente umana, che si realizzi nella possibilità di accedere al mondo del lavoro e della cultura senza limiti. Il programma emancipatore di Aleramo puntava alla liberazione delle energie della donna nel campo intellettuale. La scrittrice nota che gli ostacoli agli impieghi pubblici provenivano sia dall’istruzione inadeguata sia dalla resistenza 45 di molte giovani borghesi, che difficilmente accettavano di abbandonare la vita familiare per un impiego pubblico. Da ciò ne consegue la necessità di un’opera di sensibilizzazione contro quei valori consacrati dalla tradizione. La realizzazione al di fuori del contesto domestico è centrale nell’articolo Ideale umano, pubblicato nella «Gazzetta Letteraria» nel 1899. In questo articolo Aleramo polemizza contro le posizioni di Neera, la quale difendeva, a sua volta, la funzione domestica della donna. Neera si scaglia contro il movimento femminista, che cerca di formare la donna «con lo studio e col ragionamento la coscienza dei doveri suoi verso la società». Nonostante negasse l’inferiorità della donna in natura, Neera non riusciva ad accettare che l’equità tra i due generi si potesse raggiungere attraverso il progresso sul piano pubblico e sociale. Invece, per Aleramo, «togliendo alle donne la smania fatale di accasarsi» sarà possibile prendere coscienza di sé. Aleramo afferma che, soltanto attraverso l’educazione intellettuale e l’esercizio effettivo delle capacità nella vita sociale, la donna potrà maturare pienamente i nuovi doveri. È utile ricordare che il femminismo non intende negare alla donna la funzione domestica; ma, a causa dell’ingiustizia regnante 46

ultima sia lucida e cosciente anche nel momento di contrarre un matrimonio con un uomo che ama. Secondo Aleramo, prima di desiderare un figlio, una donna dovrebbe preoccuparsi di nutrire il proprio intelletto con idee e sentimenti

44 B. Conti, Introduzione, cit., p. 14.

45 R. Guerricchio, Storia di Sibilla, cit., p. 43. 46

(18)

17

da poter trasmettere in seguito all’erede. Così l’autrice scrive nella Gazzetta Letteraria nel 1898:

Madre veramente all’altezza della sua missione essa sarà quando affermerà il proprio diritto sull’educazione della prole non solo con vane e sterili disquisizioni, ma dimostrando di riunire in sé ogni qualità desiderabile nell’ufficio, dal sentimento innato alla coltura solida ed alla mente riflessiva. Compagna veramente dell’uomo e cooperatrice necessaria, ed efficace nell’opera sociale, essa si paleserà allorché, corredata di seri studi psicologici, darà un contributo inapprezzabile alle scienze analizzando e classificando le prime manifestazioni spirituali dei propri figli.47

Qui Aleramo mette a fuoco la manchevolezza di una educazione tradizionale, ritenuta fondamentale ai fini di un miglioramento della personalità e di un progresso reciproco nel rapporto con l’uomo. Dunque, la scrittrice si batte per l’emancipazione della donna, il cui obiettivo non era quello di porre in secondo piano i doveri familiari, ma valorizzarli rendendola più consapevole della sua funzione sociale.

Nell’articolo Il ruolo sociale della donna, pubblicato sull’«Italia femminile» nel 1899, è la funzione della donna nell’ambito domestico ad essere criticata. La missione femminile è trattata in concorrenza con quella dell’uomo. La scrittrice riflette sul danno che potrebbe derivare se la donna concorra nella società con l’uomo, poiché l’attività non può essere distinta in due sfere d’azione opposte. Ciò non consentirà alla donna di intraprendere una carriera con la giusta armonia. Aleramo ricorda il volume Le rôle social de la femme di M.me Lampérière, autrice francese dichiaratamente antifemminista, in cui distingue il ruolo sociale dal ruolo familiare della donna. Si nota come i due compiti opposti, che richiedono la necessità di prodigarsi rispettivamente per la società e per la famiglia, necessitino un’educazione accurata per affinare la competenza sia sul piano privato che su

47 Cfr. R. Pierangeli Faccio, Etudes sur l’enfance, in Gazzetta Letteraria, a. XXII, n. 51, 17

(19)

18

quello48 Dunque, nonostante le due autrici prendano posizioni diverse sulla questione femminile, sono accomunate dall’idea di un sapere reale come presupposto per svolgere le funzioni nei due diversi ambiti. Oltre a evidenziare il concetto ambiguo di «collaboratrice», che per la scrittrice francese avrebbe dovuto sostituire quello di «concorrente», Aleramo sottolinea che ad ostacolare la donna nell’esercizio di attività ritenute prerogativa maschile non è una legge biologica ma sono i pregiudizi.

Nel 1899 il marito di Aleramo, impiegato nella vetreria del suocero, viene improvvisamente licenziato. Da questo avvenimento, la scrittrice può trarne un vantaggio personale, poiché le viene affidata la direzione dell’«Italia Femminile», settimanale fondato da Emilia Mariani a Milano nel 1899. Mariani, maestra socialista e femminista, si era distinta per la sensibilità verso la grande polemica femminista a partire dal 1880; inoltre, aveva fondato la «Lega femminile» a Torino nel 1894, che accolse l’adesione di molte insegnanti; nel 1897 Mariani ottenne la direzione di un giornale che divenne un punto di riferimento per i movimenti di emancipazione, «Vita femminile». Così Aleramo, già nota per aver scritto i primi articoli sulla questione del femminismo italiano, accoglie con favore la possibilità del trasferimento a Milano. La direzione della rivista dura un anno, durante il quale la scrittrice rinnova la rubrica «In salotto», precedentemente caratterizzata da un carattere di divagazione lirico- narrativa, con l’intenzione di farne un luogo di dibattito politico-culturale. L’«Italia femminile» conosce notevoli innovazioni con la nuova direttrice, ad esempio, vengono approfonditi i temi di attualità e le notizie sui movimenti femministi in Italia e all’estero. Il breve soggiorno milanese è determinante per Aleramo, perché le consente di instaurare rapporti d’amicizia con altre esponenti del femminismo. Sono gli anni in cui conosce Giovanni Cena, Ada Negri, Ersilia Majno e le due grandi voci del femminismo italiano: Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff. Questi

48 S. Aleramo, Il ruolo sociale della donna, in La donna e il femminismo, Roma, Editori riuniti,

(20)

19

incontri rappresentano per Aleramo un’occasione di stimolo, limitata però dalla gelosia del marito che la costringe a lavorare prevalentemente da casa. La direzione della rivista termina nel gennaio del 1900, sia per le incomprensioni sorte con Lamberto Mondaini, editore della rivista, sia per volere del marito, chiamato dal suocero a dirigere l’azienda di Porto Civitanova. In seguito alle dimissioni dall’«Italia femminile», l’attività di pubblicazione si riduce notevolmente per Aleramo; ma ormai, sicura della sua capacità nel lavoro, può godersi le lunghe conversazioni con Umano, pseudonimo di un asceta-filosofo, che esercita una forte influenza sulla formazione spirituale della scrittrice durante la sua giovinezza. Inoltre, la sua importanza viene ricordata anche nel romanzo autobiografico

Una donna, in cui viene definito «il profeta». A Milano Aleramo si sente sollevata dalla

situazione familiare penosa, grazie al lavoro, agli incontri, alla frequentazione di teatri. Qui riesce ad assistere alla rappresentazione del dramma ibseniano, Casa di bambola, che suscita scandalo e polemiche per il destino di Nora. Sicuramente non rappresentò uno scandalo per Aleramo, che trova in questo dramma la piena conferma delle sue idee sulla donna.

Nonostante il rientro a Porto Civitanova si configuri come un ritorno alla prigionia, ora la maturazione culturale porta Aleramo ad essere più cosciente delle condizioni di vita della donna borghese, costretta all’isolamento domestico. Inoltre, la scrittrice rileva che le adesioni del ceto medio borghese alle posizioni femministe sono ostacolate da un’idea di matrimonio come ricerca di uno status.49 Dunque, Aleramo afferma che le donne piccolo- e medio-borghesi borghesi sono le più restie all’appello rinnovatore e le più sacrificate nel contesto sociale; ma ribadisce che il femminismo intende «occuparsi di tutte le donne senza distinzioni di classi, poiché tutte di fronte all’uomo sono sacrificate».50

La felicità

49 B. Conti, Introduzione, cit., p. 23.

50 S. Aleramo, L’evoluzione della donna nel secolo XIX, in La donna e il femminismo, Roma, Editori

(21)

20

goduta delle donne borghesi, che vivono in casa e per la casa e a cui si sente vicina, va scemando; per questo motivo, Sibilla crede che saranno proprio loro a dare la spinta decisiva per una rigenerazione. Rispetto alla gran dama e all’operaia, la piccola borghese è la vera sacrificata, ovvero la

martire oscura, misconosciuta, la cui vita è quasi sempre una catena ininterrotta di sofferenza d’ogni specie, non mai consolata da un raggio di sole, e pertanto ignorata e trascurata da tutti. E per questo appunto, pel fatto di sentirsi isolata nei propri dolori, unica ormai ad accettar supinamente il gelo d’una vita basantesi sulle tenebre del pregiudizio e dell’ipocrisia, sarà essa quella che darà il colpo più forte di piccone nella demolizione del barbaro e rancido sistema sociale che ha fin qui fatto l’infelicità del genere umano e d’una parte di esso più ancor dell’altra.51

La scrittrice riprende l’attività giornalistica nel 1901, quando sostiene che l’indipendenza economica derivante dal lavoro rappresenta lo strumento che «aiuterà a cementare la dignità umana della donna, a darle il senso del proprio valore materiale, a sorreggerla nelle bufere morali».52 In quell’anno Aleramo, in un articolo curato per il periodico culturale «Novocomum», contesta l’atteggiamento di alcune scrittrici italiane riguardo alla questione del femminismo, come Neera e Gemma Farruggia. Neera, dichiaratamente antifemminista, credeva che la missione educatrice della donna potesse svolgersi soltanto all’interno del contesto familiare. Inoltre, nel suo articolo pubblicato sul «Corriere della Sera» nel 1899,

La donna e la cultura, Neera sottolinea che le energie della donna non devono essere

sperperate per occupazioni della mente, ma devono rimanere intatte e messe al servizio della natura per crescere ed educare i figli. Così la scrittrice scriveva, scagliandosi contro il movimento femminista:

51 S. Aleramo, cit., p. 133.

52 Cfr. R. Pierangeli Faccio, L’Evoluzione della donna nel secolo XIX, in La Vita internazionale, a.

(22)

21 forze eguali a quelle dell’uomo, ripetiamolo, ma destinate a diverso impiego; impiego dopo tutto che alla natura preme assai più di ogni altro.53

La vita naturale fisiologica della donna è nella casa: se qualcuna crede di battere altre vie, le ha sempre battute da che mondo è mondo e nessuno impedirà di farlo anche adesso; ma erigere l’eccezione a sistema, la medicina a pane quotidiano e propinarla alle giovani creature che non chiedono altro che di vivere secondo i diritti naturali, e far loro un torto di essere così, questo è l’errore funesto delle nuove teorie. Riassumendo la mia povera opinione domando: Che cosa vuole il così detto movimento femminista? Migliorare la donna? […] Contendere all’uomo le sue funzioni? Ma perché? Per aiutarlo no; egli non ne ha bisogno. L'aiuto che egli ci domanda è di ben altra importanza.54

L’idea espressa da Neera, ostile nei confronti di quelle donne che cercano di innalzare la loro idea di emancipazione a «ideale umano», provoca la reazione della Aleramo, che controbatte sulla «Gazzetta Letteraria». Le posizioni sostenute da Neera collidono con gli ideali del femminismo. In particolare, ciò che Aleramo denuncia come falso è l’insensibilità di scrittrici italiane, come Neera, ancorate alla concezione di moglie e madre.55

In quel periodo, connotato da tristezza e noia, Aleramo cerca di mantenere viva l’immagine di sé intraprendente, creata durante il soggiorno milanese. Nel febbraio 1902 la scrittrice si stabilisce a Roma, lasciando il marito e il figlio Walter. Qui aderisce all’«Unione femminile», associazione presieduta da Ersilia Majno, che si impegna nel sociale, istituendo gli aiuti materni e i corsi per infermiere. Insieme a Giovanni Cena, con il quale Aleramo instaura una relazione d’amore per quasi un decennio, porta avanti attivamente gli impegni umanitari. Tra questi, va ricordata la sua adesione alla «Società post-suffragio» e all’iniziativa dell’«Unione femminile» nel 1904, contro la tratta delle bianche e in favore del suffragio universale. Insieme ad Anna Celli, la scrittrice inaugura la sezione romana dell’«Unione femminile». Entrambe si impegnano in un’opera di

53 Neera, La donna e la cultura, in Le idee di una donna, Firenze, Vallecchi, 1977, p. 55. 54 Ivi, p. 57.

55

(23)

22

volontariato all’ambulatorio del Testaccio, un quartiere povero di Roma, coinvolgendo anche i rispettivi compagni, Angelo Celli e Giovanni Cena. Uno dei risultati più validi che riescono a raggiungere è l’apertura delle scuole nell’agro romano. Alfabetizzare la povera gente, che abitava la campagna romana appestata dalla malaria, era un’opera per migliorare concretamente le condizioni di salute dei braccianti. Inizialmente, i Celli, Cena e Aleramo portano avanti la loro lotta all’analfabetismo ogni domenica attraversando quelle terre colpite dalla malaria. L’iniziativa umanitaria ebbe un gran successo; fu poi intrapresa da medici e studiosi e contribuì all’espansione delle scuole.

Successivamente, il rifiuto socialista di portare avanti la battaglia del suffragio universale e il congresso femminile di Roma del 1908 denunciarono l’insufficienza politica tra le componenti del movimento femminista.56

Dopo queste esperienze sociali e umanitarie, il rapporto col femminismo costituirà la base della sua scrittura e un punto di riflessione per il resto della sua vita.

56 M. Federzoni, I. Pezzini, M. P. Pozzato, Sibilla Aleramo, in Il Castoro, La Nuova Italia, n. 161,

(24)

23

2. Testimoniare il femminismo: il romanzo Una donna

Dopo la partenza da Porto Civitanova, nel 1902 Aleramo si stabilisce a Roma, dove vive una breve relazione con il poeta Felice Damiani. Separatasi da questo, la scrittrice trova finalmente un grande conforto legandosi a Giovanni Cena, direttore della rivista Nuova

Antologia. A Roma si impegna a tutti i costi per ottenere la separazione legale e la tutela

del figlio. Il trasferimento, con tutti i rischi che aveva comportato a livello psicologico, costituisce un momento di liberazione di tutte quelle energie, che ora sono pronte a sprigionarsi.57 L’itinerario di un progressivo auto-riconoscimento ha una tappa fondamentale durante la situazione sentimentale con Cena. La rivelazione di sé, dopo anni segnati da rinuncia e silenzio, non può che comportare un ansioso recupero della volontà di espressione. Così Aleramo scrive al suo nuovo compagno in una lettera:

Da tanto tempo attendevo che una simile ora gloriosa passasse sul mio cammino.58

Stimolata da Cena, la scrittrice accoglie l’iniziativa di dare consistenza alle paure e alle ossessioni che l’avevano fortemente segnata. Per Aleramo, si trattava di comporre non soltanto un libro di memorie ma di far conoscere attraverso la sua vita le posizioni ideologiche sulla questione femminista e sul versante sociale. Cena fu il primo a cogliere il significato paradigmatico del passato dell’autrice. Il valore di testimonianza della sua opera doveva essere esibito per essere esteso e generalizzato. Come sostiene Melandri, Aleramo attraverso l’immolazione di sé stessa nella scrittura vuole porsi come esempio per tutte le donne, affinché queste possano ribellarsi alla miseria e alla morte silenziosa del loro

57 R. Guerricchio, Storia di Sibilla, cit., p. 71. 58

(25)

24

isolamento.59 Ciò costituisce il primo passo per combattere i fantasmi del passato e per costruire pian piano una coscienza più libera e dignitosa.

Dunque, attraverso questo romanzo autobiografico, la scrittrice diventa un personaggio e vuole esibire l’immagine del suo vissuto di donna, limitata dalle convenzioni imposte dalla tradizione; dopo la violenza subita la protagonista è costretta a sposarsi giovanissima e a trascorrere i suoi giorni esclusivamente a casa ad accudire il figlio. Quindi, tutte queste esperienze sono attraversate da drammi; oltre alla violenza carnale che precede il matrimonio, si ricordano l’incapacità di comunicare con le figure genitoriali, la rassegnazione nell’accettazione dei ruoli di moglie e madre. Nel percorso esistenziale della scrittrice sono racchiuse tutte le fasi dell’evoluzione della donna, a partire dall’essere figlia per diventare poi moglie e madre, sino alla rivendicazione del proprio ruolo e delle proprie aspirazioni, al di là di ogni stereotipo.

Come suggerisce Gambaro, la scrittrice è consapevole di «fondare la propria autorialità sull’esibizione pubblica del privato», con l’obiettivo di ottenere un riconoscimento estetico nella società italiana, tenendo bene in mente anche i rischi derivanti dall’esposizione di sé nella sfera pubblica.60

Così nel periodo che va dal 1902 al 1906, appoggiata da Cena, Aleramo si dedica alla stesura del suo primo romanzo autobiografico, che sarà pubblicato nell’autunno del 1906 a Torino.

59 L. Melandri, Un pudore selvaggio, una selvaggia nudità, in Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, a cura di F. Contorbia, L. Melandri, A. Morino, Milano, Feltrinelli, 1986, p. 41.

60 E. Gambaro, Diventare autrice. Aleramo, Morante, de Céspedes, Ginzburg, Zangrandi, Sereni,

(26)

25

2. 1 La struttura del romanzo

Il romanzo Una donna si configura come un’autobiografia, in cui l’autrice descrive l’esperienza di vita vissuta dall’infanzia fino ai ventisei anni. L’opera è presentata al pubblico come un romanzo di formazione intellettuale, che per la prima volta si confronta con un nuovo modo di percepire l’universo femminile. Scritto in prima persona, il romanzo è formato da ventidue capitoli numerati suddivisi in tre parti diseguali, nelle quali sono inserite anche parti di discorso diretto. Gli avvenimenti e le emozioni si susseguono secondo un ordine progressivo.

La prima parte, formata da nove capitoli, è la più densa di avvenimenti. Tra questi, la scrittrice ricorda l’infanzia trascorsa al Nord, il trasferimento da Milano a Porto Civitanova, una città del Meridione, l’interruzione degli studi e l’impiego nell’azienda del padre, il tentato suicidio della madre, la violenza fisica subita da un impiegato della fabbrica e il conseguente matrimonio riparatore, l’instabilità mentale della madre, la gravidanza e la maternità, l’adulterio, il tentato suicidio. Per rendere più scorrevole la ricezione l’autrice ricorre ad un artificio ripreso dai moduli dell’appendicismo: infatti, per enfatizzare il legame sintagmatico tra le varie parti, la scrittrice colloca i nuclei più importanti dell’intreccio negli explicit di ogni capitolo. Inoltre, gli eventi narrati in successione progressiva sono connotati da un alto tasso di drammaticità, che facilitano il lettore a memorizzarli e comprenderli.61

La seconda parte del romanzo comprende dieci capitoli e si caratterizza per un andamento più lento e riflessivo. In apertura, è ricordato il tentativo del marito di recuperare il rapporto con la moglie, che per l’esasperazione aveva tentato il suicidio. Inizia per la protagonista un periodo di reclusione; le viene vietato di entrare nelle stanze che si

61

(27)

26

affacciano sulla strada e di uscire da casa. Oltre ad accudire il figlio, la protagonista trascorre le sue giornate leggendo studi sul movimento femminista inglese e scandinavo, da cui apprenderà il concetto di emancipazione femminile. Interessandosi sempre di più a questa tematica, la protagonista trova sollievo scrivendo alcuni articoli su fogli che il marito brucerà per la rabbia, dopo aver appreso le novità riguardanti la collaborazione della moglie a una rivista femminile. La passione per la scrittura e per la questione femminista è però talmente forte che la protagonista non si ferma di fronte a tale gesto. A segnare una svolta nella vita dell’io narrato è la lite tra il marito e il padre, in seguito alla quale viene deciso il trasferimento a Milano, con lo spostamento della scena a Roma. Inizia per la protagonista un periodo socialmente impegnato, in cui finalmente può stringere nuove amicizie e approfondire le conoscenze sul femminismo. Entra in contatto con una realtà nuova per lei, dove tutto ciò che faceva sembra avere un senso. In questa breve parentesi milanese, la protagonista lavora in redazione e pubblica i suoi scritti su giornali femminili. La seconda parte si può suddividere in due sezioni, in cui da un lato, dal capitolo decimo al tredicesimo, la narratrice ci presenta il suo percorso di consapevolezza intellettuale in solitudine, dall’altro, dal capitolo quattordicesimo al diciannovesimo, riflette sulle acquisizioni derivanti dall’esperienza milanese.62

Il percorso di maturazione verso una nuova coscienza di sé è improvvisamente troncato dal ritorno a Porto Civitanova, quando viene offerto al marito la direzione dell’azienda del suocero, costretto a ritirarsi per gli scioperi degli operai. Il rientro nelle Marche è drammaticamente ricordato per gli accesi scontri coniugali, che sfociano in minacce e violenze fisiche.

Così la terza parte, asimmetrica rispetto alle altre due poiché consta soltanto di tre capitoli, vede il susseguirsi di eventi che sembrano precipitare verso la definitiva rottura con il

62

(28)

27

marito. In particolare, due momenti sono decisivi per la protagonista per prendere in considerazione l’idea di separarsi dal marito: il primo, quando scopre una lettera della madre, in cui era descritta la drammatica situazione sentimentale, ma per amore dei figli aveva deciso di sacrificare sé stessa; il secondo momento che determina l’abbandono della famiglia è dato dalla somma di denaro ricevuta in dono dallo zio. Inoltre, i vari tentativi per riuscire ad ottenere l’affidamento del figlio si rivelano vani, per cui non le resta che accettare le leggi, favorevoli al marito, e partire da sola. A Roma la protagonista prende una camera in affitto. L’ultima sezione termina con un messaggio rivolto al figlio, abbandonato con dolore per affermare la propria dignità di donna. In conclusione, viene svelato l’intento del romanzo: di raggiungere il figlio tramite la scrittura e di giustificare tale gesto estremo.

2.2 Tra il vissuto e il romanzesco

Una donna, proponendo la rappresentazione del vissuto personale dell’autrice, istituisce

una doppia distanza da un punto di vista letterario, che rende difficile la sua catalogazione in un genere ben preciso: la materia non è totalmente autobiografica, nonostante sia fortemente legata al vissuto dell’io autoriale, per la creazione fantastica della propria immagine grazie a «un pensiero autoprogettante che si fa selettivo nella memoria»;63 l’opera non può essere nemmeno considerata un romanzo, nonostante venga così identificata dal sottotitolo, sia per la fragilità della struttura narrativa sia per le intrusioni degli elementi autobiografici. Cruciale risulta l’adozione dello pseudonimo; infatti, l’io autoriale non si rivela come tale ma attraverso lo pseudonimo: è un io autoriale fittizio poiché non corrisponde all’anagrafe dell’autrice. Tradurre in scrittura l’esperienza vissuta comporta in questo caso un’ambiguità tra realtà e invenzione. Lo stesso titolo evidenzia la

63 M. Zancan, Una biografia intellettuale: Sibilla Aleramo, in Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, a cura di A. Buttafuoco e M. Zancan, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 19.

(29)

28

spinta alla generalizzazione della condizione femminile. Per Aleramo, la scrittura è un atto di creazione, e più precisamente un «luogo di autogenerazione»64 , da cui si origina una nuova vita e una nuova immagine di sé, sorta dalla mortificazione fisica e mentale. Questa caratteristica porta l’io a scomporre e a ricomporre il proprio vissuto.

La scrittrice infrange le norme che regolano il patto autobiografico, teorizzato da Lejeune; ora, vediamo brevemente i motivi. Riprendendo i segnali più evidenti del mancato rispetto del patto autobiografico su cui riflette Gambaro, è fondamentale ricordare che da un lato l’attribuzione autoriale presente nella copertina non coincide con i dati anagrafici della scrittrice, dall’altro la stessa protagonista, come tutti i personaggi è innominata, coerentemente alla scelta generalizzante del titolo.65 I personaggi che circondano la protagonista non hanno un’identità ben definita o un loro spazio d’azione autonomo. Infatti, essi compaiono con il nome comune che ne esplicita il ruolo sulla base del rapporto col personaggio principale: il marito, il figlio, la madre, il padre, il dottore, la vecchia amica, il dottore, il forestiero, il profeta.66 Così Una donna tiene insieme il vissuto e il romanzesco. D’altronde la definizione di romanzo attribuita all’opera si rintraccia nel frontespizio delle edizioni del testo. Di fronte a ciò, è utile chiedersi se il racconto corrisponda alla realtà dei fatti. La manipolazione è evidente leggendo il manoscritto e riguarda in particolare il marito, i suoceri, il padre. I ritocchi apportati al testo dal manoscritto alla stampa dimostrano la volontà di trasformare l’immagine preesistente in «mito personale di eroismo e martirio», di creare così un autoritratto ideale di sé. 67

Per dare l’idea di uno svolgimento ininterrotto tra un capitolo e l’altro, la scrittrice condensa l’avvenimento alla fine di esso, in modo tale che le conseguenze derivanti,

64 Ibidem.

65 E. Gambaro, Diventare autrice, cit., p. 33. 66 R. Guerricchio, Storia di Sibilla, cit., p. 89.

67 A. Nozzoli, L’elaborazione di Una donna. Storia di un manoscritto, in Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, a cura di A. Buttafuoco e M. Zancan, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 34.

(30)

29

collocate nel capitolo successivo, possano garantire un aggancio più immediato. Inoltre, Sibilla ricorre spesso ad artifici stilistici, come i puntini di sospensione o le interrogazioni retoriche, che creano un’atmosfera di suspense e avvicinano l’opera ai moduli del romanzo d’appendice. Come suggerisce Guerricchio, Una donna è connotata da un’ambiguità di fondo, per il fatto di tendere da un lato verso il romanzo, dall’altro verso una vocazione frammentistica, per l’uso dell’interpunzione che funziona da cesura tra un elemento e un altro del periodo.68

In questa autobiografia, l’autrice scandisce le tappe del suo itinerario esistenziale ricorrendo ad uno schema cronologico rigoroso. Ad esempio, l’età consente di registrare i segnali di cambiamento legati alla crescita fisiologica e alla presa di coscienza. I rari dialoghi, per lo più limitati a battute, sono riprodotti sotto forma di singulti o gridi, che diventano espressione dell’emotività corporea.

Il percorso verso la consapevolezza di sé è contrassegnato dall’uso prevalente dell’imperfetto, tempo privilegiato nella rievocazione delle esperienze.69

Ma questo non è l’unico registro narrativo. La scrittrice mette in atto un duplice piano di racconto attraverso il ricorso sia al tempo passato che al presente. Il tempo presente è il tempo del commento e serve a ricondurre le esperienze vissute su un piano più universale. Come suggerisce Guerricchio, la rottura dell’unitemporalità del racconto, attraverso l’uso del presente indicativo, porta la scrittrice ad esprimere un commento più distaccato.70 Ad esempio, ciò avviene quando la protagonista giudica la situazione vissuta:

Avevo dato l’addio alla vita semplicemente, fermamente, benché in un’ora di smarrimento, come ubbidendo a un comando venuto da lungi più che alla necessità imperiosa dell’istante. La mia

68 R. Guerricchio, Storia di Sibilla, cit., p. 85.

69 S. Chemotti, Il corpo come voce di sé: sussurri e grida in Una donna di Sibilla Aleramo, in Studi

novecenteschi, Vol. 30, No. 65 (gennaio- giugno 2003), p. 50.

70

(31)

30 esistenza doveva finire in quel punto: la donna ch’io ero stata fino a quella notte doveva morire. Vi sono periodi che non possono risolversi e che sembra vadano chiusi bruscamente con una pietra sepolcrale.71

Ma l’uso del presente viene usato, seppur in pochissimi casi, anche con una funzione diversa, cioè tende ad annullare la distanza fra il tempo del racconto e il tempo dell’avvenimento; in tal modo, vengono a coincidere la scrittrice che narra la propria esperienza e il personaggio che la vive.

Mi rivedo nello studiolo, in un pomeriggio di novembre avanzato, col sole che mi obbliga a farmi schermo della mano agli occhi. […] Mio marito tace, esce anch’egli dopo un momento; il piccino mi vede assorta, continua a guardare le immagini di un grosso libro. Penso a mio padre, ai brividi che certi suoi accenti mi davano negli anni lontani in cui assorbivo da lui la vita dello spirito. […] Una vertigine mi afferra, per un attimo. Indi la calma torna. Non sono pronta ad affrontare qualunque rivelazione? E prima di riprendere il mio povero lavoro di giornalista guardo dalla terrazza il disco abbagliante del sole sopra i cipressi di Monte Mario, e le due fasce incandescenti che lo attraversano e arrossano l’orizzonte. 72

2.3 La pseudo-autobiografia

Abbiamo già detto che la protagonista, come il resto dei personaggi, non è definita da un nome proprio. Riprendendo l’interrogativo di Angelini, occorre chiedersi come considerare «un’autobiografia in cui il nome dell’autore e quello del personaggio sono diversi anche se la persona è la stessa?».73 Sicuramente, viene meno il totale rispetto delle convenzioni che identificano una scrittura autobiografica perché «l’identità dell’autore, il cui nome rinvia a una persona reale, con il narratore, protagonista del racconto».74 Dunque, è singolare la decisione della scrittrice di esaltare l’esperienza soggettiva togliendo però il nome proprio al personaggio che la vive. La strategia autocensoria portata avanti attraverso lo

71

S. Aleramo, Una donna, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 68.

72 Ivi, pp. 102-103.

73 F. Angelini, Un nome e una donna, in Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, a

cura di A. Buttafuoco e M. Zancan, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 66.

74

(32)

31

pseudonimo dell’autrice è percepita da Ada Negri, quando indirizza una lettera alla scrittrice in cui sembra parlare di due persone diverse:

Signora, ho ricevuto il libro di Sibilla Aleramo ed ho pianto […]. Voi conoscete Sibilla Aleramo, Signora. Ditele che io l’ho seguita passo passo, con pietà fraterna, nella sua via Crucis.75

Era stato Cena a chiamare la compagna per la prima volta Sibilla in un sonetto: «io la scopersi e la chiamai Sibilla». Il passaggio al nuovo nome inaugura un nuovo periodo, la seconda esistenza. Esso coincide con il momento della scrittura personale e con la creazione di quel personaggio a cui la scrittrice rimarrà fedele per il resto della sua vita. Il progetto di «autogenerazione» è così portato avanti attraverso lo pseudonimo, che segna «il nome della rinascita».76In una lettera l’autrice pregava Ersilia Majno, che l’aveva chiamata Rina Pierangeli, di essere indicata nella loro corrispondenza con il nome nuovo:

Come mai ti salta in mente di risuscitare uno stato civile che non ha più ragion d’essere nella memoria d’alcuno? Anzi […] ti dirò che ormai voglio sia dimenticato anche il mio cognome di nascita, es essere nominata e presentata esclusivamente come Sibilla Aleramo: la mia personalità non si esplica più che a traverso questo nome.77

Si tratta di un gesto di rinuncia verso il nome assunto grazie al padre e al marito; ma, ancora una volta, il nuovo nome le viene assegnato da un uomo. La stessa autrice parlerà della scelta di espropriazione dei nomi di tutti i personaggi:

75 Ada Negri a Rina Faccio, Milano, 21 novembre 1906, cit. in Sibilla Aleramo e il suo tempo. Vita raccontata e illustrata, a cura di B. Conti e A. Morino, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 45.

76 A. Buttafuoco, Vite esemplari. Donne nuove di primo Novecento, in Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, a cura di A. Buttafuoco e M. Zancan, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 152.

77 Lettera di S. Aleramo a E. Majno, Roma, 3 dicembre 1907, in Archivio Majno, Fondo Ersilia

(33)

32 Tutti i personaggi, inclusa la protagonista erano «innominati»; e non dico che non sia una difficoltà individuarli nel lungo racconto sempre soltanto con un generico: il marito, il suocero, il bimbo, il dottore, il profeta e via via. Dico che c’era là, spontanea, non voluta, la dimostrazione della nessuna importanza che hanno, per me, i nomi, e non soltanto riguardo alle persone, ma anche alle cose78

Questa strategia narrativa situa l’opera tra verità e invenzione e consente alla scrittrice di generalizzare i problemi. Lo sguardo dell’autrice filtra la presenza di sé stessa e degli altri personaggi.79 La voce autoriale osserva e racconta Rina.

3. Le figura dominanti: il padre e il marito

Il romanzo in apertura ci presenta l’autoanalisi della protagonista, che si vede «libera e gagliarda» e dominata dall’amore verso suo padre.80 Alla base dell’autobiografia vi è una struttura familiare fallocratica, che corrode sempre di più i personaggi femminili. La narratrice rielabora attraverso la scrittura le mortificazioni subìte dai due personaggi maschili che dominarono la sua vita nella giovinezza: il padre e il marito. Entrambi sono ricordati per l’egoismo e l’indifferenza nei confronti delle rispettive mogli. Particolare rilevanza assume nelle due figure maschili la sessualità, che determina un profondo disagio nelle figure femminili. Il mondo maschile è degradato, in quanto fondato sulla violenza e la prevaricazione.

La mia analisi intende soffermarsi inizialmente sulla figura paterna, il protagonista principale degli anni giovanili della protagonista. Il padre emerge come una sorta di eroe, che si distingue per le manifestazioni di irrequietezza ed esuberanza. Dotato di una forte personalità, a differenza della madre della protagonista, il padre è il maggior responsabile

78 È un articolo sulla «Gazzetta del Popolo» in risposta alla domanda «come scegliete i nomi dei

vostri personaggi», che si legge in Sibilla Aleramo e il suo tempo: vita raccontata e illustrata, a cura di B. Conti e A. Morino, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 247.

79 F. Angelini, Un nome e una donna, cit., p. 67.

80 M. Antes, Amo dunque sono. Sibilla Aleramo, pioniera del femminismo in Italia, Firenze,

(34)

33

della formazione culturale della protagonista, imperniata su un’educazione molto moderna a quei tempi.81

Pian piano si scopre che il legame con il padre è però ambivalente, connotato da luci e ombre. Sin dalle prime pagine egli è presentato come modello antitetico alla madre, sofferente e pacata nei modi. Attraverso le figure genitoriali, la giovane protagonista inizia a prendere consapevolezza dei due diversi ruoli: quello di padre, riconducibile alla sfera del «dominus»; quello della madre, che nella sua passività non si oppone mai alle scelte del marito e si sacrifica per la famiglia. Entrambi fanno parte della cosiddetta «prima esistenza» della protagonista. Come vedremo successivamente, la dialettica figlia/ genitori si sviluppa in direzioni opposte: quello con il padre sarà un rapporto di tipo discendente; quello con la madre sarà di tipo ascendente. Inizialmente la narrazione è costruita sulla base di un’identificazione col padre e di un rifiuto della madre. Infatti, nei primi anni della giovinezza, la scrittrice allontana il modello di femminilità derivante dalla madre, ponendola in secondo piano nei suoi affetti.

Soprattutto quando viene impiegata nell’azienda paterna, per rispondere a un’esigenza derivante dalla sua nuova vita lavorativa, la protagonista associa la sua immagine esteriore a quella maschile. A tredici anni, la scrittrice esprime la volontà di uniformarsi all’ideale maschile; così modella sé stessa, anche fisicamente, sull’esempio paterno.82

L’abbigliamento e il taglio di capelli le consentono di annullare ogni connotazione sessuale, a tal punto che, non sapendo se fosse ancora una bambina o una ragazzina, la protagonista si definisce «individuo». Così, Sibilla descrive il suo aspetto androgino:

81 R. Guerricchio, Storia di Sibilla, cit., p. 14.

82 U. Fanning, Italian Women’s Autobiographical Writings in the Twentieth Century, Fairleigh

Riferimenti

Documenti correlati

326 Loftus E.F., Eyewitness Testimony, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1979 Lone G., La memoria autobiografica-Conoscenza di sé e appartenenze sociali, Carocci, Roma

Gli interventi volti a ridurre l’eccessiva deformabilità dei solai hanno la loro necessità legata all’importante ruolo svolto da tali elementi non solo, in generale, per

Le lettere di Sibilla Aleramo a Vittoria Contini Bonacossi fanno riferimento a un arco temporale che va dall'aprile 1930 al settembre 1938 1 , mentre quelle per il figlio

SPORTING PARELLA LIBERTAS: dal 13 settembre 2021 al 31 maggio 2022 – pallavolo giovani under15 e adulti. SPORTING PARELLA: dal 13 settembre 2021 al 31 maggio 2022

Libro enfatico e passionale (lei stessa lo definirà «il primo grido, incomposto e violento, della mia anima») Fatalità è opera di una giovinetta segnata dall’ambiente in cui

Le opere delle nostre scrittrici - da Ada Negri a Elsa Morante, da Grazia Deledda a Luce d'Era- mo, da Matilde Serao a Sibilla Aleramo e Anna Maria Ortese - offrono il racconto

Ora, il riferimento al fiume Torso ap- pare veramente prezioso: proprio il Tirso è oggi il fiume che separa lo catena del Marghine, verso occidente, sulla quale si