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Risultati oncologici del polipo ad alto rischio di progressione

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Risultati oncologici del polipo cancerizzato ad

alto rischio di progressione

Relatore:

prof. Marco Puccini

Correlatore:

dott. Piero Buccianti

Candidato:

Leonardo Macci

(2)

1

Ai pazienti che s’affideranno a me

A coloro cui io m’affido

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2

Sommario

ABSTRACT ... 4

1. IL COLON E IL RETTO ... 6

1.1 ANATOMIA DELL’INTESTINO CRASSO1 ... 6

1.1a Anatomia macroscopica ... 6

1.1b Vascolarizzazione ... 7

1.1c Innervazione ... 9

1.1d Struttura ... 9

1.2 FISIOLOGIA DELL’INTESTINO CRASSO2 ... 11

1.2a Assorbimento e secrezione ... 11

1.2b Motilità ... 11

1.2c Microbiota3 ... 12

2. IL CARCINOMA DEL COLON-RETTO ... 14

2.1 EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE ... 14

2.1a Fattori di rischio ... 14

2.1b Screening1920 ... 16

2.2 ONCOGENESI22 ... 18

2.2a Sviluppo del polipo adenomatoso ... 18

2.2b Sviluppo dell’adenocarcinoma ... 19

2.2c Crescita e diffusione ... 19

2.3 CLINICA23 ... 21

2.3a Diagnosi e stadiazione ... 21

2.3b Terapia 25,26 ... 26

2.3c Follow-up33... 29

3 GESTIONE DEI POLIPI CANCERIZZATI ... 30

3.1 I POLIPI ... 30

(4)

3

3.1b Polipectomia ... 36

3.1c Rischio di invasione linfonodale nei polipi cancerizzati ... 40

3.1d Management e attuali linee guida ... 45

3.2 IL NOSTRO STUDIO ... 50

3.2a Pazienti e metodi ... 51

3.2b Risultati ... 54

3.2c Discussione ... 61

3.2d Conclusioni ... 63

RIFERIMENTI ... 65

(5)

4

ABSTRACT

Grazie allo screening del carcinoma colorettale (CCR), si individuano sempre più pazienti asintomatici che presentano un adenocarcinoma che invade la sottomucosa sviluppato su un polipo adenomatoso (polipo cancerizzato, T1): la gestione di queste lesioni rappresenta un momento cruciale della chirurgia colorettale.

In questi casi la polipectomia (spesso effettuata per via endoscopica) è in grado di rimuovere localmente la malattia in maniera radicale (R0). Circa il 10-15% di questi adenocarcinomi, però, hanno metastasi linfonodali (LNM), che possono provocare recidive regionali o sistemiche e per le quali è richiesto un intervento di chirurgia di completamento (o di salvataggio) che consiste nella resezione del tratto intestinale interessato e linfadenectomia regionale. Purtroppo non si può conoscere a priori la positività dei linfonodi: l’imaging non può escludere LNM, che possono essere escluse solo da un adeguato esame istopatologico.

Per limitare resezioni di salvataggio che risultano poi evitabili, sono state individuate delle caratteristiche istologiche del polipo cancerizzato che distinguono le lesioni a basso e ad alto rischio di progressione, con l’indicazione della sorveglianza per le prime e della chirurgia per le seconde.

Questa tesi, dopo una panoramica sul grosso intestino e sul carcinoma del colon-retto, intende studiare la gestione dei polipi cancerizzati. Lo studio ha selezionato i pazienti dal database del U.O. di Chirurgia Generale dell’AOUP che dal 2010 al 2020 sono stati sottoposti ad interventi di chirurgia di salvataggio dopo la diagnosi di polipo cancerizzato ad alto rischio

di progressione. Lo studio esamina le caratteristiche istologiche dei polipi, e cerca i fattori di

rischio maggiormente correlati alle LNM e/o al riscontro di cellule tumorali residue nella parete intestinale. Inoltre si intende fare un bilancio rischi/benefici della chirurgia di salvataggio, valutando gli eventi di morte e complicanze perioperatorie rispetto al numero di pazienti che hanno avuto un reale beneficio dalla resezione (riscontro di LNM o di tumore residuo in situ). In ultimo ho valutato i risultati del follow-up oncologico di questi pazienti.

Abbiamo così selezionato 76 pazienti, di cui 6 con LNM, 12 con residuo locale di malattia e 3 con entrambi. Non sono emersi fattori di rischio statisticamente significativi per LNM. La polipectomia “piece-meal” è risultata essere un fattore di rischio per il riscontro di residuo di

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5

malattia, mentre i margini infiltrati del polipo (R1) raggiungono quasi la significatività statistica. Otto pazienti hanno avuto importanti complicanze perioperatorie: l’età maggiore di 70 anni è emersa come un fattore di rischio per questi eventi. Nel corso del follow-up due pazienti hanno manifestato recidiva della malattia (recidiva a livello rettale, metastasi epatiche e polmonari), senza correlazione con le LNM.

I risultati di questo studio e l’analisi della letteratura internazionale mostrano come siano necessari ulteriori su grandi numeri per migliorare la gestione dei polipi ad alto rischio di progressione, individuando nuovi fattori predittivi di metastasi linfonodali che riducano il numero delle resezioni chirurgiche di salvataggio, mantenendo comunque un adeguato outcome oncologico.

(7)

6

1.

IL COLON E IL RETTO

1.1 ANATOMIA DELL’INTESTINO CRASSO

1

1.1a Anatomia macroscopica

L’intestino crasso segue il tenue nel tubo gastrointestinale, estendendosi dalla valvola ileocecale all’ orifizio anale, per una lunghezza complessiva di circa 1,5m. Esso si può dividere in tre porzioni: cieco, colon e retto.

Cieco e colon presentano delle gibbosità separate da solchi che corrispondono internamente alle haustra coli e alle pieghe semilunari. Essi sono percorsi da tre strutture muscolari nastriformi che prendono il nome di tenie, che nascono alla base dell’appendice e si estinguono a livello del sigma.

Il colon si estende in un percorso che si può approssimare ad una M, pertanto può essere suddiviso in varie porzioni: ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo (la prima e la terza parzialmente extraperitoneali – [fig 1]). Nel suo percorso entra in rapporto con la parete addominale, e con pressocché tutti i visceri delle cavità addominale e pelvica.

Figura 1 – Rapporto dell’intestino crasso con il peritoneo

https://somepomed.org/articulos/contents/mobipreview.htm?29/7/29815.

Il retto conclude il tratto gastrointestinale con il canale anale. È lungo circa 15cm e possiede una porzione pelvica e una porzione intraperineale, separate dal muscolo elevatore dell’ano che divide anche lo spazio pelvi-rettale superiormente [fig 2c], dallo spazio ischio-rettale inferiormente [fig 2d]. Questo muscolo cede le fibre muscolari che compongono lo

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7

sfintere esterno dell’ano. Il retto può essere diviso in tre porzioni che internamente sono divise dalle valvole di Houston: inferiore, media e superiore (rivestita da peritoneo). La riflessione del peritoneo a questo livello crea il cavo del Douglas.

A livello dell’ano, sono presenti delle pliche della mucosa dette colonne anali che delimitano le cripte di Morgagni e il cui margine inferiore è chiamato linea pettinata (o dentata): a questo livello è presente la giunzione squamo-colonnare. Il canale anale anatomico è compreso fra l’orifizio anale e la linea pettinata [fig 2a]; il chirurgico, invece, è più esteso e comprende anche l’epitelio di transizione, fino a una linea immaginaria che passa per il margine superiore delle colonne anali [fig 2b].

Figura 2 – Schematizzazione canale anale: a) Canale anale chirurgico; b) Canale anale anatomico; c) Spazio pelvi-rettale; d) Spazio ischio-rettale

Colon Explorer; http://www.endoscopy-colon-explorer.com/anatomia-regione-anale/.

1.1b Vascolarizzazione

Vasi ematici

I vari distretti dell’intestino crasso sono irrorati da tre sistemi arteriosi: i primi due sono quelli dell’arteria mesenterica superiore (fino alla flessura splenica), e della mesenterica

inferiore (fino alla porzione superiore del retto) Queste arterie cedono vari rami che creano

le arcate anastomotiche da cui originano i vasi retti. Il terzo sistema è delle due arterie iliache

interne, che irrorano i due terzi inferiori del retto, con le aa. emorroidarie medie e inferiori

[fig 3].

Il drenaggio venoso è satellite di quello arterioso. Posteriormente alla testa del pancreas la vena mesenterica superiore e il tronco spleno-mesenterico (nato dalla confluenza di v. splenica e v. mesenterica inferiore) danno origine alla vena porta. A livello del retto si forma un ampio plesso venoso (plesso emorroidario) che viene drenato dalla v. emorroidaria superiore (tributaria della v. mesenterica inferiore) e dalle vv. emorroidarie medie e inferiori, tributarie della v. ipogastrica. A questo livello si ha quindi un’anastomosi fra sistema portale

(9)

8

e cavale con conseguenze emodinamiche (ipertensione portale) e oncologiche (metastasi da tumori del retto).

Figura 3 – Vascolarizzazione arteriosa intestino crasso

Themes, U. F. O. “Open Lateral to Medial.” Abdominal Key (blog), June 12, 2016. https://abdominalkey.com/open-lateral-to-medial/.

Drenaggio linfatico

I collettori linfatici dell’addome e della pelvi si interconnettono formando dei plessi ampiamente anastomizzati, con interposte le catene linfatiche, che ripercorrono il percorso degli altri vasi. Per quanto riguarda il cieco e il colon, i linfonodi sono ampiamente presenti nel contesto del grasso pericolico e dei mesi: essi possono essere organizzati facendo riferimento ai vasi che li percorrono.

Nonostante dal punto di vista anatomico il retto non abbia un vero e proprio meso, inteso come struttura peritoneale, dal punto di vista chirurgico è accettato il concetto di mesoretto, inteso come zona di invasione locale dei tumori di questa sede. Il mesoretto è composto da tessuto adiposo che circonda il retto ed è contenuto nella fascia mesorettale [fig 4]: in questa sede sono presenti i linfatici e i linfonodi perirettali, prima sede di drenaggio linfatico del retto (linfonodi mesorettali). Essi si continueranno come linfatici satelliti dei vasi: emorroidari superiori, medi e inferiori. In questa rete linfatica sono presenti altre stazioni linfonodali:

• Linfonodi iliaci comuni, interni ed esterni • Linfonodi presacrali

• Linfonodi otturatori

Il canale anale ha un drenaggio linfatico tributario anche del sistema linfatico superficiale, che giunge ai linfonodi inguinali superficiali.

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9

Figura 4 – Mesoretto, schematizzazione

Themes, U. F. O. “Anorectal Anatomy and Applied Anatomy.” Abdominal Key (blog), May 30, 2017. https://abdominalkey.com/anorectal-anatomy-and-applied-anatomy/.

1.1c Innervazione

L’intestino crasso possiede nel suo spessore i plessi sottomucoso (di Meissner) e mioenterico (di Auerbach) che compongono il sistema metasimpatico, e costituiti da numerose fibre pregangliari e i nuclei gangliari diffusi. La loro attività è regolata dalle afferenze parasimpatiche, e in misura minore da quelle ortosimpatiche.

Il sistema ortosimpatico è organizzato nel plesso mesenterico superiore e inferiore, che innervano in distretti corrispondenti alle arterie omonime; il retto è innervato dal plesso ipogastrico. Il sistema parasimpatico è costituito soprattutto da fibre effettrici, responsabili della motilità e della secrezione, ma anche da fibre afferenti, responsabili della recezione di segnali chimici, meccanici e del dolore. Il tronco vagale dà origine al solo plesso parasimpatico mesenterico superiore, invece il territorio relativo all’a. mesenterica inferiore e retto è di competenza del parasimpatico sacrale. Il sistema nervoso autonomo, insieme ad altri fattori locali ed ormonali, è anche responsabile della regolazione del flusso sanguigno.

Lo sfintere anale esterno, volontario, è innervato da fibre del plesso pudendo (S2, S3, S4).

1.1d Struttura

L’intestino crasso è un viscere cavo, con una organizzazione abbastanza simile nei suoi diversi tratti, con le eccezioni dell’appendice (organo linfoide), della valvola ileocecale (presenta la mucosa su due fronti), del retto (assenza delle tenie) e del canale anale (epitelio di transizione, poi pavimentoso pluristratificato con segni di corneificazione).

La tonaca mucosa non presenta villi e la sua superficie è costituita da un epitelio cilindrico semplice formato da enterociti e da cellule caliciformi mucipare ad essi intercalate. Nel contesto dell’epitelio si possono osservare gli sbocchi delle ghiandole intestinali (o cripte di

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10

tipi cellulari in via di maturazione: sul fondo delle cripte, infatti, sono presenti le cellule staminali in riproduzione Nel contesto della lamina propria sono presenti anche follicoli linfatici solitari, ma sono assenti capillari linfatici. La muscolaris mucosae divide la lamina propria dalla sottomucosa.

La tonaca sottomucosa è costituita da tessuto connettivo lasso e nel suo contesto ci sono i capillari linfatici ed ematici. La presenza dai capillari linfatici a questo livello ha importanti implicazioni fisiopatologiche e cliniche per il carcinoma del colon-retto (vedi “3.1c Rischio di

invasione linfonodale nei polipi cancerizzati”).

La tonaca muscolare è costituita da fasci muscolari disposti con un orientamento circolare. Altri fasci, ad orientamento longitudinale, sono raggruppati nella formazione delle tre tenie; a livello della giunzione sigma-retto le tenie si esauriscono e la muscolatura longitudinale torna a disporsi su tutta la circonferenza.

Lo stato più esterno del viscere è costituito dalla tonaca sierosa (con epitelio mesoteliale) di origine peritoneale. Nelle zone di assenza della sierosa è presente l’avventizia, costituita da connettivo fibroso.

Figura 5 - Struttura microscopica del colon, con dettagli sulla mucosa e sulla muscolare propria

(12)

11

1.2 FISIOLOGIA DELL’INTESTINO CRASSO

2

Le principali funzioni del colon sono l’assorbimento di acqua ed elettroliti e il

contenimento del materiale fecale in vista della defecazione. La prima funzione è svolta

soprattutto dal colon prossimale (colon assorbente), la seconda soprattutto del colon distale (colon di deposito).

L’appendice non ha ruolo in queste funzioni, mantiene solamente una funzione immunitaria.

1.2a Assorbimento e secrezione

Attraverso la valvola ileocecale passano ogni giorno circa 1500ml di chimo: la funzione assorbente del colon permetterà di eliminare con le feci solide, con meno di 100ml di acqua. L’assorbimento dell’acqua è legato a quello degli di elettroliti, che crea un gradiente osmotico tale da permettere il passaggio di acqua attraverso le acqaporine. L’aldosterone aumenta l’attività di questi meccanismi di assorbimento fino alla capacità massima di 5-8 LH2O/die. Nel

colon avviene anche l’assorbimento di alcuni metaboliti prodotti dai batteri, come la vitamina K. La presenza di tight junctions a livello dell’epitelio impedisce la retrodiffusione delle sostanze assorbite.

A livello del colon di ha la secrezione di muco (funzione protettiva e aggregante del materiale fecale) e modeste quantità di ioni bicarbonato, secreti rispettivamente dalle cellule caliciformi e dagli enterociti. La secrezione del muco è regolata sia localmente da stimoli meccanici integrati dal plesso di Meissner, sia centralmente attraverso l’innervazione parasimpatica.

Il materiale fecale è il residuo dei processi di digestione, assorbimento e secrezione avvenuti in tutto il tubo digerente. Esso è composto da acqua, batteri, sostanze organiche non digeribili (come le fibre vegetali), sostanze inorganiche, cellule epiteliali intestinali morte e sostanze escrete dal fegato nella bile. Il flato origina prevalentemente dal metabolismo batterico (anidride carbonica, idrogeno e metano), ma anche dall’aerofagia e dalla diffusione nel lume intestinale dei gas disciolti nel sangue.

1.2b Motilità

Le cellule interstiziali di Cajal, nel contesto del plesso di Auerbach, funzionano da pacemaker, creando i potenziali elettrici trasmessi alle cellule muscolari. Quest’ultime, grazie alla presenza di gap junctions, creano un sincizio funzionale. Alcuni fattori facilitano la depolarizzano la membrana, e quindi la contrazione, come lo stiramento meccanico,

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12

l’acetilcolina derivante dal parasimpatico e alcuni ormoni. Altri fattori hanno l’effetto opposto, come l’adrenalina di origine surrenale o la noradrenalina di origine ortosimpatica.

I tre principali movimenti sono i movimenti di rimescolamento, propulsivi e la

defecazione.

I movimenti di rimescolamento servono a far entrare a contatto con la superficie assorbente tutto il contenuto luminale: il materiale fecale viene quindi scavato e rivoltato. La propulsione del materiale nel colon è legata sia ai lenti movimenti di rimescolamento, sia ad energetici movimenti di massa che fanno progredire velocemente il materiale (vera peristalsi). Avvengono solo in alcuni momenti della giornata, concentrati in 10 o 30 minuti e quando hanno spinto una considerevole quantità di feci nel retto viene il bisogno di defecare. Il retto a riposo è dunque vuoto e quando vi giungono le feci si innescano i riflessi della

defecazione. L’attivazione del parasimpatico sacrale attiva la peristalsi anche a monte,

facendo svuotare il colon discendente. A livello conscio si possono facilitare o inibire questi riflessi. La defecazione è inoltre favorita da manovre volontarie come l’accovacciamento e la contrazione della muscolatura addominale.

1.2c Microbiota

3

Nel colon è presente una grande quantità di microrganismi, raggiungono una densità veramente molto alta, fino a 1010 – 11 CFU per grammo di tessuto e rappresentano fino a un

terzo del peso secco delle feci. Il microbiota del colon è costituito principalmente da batteri, ma anche da fagi, virus, e alcuni funghi: si ha una grandissima variabilità microbica, fino a 10 000 phylotipi, perlopiù da anaerobi obbligati. Esso mostra anche una grande variabilità individuale, infatti è suscettibile a vari fattori come l’età, la dieta e lo stile di vita.

Il microbiota intestinale svolge molte funzioni fisiologiche sia nel piccolo che nel grande intestino:

• Compete con i microrganismi patogeni per l’adesione e produce molte sostanze antibatteriche

• Stimola e modula l’attività del sistema immunitario.

• Stimola la crescita delle cellule epiteliali promuovendo l’integrità di barriera. • Metabolizza sostanze non aggredibili dagli enzimi umani, producendo alcune

molecole molto utili che verranno poi assorbite: acidi grassi a catena corta (SCFA), amminoacidi essenziali, vitamine del gruppo B, vitamina K.

(14)

13

• Il microbiota svolge un ruolo essenziale nel funzionamento del circolo enteroepatico, particolarmente importante per la cinetica di alcuni farmaci. Il coinvolgimento del microbiota è rilevabile nella patogenesi di molte malattie, come le MICI, e in condizioni di disordine metabolico come l’obesità.

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14

2.

IL CARCINOMA DEL COLON-RETTO

2.1 EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE

Il carcinoma del colon-retto è un tumore molto diffuso nella popolazione: l’incidenza stimata da AIOM-ARITUM4 in Italia nel 2019 è di circa 88casi/100 000 negli uomini e di

70casi/100 000 nelle donne, rendendolo rispettivamente il terzo (14% dei tumori maschili) e il secondo (12% dei tumori femminili) tumore per incidenza. AIOM e ARITUM, infatti, stimano che nel 2019 siano stati diagnosticati circa 49 000 casi in Italia (27 000 nei maschi, 22 000 nelle femmine). Sempre secondo il rapporto AIOM-ARITUM, nel 2016 in Italia circa 20 000 decessi sono stati attribuiti al carcinoma colorettale, avendo rappresentato la seconda causa di morte per causa oncologica, secondo solo ai tumori di origine broncopolmonare. 481 000 persone vivono in Italia con una diagnosi pregressa di carcinoma del colon retto, di cui 168 000 da più di 10 anni.

La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi a cinque anni dalla diagnosi è del 66% per le lesioni coliche e del 62% per le lesioni rettali, senza significative differenze fra i sessi; la sopravvivenza a cinque anni è più alta nei giovani (69% negli under-45) rispetto agli anziani (54% negli over-75%), anche se il fattore che più influenza la prognosi è lo stadio della malattia alla diagnosi. La sopravvivenza a 10 anni è leggermente peggiore attestandosi rispettivamente al 64% e al 58%. Il carcinoma del colon-retto ha quindi una prognosi migliore rispetto ad altri tumori solidi, ma data la sua alta incidenza e prevalenza ha comunque un’alta mortalità.

Negli Stati Uniti sono stati registrati tassi di sopravvivenza e mortalità analoghi a quelli italiani {Siegel 20175}.

2.1a Fattori di rischio

Circa l’80% degli adenocarcinomi del colon-retto si sviluppano a partire da polipi adenomatosi che mostrano segni di displasia via via crescente: essi si possono definire delle lesioni precancerose (è stato calcolato che servono circa 10 anni perché un adenoma diventi adenocarcinoma). In ogni caso il carcinoma del colon-retto può insorgere anche direttamente dalla mucosa colica o rettale. Sono stati descritti molti fattori di rischio, modificabili e non

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15

modificabili, per l’insorgenza di adenomi e adenocarcinomi di colon-retto, di seguito analizzati {Amersi 20056}.

Fattori modificabili

Il carcinoma del colon-retto è fortemente correlato allo stile di vita occidentale: una dieta povera di fibre vegetali e ricca di farine raffinate, carne rossa o processata, il sovrappeso e l’obesità, l’inattività fisica, il consumo di alcol e il fumo sono tutti fattori di rischio modificabili oramai tipici di uno stile di vita che si è imposto negli ultimi 60 anni anche in Italia. In un’ottica di prevenzione primaria, quindi, si agire su questi fattori {Chan 20107}. È stato evidenziato

che anche l’assunzione di FANS (chemioprevenzione farmacologica) e calcio e Vitamina D sono fattori protettivi nei confronti del CCR {Marshall 20088}.

Fattori non modificabili

Molti dati epidemiologici evidenziano come il carcinoma del colon-retto si sviluppi di più nei maschi afroamericani e abbia il suo massimo picco nell’età compresa fra i 50 e i 79 anni, e in generale il 90% delle diagnosi si fanno in pazienti di più di 50 anni {Siegel 20149, 20175}.

Dunque età, sesso e razza devono essere presi in considerazione come fattori di rischio non modificabili.

Il carcinoma del colon retto si presenta nella popolazione con tre pattern: sporadico (circa il 75% dei casi), in presenza di familiarità (circa il 20%) ed ereditario (una quota residuale, circa il 5%): dunque il genoma individuale è importante nello sviluppo di questa patologia.

La familiarità è senza dubbio un fattore di rischio da prendere in considerazione durante l’anamnesi del paziente. Il paziente ha una significativa storia familiare quando sono stati diagnosticati polipi oppure il carcinoma in almeno un parente di primo grado prima dei 50 anni oppure in almeno due parenti di primo grado in qualsiasi età {St John 199310}.

Sindromi ereditarie

Esistono delle sindromi ereditarie, responsabili di una piccola parte dei carcinomi, che non possono essere ignorate; esse possono essere associate allo sviluppo di polipi (FAP) o meno (HNPCC). I soggetti con queste sindromi dovranno essere sottoposti a programmi di monitoraggio e follow-up. In alternativa può essere proposta la colectomia profilattica {Strate 200511}.

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16

La Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP) è una sindrome ereditaria autosomica dominante causata dalla mutazione del gene oncosoppressore APC {Grady 200312}.

L’eccessiva proliferazione provocherà la formazione di numerosi polipi (centinaia) e l’accumulo di mutazioni che porteranno al carcinoma. Questi soggetti sviluppano i polipi e i sintomi già in giovanissima età, e il carcinoma dai 40 anni.

La sindrome di Lynch, o cancro colorettale ereditario non associato a poliposi (HNPCC), è un complesso di sindromi ereditarie autosomiche dominanti causate dalla mutazione di uno dei vari geni del DNA-missmatch repair (MMR) {Lynch 199613}. Questi geni sono coinvolti

nella riparazione del DNA, dunque un loro malfunzionamento provoca l’accumularsi di diverse mutazioni; si andranno a selezionare quelle oncogeniche (attivazione oncogeni, inattivazione oncosoppressori), avviando l’iniziazione del cancro. Questa sindrome è correlata allo sviluppo di carcinomi anche in sedi extracoliche, soprattutto di competenza ginecologica (carcinoma endometriale e ovarico), ma anche dello stomaco, del piccolo intestino e del tratto urinario superiore {Watson 199314}.

Malattie infiammatorie croniche intestinali

Malattia di Crohn e Rettocolite ulcerosa (MICI o IBD) sono degli importanti fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma del colon-retto {Gyde 198815, Gillen 199416}; il rischio

dipende anche dalla durata, dall’estensione e dalla risposta alla terapia farmacologica {Zhou 21917}.

Uno studio di popolazione basato su una coorte di 5529 pazienti affetti da MICI ha calcolato un IRR (Incidence Rate Ratio) per lo sviluppo di CCR di 2,64 per la malattia di Crohn e di 2,75 per la colite ulcerosa {Bernstein 200118}.

2.1b Screening

1920

Per la sua grande rilevanza epidemiologica dai primi anni 2000 in Italia è stata avviata una campagna di screening di popolazione, garantita dai LEA, basata sulla ricerca del sangue occulto nelle feci (RSOF o FOBT) o sulla rettosigmoidoscopia (RSS, più raramente). Lo scopo dello screening è ridurre la mortalità del CCR, provvedendo:

• All’identificazione in fase precoce delle lesioni neoplastiche invasive, avviando precocemente il paziente in una adeguato percorso diagnostico-terapeutico.

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• Alla rimozione dei polipi adenomatosi, interrompendo la possibile progressione da adenoma a cancro.

Lo screening per il carcinoma del colon-retto non è dunque una misura di prevenzione primaria (volta a ridurre l’incidenza della malattia), ma di prevenzione secondaria (volta a ridurne la mortalità). Un’importante metanalisi ha dimostrato che una campagna di screening con RSOF è in grado di ridurre la mortalità per CCR del 16%, e se l’invito alla partecipazione è inviato a 10 000 persone (di cui solo due terzi partecipano), si riescono ad evitare 8,5 decessi in 10 anni {Hewitson 200721}.

Indicazioni allo screening

La ricerca del sangue occulto è offerta una volta ogni 2 anni a tutti i soggetti di età compresa fra i 50 e i 70 anni (74 in alcune regioni). Per quanto riguarda la rettosigmoidoscopia si raccomanda di farne una in età compresa fra i 58 e i 60 anni.

In alcune categorie di pazienti ad alto rischio non sono indicate le metodiche di screening, ma è necessario procedere direttamente con un monitoraggio con la colonscopia totale:

• In caso di familiarità o ereditarietà per CCR; • In caso di pazienti affetti di MICI;

• In caso di precedente diagnosi di CCR.

La ricerca del sangue occulto nelle feci basa il suo razionale sul fatto che molte lesioni precancerose e cancerose causano uno stillicidio ematico nel lume intestinale. Può essere effettuata con un test al guaiaco (gFOBT) o con metodo immunoistochimico (iFOBT): quest’ultimo si è rivelato essere più specifico e migliore dal punto di vista del rapporto costi/benefici.

La rettosigmoidoscopia è un’indagine endoscopica che basa il suo razionale sul fatto che circa il 65-70% dei polipi e dei carcinomi si trovano in questo tratto. L’RSS, rispetto alla RSOF, consente di rimuovere polipi o fare biopsie già durante l’indagine di screening. Nel caso di riscontro di lesioni precancerose o cancerose l’indicazione è ad eseguire una colonscopia totale.

Indagini di secondo livello

La colonscopia totale (CT – vedi “2.3a diagnosi e stadiazione”), nonostante sia il gold standard per lo studio del colon-retto, non è indicata per lo screening di popolazione a causa dei suoi costi e della sua invasività. Deve essere usata:

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18

• Nei soggetti ad alto rischio (vedi sopra, “Indicazioni allo screening”) • In coloro che risultano positivi ad indagini di primo livello (RSOF, RSS) • Se il medico ha un sospetto (p.e. paziente sintomatico, anemizzazione sospette).

In caso non si riuscisse a giungere al cieco, oppure il paziente rifiuti la colonscopia, si può proporre al paziente un RX d.c. oppure una colonscopia virtuale.

Se la colonscopia è negativa il paziente continuerà a seguire il programma di screening con RSOF. In presenza di lesioni sospette verrà effettuata una biopsia o un’escissione (come nel caso di piccoli polipi che vengono asportati).

Se l’esame istologico di un polipo risulta negativo per un carcinoma invasivo, il paziente rientra nel monitoraggio del programma di screening. In caso, invece, di una lesione invasiva la gestione dovrà essere discussa per essere più adeguata possibile: sarà necessaria un’accurata stadiazione e una valutazione multidisciplinare.

2.2 ONCOGENESI

22

Il colon e il retto sono interessati da diversi tipi di neoplasie (tumori neuroendocrini, GIST, sarcomi, linfomi), ma l’adenocarcinoma è il tipo istologico assolutamente prevalente, e questi tumori sono l’oggetto di studio di questa tesi.

2.2a Sviluppo del polipo adenomatoso

I polipi si presentano come delle escrescenze della mucosa che interessano il lume. Possono essere di varia natura istologica (adenomatosi, infiammatori, iperplastici, amartomatosi). La maggior parte degli adenocarcinomi si sviluppa a partire dai polipi adenomatosi.

Il primo evento che determina lo sviluppo degli adenomi è la disattivazione di entrambe le copie del gene APC (Adenomatosus Polyposis Coli, locus 5q21) attraverso eventi di mutazione o epigenetici (con la FAP una delle copie è già mutato, bypassando un passaggio del processo – vedi “2.1a Fattori di rischio”). APC lega la β-catenina (gene della via del WNT) promuovendone la degradazione: la perdita di funzione di APC provoca l’accumulo della β-catenina che traslocherà nel nucleo formando, insieme a TCF un fattore di trascrizione per vari geni coinvolti nella proliferazione, compresi MYC e la ciclina D1. In alternativa si possono sviluppare mutazioni della β-catenina che impediscono il legame con APC, ma che ne

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conservino la funzione di promotore della proliferazione. Altre mutazioni sono associate agli adenomi in fasi diverse della loro crescita (KRAS, locus 12p12, è mutato nel 10% degli adenomi inferiori a 1cm, ma nel 50% di quelli superiori a 1cm).

2.2b Sviluppo dell’adenocarcinoma

L’adenocarcinoma si sviluppa per un accumulo progressivo, a vari tempi, di mutazioni che vanno ad agire sui geni oncogeni (acquisizione di funzione) e oncosoppressori (perdita di funzione). La progressione neoplastica associata agli adenomi è legata a mutazioni, eventi epigenetici o grandi delezioni cromosomiche. Il gene oncosoppressore TP53 (locus 17p13) è mutato 70-80% dei carcinomi del colon.

In questo processo la lesione acquista diverse caratteristiche morfologiche ed istologiche successive che portano dallo sviluppo dell’adenoma, alla presenza di displasia di grado via via crescente, fino all’invasione della sottomucosa (polipo cancerizzato).

I pazienti con deficit degli enzimi riparazione dei missmatch del DNA (tipiche dell’HNPCC) sono suscettibili ad accumulare ripetizioni dei microsatelliti (MSI, Instabilità dei MicroSatelliti): tali ripetizioni si possono accumulare nelle sequenze promotrici o codificanti di alcuni geni coinvolti nella regolazione della replicazione cellulare, come TGFβ tipo II, BAX

o BRAF. Queste alterazioni sono tipiche degli adenomi serrati e dei tumori che da essi

originano. I tumori con MSI hanno spesso una differenziazione mucinosa e un importante infiltrato linfocitario.

2.2c Crescita e diffusione

Gli adenocarcinomi si sviluppano si sviluppano in tutto il tratto del colon-retto anche se con morfologia e correlati clinici solitamente diversi. Nel colon destro tendono a crescere come una massa polipoide esofitica, con ulcerazioni e stillicidio ematico: a questo livello raramente danno occlusione intestinale, anche perché il contenuto luminale a questo livello è liquido o semiliquido. Nel colon di sinistra e nel retto si ha una crescita circonferenziale e anulare: i tumori tendono a restringere il lume, provocando occlusione intestinale e difficoltà nella progressione della sonda endoscopica. Spesso si ha una reazione stromale che porta questi tumori ad avere una consistenza dura.

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20

Le cellule possono avere diversi gradi di differenziazione (Grading), ma nella maggior parte dei casi sono ben differenziate, con aspetti morfologici simili a quelli degli adenomi; esse possono avere anche una morfologia di anello con castone, oppure presentare una differenziazione neuroendocrina. La produzione di mucina è associata a una peggiore prognosi.

Diffusione per contiguità

Gli adenocarcinomi del colon-retto tendono a crescere lungo la parete del viscere (estendendosi prossimalmente e distalmente) e in maniera radiale (invadendo le varie tonache della parete intestinale e gli organi adiacenti). In alcuni casi si possono creare tramiti fistolosi con alcuni visceri cavi o con la cute, sono situazioni gravemente compromesse, con prognosi infausta per il paziente.

Diffusione per via linfatica

Soprattutto negli stadi iniziali della malattia la valutazione dell’invasione linfonodale è un punto cruciale per la scelta della gestione della malattia. Con l’invasione della sottomucosa (T1) si giunge ai vasi ematici e linfatici, e ciò permette la metastatizzazione delle cellule. Questo è un punto cruciale per la gestione dei polipi cancerizzati, ed è l’oggetto di questa tesi.

I primi linfonodi coinvolti sono quelli prossimi al viscere (vedi “1.1b Vascolarizzazione –

drenaggio linfatico”). Spesso si tratta di micrometastasi asintomatiche, che non hanno un

riscontro nell’imaging, e che possono essere escluse solo dall’esame istologico.

Le metastasi ai linfonodi sono spesso causa di recidiva regionale e sistemica della malattia, per cui un intervento di resezione oncologicamente radicale non si può esimere da una adeguata linfadenectomia, la quale può svolgere sia una funzione diagnostica, profilattica e terapeutica.

Via ematica

Il carcinoma del colon-retto può dare metastasi sistemiche. Le sedi più comuni sono il fegato e i polmoni, ma anche altre sedi come le ossa (specie lo scheletro assiale). Il fegato è una sede preferenziale di metastatizzazione in virtù del circolo portale. A livello del retto buona parte del sangue è drenato dal sistema cavale: in questi casi è comune avere le metastasi polmonari.

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Le metastasi sistemiche possono sfuggire all’imaging durante il processo di stadiazione clinica: a differenza delle micrometastasi linfatiche (per le quali nel sospetto si svolge una linfadenectomia radicale), queste vedono nella terapia medica e nel follow-up le principali armi di terapia e prevenzione.

Via celomatica

Il carcinoma del colon-retto può diffondersi anche attraverso la cavità peritoneale, nonostante questa sia una modalità di diffusione più tipica di altri tumori (ovaio, pancreas, stomaco). Quando il tumore giunge alla sierosa alcune cellule possono staccarsi dal tumore primitivo e andarsi a inseminare in altre sedi raggiunte dal peritoneo.

2.3 CLINICA

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2.3a Diagnosi e stadiazione

Fare una corretta diagnosi rappresenta il primo passo per indirizzare il paziente ad una corretta terapia. Il clinico ha a disposizione molte indagini diagnostiche che deve sapere usare in maniera corretta, evitando al paziente esami inutili, costosi e che lo possono esporre a vari rischi. Il medico, inoltre, deve rendere il paziente consapevole della propria malattia e del percorso diagnostico-terapeutico proposto, portando il paziente a dare in maniera informata il proprio consenso.

Si può giungere alla diagnosi del carcinoma quando egli è ancora asintomatico (diagnosi fortuite, nel contesto dello screening, oppure nel monitoraggio degli individui a rischio). In alternativa la diagnosi può occorrere nel paziente sintomatico: i sintomi possono essere sistemici (calo ponderale, anemia, astenia), o locali (alterazioni dell’alvo, emorragie, dolore). Al sospetto clinico segue CCR una colonscopia, che è il gold standard per lo studio del colon-retto. La colonscopia permette di fare biopsie delle lesioni che consentiranno una diagnosi istologica della lesione. Un’adeguata stadiazione della lesione permetterà al Gruppo Oncologico Multidisciplinare di scegliere l’approccio terapeutico migliore.

Anamnesi

È necessario condurre una buona e profonda anamnesi che non indaghi solo i sintomi, ma che tenga conto anche degli stili di vita, delle patologie pregresse, della terapia domiciliare e della familiarità di diverse malattie. I principali sintomi del malato con carcinoma colorettale sono il dolore, le alterazioni dell’alvo (tipica la stipsi da lesioni sinistre

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22

o rettali) e l’emorragia (tipiche delle lesioni destre). Esistono anche altri sintomi che devono far pensare ad una patologia del colon-retto, come la sensazione di non aver svuotato completamente l’intestino dopo l’evacuazione, il tenesmo e un recente calo ponderale ingiustificato.

Esame obiettivo

L’esame obiettivo deve essere svolto con scrupolo e attenzione, che deve coinvolgere tutto l’addome. Durante l’ispezione bisogna notare a livello cutaneo la presenza di lesioni di varia natura, come tumefazioni o ematomi. Si deve studiare la forma dell’addome l’atteggiamento del paziente. All’auscultazione si deve valutare la peristalsi e alla percussione la presenza di meteorismo o di aria libera in addome.

La palpazione permette di giudicare l’atteggiamento del paziente nei confronti del dolore. Alla palpazione superficiale e profonda si devono ricercare delle tumefazioni, di cui si deve apprezzare la consistenza, dimensione, mobilità e pulsatilità.

L’esplorazione rettale è un esame fondamentale per lo studio delle patologie del retto. Normalmente l’ampolla rettale non contiene feci per cui è facilmente studiabile dal dito esplorante. L’esplorazione rettale può evidenziare melena, rettorragia e le lesioni organiche: fino a un terzo dei carcinomi del colon-retto sono localizzati in questa zona.

Colonscopia

La colonscopia è il gold standard per lo studio del colon-retto, ed è l’esame di secondo livello per lo screening. Essa prevede l’introduzione del colonscopio per il canale anale e la sua progressione fino al cieco, studiando la parete interna del retto e del colon. La colonscopia ha anche una funzione operativa, per esempio permette di effettuare polipectomie o biopsie. Visto il basso tasso di complicanze gravi, ed essendo un esame sensibile e specifico, la colonscopia rientra abbastanza presto nel percorso diagnostico del malato colorettale {Fisher 201124}.

La progressione dello strumento può estendersi fino al cieco (pancolonscopia o coloscopia totale), oppure arrestarsi prima: si parla, per esempio, di rettosigmoidoscopia o colonscopia sinistra. L’esame può anche progredire oltre la valvola ileocecale, per gli ultimi 20cm dell’ileo (pancolon-ileoscopia).

È un esame poco gradito dal paziente a causa della preparazione prima, del dolore durante e della flatulenza dopo l’esame. Per questo molti pazienti preferiscono effettuare l’esame in sedazione.

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È certamente molto importante la visualizzazione macroscopica della mucosa, che permette di valutare la sede, morfologia e dimensioni di molte lesioni. Alcuni strumenti possiedono una sonda ecografica per valutare la parete a tutto spessore e per anche alcune strutture prossime ad essa (come i linfonodi periviscerali).

Essa, inoltre, permette di effettuare biopsie e rimozioni di polipi (polipectomia endoscopica) che consentono di avere anche una diagnosi istologica della lesione.

Il clisma opaco con doppio contrasto e la colonscopia virtuale possono essere utili in fase di diagnosi: sono esami molto sensibili che evidenziano bene le lesioni organiche. Hanno il problema di non essere esami operativi e non consentono biopsie o polipectomie.

Stadiazione

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La stadiazione del tumore è molto importante per l’approccio clinico al paziente, sia in termini prognostici. La stadiazione, quindi, ha anche un forte valore in termini prognostici: basti pensare che la sopravvivenza media a 5 anni negli USA è del 65%, ma essa varia da più del 90% al 40% a seconda degli stadi.

È importante distinguere la stadiazione clinica (preoperatoria, che si avvale delle biopsie e dell’imaging), rispetto a quella patologica, che viene effettuata dall’anatomopatologo sul pezzo operatorio. Le tecniche di imaging, dunque, sono molto usate durante la fase diagnostica e decisionale:

• L’ecografia è molto utile per lo studio dell’addome e delle pareti dei visceri, ma ha comunque dei limiti intrinseci per lo studio dell’intestino legati alla presenza di gas nel lume e all’operatore-dipendenza.

• La TC total body con mdc è usata per l’individuazione di eventuali metastasi, specie a livello polmonare ed epatico. Permette anche di studiare bene l’addome e il grado di invasione locale di un tumore. Il suo grande limite è il rischio connesso alla radioesposizione (8-15 mSv per una TC addome con mdc).

• La risonanza magnetica può essere considerato un esame complementare alla TC. Essa studia molto bene l’invasione locale, ed è quindi molto importante per studiare il parametro T specie per le lesioni del retto. Sebbene non ci sia rischio legato alla radioesposizione, il paziente può soffrire questo esame per la claustrofobia e il rumore. • La PET con FDG è meno in questa fase, ma permette di individuare precocemente delle

(25)

24 Classificazioni di Dukes e di Astler-Coller

La classificazione di Dukes (1932) e in seguito quella di Astler-Coller, sono stati i primi tentativi di stadiare questi tumori, ponendo l’accento sull’invasione tissutale, linfonodale e sistemica. Queste due classificazioni hanno un valore più che altro storico, perché nella clinica si preferisce usare la classificazione TNM e la stadiazione AJCC [tab 4].

Classificazione TNM e stadiazione AJCC

La classificazione TNM, proposta per la prima volta nel 1946 e poi modificata, studia i tre principali parametri di invasione del tumore in maniera indipendente: il tumore primitivo [tab 1], i linfonodi regionali [tab 2] e le metastasi a distanza [tab 3]. Ad ognuno di questi parametri viene attribuito un valore a seconda della progressione del tumore. Se la classificazione e stadiazione è clinica si parla di cTNM, se è patologica si parla di pTNM.

Tumore Tx Tumore non valutabile

T0 Assenza tumore

Tis Displasia di alto grado o Carcinoma in situ/intramucoso: entro la mucosa T1 Invasione della sottomucosa

T2 Invasione della muscolare propria, senza il suo attraversamento T3 Attraversamento muscolare propria

T3a Invasione <0,1cm oltre la muscolare propria T3b Invasione 0,1-0,5cm oltre la muscolare propria T3c Invasione 0,5-1,5 cm oltre la muscolare propria T3d Invasione >1,5cm oltre la muscolare propria

T4 Invasione degli organi adiacenti o peritoneo viscerale T4a Invasione peritoneo viscerale

T4b Invasione altri organi o strutture

Tabella 1 - Classificazione TNM, parametro T

Per i tumori del retto classificati come T3 (e che quindi giungono nel grasso perirettale), la risonanza magnetica studia la distanza minima fra il margine della lesione e la fascia mesorettale, definendo il CRM (margine di resezione circonferenziale). Ponendo come soglia per questa distanza 1mm, si definisce:

• T3 CRM- se è maggiore di 1mm • T3 CRM+ se è minore di 1mm

Linfonodi Regionali

Nx Linfonodi non valutabili (numero minimo di linfonodi per essere valutati: 12) N0 Linfonodi regionali liberi da metastasi

N1 1-3 linfonodi regionali coinvolti da metastasi N1a Metastasi in un unico linfonodo

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25 N1c

Assenza metastasi ai linfonodi regionali, ma coinvolgimento della sottosierosa, del mesentere, dei tessuti pararettali o pericolici non peritonealizzati

N2 4 o più linfonodi coinvolti da metastasi N2a Metastasi in 4-6 linfonodi regionali N2b Metastasi in 7 o più linfonodi regionali

Tabella 2 - Classificazione TNM, parametro N

Metastasi a distanza Mx Metastasi a distanza non valutabili M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Presenza di metastasi a distanza

M1a Metastasi circoscritte a un singolo organo o sito (anche linfonodo distante) M1b Metastasi a più di un organo

M1c Diffusione celomatica della malattia

Tabella 3 - Classificazione TNM, parametro M

La classificazione TNM è stata definita dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC) e viene usata per stadiare questi tumori [tab 4]: a seconda dei parametri studiati il tumore viene ripartito nei vari stadi. È importante sottolineare come basti avere un linfonodo positivo per essere già in stadio III (con forte impatto sulla prognosi), oppure una metastasi a distanza per essere in stadio IV.

Stadiazione AJCC Classificazione

di Astler-Coller

Classificazione di Dukes

STADIO CLASSIFICAZIONE TNM

Tumore Linfonodi Metastasi

0 Tis N0 M I T1 N0 M0 A A T2 N0 M0 B1 II IIA T3 N0 M0 B2 B IIB T4a N0 M0 IIC T4b N0 M0 B3 III IIIA T1, T2 Qualunque N1 M0 C1 C T1 N2a M0 IIIB T2 N2a M0 T1, T2 N2b M0 T3 N2a M0 C2 T3, T4a Qualunque N1 M0 IIIC T4a N2a M0 T3, T4a N2b M0 T4b N1, N2 M0 C3 IV

IVA Qualunque T Qualunque N M1a

D D

IVB Qualunque T Qualunque N M1b IVC Qualunque T Qualunque N M1c

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2.3b Terapia

25,26

Scelta terapeutica

Si tratta di pazienti complessi, per i quali l’approccio di un unico specialista non può essere sufficiente. La terapia proposta, dunque, è valutata dal GOM (Gruppo Oncologico Multidisciplinare) che deve seguire il paziente in tutto il suo percorso oncologico.

Le decisioni prese non possono prescindere da una corretta stadiazione della malattia. Inoltre bisogna sempre valutare le comorbidità (la classificazione ASA è molto importante ai fini dell’indicazione chirurgica), le situazioni socio-economiche, l’aspettativa di vita.

Molti esami di routine aiutano i medici nella gestione clinica del paziente ospedalizzato, come la RX torace e l’emocromo. Si valuta poi il CEA, che sarà utile anche durante il follow-up.

La terapia può avere vari obiettivi: dall’obiettivo curativo negli stadi iniziali, fino alla palliazione quando le condizioni cliniche lo impongono. Esistono vari strumenti terapeutici a disposizione: la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia. Chemio e radioterapia possono esseri usati in associazione alla chirurgia ad uno scopo adiuvante o neoadiuvante. In alternativa, quando la malattia è metastatica e non aggredibile chirurgicamente, la chemioterapia è la scelta terapeutica primaria.

Terapia chirurgica

Chirurgia del tumore primitivo

A seconda dello stadio e della posizione del tumore sono state proposti vari interventi chirurgici: possono essere interventi di chirurgia endoscopica, a cielo aperto, in laparoscopia, di chirurgia robotica oppure con tecniche combinate (es. laparoscopia assistita endoscopicamente). Dunque i tipi di chirurgia usata sono:

• Escissione locale, usata negli stadi iniziali (come un polipo cancerizzato a basso rischio). Solitamente sono operazioni da poter fare in endoscopia, in microchirurgia transanale o con tecniche miste (endolaparoscopia) {ESMO guidelines 202027}.

• La chirurgia radicale prevede la resezione del tratto di intestino interessato, con un margine libero di almeno 5cm; inoltre è necessario rimuovere i linfonodi locoregionali associati. A seguito della resezione si può creare una stomia per l’espulsione del materiale fecale e/o eseguire un’anastomosi per ripristinare la continuità intestinale. La stomia può essere definitiva o momentanea (in attesa di eseguire l’anastomosi, oppure in protezione della stessa). A seconda della localizzazione e del numero di tumori si possono effettuare diversi interventi, di cui i principali sono:

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27 o Colectomia totale;

o Emicolectomia (destra o sinistra); o Colectomia parziale o segmentaria; o Proctocolectomia;

o Resezione anteriore del retto, che non prevede la rimozione dell’ano;

o Amputazione addomino-perineale (o intervento di Miles), che prevede la rimozione anche dello sfintere anale.

Gli ultimi due casi sono interventi che riguardano il retto e prevedono l’Escissione Totale del Mesoretto (TME). In generale gli interventi di escissione locale sono molto meno invasivi rispetto agli interventi di chirurgia radicale, sia in termini di complicanze che di sequele. Gli interventi radicali possono essere la causa di importanti cambiamenti nella qualità della vita del paziente (es. una colonstomia).

Le operazioni di chirurgia radicale sono dunque suscettibili di molte complicanze, fra le quali {Pak 202028}:

• adesioni e ostruzioni del piccolo intestino (SBO, small intestinal obstruction) e/o ileo post-operatorio;

• episodi tromboembolici; • infezioni;

• port site metastases (metastasi nella parete addominale, nei i siti di inserimento dei trocar per la chirurgia laparoscopica e robotica);

• leakege anastomotico; • ischemia intestinale.

Queste complicanze sono più comuni in pazienti di età avanzata e con patologie pregresse, soprattutto di ordine respiratorio e cardiovascolare. La comparazione fra chirurgia a cielo aperto, laparoscopica e assistita da robot ha inoltre evidenziato come quest’ultima sia la meno invasiva in termini di complicanze e mortalità perioperatoria {Sheng 201829}.

Una metanalisi {Panis 201130} che ha studiato più di 84 000 pazienti ha studiato la

mortalità postoperatoria a 30 giorni (POM), con una media è del 5% (2% dopo laparoscopia, 6% dopo chirurgia a cielo aperto), con alcuni fattori di rischio associati ad una più alta mortalità, quali:

• età >70 anni;

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28 • necessità della chirurgia d’emergenza; • metastasi epatiche sincrone;

• malnutrizione preoperatoria.

Chirurgia delle metastasi

Il carcinoma del colon-retto è uno dei pochi tumori per il quale si effettua la chirurgia delle metastasi: alcuni di questi tumori, infatti, sono oligometastatici, il che li rende dei candidati ideali alla chirurgia. Si possono fare resezioni delle metastasi sia a livello epatico (lobectomia epatica, chirurgia di risparmio d’organo), sia a livello polmonare.

Terapia medica

La terapia medica è molto importante sia in associazione con la chirurgia (neoadiuvante e adiuvante) sia quando è primaria e dunque non c’è indicazione alla chirurgia. La terapia neoadiuvante ha come principali obbiettivi il downsizing (riduzione delle dimensioni del tumore) e il downstaging (riduzione dello stadio) in vista della chirurgia. La terapia adiuvante, post-operatoria, ha come obiettivo l’uccisione di eventuali cellule residue e la prevenzione di una recidiva.

Chemioterapia31

Per il CCR sono stati approvati molti farmaci usati in diverse associazioni, di cui le più comuni sono la FOLFOX (5-FluoroUracile, Leucovirina e Oxaliplatino) e la CAPOX (o XELOX, Capecitabina e Oxaliplatino). Questi farmaci posso avere vari effetti collaterali da non sottovalutare, come disturbi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea) e la mielodepressione (anemia, leucopenia). Inoltre il deficit di DPD è una controindicazione alla somministrazione di 5FU, pertanto dovrà essere valutato prima della somministrazione.

Un tipico farmaco antiangiogenetico usato per questi tumori è il Bevacizumab (antiVEGF); si usano anche inibitori dell’EGFR come il Cetuximab.

Radioterapia32

In questi tumori si può usare la radioterapia transaddominale o la brachiterapia (quest’ultima soprattutto per i tumori del retto). La radioterapia, in alcuni casi, può sostituire la chirurgia per il controllo locale e regionale della malattia.

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29

Le tecniche più usate sono la RT conformazionale 3D (con 3 o 4 fasci entranti) o la RT a intensità modulata con VMAT. La dose totale di irradiazione è di 45-50 Gy con frazionamento convenzionale (1,8-2 Gy per frazione) o di 25 Gy con ipofrazionamento (5 Gy per frazione).

I principali effetti collaterali della radioterapia sono l’infiammazione e il danno attinico della mucosa intestinale (con associato dolore, enterite, tenesmo, emorragia) e il danno cutaneo nelle sedi irradiate.

2.3c Follow-up

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Questi pazienti devono essere sottoposti a follow-up, i cui punti cardine sono: • Valutazione clinica (in associazione al CEA), minimo ogni sei mesi

• Colonscopia: permette di monitorare i casi di recidiva locale, e di monitorare tumori sincroni e metacroni:

o Completamento della colonscopia entro un anno (se non era stato possibile fare una pancolonscopia alla diagnosi).

o Quest’esame endoscopico è indicato entro 1-2 anni dalla rimozione di un polipo adenomatoso (soprattutto se presente un carcinoma in situ o invasivo), poi ogni 5 anni.

• Almeno 2 TC total body nei primi 3 anni per la valutazione della recidiva locale e di eventuali metastasi.

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3

GESTIONE DEI POLIPI CANCERIZZATI

3.1 I POLIPI

3.1a Riconoscimento e classificazione dei polipi adenomatosi e cancerizzati

La maggior parte degli adenocarcinomi del colon-retto nascono da polipi adenomatosi, che quindi sono da considerarsi lesioni precancerose. I polipi adenomatosi sono solitamente asintomatici, ma possono essere fonte di sanguinamento per il paziente. Dato il loro potenziale di degenerazione maligna, se vengono trovati in colonscopia è indicata la loro rimozione e l’analisi istologica {ESGE guidelines 201734}. Quando su di un polipo si sviluppa

un adenocarcinoma invasivo, esso viene definito polipo maligno oppure polipo cancerizzato. È importante conoscere le caratteristiche endoscopiche e istologiche che possono indicare la loro trasformazione e il loro grado di invasione.

Tutte le classificazioni hanno come primo scopo quello di fornire un linguaggio universale, per permettere una comunicazione chiara in ambito scientifico e clinico.

Classificazione anatomopatologica

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Nonostante siano i polipi adenomatosi i veri protagonisti dello sviluppo del CCR, la conoscenza dei polipi non adenomatosi è importante in un’ottica di diagnosi differenziale:

• I polipi iperplastici sono legati ad un accumulo di cellule mature, che tendono a non esfoliare.

• I polipi infiammatori si formano spesso nel contesto di un’ulcera infiammatoria del retto, associandosi spesso a rettorragia e mucorrea.

• I polipi amartomatosi sono lesioni legate ad anomalie dello sviluppo, con causa genetica, spesso legati a delle sindromi ereditarie. Queste lesioni hanno un potenziale di trasformazione maligna, anche se basso. È importate la sindrome di Peutz-Jeghers, causata principalmente dalla mutazione di STK11, caratterizzata da lesioni iperpigmentate a livello cutaneo e da polipi amartomatosi a livello intestinale. I soggetti con questa sindrome hanno circa 40% di probabilità di ammalarsi di tumore, e per questo devono essere sottoposti a controlli frequenti {Beggs 201035}.

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31 I polipi adenomatosi

I polipi adenomatosi sono molto diffusi, raggiungendo una prevalenza del 30% negli adulti occidentali intorno ai 60 anni. Sono di dimensioni variabili, da 0,3 a 10 cm, con una morfologia peduncolata o sessile; esistono, poi, di una morfologia piatta o depressa.

Gli adenomi colorettali sono caratterizzati da aree di displasia epiteliale, con alterazioni della morfologia delle cellule che ne caratterizzano il grado. Le cellule prendono una forma allungata, con nuclei ipercromatici e nucleoli evidenti. Si ha un’evidente alterazione del rapporto nucleo/citoplasma, il quale appare più eosinofilo: le cellule, infatti, hanno una maggiore difficoltà a maturare nella loro migrazione dalle cripte alla superficie.

Dal punto di vista istologico possono essere classificati in adenomi tubulari, villosi e tubulovillosi [fig 6]. La caratteristica disposizione serrata delle ghiandole è tipica sia dei polipi iperplastici, sia dei polipi adenomatosi sessili (SSP, Polipi Serrati Sessili – vedi dopo “Classificazione WASP”).

Figura 6 - Adenomi tubulari, tubulo-villosi e villosi

Classificazione di Vienna36

La classificazione di Vienna, utilizzata anche per altri distretti del tratto digerente, descrive dal punto di vista anatomopatologico la lesione secondo le caratteristiche displastiche:

1. Negativo per displasia 2. Sospetto per displasia 3. Displasia di basso grado

4. Displasia di alto grado (carcinoma in situ o intramucoso)

5. Carcinoma invasivo (giunge alla sottomucosa): polipo cancerizzato, o maligno. Ulteriori classificazioni e caratteristiche anatomopatologiche dei polipi cancerizzati saranno descritte in seguito (vedi “3.1c Rischio di invasione linfonodale”).

(33)

32

Classificazioni endoscopiche

37

L’applicazione della colonscopia nei processi diagnostici e terapeutici ha portato alla descrizione di molte caratteristiche dei polipi, che poi sono state organizzate in diverse classificazioni.

Classificazioni di Parigi e Kyoto

Dal punto di vista endoscopico due consensus conference (Parigi 200238 e Kyoto 200839),

hanno stabilito una classificazione per descrivere dal punto di vista morfologico tutte le lesioni neoplastiche superficiali (tipo 0). Essa distingue le lesioni in elevate, piatte ed escavate:

• Tipo 0-I – lesioni superficiali elevate (polipi): o Tipo 0-Ip: polipi peduncolati

o Tipo 0-Is: polipi sessili

• Tipo 0-II – lesioni superficiali piatte: o Tipo 0-IIa: lesioni piatte ed elevate o Tipo 0-IIb: lesioni completamente piatte o Tipo 0-IIc: lesioni depresse superficialmente • Tipo 0-III – le lesioni superficiali scavate e ulcerate

Vengono previste pure lesioni miste, indicate come somma dei codici che le compongono [fig 7]. È importante sottolineare la classificazione endoscopica di Parigi è valida per tutti i distretti del tratto digerente. Le lesioni tipo I (lo “0” si può omettere) sono quelle a prognosi migliore, con minor probabilità di invasione e metastasi e più facilmente resecabili endoscopicamente40. Da questi punti di vista le tipo II e III sono peggiori. Nel colon-retto le

lesioni più diffuse sono le tipo I e tipo II, le tipo III sono più rare.

Figura 7 - La classificazione di Parigi

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33 Classificazione di Kudo (2001)

In endoscopia si possono usare dei coloranti (come la soluzione di Lugol, il blu di metilene, il blu di todulina, l’indaco carminio, l’acido acetico, il rosso Congo) per evidenziare alcune caratteristiche superficiali della mucosa: questa tecnica si chiama cromoendoscopia. La magnificazione endoscopica permette di vedere attraverso la mucosa del colon, translucida.

L’uso combinato delle due tecniche (magnificazione endoscopica + cromoendoscopia) prende il nome di Enhanced Magnification Endoscopy (EME). Lo studio dei polipi del colon-retto questa tecnica permette di studiare in vivo, già all’endoscopia, la struttura dei pattern ghiandolari (pit pattern). La classificazione di Kudo organizza i polipi secondo i pit pattern [fig 8], evidenziando come alcune strutture abbiano più probabilità di essere lesioni maligne {Kudo 200141, Shibagaki 202042}:

• Pit pattern tipo I: ghiandole piccole e regolari – non neoplastiche

• Pit pattern tipo II: ghiandole stellate ampie e regolari – non neoplastiche • Pit pattern tipo III S: ghiandole tubulari piccole e tondeggianti – adenoma • Pit pattern tipo III L: ghiandole tubulari e allungate – adenoma

• Pit pattern tipo IV: ghiandole ramificate – adenoma con possibilità di progressione • Pit pattern tipo V – lesione invasiva:

o Tipo Vi: ghiandole irregolari

o Pit pattern tipo Vn: ghiandole destrutturate

Figura 8 - Classificazione di Kudo

S, Kudo, Rubio Ca, Teixeira Cr, Kashida H, and Kogure E. “Pit Pattern in Colorectal Neoplasia: Endoscopic Magnifying View.” Endoscopy, April 2001. https://doi.org/10.1055/s-2004-826104

Classificazioni NICE, JNET e WASP

La tecnologia endoscopica dell’imaging a banda stretta (NBI, Narrow Band Imaging) consiste nell’assorbimento solo di specifiche lunghezze d’onda della luce, rendendo possibile

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una colorazione elettronica dell’immagine. Questa tecnologia ha consentito un ulteriore approfondimento delle caratteristiche endoscopiche dei polipi, che ha portato a diverse classificazioni (NICE, JNET, WASP) {Tanaka 201143}.

La classificazione NICE (Narrow-band imaging International Colorectal Endoscopic

classification) si basa sugli aspetti superficiali e vascolari evidenziati dalla NBI. Viene

usata per polipi di piccole dimensioni (massimo 10mm), e divide i polipi in tre tipi [fig 9]: • Tipo I: polipi iperplastici; i polipi sono chiari, con una vascolarizzazione leggera.

• Tipo II: polipi adenomatosi; i polipi sono ipercromici, con importante presenza del pattern vascolare.

• Tipo III: polipi cancerizzati; in questo caso i polipi sono di colore brunastro, con chiazze più chiare, e superficie amorfa. La classificazione NICE ha anche un valore nel predire l’invasione della sottomucosa da parte dei carcinomi invasivi. Infatti il tipo III si può dividere in:

o Tipo IIIa: invasione della sottomucosa entro i primi 1000µm

o Tipo IIIb, con perdita della rete capillare: invasione della sottomucosa oltre i 1000µm

Figura 9 - Classificazione NICE

Sano, Yasushi, et al. “Narrow‐band Imaging (NBI) Magnifying Endoscopic Classification of Colorectal Tumors Proposed by the Japan NBI Exper

La classificazione JNET (Japan NBI Expart Team) {Sano 201644} può essere considerata un

perfezionamento della NICE, che distingue il tipo II in [fig 10]: • Tipo IIa: adenomi

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• Tipo IIb: displasie di alto grado, o carcinomi invasivi SM1 (invasione primo terzo della sottomucosa).

Figura 10 - Classificazione JNET

Sano, Yasushi, et al. “Narrow‐band Imaging (NBI) Magnifying Endoscopic Classification of Colorectal Tumors Proposed by the Japan NBI Exper

Le lesioni sessili serrate (SSL), note anche come polipi sessili serrati (SSP) o adenomi sessili serrati (SSA), sono caratterizzate da un pattern seghettato delle ghiandole (pattern presente anche in alcuni polipi iperplastici). Le SSL sono delle lesioni che, come gli altri adenomi, sono precursori del carcinoma colorettale; esse, infatti, sono ritenute responsabili di una percentuale del 15-30% dei CCR. La classificazione WASP (Workgroup on serrAted polypS and

Polyposis)45, basata sulla tecnologia NBI, si applica ai polipi indicati come iperplastici e

adenomatosi (tipo I e II secondo classificazione NICE): alcune caratteristiche morfologiche sono in grado di identificare queste lesioni già in endoscopia [fig 11].

Figura 11 - Classificazione WASP

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3.1b Polipectomia

La polipectomia consiste nella rimozione di un polipo dalla mucosa del colon o del retto ed ha un ruolo sia diagnostico che profilattico nei confronti del CCR. Nel contesto delle campagne di screening è stato evidenziato che la polipectomia profilattica riduce nel lungo termine la mortalità del 53% per CCR {Zauber 201246}.

Esistono diverse tecniche chirurgiche di rimozione di un polipo, alcune si attuano in endoscopia, altre con tecniche combinate di endoscopia-laparoscopia (CLES), altre per via transanale (TEM).

Fintanto il carcinoma è confinato alla mucosa (T0) queste tecniche sono in grado di essere curative. Anche quando la lesione si approfonda nella sottomucosa (T1) e sono assenti fattori di rischio per presenti metastasi ai linfonodi (LNM) la polipectomia risulta essere efficace per il controllo della malattia, presentando un basso grado di recidiva.

Sono definite più sicure le polipectomie en bloc (in blocco) rispetto a quelle piecemeal (frammentarie): la rimozione piecemeal deve essere considerata un errore di esecuzione, impedisce al patologo di studiare la profondità dell’invasione e i margini di rimozione. Inoltre una metanalisi ha infatti evidenziato che il tasso di recidiva è significativamente superiore dopo una resezione frammentaria (20%), rispetto ad una in blocco (3%) {Belderdos 201447}.

È più sicuro eseguire interventi di escissione con un adeguato margine di sicurezza (almeno 2mm di mucosa normale): trovare i margini del polipo rimosso positivi al tumore aumenta molto il rischio di recidiva locale, e impone un reintervento.

La scelta delle tecniche è legata a vari aspetti come la localizzazione (retto, colon, cieco), la dimensione (da pochi millimetri a vari centimetri) e la morfologia (peduncolato, sessile, piatto) del polipo.

Tecniche in colonscopia

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La colonscopia permette la rimozione dei polipi con diverse tecniche.

• Forcep polypectomy: è una tecnica molto usata soprattutto per i polipi di piccole dimensioni (1-3mm). Il polipo viene afferrato da una pinza, viene inserita una clip, e rimosso con una procedura a freddo (lama) o a caldo (elettrocauterio). Per polipi di dimensioni maggiori o uguale a 5mm il tasso di rimozione incompleta supera il 61% {Fyock 201049}.

• Snare polypectomy [fig 12]: consiste nel far passare un laccio metallico intorno al polipo, che rimuove il polipo stringendosi. Può essere usato per polipi un poco più grandi (fino

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a 10mm), ed anche in questo caso il taglio può avvenire a freddo o a caldo (ansa diatermica) {Shinozaki 201850}.

Figura 12 - Snare polypectomy

A. Arezzo «Dissezione della sottomucosa e mucosectomia endoscopica». SICE(Società Italiana Chirurgia Endoscopica), 29 giugno 2018.

• EMR (Endoscopic Mucosal Resction) [fig 13]: questa tecnica endoscopica consiste nella rimozione di un polipo a seguito di un’iniezione nella sottomucosa. Questa crea in sede un cuscino in grado di rilevare la mucosa per effettuare la resezione (è indicata soprattutto in caso di polipi sessili o piatti). Si possono usare diversi liquidi per l’iniezione nella sottomucosa, come sempli soluzione fisiologica, oppure diverse concentrazioni di adrenalina o altri agenti. All’aumento della taglia del polipo, aumentano le possibilità di complicanze, specie di sanguinamento (11% se il polipo >20mm) {Metz 201151}. Il

sanguinamento può essere comunque controllato da clip o con l’elettrocauterio. Il tasso di perforazione associato all’EMR è del 1-2% {Swan 201152}.

Figura 13 – EMR

A. Arezzo «Dissezione della sottomucosa e mucosectomia endoscopica». SICE(Società Italiana Chirurgia Endoscopica), 29 giugno 2018.

• ESD (Endoscopic Submucosal Dissection): ha come principale indicazione le lesioni colorettali maggiori di 20mm, spesso sessili o piatte. L’obiettivo di questa tecnica è quello di rimuovere in blocco lesioni che altrimenti sarebbero state rimosse in maniera frammentaria oppure che hanno un alto rischio di contenere un cancro che invade la sottomucosa {Draganov 201953}. L’ESD prevede l’iniezione sottomucosa di una soluzione

contenente un pigmento che rileva e tatua la lesione; poi si effettua la sezione circonferenziale della mucosa con un ago diatermico [fig 14], esponendo la

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