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La propaganda nelle carte dell'Archivio di Gabinetto della Prefettura di Pisa (1946-1956)

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Il mio lavoro, che ha avuto l’obiettivo di analizzare un tipo particolare di documentazione qual è quella di propaganda, inserita all’interno di fascicoli di carteggio dell’Archivio di Ga-binetto della Prefettura di Pisa, si è rivelato una ricerca molto appassionante.

Spinta dall’amore per il lavoro d’archivio, ho scoperto, grazie a questa esperienza, il coin-volgimento e la gratificazione che si ricavano dallo studio diretto delle fonti.

Le notizie ricavate dallo studio dei documenti analizzati mi hanno permesso di approfon-dire la ricerca come era nelle mie intenzioni, toccando con mano le testimonianze approfon-dirette de-gli episodi storici trattati.

Con l’ausilio della storiografia di riferimento ho approfondito lo studio sul soggetto pro-duttore dell’Archivio di Gabinetto della Prefettura, il prefetto appunto.

Le ricostruzioni sulla figura del prefetto riservano sempre un’attenzione molto particolare al periodo del secondo dopoguerra. Si è di fronte a uno dei momenti più aspri della storia na-zionale e, nel contempo, si è dinanzi a una radicale trasformazione sotto il profilo politico-istituzionale. Nell’arco di meno cinque anni, dal 1943 al 1948, si consuma un insieme di cambiamenti senza eguali nella storia nazionale per profondità e rapidità: dalla dittatura alla democrazia; dalla monarchia alla Repubblica; l’approvazione della Costituzione democratica e repubblicana al posto dello Statuto Albertino del 1848.

Le funzioni politiche e istituzionali del prefetto nel secondo dopoguerra sono regolamenta-te dalla legge 8 marzo 1949, n.277 che costituisce la carta fondamentale dei prefetti.

Le funzioni attinenti al settore dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza costituisco-no le attribuzioni storiche, costituisco-nonché quelle principali, del prefetto.

Il prefetto, essendo la massima autorità di pubblica sicurezza nella provincia, in armonia con gli indirizzi politici del Governo, è sovraordinato al questore, il quale ha una responsabi-lità specifica, cioè limitata agli aspetti tecnico-operativi dei servizi di ordine e sicurezza pub-blica ed in esecuzione alle direttive prefettizie.

La documentazione d’archivio mostra il frequente rapporto con l’ufficio del questore e con i comandanti provinciali dei carabinieri i quali devono tempestivamente informare il prefetto su quanto abbia attinenza con l’ordine e la sicurezza pubblica nella provincia. Il prefetto può disporre della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione,

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ordinandone l’attività. E’ compito, poi, del prefetto trasmettere al Ministero dell’Interno re-lazioni sull’attività delle forze di polizia informando dei provvedimenti adottati in materia di ordine e sicurezza pubblica.

Per la ricostruzione dei più importanti eventi storico-politici del secondo dopoguerra, in cui è primario il ruolo svolto dalla propaganda, mi sono servita oltre che della storiografia nazionale anche di quella locale, come le opere di Bernardini, di Carla Forti, di Elena Fasano Guarini ecc. che appaiono fedeli alle fonti locali e capaci non solo di collocare la storia della provincia di Pisa in una dimensione non strettamente localistica ma di incoraggiarne la lettu-ra secondo i nuovi orientamenti storioglettu-rafici che una rigorosa attività di ricerca ha elabolettu-rato negli ultimi decenni. Per una tale lettura è indispensabile affiancare la storiografia allo studio della documentazione d’archivio.

I documenti di propaganda inseriti all’interno dell’Archivio di Gabinetto della Prefettura di Pisa appartengono in gran parte alle campagne elettorali del primo decennio repubblicano; un gruppo di manifesti riguarda invece la mobilitazione pacifista degli anni 1949-1956: si tratta della campagna grafica di grandi artisti, come Picasso con la colomba bianca della pa-ce; un altro gruppo di manifesti riguarda la propaganda governativa.

Uscendo da un regime che ha annullato ogni forma di libero confronto politico e che ha tentato di devitalizzare la conflittualità sociale nell’ordinamento corporativo, i partiti assu-mono un compito di educazione democratica e di apprendistato politico che né la società a-tomizzata né le risorgenti istituzionali dello Stato sono in grado di assicurare. Sebbene la nuova legge elettorale del marzo 1946, in larga parte simile a quella del 1919, non discipli-nasse la propaganda elettorale e non formalizzasse il ruolo dei partiti al riguardo, grazie so-prattutto alla centralità loro assegnata dalla rappresentanza proporzionale, questi assumono il duplice compito di ridefinire le forme dell’identità nazionale (i simboli, le immagini, i colori, le tradizioni, le memorie) e di costruire gli spazi pubblici della politica.

Le campagne elettorali del secondo dopoguerra sono giocate sulla mobilitazione dei mili-tanti – le figure centrali dei grandi partiti di massa – e su capillari forme di propaganda (ma-nifesti, volantini, giornali murali, comizi, manifestazioni ecc.), con una particolare attenzione a un linguaggio politico che sa indirizzarsi al nuovo soggetto, le donne, che entra nello sce-nario politico – elettorale. Sono gli anni della più accesa propaganda ideologica e della radi-cale contrapposizione tra i distinti universi culturali che la guerra fredda riflette anche al di qua delle Alpi. Un confronto tra quelle campagne elettorali permette di osservare come si vanno definendo i quadri mentali e politici della nuova Italia. Nelle prime elezioni del

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condo dopoguerra, quelle del 2 giugno 1946 (per la formazione dell’Assemblea costituente e per la scelta referendaria tra Monarchia e Repubblica) e quelle del 18 aprile 1948 (per la co-stituzione del primo Parlamento), è in discussione non solo l’assetto geo-politico e istituzio-nale della nuova Italia, quanto la connotazione sociale e culturale del modello di vita in cui gli italiani si sarebbero riconosciuti negli anni successivi. Nello sfondo di un discorso politi-co fortemente idealizzato, nel nome dapprima dell’antifascismo resistenziale e presto di un pervasivo anticomunismo, la drammatica valenza etica e politica del risultato elettorale indu-ce gli antagonisti a qualificare il conflitto simbolico nei suoi aspetti più esclusivistici, tra contendenti che tendono ad accreditare presso l’opinione pubblica (e gli elettori) una distinta idea di storia nazionale e di sentimento patriottico. Le campagne elettorali, nel corso delle quali hanno fatto la loro prova i modelli emergenti dei moderni partiti di mobilitazione poli-tica – il PCI, la DC e il suo universo associativo cattolico, assai meno il PSI -, si dimostrano un osservatorio privilegiato per capire le passioni e le paure degli italiani in quegli anni di ri-nascita democratica.

Fino agli anni cinquanta, le forme tradizionali della propaganda politica e la centralità del-le piazze continuano a sopravanzare l’utilizzo dei moderni mezzi di comunicazione anche nelle campagne elettorali. Controllata rigidamente dal governo e in particolare dalla DC per il timore del suo influsso sull’opinione pubblica, la radio solo marginalmente e occasional-mente si apre a programmi che non siano di evasione. Le potenzialità comunicative del mez-zo sul piano politico ed elettorale sono del resto sottovalutate anche dai partiti della sinistra, secondo un orientamento di freddezza, se non di ostilità, che si sarebbe protratto anche in se-guito all’avvento della televisione.

Nei primi decenni del secondo dopoguerra e fino alla prima metà degli anni settanta, no-nostante l’avvento dei nuovi media, persiste dunque la centralità della propaganda, nella sua capacità di coniugare il discorso ideologico con quella sacralizzazione della politica ereditata dai regimi totalitari a cui, in virtù della diffusione garantita dalla militanza volontaria di mas-sa, la democrazia non ha saputo rinunciare.

I documenti di propaganda analizzati rappresentano con immediata evidenza il clima degli anni del secondo dopoguerra, ma il loro valore iconografico rischia oggi di restare sconosciu-to alle nuove generazioni, in quansconosciu-to l’importanza di questi strumenti si è notevolmente ridot-ta nella contesa politica dei nostri tempi col prevalere dei nuovi mezzi di comunicazione.

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Un’apertura ulteriore all’orizzonte di ricerca mi sembra particolarmente auspicabile: non solo confrontare le modalità della propaganda del secondo dopoguerra con quelle odierne, ma anche verificare se alcuni argomenti (di protesta, di denuncia) sono ancora oggi attuali. Con il tramonto delle ideologie, la propaganda oggi è più pubblicitaria e viene anche meno il contatto diretto con il pubblico.

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