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D
elIa-
-sqtira
e
dei
frammenti
ATTRIBUITIA-SULPIClfr
.s.;
Stabilimento
Tipografico
F.lli Fischetti_ ORZ.A.
Della
satira
e
dei
frammenti
ATTRIBUITIA
SULPICIf\
Sarno
Stabilimento
Tipof!ra/ico
F.lli FischettiLa storia della letteratura latina ci ricorda l'esistenza di due
Sulpicie:
dell' una cantanogli
amori con Cerinto alcuneelegie (sei)
attribuite a Tibullo(l):
del!'altra,
moglie
di Calenoe vissuta al
tempo
diDomiziano, parlano
dueepigrammi
di Marziale(2):
il XXXV «DeSulpiiia
» ed il XXXVIII «Ad Ca»
lenum dell'edizione Teubneriana. Di
questa
ultima intendooccuparmi.
(1) Il Giussani le ritiene di Tibullo e dice che le altre sei seguenti sono
di Sulpicia, nipote di Messalla, le quali narrano del suo amore per Cerinto.
(Cfr. Giussani: Lette?'. Roni., cap. V, pago 276 - Ed. Vallardi).
(2) Non solo Marziale, ma anche i seguenti scrittori ricordano la Sulpicia
moglie di Oaleno:
1. Ausonio ne11 epilogo a Oent. Nuptial.: c Meminerint autem, quippe eru
diti, probatissimo viro Plinio in poematis lasciviam, in moribu constitisse censuram: prurire opusculum Sulpiciae, frorrtem caperare •.
.
2. Sidonio Apoll. Carm. IX ad Felicem, vv 262-263:
c Non quod Subpiciae jocus Thaliae
Scripsit blandiloquum suo Caleno '.
c
3 .. G. Ces. Scaliqero in Hypercrit., cap. 6, pago 8.38: Aiunt Sulpiciam
fuisse temporibus Domitiani: ejus Satira falso Ausonio attributa fuit; satis enim patet a femina factos versus, in quibus Musa eultricem appellat suam:
quaeque ait sese primam docuisse Romanas mulieres posse cum Graecis
poetriis com parari,
Primaque Romanas docui contendere Graiis.
In ea multum dexteritatis, ad Satiricam amarulentiam adspirantis. Nn meri vero, ut in l'O genere poematis. non contemnendi. Igitur, ut tam lau
c
I citati
epigrammi
ne esaltano la. felicità e fedeltà coniugale:
« o molles tibi quindecim, Calene,
Quos cum Su!pitia tua jugales Indulsit deus et peregit annos , (1)
la
compostezza
dei versiimprontati
di tenero epudico
affetto.Li
leggano
tutte lefanciulle,
chevagheggino
un unico amore-c Omnes Sulpitiam legant puéllae, » -Uni quae
cupiunt
viro placere (2)consiglia
ilpoeta
latino.Faone,
talmente duro conSaffo,
nonavrebbe esitato ad accettare l'amore di
Sulpicia:
c Sed tecum
pariter simulque visam Durus Sulpitiam Phaon amaret ». (3)
La
quale,
certo,
nongliel'
avrebbe concesso: c Frustra: namque ea nec Tonantis uxornec
Nec Bacchi, Apollinis puella
Erepto sibi viveret Caleno» (4).
Sventuratamente i versi di
Sulpicia
non sono arrivati fino
-4. Is. Casaubono De Satir. poes., lib. Il, cap. 3:
Sulpicia, poetriis illorum temporum praestantissima, vel ex Martialis
epigrammate, lib. X nota est. Hujus exstat carmen, quo in Domitianum tune
est invecta, quum philosophos Urbe expulit edicto. Non erraveritjudicio meo,
qui Satiram id poema norninaverit. Eruditionem tamen et probitatem nobi lissimae feminae ex carmine po tius laudes quam acrimoniam etc. '.
-5. Vos8io De Poeto Lat., cap. 3, pago 47:
e Sulpiciae Satira extat unica. Sed castos praeterea amores scripsit ma
rito Caleno •.
-6. M. Z. Boxhoru Commento in Sulp. Satir., pago 23: «Satdra Sulpiciae
tam et eo a
Romanae erudita, elegans nervosa set, tantique nomine VITIS
maxìmis semper habita, ut non tantum CUlli ejus generis virorum scriptìs
possit contendi, sed et nonnullis eorum debeat praeferri >.
(1) M. V, Martialis: Epigrammaton libri. Recognovit W. Gilbert-Lipsiae, in aedibus B. C. 'I'eubueri , MDCCCLXXXVI. L. X, XXXVIII, v v. 1-3.
-(2) Idem: Lib. X, XXV, 1-2.
(3) Idem: idem, 17-18.
i -5
a noi: appena ne
rimangono pochi frammenti,
che si trovano nella raccolta dei «Poetae latini minores ».(1)
Però,
moltotempo
prima,
nel1498,
aVenezia,
insieme conversi latini di alcuni
poeti
italiani del sec. XV veniva stampata,
sotto il nome diSulpicia,
una satira di appena settantaesametri,
laquale
cominciava conquesta
invocazione alla musa:«Musa, quibus nurueris heroas et arma frequentas,
'I'abellam permitte mihi de texere paucis . e termina con
questo
grazioso
saluto:«Vive, vale! manet hunc pulchrum sua fama dolorr-m: Musarum spondet chorus et Romanus Apo llo '.
In essa si lamentano le tristizie del
tempo
di Domiziano el'inettezza del
Principe
nel governo. L'editore veneto l'avrebbe tratta da un codicebobbiano,
scoperto
daGiorgio
Merula alessandrino,
letterato aquei tempi
assai famoso e morto circaquattro
annidopo
il 1498.In
seguito,
la Satira vennepubblicata
or con le operedi
Ausonio,
alquale
anche fu attribuita daalcuni,
or col Satiricon di
Petronio,
or con le satire di P ersio o diGiovenale,
or coipoeti
minori. La commentarono e curarono ilBarth,
ilDousa,
ilBurmann,
ilWernsdorf,
edaltri;
la tradussero: Marco Aurelio Soranzo initaliano,
il Monnard infrancese,
il M51ler insvedese;
chi la disse operapregevole
e chi miseracosa.
* * *
L.
Gregorio
Giraldi(2)
nel sec. XVI mossequalche
dub bio circa la sincerità della satira attribuita aSulpicia,
e ilBernhardy
nel sec. XIX la credettecosaindegna
diSulpicia,
nella sua Storia della letteratura latina.
Nel
1869,
con uno studio «Commentatio deSulpiciae
quae
fertur
satira»,
pubblicato
nelle memorie dell' Accademia
-(1) T. II ex recensione Wr-rnsdorfìana., pago 155 Parigi, MDOOOXXIV.
delle Scienze
olandese,
il Boot fu ilprimo
a negarne, di proposito,
l'autenticità control'opinione
del!'Hofmann,
del Lachmann, dell'
Haupt
e di altri dotti uomini.Addusse
quali argomenti
intrinseci:sproporzione
nelleparti
e malcollegamento
deiluoghi,
difetti diprosodia,
er.
rori
storici,
similitudiniimproprie,
barbarismi e novità di locuzioni;
e comeargomenti
estrinseci si vale diquesto ragio
namento. Della
satira,
perquanto sappiasi,
non esiste alcun codice ms.; nessun editore ha fatto cenno di testi a penna;bisogna
tener per favola loscoprimento
della satira daparte
diGiorgio
Merula,
secondo afferma l'editoreveneto,
perchè
certo il Merula ne
avrebbe,
per lo meno, fatto cenno nella prefazione alle opere di
Ausonio, stampate
a Milano dallo Scinzenzeller nel 1497 e
scoperte
nell' istesso codice bobbiano. Per tuttequeste
ragioni
il Boot conclude che la Satiranon è di
Sulpicia,
bensì d'unqualche ignoto poeta
italiano del sec.XV.,
ilquale
avrebbe voluto contraffare lapoetessa
la.
tina,
fino alpunto
di spargere nella satira locuzioni trascurate e disordine nei
versi,
per far credere a codice di pessima scrittura.
All'
opinione
del Boot il Teuffel sottoscrissepienamente
nella sua «Storia della letteratura romana»(1),
aggiungendo
questi
nuoviargomenti
aquelli già portati
dal dotto olan dese: la satira non dice nulla che non siagià
conosciuto da altrilibri;
Sulpicia
non avrebbepotuto
essere sì ardita nelleallusioni,
e via diseguito.
La
questione
eragiunta
aquesto
punto,
quando,
nel1872,
lariprese
DomenicoCarutti,
nel suo studio«Sulpiciae
Caleni satira»
(2).
In
questa pubblicazione,
ilCarutti,
oltre a restituire la satira a formapiù
corretta,
colproporre
diverse edingegnose
varianti,
badò anche all' altroproblema:
rivendicare aSulpicia
la
paternità
della satira.(1) Pago 645.
7
Agli argomenti'
intrinseci del Boot oppose: non trovarsi nulla nellasatira,
che vada contro la storia ed i costumi diRoma;
le mende delladisposizione
dei versi e delle locuzioni doversi attribuire allo scrittore delcodice,
più
che ad inetto ciurmadore del sec.XV;
d'altraparte,
fin da'tempi
diAugu
trovarsi
sto,
pecche
nello scriverelatino;
nè tutti ipoeti
averfatto versi destinati all' immortalità.
Agli argomenti
estrinseci oppose: dal fatto che nonpiù
si trovi il ms. della satira non esser
possibile
i nferire uncontraffacimento
letterario;
loscopri
mento del codice bobbiese fatto dal Merula essere attestato dall' unani me consenso deicontemporanei;
da ritenersi invece come non avvenuta F edì zione di Ausonio del1497, perché
non vista da nessun bibliografo.
Molti
luoghi,
è vero, accennano a reminiscenze e ad imi tazioni di antichipoeti;
maquesti
darebbero il diritto di sospettare
nella satira un lavoro dimosaico,
solquando
tali coincidenze non fossero abbastanzafrequenti
in molti poeti latini.
Due
luoghi
soltanto,
neiquali
la satira coincide nelle espressioni
con lo storico GiulioFloro,
di epocaposteriore,
avvalorerebbero l'ipotesi
del Boot. Ma nonpoteva
lo storico aver voluto infiorare la sua prosa diespressioni
tolte a Sul,
picia?
opiuttosto
nonpotevano
idue,
lo storico e lapoetessa,
essersi incontrati accidentalmentenegli
stessi concetti?* * *
Nel
1873,
il Prof. G.Flechia,
in «Rivista diFilologia
ed'Istruzione
Classica»,
fece una recensione dello studio delCarutti.
Degnamente
il Carutti ha soddisfatto alproprio
assunto;
ma è da riconoscere - nota il Flechia - che laquestione
della sincerità della satira non è ancora
pienamente
risoluta.Resta ancora, come
argomento
inoppugnabile,
l'edizione mila nese del 1497. Se pure è assaimalagevole
rinvenirnequalche
quando
essa è citata non solo dall' Ernesto nella Biblioteca Latina delFabrizio,
ma daqualche
bibliografo
anche con maggiore precisione
di data: dall'Hain,
peresempio,
inRepertorio
Bibliografico,
dove,
dopo
esser stata citata come contenentela
prefazione
delMerula,
sotto la data dell'anno 1497 è soggi
unto: «pridie
nonasfebruarii
».Se
dunque
non sipuò
negare lasopraddetta
edizione,
come il Merula non v' avrebbe inclusa anche la satira da lui
scoperta
o, per lo meno, fattone cenno inprefazione?
Il Carutti afferma che l'edizione milanese del
1497,
sepure avvenuta, non sarebbe che la
copia
d'una consimile edizione veneta del
1496,
allaquale
ultima,
per errore, sarebbe stata attribuita unaprefazione
diGiorgio
Merula,
in cambio di un'epistola
di un altroMerula,
Bartolomeo .
-. Ma nota i l Flechia come
quest'
errore sarebbe statomantenuto dall' Ernesto nella sua Biblioteca
latina,
là dove afferma cheegli
possiede
l'edizione veneta del 1496 eche,
. diquesta,
la milanese del 1497 non è che unacopia?
In
ogni
caso - conclude il Flechia - unqualche
dubbiocade sempre su
questa
edizione del 1497. La luce sulla gen uinità della satira
sulpiciana
è dasperarla
daqualche
argomento
decisivo, somministrato,
ilpiù probabilmente,
da ulte riori ricerche intorno aquelle
antiche edizioni e aquanto
sicolleghi
colla storia de' codicibobbiesi,
trovati e usufruttuatiprincipalmente
sullo scorcio del secolo XV..
Nel
1873,
il dottore Emilio Baehrenspubblicò
a[ena
«DeSulpiciae
quae vocatur satira commentatiophilologica
». In questo studio il Baehrens si pone due
quesiti:
1.
0)
La satira è opera del!'antichità
o contraffazione delsecolo XV?
2.°)
E,
dimostratane l'antichità,
è o no opera diquella
poetessa
Sulpicia,
che fiorì sottol'impero
di Domiziano? IlPiccolomini,
in « Rivista diFilologia
e d'Istruzione clas sica»(1),
esamina la trattazione del Baehrens.Questi
ha-9
difeso
validamente,
contro ilBoot,
l'antichità dellasatira,
ma non è riuscito a ribattere
perentoriamente
l'argomento
delmedesimo, poggiato
sull' edizione milanese del 1497.Infatti,
negarequesta
apriori,
comegià
aveva fatto ilCarutti,
per leragioni
addotte dalFlechia,
eprecedentemente
esposte,
è non farprocedere
d'un passo laquestione,
in riguardo
a ciò. Dimostrare che lasopraddetta
edizionenon
sia altro che unafabula
typografica,
èquanto
si propone il Piecolornini,
nell'accennata recensione.La
prima
edizione della Biblioteca latina del Fabricio(1)
trae la notizia dell' Ausonio milanese o Scinzenzelleriano del 1497 dal «Giornale de' letterati d'Italia»
(2),
ilquale,
nell'enumerazione delle opere astampa
diGiorgio
Merula(3),
-porta:
«Ausonius cumpraefatione
Georgii
Merulae L'edizione se ne fece in
foglio,
inVenezia,
nel1496;
ma facilmente la
prima
ne sarà stataquella
diMilano,
vivente il Merula,
nel1490,
equivi replicata
nel1497,
insieme con l'opera di Terenziano Mauro ecc. ».
In
queste
poche
righe
sono due errorigrossolani.
Ilpri
mo è che l'edizione veneta del 1496 abbia una
prefazione
diGiorgio
Merula,
mentre laprefazione
è dell' altroMerula,
Bartolomeo. Il secondo è che
questa
edizione veneta sia unariproduzione
della milanese del1490;
mentresappiamo
che.
quest'
ultima fu curata da Giulio Emilio Ferrario da Novara e nondal
Merula.Questi
soltanto vi è citato in nota: circostanza che avràpotuto ingenerare
l' errore.Ora
trovate erronee duec delle tre notizie date dal Giornale de' Le ttera
ti,
sarà per lomeno lecito dubitare della
terza,
che è basata sulleprime
d'le. Ma vi è dipiù.
Il
Wernsdorf,
in «Poetae latini tninores »(4),
offre il mez zo discoprire
l'errore e la causa del!' errore.(1) Val. III, pago 109.
(2) Venezia, 1714.
(3) In certe aggiunte al Vossio, De Iiistoricis laiinis,
Parlando dei codici bobbiesi ritrovati da
Giorgio
Merula,
egli
soggiunse:
«Nam de TerentianoMauro,
qui
inter eos [i brosest,
hocaffirmatur
inprima
eius editione, qua Ausonius iunctusprodiit.
Mediolani,
a. 1497». Ora sta il fatto che almeno un
esemplare
dell'Ausonio di Venezia del 1496 unito alTerenziano Mauro di Milano del 1497 ci è noto che fu tra i libri del
principe
di Soubise(1):
«Ausoniiepigrammata.
Venetiis.Cereto,
1496.Terentianus,
De regrammatica.
Mediolani,
1497,
in fol.». Onde è lecito ritenere che allafabula
ty
pografica
dell'Ausonio Scinzenzelleriatio del 1497 conprefa
zione di
Giorgio
Merula,
abbia datoorigine
l'unione dell' Au sonio Tacuiniano del1496,
conprefazione
di Bartolomeo Merula,
al Terenziano Mauro Scinzenzelleriano del1497;
unioneche
sappiamo
essersi verificata in uno epuò
essersi verificata in
più esemplari.
In
questo
modo il Piccolomini dirada l'ultimo dubbio che ancorapoteva
affacciarsi contro l'antichità della satira.* * *
se carme
Dell' altra
questione,
il sia diSulpicia
o no, il Baehrens si occupadopo
l'esame critico edesegetico,
e viene alleseguenti
conclusioni.Quanto
allamateria,
il vaticinio dellaprossima
morteviolenta di Domiziano è
più probabile
che sia stato fattodopo
la effettiva uccisione del tiranno cheprima.
Rispetto
allaforma,
giudica
il Baehrens che le voci: retractare(vv.
3,
29),
constanter
(v. 9),
palare
(v. 43)
e la ricercata imitazione dello stile.degli antichi,
siano sicuri indizi di etàposteriore
aquella
di Domiziano.
Ma alla imitazione di Claudiano nella formula «dic mihi
Calliope»,
addotta pure dalBaehrens
comeargomento
di età(l) Catalogne des livres imprime" et mauuscrìts de la bibliothèque de feu Monseigneur le prince de Soubise, maréchal dp. France, dont la vente
-se ra ìndiquée par affiches au mnis de janvier 1789. Paris, Leclcrc, 1788. Il volume fu venduto per L. 481, come si ricava dal Brune t,
- Il
-posteriore,
il Piccolomini crede che non sia da dare molto peso,perchè
conegual
dirittopotrebbe
credersi esser Claudiano l'imitatore. La prova di assai
maggior
valore è som
-ministrata sempre secondo il Piccolomini dal titolo stesso del
carme: se il titolo
originario
fuSulpicia,
è chiaro che il carme non fucomposto
dallapoetessa
diquesto
nome.Escluso, quindi,
che la satiraappartenga
aSulpicia,
chine sarebbe stato l'autore?
La tradizione del carme è chiara almeno in due
punti:
la satira sileggeva
nell'età diFulgenzio
(VI secolo?)
tra le opere di Ausonio ed a
lui,
almeno daFulgenzio,
eraattribuito;
nel secolo XV si
scopriva
egualmente
in un codice contenente opere di Ausonio. Ciò indurrebbe a credere che sia di Ausonio.
Il Baehrens lo esclude
assolutamedte,
dicendo il carmeaffatto lontano dal carattere e dallo stile
Ausoniano,
e notandocome la raccolta delle cose di
questo poeta
necontiene
anche altre che non
gli appartengono.
Il .carmepuò,
come tanti altrispurii,
esser stato abusivamente inserito tra le opere di
-Ausonio. Ma si dimanda il Piccolomini non
potrebbe
anche starei di buona
ragione,
e nonpotrebbe
la diversità del carattere e dello stile attribuirsi a deliberata volontà dell' autore di celar se
stesso,
e dirappresentare
comemeglio
poteva il carattere e lo stile di
Sulpicia?
Con
questo punto
interrogativo
il Piccolomini chiude lasua recensione.
A dir vero,
gli argomenti
addotti dalui,
per provare che il carme sia da attribuire adAusonio,
non mi sembrano molto validi.La tradizione letteraria come alcune volte ha detto la satira opera di
Ausonio,
così altrevolte,
ed anchepiù
frequentemente,
l' ha attribuita aSulpicia.
Ora se,
rispetto
aquesta
secondaattribuzione,
la critica èriuscita,
con seriiargomenti,
a provare l'inesattezza di dettatradizione,
io credo che nemmeno siano molto validigli
argonità della satira.
Infatti, quale
ragione
avrebbe avuto Ausoniodi
alterare,
con deliberatavolontà,
il suo stile ed il suo carattere letterario?
Certo Domiziano non viveva
più
al suotempo;
e se eralogico
cheSulpicia,
contemporanea
delPrincipe,
avesse cercato di celarsi per non muoverne le
ire,
non vedo laragione,
perchè
Ausonio di moltoposteriore,
avrebbe dovuto fare egualmente.
Dal finqui
esposto,
risultano evidenti due cose:1.0)
il
carme nonpuò
considerarsi un contraffacimento let terario del secoloXV,
bensì è da ritenerlo operadell'antichità;
2.°)
l'avrebbecomposto
nonSulpicia,
ma unqualche
poeta
d'epoca posteriore.
La critica non ha per anco
indagato
chi siaquesto
poeta;
ma, data l'indole dellasatira,
lefrequenti
imitazionie
più
lo sforzo manifesto dellostile, questi
non dovette es ser digrande
levatura,
bensì unqualche
mediocre compositore, che,
a provare le sueforze,
volle darsi a non altroche ad un esercizio rettori co.
* * *
Prima di passare a
parlare
dei frammenti attribuiti a Sulpicia,
credoopportuno
d'esporre
il contenuto della satira inquestione.
Si apre essa con una
invocazione,
abbastanzastudiata,
allamusa
Calliope,
dallaquale
si chiede di essere ascoltato:•...precibus descende clientis et audi ».
Da essa vuoI sapere il
poeta
le cause della decadenzadi Roma.
E
supponendo
che la musa abbia dato ascolto all' invitofattole,
ilpoeta
esce inquesto
ragionamento,
che crede essere a seispirato
daCalliope.
Guardiamoquali
furono i fondamentidella Romana
grandezza:
c ••••. duo sunt quibus extulit
ingens
Roma caput: »irtus belli et sapientia pacis ».
-
-- 13
Dalla
perdita
diquesti
ci renderemoragione
della nostra rovina. Il valoremilitare,
formatosi esviluppatosi
nelle guerreitaliche,
porta
Roma allaconquista
del mondo:• Caeteraque imperia et totum simul abstulit orbern •,
(v, 24.)
Conseguito
un taledominio,
come l'atleta che nonpiù
si esercitanell'agone,
così Romas'illanguidisce:
« sic itidem Romana manus languet s ,
ed allora si dà ad opere di pace, a reggere le sue
conquiste
con savieleggi
e consapienza,
civile: « eonsilio et molliratione ».
Ma ora osserva il
poeta
anchequeste virtù,
come il valoremilitare,
sono andateperdute;
e naturalmente Roma è andata in rovina. Veramenteegli
non arriva ad enunciarequesta conclusione;
poichè,
essendogli
occorso di ricordare lehumanae artes dei
Greci, egli
vis'indugia
amagnificarle
e a ricordareScipione
eCatone,
che le introdussero in Roma. Poiriprende
il suoargomento;
e ad innalzaremaggiormente
ilpassato dirimpetto
alpresente,
riferisce il detto di Catone che dimandava a se stesso: « utrumme seeundis aemagis
adversis staret Romanapropago?»
Allaquale
domanda ilpoeta
non.dubita di
rispondere
per conto suo: « seilieet adversisl»;
poi
chè almeno il
pericolo
tien deste le virtù militari. Conclude checausa della decadenza di Roma è stata la
lunga
pace, che certonon sarebbe valsa a scuoterne la
grandezza,
se l'arbitrio d'un
-tiranno Domiziano non avesse dato bando alla
sapienza
'ivile, rappresentata
daifilosofi,
che il tiranno aveva messo fuori
-di Roma. A
rigore
dilogica
osserva il Piccolomini ilpoeta
avrebbe dovuto dire
più
chiaramente che lalunga
pace era stata fatale a Roma perquesto,
che aveva sostituito al fondamento del valor militarequella
dellasapienza civile,
meno saldo delprimo;
ma ciò l'avrebbeportato
a screditare ilsoggetto
che trattava.Meglio
sarebbe stato se avesse troncata la satira a• unc
igitur qui res Romanas inferat inter Non trabe sed tergo prolapsus et ingluvie albus Et studia et sapiens hominum nomenque genusque
Omnia abire foras atque urbe excedere iussit •.
A
questo punto
le cause della decadenza di Roma erandette: il valor
militare,
illanguidito
nellalunga
pace:
la sapienza civile, espulsa
in bando daltiranno;
nulla loobbliga
va a confessare la
prevalenza
delprimo
sulla seconda.Ma
egli
volledeclamare,
amplificare,
introdurre una dottacitazione;
e si trovòpoi
nelle strette o d'esserlogico
con discapito
del suotema,
o d'esser retore condiscapito
della logica;
epreferì.
naturalmente,
d'esser retore.Il
ragionamento, dunque,
è vizioso nellaconclusione,
e causa del vizio èl'amplificazione.
* * *
Esposta
brevemente laquestione
ìntorno alla satira attri buita allapoetessa
latinaSulpicia,
vediamo ora se i due frammenti,
riportati
nel voI. II della collezione dei «Poetae latini minores » edita dal Wernsdorf
(1),
siano diSulpicia
e comedebbano
interpetrarsi.
Il
primo frammento,
che ha per titolo: «De Domitiano »,è
questo:
e Flavia gens,
quantum tibi tertius abstulit haeres: Paene fuit tanti, non habuisse duos •.
Questi
due versi furonoprima
attribuiti a Marziale daun antico
interprete,
nella nota al v. 38 della satira IV di Giovenale,
e come tali Iipubblicò
il Pethoeus(2)
epoi
anche loScriverius alla fine del libro
«Spectuculorum
« di sua edizione.Il Dousa,
invece,
perchè
inquesto
frammento si accenna aDomiziano, l'aggiunse
alla satirasulpiciana; parimente
il Bur-
-(1) Cfr. Poetae Latini ::\U.nores ex recensione Wernsdorfìana Parisiis
-
-Colligebat icolaus Eligius Lemaire poeseos latinae professor MDCCCXXIV pago 150.
-15
mann li ritenne come
frammento dell'opera
poetica
diSulpi
cia,
senzaperò
addurre alcunaragione
..
L'autore della dissertazione sui frammenti di
Sulpicia,
che pare sia stato EnricoCannegieter,
riprova
l'assegnazione
del Burmann(1);
il Wernsdorff fa invece una sottiledistinzione,
cioè che
quei
due versi possono ascriversi alla satirasulpicia
na ma non a
Sulpicia.
A me pare che non sia
improbabile
che ilframmento,
ilquale
ha tutto lospirito
d'unpiccolo epigramma
abbastanzacaustico,
possa essere diSulpicia,
vissutaappunto
altempo
di
Domiziano,
e testimone dello scellerato governo di lui. Edil senso io crèdo sia
questo:
«O GenteFlavia,
quanta
vergogna ti ha arrecato il terzo tuo erede
(cioè:
Tito Flavio SabinoDomiziano);
ti sarebbe bastato non averne avuto che due solie
(cioè:
Tito FlavioVespasiano
Tito FlavioSabin6
Vespasiano).
Il secondo frammento attribuito aSulpicia
è ilseguente:
« N e me cadurcis destitutam fasci is Nudam Caleno concubantem proferat '.
La
prima
difficoltà che si offre ad una rettainterpreta
zione è la
parola
cadurcis,
allaquale
fu dato diversosignificato.
Cadurcum nel latino indicò ilpadiglione
o lacoperta
di lino daletto,
quella
che i Greci chiamavanoKonopeion,
pa rolache,
entrata nell' uso della bassalatinità,
fupoi
nel latino ecclesiastico ritenuta in
significato liturgico.
I
Cadurci,
come afferma Plinio(2),furono
popoli
della Gallia,
iquali
vennero in fama per l'arte di tessere lino e confezionare veli.
Per
figura
rettori ca talvolta con cadurcun fu indicato anche il letto e·
specialmente quello adoperato
percompiere
sacri misteri d' Iside. Con
questo significato
il citato interprete
di Giovenale(3)
spiega
il cadurcis nel frammento su indicato;
nè mancano diquelli
che dànno aquesta
parola
unsignificato
osceno, e tragli
altri anche il Broukh uss(4).
(1) In miscell, obs. vol. YIII. t. III.
(2) Lib. 1X, cap. I, paragr. 2.
(3) Sat. VI, v. 536.
-(4) Comm. al lib. IV carm. 2, stud. I Am telod., 1708.
Preso come
aggettivo
il cadurcis e accordato confa
sciis,
potrebbe
intendersi presso a poco per ciò cheposterior
mente fu chiamato
camicia,
cioè l' ulti mo schermo delpudore
muliebre. In tal caso a me pare chequesto frammento,
(che
nonpuò
non attribuirsi aSulpicia,
per la menzione ivi fatta diCaleno)
anche per il suo contenuto bene armonizzi con l'altro in cui sideplorano
le nefandezze di Domiziano.Questi
due versi rivelanoquel
senso dipudore
della donna che non vuole essere mostrata nuda neanche nel talamo co
niugale
allo sposoCaleno,
ma che almeno ella possa serbarequelle
fasce di linopregiate
che venivano dalla Gallia e che eranoadoperate
negli
indumenti delle matrone romane, comeè ricordato anche da Livio nell'
arringa
di Catone contro il lusso delle donne.Concludendo,
io credo che ilprimo
frammento sarebbe daattribuire a
Sulpicia;
anzi l'attribuzione della satira alla me- »-:desima avrà
potuto
avereorigine appunto
daqualche epi
gramma in cuiSulpicia
parlava
male di Domiziano e di cui sarebberoparte
i due versi restati. Tantopiù
che l'indole diquesti
due versi non s'accorda con l'indole dellasatira;
inquanto
nella satira s'assale Domiziano soltantoindirettamente,
nei due versi invece la gensFlavia,
dellaquale
Domiziano fu iltertias-tuures
fuespressamente
presa di fronte.:: "Il
Se'd).'Mo frammento,
.Iorse,
colprimo
è l'unico residuod.en
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pòè"tica
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S. Ìpici- :;!n
esso,infatti,
siparla
di Ca1 l!1>:
marito dilei,
e visi
"riv.ela
appunto quella compostezza
é !6nestà
notata da Marziale;jl}"
lode diSulpicia
nei due esuccitati.
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buòna
quieta,
preseche formano il
quella
erudizione" e--q
uei..ç9r!f6rti
ragionamenti
sostrato della satira. Tutto
ai
più possiamo
ammettere chequalche spunto
satirico,
qualche
frizzo mordace ellaabbia,
ditanto in