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3. Fattori di rischio ... 10

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Academic year: 2021

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Indice

1. Introduzione ... 4

2. Definizione clinica e criteri diagnostici... 8

3. Fattori di rischio ... 10

4. Quadri clinici puerperali ... 12

4.1. Maternity blues (o baby blues o postpartum blues) ... 13

4.2. Depressione postpartum ... 14

4.3. Psicosi puerperale ... 14

4.4. Disturbi d‟ansia ... 15

5. Depressione perinatale e conseguenze sul bambino ... 18

6. Prevenzione... 21

6.1. Prevenzione primaria ... 21

6.2. Prevenzione secondaria ... 22

6.3. Prevenzione terziaria ... 23

7. Dalle difficoltà diagnostiche al problema del trattamento ... 24

8. Efficacia di screening e trattamento precoce ... 27

9. Disomogeneità degli studi clinici sulla depressione perinatale ... 29

10. Dati epidemiologici ... 31 11. Scopo della tesi ... Errore. Il segnalibro non è definito.

12. Materiali e metodo ... Errore. Il segnalibro non è definito.

12.1. Arruolamento ... Errore. Il segnalibro non è definito.

12.2. Strumenti ... Errore. Il segnalibro non è definito.

12.2.1. Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) Errore. Il segnalibro non è definito.

12.2.2. State Trait Anxiety Inventory(STAI) ...Errore. Il segnalibro non è definito.

12.2.3. Postpartum Depression Predictors Inventory Revised (PDPI-R) Errore. Il segnalibro non è

definito.

12.2.4. Intervista Clinica Strutturata per i Disturbi di Asse I (SCID-I) Errore. Il segnalibro non è

definito.

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12.3. Screening ... Errore. Il segnalibro non è definito.

13. Valutazione psichiatrica e trattamento ... Errore. Il segnalibro non è definito.

14. Dimensione del campione e stato del reclutamentoErrore. Il segnalibro non è definito.

15. Analisi statistiche ... Errore. Il segnalibro non è definito.

16. Risultati ... Errore. Il segnalibro non è definito.

16.1. Caratteristiche sociodemografiche del campione vs donne che hanno rifiutato di partecipare allo

studio ... Errore. Il segnalibro non è definito.

16.2. Analisi dei punteggi EPDS e STAI al primo mese postpartum Errore. Il segnalibro non è

definito.

16.3. Analisi dei fattori di rischio della PDPI-R al primo mese postpartum Errore. Il segnalibro non

è definito.

16.4. Analisi dei fattori di rischio associati ad elevati punteggi della STAI e dell‟EPDS al primo mese

postparum ... Errore. Il segnalibro non è definito.

17. Discussione ... Errore. Il segnalibro non è definito.

18. Limiti dello studio ... Errore. Il segnalibro non è definito.

19. Conclusioni ... Errore. Il segnalibro non è definito.

20.Tabelle ... Errore. Il segnalibro non è definito.

21.Bibliografia ... Errore. Il segnalibro non è definito.

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Abstract

Introduction :

In the perinatal period the woman is vulnerable to depression. Major and minor depression presents prevalence rates ranging respectively from 8,5 and 11% during pregnancy and between 6.5% and 12.9% in the first year post-partum. However, only a small percentage of cases are identified and treated, with negative consequences on both the mother and the baby.

Objective:

To compare two samples of women at the first month postpartum, the first followed since first month of pregnancy and the second evaluated the first time in the first month postpartum, about the symptoms of depression and anxiety.

Methodology:

We compared two groups of women in the first month postpartum: 271 women followed since 1 st month of pregnancy and 130 women evaluated for the first time in the first month postpartum.

We administered: the Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS), the State-Trait Anxiety Inventory (STAI), the Postpartum Depression Predictors Inventory-Revised (PDPI-R) and the Structured Clinical Interview for the Diagnosis of Axis I psychiatric disorders (SCID-I).

Results:

In the first month postpartum, women followed since pregnancy have a significantly lower depressive symptoms and anxiety, as demonstrated by lower EPDS scores (t = - 6,140, p <.001) and STAI scores (t = -4,800, p < .001).

Conclusions:

Early screening can reduce rates of perinatal psychopathology and allow to identify women most

at risk, allowing earlier diagnosis and better treatment management.

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1. Introduzione

La depressione è stata descritta come “un ladro che ruba la maternità” (Beck CT, 1999);

rappresenta, infatti, un grave disturbo dell‟umore in grado di menomare la funzionalità della donna nel ruolo di madre.

In ogni fase della vita, la depressione è responsabile di un‟intensa sofferenza che, però, è resa ancora più dolorosa nelle nuove madri per l‟inevitabile confronto con lo stereotipo che, invece, dipinge il periodo perinatale come una fase di particolare gioia e serenità.

La depressione costituisce uno dei disturbi più invalidanti nelle donne in età riproduttiva (O‟Hara MW, 2009), con un forte impatto sulla salute pubblica, essendo responsabile del 5% dei costi per patologie nel sesso femminile (WHO 2001). Nel 2000, tra le donne americane in età fertile la depressione rappresentava la prima causa di ospedalizzazione per fattori non ostetrici e più di 205 mila donne erano state dimesse dalle strutture ospedaliere con una diagnosi di depressione (Jiang HJ et al, 2002).

La depressione colpisce le donne con una frequenza sovrapponibile a quella delle altre malattie a decorso cronico, con la sola eccezione dei disturbi cardiaci.

Secondo le stime più recenti, la depressione post-partum colpisce tra il 6.5 e il 12.9% delle donne nei diversi paesi (O‟Hara MW & Swain AM, 1996; Gaynes BN et al, 2005) e una percentuale compresa tra l‟8.5 e l‟11% sviluppa un episodio depressivo maggiore o minore durante la gravidanza (Gorman LL & O'Hara MW, 2004; Gaynes BN et al, 2005), sottolineando come il periodo gestazionale non rappresenti, in realtà, un fattore protettivo per la depressione.

La gravidanza e la maternità rappresentano, infatti, una tra le esperienze più significative

nella vita della donna in cui a un intenso lavoro biologico, caratterizzato da modificazioni

vistose e non paragonabili a quelle di altre epoche della vita femminile, fa riscontro una

mobilitazione psichica molto impegnativa.

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In questa condizione di aumentata vulnerabilità, la capacità di adattamento della donna viene messa a dura prova con il possibile sviluppo di stati di sofferenza e di angoscia fino a quadri decisamente patologici.

Si tratta di situazioni cliniche che sfumano l‟una nell‟altra in un continuum di gravità e intensità e sono indicate in crescendo come “maternity blues”, depressione postpartum e psicosi puerperale.

La rilevanza dei disturbi dell‟umore nel periodo perinatale non si limita al disagio della madre, ma ha una diretta ripercussione sul neonato e sulla famiglia (Beck CT, 1999), con effetti negativi sulla relazione con il partner (Boyce P, 1994) e sul rapporto madre-bambino (Forman DN et al., 2000; Warner R et al, 1997).

Le donne che soffrono di depressione durante la gravidanza possono sviluppare disturbi d‟ansia, abuso di sostanze, abuso di alcol e tabacco (Zuckerman B et al, 1989) e hanno un aumentato rischio di preeclampsia o di altre complicanze ostetriche (Kurki T, 2000).

Ognuna di queste condizioni e comportamenti materni influenza negativamente l‟ottimale sviluppo del feto e si associa ad un più frequente riscontro di basso peso corporeo alla nascita, parto pre-termine e ridotta attività neuromotoria (Hoffman S & Hatch MC, 2000).

La depressione nel postpartum può, in alcuni casi, essere responsabile di maltrattamenti o di una carente cura per i piccoli (Buist A,1998); le madri depresse sono meno propense ad allattare, leggere o cantare ai loro bambini, e a portarli alle visite pediatriche (Paulson JF et al, 2006; Field T, 2010).

A lungo termine, la sofferenza materna ha un forte impatto soprattutto sullo sviluppo emotivo, cognitivo e sociale del bambino con effetti che possono persistere fino all‟adolescenza.

L‟infanticidio, in alcuni casi accompagnato dal suicidio della madre, rappresenta l‟estrema

conseguenza della psicopatologia del postpartum: la morte materna e infantile, infatti, per

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quanto rara, può costituire il tragico epilogo di un disturbo dell‟umore non riconosciuto o non trattato in modo adeguato (Spinelli MG, 2004).

Le difficoltà diagnostiche e il problema del trattamento della depressione perinatale sono due tematiche strettamente connesse e in cui ha un forte peso l‟aspetto culturale.

L‟alta incidenza dei casi di depressione che rimangono misconosciuti riflette da una parte le incertezze nella definizione clinica di questo disturbo, nei limiti cronologici in cui si inserisce e nel quadro sintomatologico che lo caratterizza, e dall‟altra il fatto che molte donne preferiscano soffrire in silenzio per evitare lo stigma (Beck CT & Gable R, 2002;

Milgrom J et al, 1999).

La maggioranza delle donne che, in epoca perinatale, sviluppa un episodio depressivo, infatti, non chiede aiuto (MacLellan A et al, 1996), ma anche quando viene consultato un medico, la metà delle donne non riceve un trattamento adeguato (Hearn G et al, 1998). Il mancato trattamento si associa ad un rischio doppio di sviluppare nuovamente un episodio depressivo nell‟arco dei cinque anni successivi (Cooper PJ et al, 1995). Inoltre, Murray e colleghi (1996) hanno riscontrato che, in un gruppo ad alto rischio, nei tre mesi successivi al parto, solo l‟8% delle donne che avevano ricevuto un trattamento mirato sviluppava depressione rispetto al 16% di un gruppo di controllo.

L‟efficacia di un trattamento tempestivo e mirato nel ridurre la durata dell‟episodio e il rischio di ricorrenza è, quindi, ampiamente documentata e assume un significato di particolare rilievo nella prospettiva di attuare un intervento di tipo preventivo.

Il riconoscimento precoce è, infatti, una delle maggiori sfide nella gestione della depressione perinatale (Bagedahl-Strindlund M & Borjesson KM, 2008), in quanto può indirizzare verso una più attenta sorveglianza ed eventualmente all‟adozione di una opportuna terapia psicologica e/o farmacologica.

Un‟anamnesi personale o familiare pregressa, uno scarso supporto sociale ed eventi vitali

stressanti costituiscono, secondo le acquisizioni più recenti, i maggiori fattori di rischio per

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lo sviluppo di questo disturbo dell‟umore (O‟Hara MW & Swain AM, 1996; Beck CT, 2001; Robertson E et al, 2004).

Al fine di individuare le donne maggiormente vulnerabili allo sviluppo di un episodio depressivo si rende necessaria l‟identificazione di strumenti di screening efficaci e semplici, che possano essere utilizzati nella comune pratica clinica.

Lo screening precoce può essere efficace per individuare le donne che presentano un aumentato rischio di sviluppare depressione perinatale (Wisner et al, 2006) dando, inoltre, la possibilità di offrire alle nuove madri l‟assistenza necessaria in questa delicata fase della vita.

La prevenzione dei disturbi dell‟umore nelle donne in gravidanza e nel puerperio costituisce un impegno prioritario per il valore della posta in gioco.

I risultati dei numerosi studi condotti in questi anni hanno contribuito all‟acquisizione di una specifica consapevolezza clinica riguardo la gravità della depressione e gli esiti della stessa ma, nonostante questo, fino ad oggi, sono stati sviluppati solo pochi interventi preventivi standardizzati.

Con queste premesse, presso la Clinica Psichiatrica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (AOUP) dal 2004 al 2007 è stato condotto uno studio multicentrico sulla valutazione dei fattori di rischio della depressione nel postpartum con lo scopo di verificare l’utilità di una specifica batteria di strumenti nell’individuare le donne maggiormente a rischio di sviluppare depressione e di acquisire nuovi dati riguardo l’epidemiologia di questo fenomeno sia in gravidanza che nel postpartum.

Dai risultati dello studio è emersa una possibile utilità dello screening precoce effettuato in

gravidanza nel ridurre la prevalenza di psicopatologia perinatale (Banti S et al, 2011).

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2. Definizione clinica e criteri diagnostici

Il termine “depressione postpartum” viene spesso utilizzato negli studi clinici per descrivere disturbi affettivi molto eterogenei tra loro (Wisner KL et al, 2010) e gli attuali sistemi diagnostici non considerano la depressione perinatale (PND) come un‟entità diagnostica distinta (World Health Organisation, 2007; American Psychiatric Association, 2000).

Le incertezze nosografiche nella catalogazione dei disturbi psichici del postpartum testimoniano la complessità interpretativa di questa materia, che ha visto aprire, inoltre, un forte dibattito anche nella definizione dei limiti cronologici entro cui inserire questa entità clinica.

Sebbene l‟ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR; 2000) indichi come l‟esordio del quadro debba avvenire entro le quattro settimane seguenti il parto, l'esperienza clinica suggerisce che questa sia una definizione troppo limitante e molti ricercatori concordano sul fatto che la depressione postpartum possa essere definita tale se esordisce entro un anno dalla nascita del bambino (Gaynes BN et al, 2005).

Il DSM-IV-TR (APA, 2000) riporta come, per porre diagnosi di depressione postpartum, sia necessaria la persistenza per un periodo di tempo di due settimane o superiore di almeno un sintomo tra umore depresso o perdita di interesse e piacere.

Oltre a questo, devono essere presenti cinque o più dei seguenti sintomi: insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, astenia, cambiamenti nell'appetito, senso di inadeguatezza e di colpa, riduzione della concentrazione, ideazione suicidaria.

I criteri per la diagnosi clinica sono, quindi, essenzialmente gli stessi utilizzati per la

diagnosi di un episodio depressivo maggiore (American Psychiatric Association [APA],

2000), ma nella valutazione clinica della depressione postpartum deve essere posta

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particolare attenzione ai sintomi di tipo somatico, quali riduzione di peso, alterazioni del sonno e perdita di energia, che possono essere erroneamente attribuiti alle conseguenze fisiologiche del parto portando, conseguentemente, ad una pericolosa sottostima di quadri potenzialmente gravi.

Anche nel periodo perinatale i sintomi della depressione spesso si sovrappongono a sintomi di tipo ansioso, per cui non sorprende che il termine “depressione postpartum”

venga spesso usato come un‟espressione polivalente per descrivere quadri sintomatologici estremamente eterogenei (Abramowitz JS et al, 2010).

La Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) (Cox JL et al, 1987), un questionario di autovalutazione utilizzato per il riconoscimento della depressione in gravidanza e nel postpartum, include, infatti, una serie di item che verificano i livelli di ansia, preoccupazione, paura e panico.

Per questo, sebbene i disturbi depressivi costituiscano il motivo conduttore di tutta la patologia puerperale, nel processo diagnostico va tenuta presente la possibile comorbidità con disturbi d‟ansia che, se presenti in gravidanza, costituiscono, inoltre, uno dei più forti fattori di rischio per lo sviluppo di depressione postpartum (Andersson L et al, 2003;

Milgrom J et al, 2008).

Nel primo studio del PND-ReScU ® la storia personale o familiare di Disturbo di Panico

secondo il DSM-IV (APA, 1994) costituiva, infatti, un fattore di rischio indipendente per

depressione postpartum (DPP) (Rambelli C et al, 2009).

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3. Fattori di rischio

Classicamente, gli studi che hanno indagato i fattori di rischio o i fattori causali della depressione hanno previsto il reclutamento delle donne ad un certo punto della gravidanza e le hanno seguite in un dato periodo del post-partum (O‟Hara MW et al, 1990; O‟Hara MW et al, 1991; Cooper PJ et al, 1988). E‟stato valutato il ruolo dei fattori di rischio eventualmente presenti nel periodo gestazionale e il loro valore predittivo è stato stabilito o attraverso la diagnosi clinica o attraverso questionari di autovalutazione (O‟Hara MW et al,1991).

I risultati di numerose meta-analisi (O'Hara MW & Swain AM, 1996; Beck CT, 2001;

Robertson E et al, 2004) hanno consentito di individuare i fattori di rischio che appaiono statisticamente più significativi nello sviluppo di depressione in gravidanza e nel postpartum.

Sulla base del coefficiente di Cohen (effect-size) (Cohen LS, 1988), che dà una misura della forza di associazione tra depressione e fattori di rischio, questi ultimi sono stati distinti in tre gruppi: fattori di rischio da forti a moderati, fattori di rischio moderati e fattori di rischio deboli.

I fattori che hanno dimostrato una associazione da forte a moderata con la depressione post-partum sono risultati: depressione ed ansia durante la gravidanza, post-partum blues, precedente storia di depressione, eventi di vita stressanti (inclusi i fattori di stress legati alla cura del bambino), scarsa soddisfazione coniugale e scarso supporto sociale (O‟Hara MW & Swain AM, 1996; Beck CT, 2001; Robertson E et al, 2004).

Altri fattori di rischio tra cui un basso stato socioeconomico, fattori ostetrici e difficile

temperamento del neonato hanno, invece, dimostrato una relazione meno forte con la

depressione post-partum (Beck CT, 2001; Robertson E et al, 2004).

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I risultati degli studi hanno, inoltre, permesso di individuare una serie di fattori che si sono dimostrati non associati alla depressione; tra questi, la scolarità, la durata del rapporto con il compagno e l‟età materna (O‟Hara MW & Swain AM, 1996; Beck CT, 2001).

E‟ interessante sottolineare come il sesso del bambino, negli studi condotti in occidente,

non abbia mostrato alcuna significatività; al contrario, nei paesi dove come primogenito è

atteso il maschio (ad esempio in India o in Cina), il sesso del bambino risulta essere un

fattore di rischio significativo (Patel V et al, 2002; Lee DT et al, 2000; Tychey et al, 2008).

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4. Quadri clinici puerperali

La fine della gravidanza rappresenta un vero e proprio punto critico che comporta la rottura di uno stato precedente e il passaggio per la donna alla nuova dimensione della maternità.

Tra i fattori psicologici evidenziati nelle madri depresse particolare rilevanza rivestirebbero la perdita dell‟identità sessuale e del ruolo di donna per il partner e la modificazione dell‟aspetto fisico conseguente all‟aumento di peso (Nilsson A & Almgren PE, 1970;

Brown WA & Shereshefsky P, 1972; Jenkin W & Tiggemann M, 1997).

Nel processo di acquisizione di questa nuova identità di ruolo sono di cruciale importanza le esperienze dei primi giorni di maternità, il temperamento del nuovo nato e il supporto sociale disponibile: un adeguato supporto del partner, dei familiari o degli amici in situazioni vitali stressanti rappresenterebbe un fattore protettivo contro lo sviluppo della depressione perinatale (Brugha TS et al, 1998; O‟Hara MW & Gorman LL, 2004;

Lancaster C et al, 2010) .

Durante la gravidanza e nel post-partum è piuttosto frequente lo sviluppo di lievi disturbi psicologici: l‟incapacità di adattarsi ai cambiamenti può costituire un fattore di stress per la madre, che talora vive sentimenti di inadeguatezza e di incapacità, anche quando esiste un adeguato supporto familiare (Margison F, 1982; Stuart S et al, 1998).

In diversi campioni clinici, tuttavia, sono stati rilevati con alta incidenza disturbi ansiosi e disturbi depressivi di entità clinica (Eberhard-Gran M et al, 2003).

I Research Diagnostic Criteria (Spitzer GL et al, 1978) distinguono tre tipologie cliniche differenti: il maternity blues, la depressione minore (lieve, nevrotica o atipica) e la depressione maggiore. La psicosi puerperale, pur essendo rara, ha una grande rilevanza clinica per la gravità delle conseguenze che da questa possono derivare.

Alcuni autori sostengono che i disturbi affettivi costituiscano il motivo conduttore di tutta

la patologia puerperale e indicano le psicosi puerperali e il maternity blues come quadri

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situati agli estremi di un continuum che vede in posizione intermedia di gravità la cosiddetta depressione minore o atipica (Gitlin MJ & Pasnau RO, 1989).

4.1. Maternity blues (o baby blues o postpartum blues)

Il Maternity blues, anche definito “tristezza” del post-partum o “lacrime del latte”, rappresenta probabilmente la normale reazione ai drammatici cambiamenti fisiologici che si realizzano dopo il parto. E‟ una turba transitoria dell‟umore che si verifica nei primi giorni del postpartum con un picco tra il terzo e il quinto giorno e con remissione, in genere, intorno al decimo giorno o, più raramente, dopo qualche settimana. E‟ un quadro psicopatologico piuttosto frequente nelle nuove madri, nelle diverse casistiche è riportata con una frequenza che va dal 50 al 75% (O‟Hara MW et al, 1984).

Il quadro clinico è caratterizzato da labilità emotiva con facilità al pianto, flessione dell‟umore, astenia, ansia, irritabilità, talora associati a lievi alterazioni di tipo cognitivo come difficoltà mnesiche e di concentrazione (Robertson E et al, 2004; Sit DK & Wisner KL, 2009).

Il persistere più a lungo dei sintomi, che si verifica in una piccola percentuale di casi, e l‟intensità dell‟alterazione dell‟umore suggeriscono di riconsiderare la diagnosi in quanto possono essere l‟indizio dell‟evoluzione verso una forma depressiva.

Il 20% delle donne che presenta il postpartum blues può avere un episodio depressivo nel

corso dell‟anno successivo al parto (Kennerley H & Gath D, 1989; Najman JM et al,

2000), ed il postpartum blues sembra associarsi ad un aumentato rischio di depressione

maggiore (odd ratio= 3.8) e di disturbi d‟ansia (odd ratio= 3.9) nei tre mesi successivi al

parto (Reck C et al, 2009).

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4.2. Depressione postpartum

La depressione postpartum rientra in un quadro patologico di media gravità, insorge più frequentemente nelle prime sei settimane successive al parto.

L‟esordio può essere insidioso o presentarsi con un quadro clinico che è del tutto sovrapponibile a quello della depressione maggiore, caratterizzato da flessione del tono dell‟umore, irritabilità, lamentosità, angoscia, abbattimento, anedonia, sentimenti di colpa, riduzione dell‟appetito, alterazioni del sonno, disturbi cognitivi (riduzione della capacità di concentrazione, della memoria e dell‟attenzione) e, nelle forme più gravi, idee di morte.

Caratteristica della depressione che insorge nel postpartum è la frequente polarizzazione ideativa su problematiche inerenti il figlio, con preoccupazioni eccessive riguardo la salute del bambino, la capacità di nutrirlo e accudirlo, o con la sensazione di non provare sentimenti di amore nei confronti del figlio (Cox JL et al, 1993, O‟Hara MW et al, 1991).

La depressione postpartum può andare incontro a remissione spontanea nell‟arco di circa due mesi (Kumar R & Robson KM, 1984) ma, se non trattata, nel 25% dei casi tende a persistere fino ad un anno dopo il parto (Brockington I, 1996) e può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di ricorrenza e cronicità del disturbo depressivo (Nott PN, 1987; Warner R et al, 1996; Kumar R & Robson KM, 1984; Wisner KL et al, 2002).

4.3. Psicosi puerperale

La psicosi puerperale rappresenta il più grave dei disturbi dell‟umore nel postpartum e la drammaticità degli eventuali esiti giustifica la rilevanza clinica di questa patologia, nonostante l‟incidenza sia stimata intorno allo 0,1-0,2% (Kendell RE et al, 1987).

La psicosi puerperale è, infatti, associata ad un alto rischio di suicidio e infanticidio

(Appleby I et al, 1998) e costituisce, pertanto, un‟emergenza psichiatrica con necessità di

ricovero.

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Nell‟80% dei casi la sintomatologia psicotica si manifesta nelle prime due settimane che seguono il parto. L‟evoluzione del quadro clinico è caratterizzata da una fase prodromica con alterazioni del sonno e irritabilità, a cui fanno seguito oscillazioni contropolari del tono dell‟umore e sintomi psicotici con perdita di insight, bizzarrie comportamentali, alterazioni del contenuto e della forma del pensiero, associati a delirium (disorientamento spazio- temporale, amnesia, alterazioni sensoriali e disorganizzazione cognitiva). Come nei quadri di tipo organico, i fenomeni allucinatori possono essere anche tattili e visivi, oltreché uditivi (Winser KL et al, 2003; Robertson E et al, 2004).

Tra i fattori eziologici implicati nella genesi delle psicosi postpartum sembrano assumere particolare rilievo le alterazioni metaboliche e la predisposizione genetica per i disturbi bipolari (Brockington I, 2004). Circa il 70% delle psicosi del post-partum rappresentano, infatti, l‟episodio di un disturbo bipolare o di una depressione maggiore (McGorry P &

Connel S, 1990; Brockington I, 2004; Yonkers KA et al, 2004).

La psicosi puerperale è, inoltre, gravata da importanti implicazioni sul piano prognostico:

in circa i 2/3 dei casi, infatti, nelle gravidanze successive si verificano manifestazioni analoghe (Schoepf J & Rust B, 1994; Benvenuti P et al, 1992) ed in circa 2/3 dei casi possono manifestarsi successivi episodi psicotici non legati al puerperio (Schoepf J & Rust B, 1994; Benvenuti P et al, 1992; Videbech P & Gouliaev G, 1995).

4.4. Disturbi d’ansia

Nel periodo perinatale si può verificare l‟insorgenza o la riacutizzazione di un disturbo della sfera ansiosa.

I disturbi d‟ansia in gravidanza hanno ricevuto minor attenzione rispetto alla problematica

della depressione pur essendo altrettanto comuni (Austin MP& Priest SR, 2005); gli studi a

riguardo sono scarsi e, oltretutto, poco specifici e metodologicamente poco rigorosi.

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L‟individuazione di disturbi d‟ansia durante il periodo gestazionale può creare delle difficoltà in relazione alla eventuale sovrapposizione con sintomi fisici (iperemesi, vomito, nausea, affaticamento, astenia, disturbi del sonno) (Marcus M, et al, 2009) e psichici (paura della perdita del bambino, preoccupazione sullo stato di salute del feto, timore del cambiamento del corpo, preoccupazione riguardo il ruolo genitoriale, paura del parto), che sono propri dell‟esperienza gravidica o per la sovrapposizione con manifestazioni di un disturbo d‟ansia specifico (Panico, Disturbo Ossessivo Compulsivo, Disturbo d‟ansia generalizzata) (Ross LE & McLean LM, 2006).

L‟ansia durante la gravidanza è legata ad aspettattive negative sulla maternità (Hart R et al, 2006), a difficoltà nell‟adattarsi alle esigenze del ruolo materno (Barnett B et al, 1991) e allo sviluppo di altre forme di stress, in particolare la depressione postnatale (Austin MP et al, 2007. Heron J et al, 2004; Matthey S, 2004; Matthey S et al, 2003). Alcuni studi prospettici hanno riportato che i disturbi d‟ansia sono tra i più forti fattori di rischio per lo sviluppo di depressione postnatale (Andersson L et al, 2003; Milgrom J et al, 2008;

Rambelli C et al, 2009). La gravidanza sembra avere un ruolo protettivo verso alcuni disturbi d‟ansia, come il disturbo di panico, mentre può rappresentare il momento di esordio per il disturbo ossessivo-compulsivo (Brockington I, 2004).

Nel postpartum i disturbi ansiosi sono comuni quanto la depressione (Austin MP & Priest SR, 2005). Frequente è il riscontro di Disturbo di Panico (Metz A et al, 1988; Altshuler LL et al, 1998) con polarizzazione sul timore di poter nuocere al proprio bambino; il cosiddetto “panico del postpartum”, è una condizione caratteristica, nella maggior parte dei casi di entità lieve e abitualmente gestita in ambito familiare, senza necessità di un intervento specialistico.

Il postpartum è, inoltre, considerato un periodo ad alto rischio per lo sviluppo di u n

disturbo ossessivo-compulsivo in relazione alle nuove e aumentate responsabilità a cui

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sono esposte le nuove madri dal momento della nascita del bambino (Fairbrother N &

Abramowitz JS, 2007).

Aspetti tipici sono rappresentati dalle ossessioni di contaminazione, dai rituali di pulizia nei confronti del nuovo nato e dal timore di uccidere il bambino.

Inoltre, un fenomeno frequente e, che si manifesta con aspetti di tipo ossessivo, è il timore

della “morte improvvisa” del neonato: tipicamente la madre si sveglia di continuo durante

la notte per controllare le condizioni di salute del bambino, il colorito e la frequenza del

respiro (Sit DK & Wisner KL, 2009).

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5. Depressione perinatale e conseguenze sul bambino

La rilevanza dei disturbi depressivi nel periodo perinatale non si limita al disagio e alla sofferenza della madre, ma ha una diretta ripercussione sul bambino. Il rapporto tra depressione materna e sviluppo psicofisico del bambino è stretto e carico di conseguenze, immediate e a lungo termine, con effetti che incidono negativamente già sul decorso della gravidanza.

Le madri depresse hanno, infatti, una maggiore probabilità di partorire pretermine con possibili esiti negativi sulla salute del proprio figlio (Locke R et al, 1997). Studi recenti hanno rilevato una correlazione tra la presenza di sintomi depressivi in gravidanza e il rischio di parto pretermine, minore peso corporeo alla nascita, minore circonferenza cranica e più bassi punteggi di Apgar * (Uno H et al, 1990; Alves SE et al, 1997). Inoltre, un alterato clima intrauterino sembra influenzare la funzione neurocomportamentale del neonato: i nati di madre depresse mostrano all‟EEG minore attività frontale, basale e dopo stimolazione (Dawson G et al, 1992).

I meccanismi attraverso i quali i sintomi depressivi possano influenzare lo sviluppo fetale sono stati oggetto di numerosi studi ma, tuttora, non sono stati chiariti.

Ad ogni modo, gli aumentati livelli ematici di cortisolo e di catecolamine, rilevati nelle pazienti depresse, sembrano modificare la funzione placentare alterando il flusso ematico uterino ed inducendo irritabilità uterina (Uno H et al, 1994; Glover V, 1997); è stato,

*

Il punteggio di Apgar a 1 e 5 minuti è utilizzato per valutare le condizioni e l’adattamento del neonato

immediatamente dopo la nascita. Le componenti del punteggio (battito cardiaco, respirazione, colorito cutaneo, tono

muscolare, risposta riflessa al catetere rinofaringeo) dipendono in parte dalla maturità fisiologica. Tuttavia il

punteggio è influenzato in maniera significativa dalla terapia materna e dalle condizioni cardiorespiratorie e

neurologiche del neonato. Un punteggio da 7 a 10 a 5 minuti è considerato normale, da 4 a 6, intermedio, e da 0 a

3, basso. Un basso punteggio di Apgar si associa con un più elevato rischio di sequele neurologiche a distanza. I

lattanti con un punteggio di Apgar persistentemente basso (> 10 min) hanno una mortalità progressivamente

aumentata nel primo anno di vita, mentre quelli che sopravvivono possono presentare paralisi cerebrale infantile.

(19)

inoltre, discusso il possibile ruolo della disregolazione dell‟asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che spesso si associa alla depressione. Secondo alcuni studi condotti sugli animali, allo stress in gravidanza farebbe seguito la morte neuronale, uno sviluppo anomalo delle strutture neuronali del cervello fetale e una disfunzione dell‟asse ipotalamo-ipofisi-surrene nella prole (Uno H et al, 1990, 1994; Alves SE et al, 1997).

Va tenuto presente, infine, come la presenza di depressione in gravidanza possa determinare una riduzione della cura personale, con riduzione dell‟appetito, compromissione dell‟alimentazione e, conseguentemente, aumento del peso corporeo inferiore a quello atteso: questi fattori sono stati messi in relazione con un decorso negativo della gravidanza (Teixeira JM. et al, 1999).

La letteratura ha ampiamente documentato come lo stato depressivo nel postpartum possa ripercuotersi sulla relazione tra madre e figlio (Murray L et al, 1996), in rapporto a problematiche legate all‟attaccamento (Hipwell AE et al, 2000; Murray L, 1992).

La depressione materna incide sullo sviluppo psichico del neonato, influenzando negativamente le abilità cognitive (Whiffen VE & Gotlib IH, 1989), lo sviluppo del linguaggio (Cox AD et al, 1987) e i livelli di attenzione (Breznitz Z et al, 1988)

Anche lo sviluppo del comportamento del neonato (Mayberry LJ & Affonso DD, 1993) e lo sviluppo emozionale (Cogill SR et al, 1986) sono alterati e la depressione materna è stata messa in relazione con difficoltà del bambino nelle successive interazioni sociali (Cummings EM & Davies PT, 1994; Murray L et al, 1999). I bambini di tre anni sono capaci di riconoscere lo stato affettivo delle proprie madri e di modulare le loro risposte in relazione a questo (Cohn JF & Tronick EZ, 1983).

Le ripercussioni di questa interazione precoce insoddisfacente (Beck CT, 1995) si

riverberano, quindi, sullo sviluppo a lungo termine del bambino. Questo aspetto è

confermato dall‟evidenza che i bambini delle madri depresse presentano, nell‟arco della

vita, disturbi del comportamento con una frequenza dalle due alle cinque volte superiore

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rispetto alla norma (Beck CT, 1999; Orvaschel H & Walsh-Allis G, 1988) e che la

depressione materna può raddoppiare il rischio del bambino di soffrire a sua volta di

depressione (Cornish AM et al, 2005).

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6. Prevenzione

Il tema della prevenzione costituisce uno degli obiettivi di maggiore interesse e il fine primario da perseguire sia nel corso stesso della gravidanza, sia attraverso la diagnosi tempestiva delle prime manifestazioni di disagio nel periodo del postpartum.

E‟ ben noto come il periodo perinatale costituisca un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi depressivi e ansiosi, quando presenti fattori di vulnerabilità biologica, psicologica e ambientale. Tuttavia, la gravidanza, in termini di prevenzione, può costituire un momento privilegiato per la programmazione di interventi di screening per le più frequenti occasioni di contatto con figure professionali in ambito sanitario che, se opportunamente formate, possono essere in grado di individuare eventuali fattori di rischio.

Tutto questo richiede sia il coinvolgimento di servizi dedicati alla salute della donna, sia la promozione di interventi di tipo sociale, clinico e di Salute Pubblica applicati in misura variabile ad ogni livello (primario, secondario e terziario) (Cantwell R & Smith S, 2008).

6.1. Prevenzione primaria

La prevenzione primaria ha lo scopo di prevenire la comparsa del disturbo attraverso la messa in atto di interventi volti alla riduzione del rischio.

Comprende misure di tipo universale, rivolte alla popolazione generale, che consistono nella divulgazione di materiale informativo e nella sensibilizzazione sul tema della maternità attraverso percorsi informativi sviluppati da operatori coinvolti nella gestione della salute della donna (ginecologi, ostetriche, pediatri, medici di famiglia), ma anche a livello sociale con programmi promossi dai mass-media.

Le misure selettive sono rivolte a tutte le persone individuate come a rischio per un

disturbo specifico, come lo sono le donne nel periodo della gravidanza e del postpartum

rispetto alla psicopatologia del puerperio. In questo ambito hanno un ruolo centrale gli

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interventi psicosociali, che includono la psicoeducazione sulla depressione perinatale e su come gestirla, le strategie per sviluppare o rafforzare il supporto sociale, l‟identificazione delle transizioni di ruolo, fornire informazioni sullo sviluppo e sull‟accudimento del bambino, sviluppare aspettative più realistiche sulla gravidanza, sulla nascita e sul diventare una nuova madre. La ricerca, infatti, sta andando sempre più nella direzione dello sviluppo di un intervento psicoeducazionale preventivo (Rowe HJ & Fisher JR, 2010).

Le misure indicate hanno come target donne identificate come vulnerabili per il possesso di fattori di rischio riconosciuti e che dovrebbero essere selezionate attraverso misure preventive specifiche, parte di percorsi di routine programmati a livello di Sanità Pubblica.

In quest‟ottica assumono, quindi, un ruolo fondamentale varie figure professionali, in particolar modo le ostetriche, che dovrebbero essere formate in modo da poter riconoscere i possibili fattori di rischio e i sintomi indicativi di depressione (Alder J et al, 2011).

6.2. Prevenzione secondaria

L‟obiettivo della prevenzione secondaria è quello di ridurre la prevalenza della psicopatologia perinatale, riducendo la gravità e la durata dei disturbi e limitandone le conseguenze avverse.

A questo scopo, riveste un ruolo cruciale l‟individuazione precoce delle donne che

presentano un aumentata vulnerabilità allo sviluppo di depressione, da cui dipende la

possibilità di instaurare un trattamento rapido ed efficace. Gli strumenti di screening

risultano di particolare utilità nell‟individuare situazioni a rischio, o potenzialmente tali,

ma per essere utilizzati in maniera corretta e utile, sia nella somministrazione che nella

lettura dei risultati, necessitano di competenze specifiche da parte di operatori

(23)

adeguatamente formati; e, allo stesso tempo, è necessario disporre di risorse adeguate per la gestione delle condizioni cliniche emerse.

Le National Institute for Health and Clinical Excellence clinical guidelines (NICE, 2007) sottolineano l‟importanza del riconoscimento precoce della psicopatologia perinatale e l‟American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG, 2006) raccomanda lo screening per la depressione in ogni trimestre di gravidanza.

Nonostante ciò, ad oggi, non sono state valutate in modo sistematico né il ruolo dello screening effettuato su tutte le donne gravide, né l‟utilità di organizzare un intervento preventivo attorno alle donne che mostrano punteggi ad alto rischio di psicopatologia perinatale (Gaynes BN et al, 2003.)

Sebbene le evidenze siano ancora limitate, l‟instaurazione di un intervento terapeutico precoce ha la prospettiva di migliorare i risultati in termini prognostici e acquista grande rilevanza, quindi, anche nella gestione degli investimenti nella Sanità Pubblica.

6.3. Prevenzione terziaria

La prevenzione terziaria si applica alle donne con psicopatologia conclamata (depressione postpartum, psicosi puerperale).

Lo scopo è quello di ridurre la gravità e le conseguenze della psicopatologia perinatale sul

funzionamento globale della donna a livello individuale, relazionale e sociale. A tal fine si

rende necessario un percorso terapeutico che preveda un trattamento personalizzato,

specialistico e multidisciplinare.

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7. Dalle difficoltà diagnostiche al problema del trattamento

Nonostante la crescente evidenza che la depressione perinatale possa essere trattata in modo efficace e, forse, anche prevenuta, questa condizione non viene individuata o trattata in molti casi (Dennis CL, 2009).

La mancanza di informazione e di educazione riguardo la problematica della depressione in gravidanza e nel postpartum rappresenta il primo ostacolo all‟individuazione precoce dei casi di depressione e, di conseguenza, al trattamento; a questo si associa la tendenza delle donne a negare o minimizzare i propri sintomi, e a sottovalutare il proprio disagio, perché considerato “normale” nel periodo perinatale, e il fatto che, spesso, non siano a conoscenza delle possibilità di trattamento (Glavin K et al, 2010).

Nella maggior parte dei casi le donne tendono ad attribuire la responsabilità del proprio disagio alla mancanza di sostegno emotivo, al fatto di non sentirsi in piena salute fisica o alla stanchezza (Small R et al, 1994). Va sottolineato, inoltre, come spesso le donne non accettino l‟idea di attribuire la causa del loro disturbo all‟esperienza della maternità e rifiutino l‟etichetta di paziente psichiatrico, implicita nel termine „depressione perinatale‟

(Rowe HJ & Fisher JR, 2010).

Lo stesso personale sanitario può rappresentare un ostacolo al riconoscimento precoce e alla cura di questo disturbo nel caso venga commesso l‟errore di considerare non significativi i sintomi riferiti o venga proposto alla donna un trattamento non adeguato alle sue esigenze (Dennis CL & Chung-Lee L, 2006; Dennis CL, 2009).

Le difficoltà riscontrabili nell‟individuare i casi di depressione e nel definire correttamente

la diagnosi danno conto delle incertezze che si presentano nell‟affrontare l‟interrogativo

sulle condotte terapeutiche.

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La complessità dell‟approccio al trattamento degli episodi depressivi nel periodo perinatale è legata alla valutazione del delicato rapporto tra i rischi di una depressione non trattata, il rischio di ricaduta e il rischio intrinseco legato all‟uso di farmaci psicotropi.

I disturbi psichici possono esordire durante la gravidanza, ma rappresentano più spesso la persistenza o la riacutizzazione di una malattia già esistente (Kornstein SG & Clayton AH, 2010). Si stima che solo il 5% delle donne gravide con un disturbo mentale riceva un qualsiasi trattamento, incluso il sostegno psicologico (Robertson E et al, 2005). Questi dati sono stati confermati da Flynn HA e colleghi (2006), i quali hanno riportato che, fra tutte le gestanti a rischio di PND, solo una minoranza di donne con la diagnosi prenatale di DDM veniva trattata e un episodio DDM in atto non era predittivo del ricorso ad un trattamento.

In molti casi, le donne che sviluppano un episodio depressivo in epoca perinatale, per richiedere un trattamento, si rivolgono ad ambulatori di medicina generale dove, però, il 50% dei casi non viene riconosciuto e una percentuale ancora più elevata non viene trattato (Satcher D, 1999). Oltre a questo, si deve tener conto dei casi di donne che non richiedono trattamento e che rappresentano una percentuale rilevante, come confermato da una recente relazione dell‟United States Surgeon General’s Office (Satcher D, 1999).

Il Disturbo Depressivo Maggiore è un disturbo ricorrente con un rischio di ricaduta che aumenta nelle donne, che hanno un‟anamnesi personale positiva per episodi depressivi, in concomitanza con la sospensione del trattamento, effettuata frequentemente al momento del concepimento. Cohen e colleghi (2006) hanno rilevato che, in un campione di 201 donne che assumevano un trattamento psicofarmacologico al momento del concepimento, 21 (26%) di coloro che proseguivano il trattamento andavano incontro a ricaduta rispetto alle 44 (68%) di coloro che avevano sospeso il trattamento.

Nella valutazione del rapporto rischio-beneficio ha grande rilevanza la valutazione dei

possibili effetti sul feto di un trattamento farmacologico durante la gravidanza e dei rischi

legati all‟allattamento. Tutte le sostanze psicoattive, infatti, attraversano la barriera

(26)

placentare e possono passare nel latte materno, per cui la gestione della terapia deve tenere conto dei rischi legati all‟esposizione del feto e del neonato, che, nella maggior parte dei casi, sono comunque meno gravi rispetto a quelli della malattia non trattata (Wisner KL et al, 2000).

Gli psicofarmaci potenzialmente possono avere tre tipi di effetti avversi sul feto: gli effetti teratogeni, che possono aumentare il rischio di malformazioni congenite, e sono solitamente legati all‟assunzione nel primo trimestre di gravidanza (Kessler RC et al, 1999); la tossicità neonatale e le sindromi astinenziali, che sono generalmente correlate all‟esposizione nel terzo trimestre di gravidanza (Cohen LS et al, 1994); e gli effetti comportamentali, che sono di più difficile caratterizzazione e sono rivelati dal comportamento tardivo e dalle difficoltà di sviluppo nel bambino (Satcher D, 1999).

I possibili rischi derivanti dall‟allattamento al seno durante la terapia materna con

antidepressivi sono stati oggetto di numerosi studi; ad ogni modo, le concentrazioni di

farmaco trovate nel siero dei neonati sono risultate molto basse e non sembra esserci

nessuna evidenza di un danno ai bambini come conseguenza dell‟uso di farmaci psicotropi

da parte delle madri (Stowe Z, 2007).

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8. Efficacia di screening e trattamento precoce

Numerosi studi clinici sono stati condotti allo scopo di valutare l‟efficacia dello screening e del trattamento precoce della depressione perinatale.

Gaynes e colleghi (2005) hanno preso in esame quindici studi che valutavano la presenza di depressione o dei fattori di rischio per depressione perinatale. Prendendo in esame il gruppo di donne che risultavano positive allo screening, i ricercatori hanno paragonato gli outcome delle donne che ricevevano un trattamento rispetto a un gruppo di controllo.

Questo disegno consentiva di valutare se, tra le donne che nello screening erano identificate come a rischio di depressione, un intervento precoce potesse migliorare gli outcome rispetto al gruppo di controllo.

Dei quindici studi presi in esame quattro (Brugha TS et al, 2000; Stamp GE et al,1995;

Elliot SA et al, 2000; Zlotnick C et al, 2006) valutavo l‟efficacia di vari tipi di intervento psicosociale messi in atto durante il periodo della gravidanza che riguardavano, quindi, donne identificate attraverso screening prenatali. Questi quattro piccoli studi non hanno mostrato nell‟insieme risultati molto incoraggianti. Tuttavia, data l‟eterogeneità della popolazione studiata, degli strumenti di screening e dei cut-off utilizzati per definire gli individui a rischio e delle misure di outcome utilizzate non è stato possibile trarre alcuna conclusione complessiva circa l‟utilità di questi programmi.

Prendendo in esame gli interventi che hanno dimostrato un maggiore effetto preventivo, un

approccio efficace sembra quello di istruire le donne su come costruire o incrementare la

propria rete di supporto sociale, piuttosto che fornire supporto sociale in modo diretto

(Zlotnick C et al, 2001, 2006). Tra gli interventi di tipo diretto, quello che sembra

maggiormente efficace consisterebbe nell‟assistenza fornita da infermiere e ostetriche

(Dennis CL et al, 2004).

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Un recente trial randomizzato effettuato in Messico su 377 donne (Lara MA et al, 2010) fornisce dati confortanti sulla possibilità che l‟incidenza di depressione possa essere ridotta da un intervento psicoeducazionale in gravidanza. Questi risultati sembrano confermati anche da un programma psicoeducazionale di gruppo effettuato in Australia su 399 donne (Fisher JR et al, 2010).

Gli undici studi (Armstrong K et al, 1999; Chabrol H et al, 2002; Chen CH et al, 2000;

Dennis CL, 2003; Fleming AS et al, 1992; Hiscock H et al, 2002; Honey KL et al, 2002;

Horowitz JA et al, 2001; Wisner KL e Wheeler SB, 1994; Onozawa K et al, 2001; Wisner KL et al, 2001) presi in esame da Gaynes et al (2005), che valutavano gli effetti di screening e trattamento messi in atto nel periodo del postpartum, consideravano un campione più ampio di pazienti e presentavano una qualità complessiva superiore rispetto ai trials prenatali, pur mostrando una variabilità etnica e razziale limitata.

Come negli studi effettuati in gravidanza, gli strumenti di screening utilizzati per individuare pazienti con sintomi depressivi variavano considerevolmente, anche se la EPDS era utilizzata nella maggioranza degli studi. Anche la tipologia di trattamento differiva nei vari studi: nove di questi utilizzavano interventi di tipo psicoeducazionale, mentre due valutavano l‟efficacia del trattamento con antidepressivi. I risultati erano eterogenei: dei nove trial che impiegavano interventi psicosociali, sei (Armstrong K et al, 1999; Dennis CL, 2003; Hiscock H et al, 2002; Honey KL et al, 2002) riportavano un significativo beneficio delle pazienti trattate rispetto a quelle non trattate. I due piccoli tria l che valutavano l‟efficacia di interventi di tipo farmacologico hanno prodotto risultati contrastanti.

Ad ogni modo, l‟analisi dei dati suggerisce come il fornire una qualsiasi forma di supporto

psicosociale alle donne nel periodo perinatale, in particolar modo a quelle dimostratisi a

rischio di avere un disturbo depressivo, potrebbe ridurre i sintomi depressivi.

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9. Disomogeneità degli studi clinici sulla depressione perinatale

Al fine di comprendere nello specifico una problematica come la depressione perinatale e, soprattutto, nella prospettiva di fornire strumenti clinici adeguati e trattamenti di dimostrata efficacia, risulta di fondamentale importanza un‟accurata riflessione sull‟epidemiologia di questo disturbo.

Dall‟analisi della letteratura, effettuata utilizzando il motore di ricerca Pubmed con le parole chiave “post-partum/perinatal depression” e “clinical trials/epidemiologic studies/metanalysis” emerge come la molteplicità degli studi clinici sulla depressione perinatale abbia prodotto una grande mole di dati epidemiologici con risultati, però, molto eterogenei tra loro e talora contrastanti. La variabilità dei tassi di prevalenza e incidenza è espressione della mancata univocità nella scelta degli strumenti di valutazione utilizzati, della metodologia dello studio, della durata del periodo di screening e dell‟adozione di criteri diagnostici diversi.

Le percentuali di prevalenza e di incidenza della depressione perinatale sono risultate in alcuni casi superiori rispetto a quelle rilevate dalle metanalisi di O‟Hara MW e colleghi (1996) e di Gaynes BN e colleghi (2005), attualmente considerate le più attendibili, e che attestano i tassi di prevalenza della depressione tra l‟8.5% ed il 13%.

La variabilità dei dati epidemiologici è in gran parte determinata dalla scelta degli strumenti di valutazione (Beck Depression Inventory, Research Diagnostic Criteria, Edinburgh Postnatal Depression Scale, Postpartum Depression Screening Scale, ecc.) che

si differenziano in termini di sensibilità, specificità e riproducibilità.

Inoltre, solo raramente la diagnosi clinica è stata effettuata utilizzando strumenti

standardizzati come, ad esempio, la Structured Clinical Interview for DSM-IV (SCID)

(First MB et al, 1995) con il risultato di fornire risultati scarsamente riproducibili e una

estrema disomogeneità dei tassi di comorbidità e di ricorrenza e dei dati di prevalenza.

(30)
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10. Dati epidemiologici

I dati epidemiologici forniti dalla letteratura sono piuttosto variabili con tassi di prevalenza di depressione perinatale che oscillano tra il 5 e il 15% nei paesi occidentali fino a percentuali del 26% nel caso di madri adolescenti (Troutman BR & Cutrona CE, 1990).

Questa ampia finestra di valori riflette la disomogeneità tra i singoli studi nel tipo di depressione indagato (maggiore e/o minore), il metodo di screening e di diagnosi utilizzato, il momento della valutazione, la durata del periodo di osservazione (maggiore è la durata del periodo di osservazione e maggiore è il tasso di prevalenza di depressione postpartum riscontrato) e la variabilità delle caratteristiche sociodemografiche della popolazione (O‟Hara MW e Swain AM, 1996; Llewellyn AM et al, 1997; Yonkers KA et al, 2001; Gaynes BN et al, 2005; Mann R et al, 2010).

La metanalisi di O‟Hara e Swain (1996) che ha preso in esame 59 studi, ed un campione complessivo di 12.810 donne, ha fornito i primi dati epidemiologici attendibili sulla prevalenza della depressione nel postpartum. Dall‟analisi dei dati è stata rilevata una prevalenza del 13%, con un intervallo di confidenza piuttosto ridotto, dal 12.3% al 13.4%.

I risultati della metanalisi hanno evidenziato una differenza piccola, ma statisticamente significativa, tra le stime ottenute dai questionari autosomministrati (12%) e quelle ottenute mediante interviste strutturate (7.4%). Insieme al metodo di valutazione, il principale fattore responsabile della variabilità delle prevalenze osservate è risultato essere la durata del periodo di valutazione: gli studi che consideravano finestre temporali più ampie riportavano, infatti, tassi di prevalenza maggiori rispetto agli studi che utilizzavano finestre più strette.

In uno studio transculturale successivo, la prevalenza della depressione postpartum è stata

stimata intorno al 12,2%, includendo sia la depressione maggiore (4,2%), sia la

depressione minore (8.0%) (Gorman LL & O'Hara MW, 2004).

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Bennet e colleghi (2004) hanno stimato che la prevalenza della depressione durante la gravidanza variava da 7.4% (95% intervallo di confidenza [CI], 2.2-12.6) a 12.8% (95%

CI, 10.7-14.8) e 12.0% (95% CI, 7.4-16.7), rispettivamente nel primo, secondo e terzo trimestre di gestazione, e che i tassi complessivi non differivano significativamente tra un trimestre e l‟altro.

Nel 2005, Gaynes e colleghi hanno effettuato una review sulle stime di prevalenza e di incidenza della depressione nel periodo perinatale valutando, parallelamente, anche la sensibilità e la specificità dei diversi strumenti di screening e il ruolo dell‟intervento terapeutico precoce nelle donne ad alto rischio di depressione perinatale. Sono stati presi in esame 846 articoli pubblicati in inglese tra il Gennaio 1980 e il Marzo 2004, escludendo quelli che non presentavano caratteristiche omogenee o che non rispondevano a determinati criteri di ricerca.

I dati epidemiologici sono stati ricavati, infine, da 30 studi, che davano una stima della prevalenza della depressione perinatale, ma di cui soltanto 13 fornivano anche una stima del tasso di incidenza. Alcuni studi riportavano le prevalenze puntuali, ovvero la percentuale di popolazione con depressione in un dato momento, mentre altri le prevalenze di periodo, ovvero la percentuale di popolazione con depressione in un certo periodo di tempo.

Inoltre, la popolazione studiata era in genere ristretta ad una data comunità locale o area geografica e, perciò, non rappresentativa della variabilità etnica e razziale del paese in cui era condotto lo studio. Altri elementi di confondimento evidenziati da Gaynes e colleghi (2005) comprendevano lo stato di rischio delle donne al momento dell‟entrata nella studio, il loro stato socioeconomico, il tipo di interviste utilizzato e i criteri diagnostici usati per identificare i casi.

Le stime di prevalenza e incidenza sono risultate più basse rispetto a quelle trovate in

precedenti review, principalmente per tre motivi: in primo luogo, per l‟esclusione degli

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studi che valutavano la depressione basandosi su strumenti self-report, che producevano una sovrastima dei tassi di prevalenza; secondariamente, perché erano state separate le stime di depressione maggiore e minore (mMD) dalle stime di depressione maggiore da sola; e, infine, per l‟inclusione di studi più recenti, che utilizzano criteri più selettivi per identificare la depressione maggiore.

Per la depressione maggiore da sola la prevalenza puntuale variava tra 3.1% e 4.9% in differenti tempi durante la gravidanza e da 1.0% a 5.9% nel primo anno postpartum. Per la mMD, le stime di prevalenza puntuale variavano da 8.5% a 11.0% in gravidanza e da 6.5%

a 12.9% nel primo anno postpartum. Le stime di prevalenza periodica durante i primi tre mesi postpartum erano del 19.2% per la mMD e del 7.1% per la depressione maggiore da sola. Gli intervalli di confidenza erano tuttavia ampi, suggerendo come un certo grado di incertezza rimanga, comunque, in tali stime.

Dall‟analisi dei 13 studi che riportavano le stime di incidenza della depressione perinatale è emerso che una percentuale pari al 14.5% delle donne, durante i primi tre mesi del postpartum, sviluppavano un episodio depressivo maggiore o minore; se si considerava soltanto la depressione maggiore, l‟incidenza era del 7.5% durante la gravidanza e del 6.5% nei primi tre mesi postpartum.

I valori di prevalenza e incidenza della depressione postnatale riscontrati non differivano significativamente da quelli riscontrati in donne di simile età che non erano né in gravidanza né nel periodo postpartum (Cooper PJ et al, 1988; Cox JL et al, 1993; O‟Hara MW et al, 1990).

Ad ogni modo, uno studio condotto da Cox e colleghi (1993) mostrava che nel gruppo di

donne valutato nelle prime cinque settimane del postpartum la probabilità di sviluppare un

episodio depressivo era tre volte maggiore rispetto un gruppo di controllo suggerendo,

quindi, che, dopo un evento psicologicamente e fisiologicamente stressante come il

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travaglio ed il parto, il rischio di depressione potrebbe essere maggiore rispetto a donne di pari età, ma non sottoposte ad un simile stress.

Uno studio longitudinale condotto sulla popolazione generale danese ha mostrato un maggiore rischio di esordio lifetime di disturbo depressivo maggiore durante i primi cinque mesi dal parto, rispetto alla popolazione di controllo (rischio relativo: primo mese= 2,79;

secondo mese= 3,53; dal terzo al quinto mese= 2,08) (Munk-Olsen T et al, 2006).

Inoltre, un recente studio epidemiologico su larga scala ha messo in evidenza un aumentato rischio di depressione nelle donne nel periodo del postpartum, rispetto al gruppo di donne non in gravidanza o nel postpartum (Vesga-Lopez O et al, 2008).

Mann e colleghi hanno pubblicato nel 2010 una overview sulle stime di prevalenza e incidenza della depressione nei primi 12 mesi postpartum. Su un totale di 696 citazioni, sono state selezionate cinque reviews (O‟Hara MW and Swain AM, 1996; Goodman JH, 2004; Gavin NI et al, 2005; Halbreich U and Karkun S, 2006; Ross LE and Dennis CL, 2009), che soddisfacevano i criteri di inclusione.

Sono state riscontrate sostanziali differenze tra le reviews, in particolare riguardo il numero e la qualità degli studi primari inclusi, la definizione della popolazione in studio e il tempo di valutazione. Solo due reviews (Gavin NI et al, 2005; O‟Hara MW and Swain AM, 1996) fornivano una stima complessiva della prevalenza della depressione postnatale, di cui solo la review di Gavin e colleghi (2005) forniva anche una stima dell‟incidenza della depressione e costituiva l‟unica review di tipo sistematico, confermandola, quindi, come l‟analisi più valida, fino ad ora condotta, degli studi epidemiologici sulla depressione.

L‟impatto della depressione perinatale sulla salute delle donne in età riproduttiva è stato

ampiamente testimoniato dai risultati dei numerosi studi sull‟epidemiologia di questo

disturbo. La dimensione di questo fenomeno, tuttavia, non si limita ai soli effetti

disabilitanti sulla madre, ma si ripercuote inevitabilmente sul benessere del neonato e sul

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funzionamento del nucleo familiare. Una depressione non riconosciuta e non trattata in modo adeguato può essere responsabile di gravi conseguenze che, però, potrebbero essere prevenute individuando precocemente i soggetti a rischio e diagnosticando il disagio materno in maniera tempestiva.

Con queste premesse, presso il Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie (DPNFB) dell'Università di Pisa, grazie alla collaborazione con la Clinica Ostetrica e Ginecologica “Piero Fioretti” dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP), l‟U.O. di Psicologia dell‟ASL 5 e le U.O. di Ostetricia Professionale dell‟Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e dell‟ASL 5, è nato il progetto di ricerca Perinatal Depression–Research & Screening Unit (PND-ReScU ® ) (Borri C et al, 2008), promosso dal Ministero della Sanità.

L‟obiettivo primario del PND-ReScU ® era di definire i tassi di prevalenza e di incidenza della depressione perinatale, seguendo un campione selezionato di donne gravide con un disegno naturalistico longitudinale che ha avuto una durata di tre anni, dal Febbraio 2004 al Marzo 2007.

Al tempo stesso, la ricerca aveva come obiettivo la valutazione dei fattori di rischio della depressione perinatale e l‟eventuale individuazione di ulteriori fattori di rischio, oltre a quelli già noti, allo scopo di definire le strategie e gli strumenti più idonei per un efficace screening della patologia stessa (Borri C et al, 2008; Banti S et al, 2011).

Nonostante i primi tre mesi dopo il parto siano considerati il periodo a maggior rischio per lo sviluppo di una fenomenica di tipo depressivo, alcuni autori hanno evidenziato un‟incidenza di depressione pari al 7,5%, anche fra la 14esima e la 30esima settimana dopo il parto (Cox JL et al, 1993; Stuart S et al, 1998). Dall‟analisi della letteratura è emerso, però, come solo pochi studi in precedenza avessero valutato periodi di screening superiori alle 12 settimane.

Sulla base di queste considerazioni, nella prima ricerca del PND-ReScU ® è stato effettuato

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un follow up che includeva le donne a partire dal terzo mese di gestazione e le seguiva fino al dodicesimo mese postpartum, per un‟osservazione complessiva di 18 mesi. Sono state valutate al terzo mese di gravidanza (T0) un totale di 1066 donne, 500 delle quali hanno completato tutte le valutazioni.

I risultati del PND-ReScU ® I hanno messo in evidenza tassi di prevalenza periodica della mMD maggiori durante la gravidanza rispetto al periodo del postpartum (12.4% vs 9.6%), in accordo con i dati di due studi precedenti (Evans J et al, 2001; Gaynes BN et al, 2005).

La prevalenza periodica a un anno risultava, invece, significativamente inferiore (9.6%, IC 95%, 7.0-12.2) rispetto a quella riportata da Gaynes.

Al primo mese postpartum, le stime di prevalenza puntale della mMD nello studio PND- ReScU ® I risultavano significativamente inferiori rispetto a quelle riportate da O'Hara and Swain (13%) (O'Hara MW e Swain AM, 1996) e da Gonidakis e colleghi (12.5%) (2008), pur rimanendo entro l‟intervallo di confidenza descritto da Gaynes (95% CI, 2.2-6.4) (2005). Nel restante periodo del postpartum, invece, i valori di prevalenza puntuale della mMD sono risultati essere significativamente inferiori rispetto a quelli riportati da Gaynes e colleghi (2005).

Nel postpartum, l‟incidenza di depressione risultava del 6.8% (95% CI, 4.6-9.2), in accordo con i dati di Kitamura e colleghi ( 2006). Gaynes e colleghi (2005) riportavano dei tassi di incidenza nei primi tre mesi postpartum pari a 14.5% (95% CI, 10.9-19.2), mentre Chaudron e colleghi (2001) avevano rilevato che il 5.8% delle donne diventava clinicamente depresso nei primi quattro mesi dopo il parto.

I dati a disposizione non consentivano di escludere che le percentuali di incidenza di

mMD, riscontrate nel periodo di osservazione dello studio, rispecchiassero, in realtà, i tassi

di incidenza di questo disturbo nella popolazione femminile in età fertile.

(37)

Il riscontro di stime di prevalenza e incidenza di mMD significativamente inferiori rispetto

ai valori riportati in letteratura ha imposto una riflessione sulla possibile efficacia

dell‟approccio clinico messo in atto nel primo studio PND-ReScU ® nel prevenire lo

sviluppo di disturbi depressivi e ansiosi nel periodo perinatale.

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