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Academic year: 2021

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Il problema epistemologico in pedagogia

nelle pagine di Studium Educationis

Abstract

L’articolo riprende la radice storica della questione epistemologica in pedagogia così com’è stata formulata originariamente da Herbart all’inizio dell’Ottocento, ripercorre per rapidi cenni i ter-mini della discussione sviluppatasi in Italia attorno all’identità disciplinare della pedagogia e si concentra sul contributo di Studium Educationis al medesimo tema, esaminando in dettaglio i contenuti e gli esiti qui maturati in modo particolare attraverso le teorizzazioni di Orlando Cian, Minichiello, Xodo, Cambi, Granese.

Parole chiave: pedagogia, epistemologia, teoria/prassi, polarità pedagogiche, vita umana

This paper first takes in account the epistemological quest in education formulated by Herbart at the beginning of the Nineteen Century, then shortly examines the topics of the Italian dis-cussion about the identity of education as a discipline, then again focuses on the specific contri-bution of Studium Education to the debate, reading in detail the contents and the outcomes here developed, following in particular the theoretical arguments of Orlando Cian, Minichiello, Xodo, Cambi, Granese.

Key words: education, epistemology, theory/praxis, educational polarities, human life di Mino Conte

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Il problema epistemologico in pedagogia

nelle pagine di Studium Educationis

Premessa

Il Ventennale di una Rivista è l’occasione per un bilancio culturale e scien-tifico, oltre che di vivo rallegramento per il traguardo raggiunto che porta con sé anche l’auspicio di un’ancor più lunga vita editoriale. Lo sguardo te-matico qui dedicato al tema epistemologico in pedagogia, alla sua presenza nelle annate via via succedutesi, al contributo specifico di Studium Educationis allo sbrogliarsi e chiarificarsi della questione, è impresa ardua. Il tema dello statuto della pedagogia, della propria consistenza disciplinare, della propria differenza specifica nei confronti degli altri saperi, tocca il cuore stesso di una Rivista di Pedagogia, quasi a coincidere con le sue stesse ragioni istitutive. Si può forse arrivare a sostenere che l’intero corpus dei contributi pubblicati in questi anni, in maniera il più delle volte implicita ma talora anche esplicita, affronti in modo diretto o indiretto la questione. Entra nel merito oppure è testimonianza in atto di che cosa sia la pedagogia. La Rivista ha offerto e continua ad offrire al suoi lettori l’intero ventaglio del sapere pedagogico, nei suoi tratti generali così come nelle sue ramificazioni specialistiche ed appli-cative. Essa è dunque una rappresentazione vivente dello statuto della peda-gogia nei termini in cui esso è stato ed è inteso dai diversi organismi garanti e progettisti del suo cammino editoriale e scientifico, in primis dal Direttore e, a seguire, dal Comitato Scientifico e dalla Redazione e, non ultimi, dagli stessi Autori a loro volta espressione della comunità accademico-pedagogica nazionale. Ciò premesso, non ci sottraiamo al compito, al quale tra breve ci accingeremo di buon grado, non senza un preliminare sguardo alla profondità storica del problema oggetto di ricostruzione ed analisi.

1. Due passaggi herbartiani

La questione dello statuto epistemologico della pedagogia, che reca con sé il tentativo di rispondere a domande brucianti e delicate quali, ad esempio, – che cos’è la pedagogia?, che tipo di scienza è la pedagogia?, che tipo di sapere è il sapere pedagogico? –, costituisce l’habitat meta-riflessivo proprio del-l’epistemologia pedagogica, il problema o rompicapo specifico preso in con-segna da questo ambito di studi solitamente praticato dai filosofi dell’educazione e dai pedagogisti generalisti. Il problema è certamente di na-tura teoretica ma presenta un risvolto d’evidente pregnanza pratica: a partire da quale comune denominatore possono i pedagogisti riconoscersi tra loro, trovare un cifra distintiva dotata di relativa stabilità a partire dalla quale potersi intendere, così come, ad esempio, possono tra loro comprendersi un pediatra

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e un cardiologo al di là o prima delle loro specialità, dunque in quanto in-nanzitutto medici.

Due tracce risultano essere significative per l’epistemologia pedagogica. La prima ci riporta al 1806, data di pubblicazione dell’opera di Herbart in-titolata Pedagogia generale dedotta dal fine dell’educazione. Qui è posto per la pri-ma volta nella pedagogia moderna il problepri-ma dell’autonomia della pedagogia come scienza. Leggiamo un passaggio significativo:

Sarebbe bene che la Pedagogia riflettesse di più sopra le proprie idee, e coltivasse maggiormente un suo pensiero indipendente; in tal modo essa diventerebbe il punto centrale di una sfera di ricerche e non correrebbe il pericolo di essere trattata come potenze straniere tratterebbero un re-moto paese di conquista. Soltanto a condizione che ciascuna scienza cerchi di orientarsi a suo modo e colla stessa forza che le sue vicine, può stabilirsi fra esse una relazione benefica (Herbart, 1947, p.12).

L’ammonimento herbartiano è chiaro: o la pedagogia s’impegna a com-prendere il proprio ubi consistam oppure è destinata ad essere sottoposta ad altri ed esterni regimi di disciplinamento cognitivo. Se essa s’impegna a dar forma al proprio pensiero, ad identificare la specificità del pensiero pedagogico, e ad aver cura di questo impegno genetico, solo allora potrà ambire a porsi come un crocevia di ricerche chiare e distinte, e solo allora potrà stabilire con gli altri saperi (la psicologia, ad esempio) relazioni proficue “ad armi pari”. Si noti nel passaggio riportato la centralità del pensiero, delle idee, e non delle pratiche in questo percorso di autocomprensione epistemologica. A partire da quali cri-teri razionali d’ordine generale (pensieri, idee) è infatti possibile qualificare una pratica come educativa? Il problema ha un ordine logico.

Herbart non si è limitato a porre i termini esatti del problema ma ha an-che prospettato una possibile soluzione, espressa alcuni anni dopo, nell’opera intitolata Disegno di lezioni di pedagogia del 1835. Leggiamo un altro passo, la seconda traccia:

La Pedagogia come scienza dipende dalla Filosofia pratica e dalla Psi-cologia. La prima indica il fine dell’educazione, la seconda si riferisce al metodo, ai mezzi, alle difficoltà […] il primo problema da affrontare concerne la fondazione stessa della Pedagogia come sintesi della Filo-sofia pratica e della Psicologia (Herbart, 1913, p. 6)

La proposta del filosofo e pedagogista tedesco è rivelativa della non sem-plice risoluzione del dilemma epistemologico. Da un lato egli ha invocato, a ragione, l’indipendenza della pedagogia, la sua autonomia distintiva di pen-siero e di azione, dall’altro ha postulato la sua stretta dipendenza dall’etica (la “filosofia pratica”) e dalla psicologia, considerati quali suoi addendi costitutivi: etica più psicologia uguale pedagogia. Se però, ci chiediamo, alla pedagogia viene sottratta la giurisdizione “iuxta propria principia” attorno ai fini ed ai mezzi del proprio essere ed operare, affidati ad un sapere filosofico i primi e psicologico i secondi, che cosa le resta? Essa, la pedagogia, è autonoma e pur dipendente allo stesso tempo? È sostenibile tale contraddizione oppure essa

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costituisce proprio lo “stemma” del sapere pedagogico, inevitabilmente trecciato ad altri saperi già nella propria stessa fondazione? Non è nostro in-tendimento qui sviluppare ed approfondire questo interrogativo dati gli scopi del presente scritto. Basti l’accenno al contributo herbartiano come rapido sguardo storico alla posizione del problema nella sua complessità. Da allora è scorso molto inchiostro, anche nel nostro Paese.

2. La querelle epistemologica in Italia: note riepilogative

Nel panorama pedagogico italiano l’intera comunità degli studiosi accademici si è in differenti momenti ed in modo continuativo espressa sulla questione. Giova al riguardo scorrere l’esauriente ricostruzione di Serafini che ha inse-guito e riesaminato il dibattito sulla natura della pedagogia svoltosi tra il 1945 e il 1995 (Serafini, 1995). Le diverse proposte succedutesi o sovrappostesi non hanno peraltro chiuso la discussione, che anche in tempi recenti è stata nuovamente ripresa: la pedagogia è stata variamente e distintamente conce-pita, e l’elencazione è incompleta, così come puramente indicativi sono i pe-dagogisti “di riferimento” richiamati: “come filosofia” (Catalfamo), come disciplina “pratico-poietica” (Casotti, Agosti, Flores D’Arcais), come disciplina “ermeneutica” (De Giacinto, Mencarelli), oppure intesa come pedagogia “cri-tica” (Granese), come scienza “fenomenologicamente fondata” (Bertolini), come “scienza empirica” (Laporta), come “clinica della formazione” (Massa), come “didattica” (Damiano, Scurati, Pellerey) (Ibidem).

Secondo Aldo Agazzi, negli anni Sessanta la pedagogia italiana era ancora alla ricerca “delle ragioni e dei termini della propria autonomia”, ancora alle prese con problemi di definizione, qualificazione, struttura, delimitazione del proprio specifico ambito (Agazzi, 1976, pp. 23-24). Alla fine degli anni Set-tanta, un decennio dopo, la pedagogia, secondo Serafini, versava ancora in uno stato di “immaturità epistemologica” e di “precaria identità” (Serafini, 1989, p. 9). Dopo alcuni anni, nel 1986, Granese e Bertin manifestarono l’esigenza di “riprendere e sviluppare un dibattito sui problemi e sugli orien-tamenti della ricerca pedagogica”, riproponendo il problema dell’ “auto-comprensione” d’un campo di ricerca “dai contorni incerti”, per definire i confini e i limiti della propria scientificità. Iniziò così il dibattito tra studiosi italiani ospitato in numeri successivi sulla Rivista “Scuola e Città” (Granese, 1986, p. 273). Ancora dieci anni dopo, siamo nel 1996, la discussione tra i pedagogisti italiani si è spostata sul versante delle “scienze dell’educazione”, ospitata sulle pagine e in numeri successivi della Rivista “Ricerche Pedago-giche”, e promossa da Genovesi. Nella lettera d’invito si legge: “Domande come quella se esiste la pedagogia, se è corretto o meno parlare di scienza dell’educazione o di scienze dell’educazione” sono di grande importanza (Genovesi, 1996). Il problema, notiamo, è che già nel 1941 Agosti si chie-deva: esiste la pedagogia? (Agosti, 1941). E nel 1953 Casotti riproponeva la stessa domanda: esiste la pedagogia? (Casotti, 1953). Domanda che puntual-mente torna al termine del volume di Serafini (1995, p. 171). A testimonianza delle continuità degli interrogativi di fondo e della diffusa e sempre salutare

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discussione, va senz’altro menzionata l’inedita articolazione del ciclo di “se-minari itineranti” – Dalle Pedagogie alla Pedagogia – promosso dal Diparti-mento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova ed avviato il 14 novembre del 2003, caratterizzato da incontri periodici tenutisi successiva-mente in altre sedi universitarie italiane (Firenze, Milano, Salerno, Arezzo, Bergamo, ecc) (Xodo, 2004). Lo scopo dei Seminari, si legge nell’Introdu-zione, è la realizzazione di un confronto critico inter-universitario su “iden-tità e natura epistemologica della pedagogia generale”, che parte dall’esigenza di “chiarificazione epistemologica della disciplina”, opera “non più procra-stinabile” (Xodo, 2004, p. 13). L’invito è quello di “misurarsi su una questione complessa ed irrisolta come l’identità scientifica della pedagogia generale” (Xodo, 2004, p. 14). E parimenti il XXoConvegno della “Società Italiana di

Pedagogia” (SIPED), tenutosi a Napoli dal 27 al 29 maggio 2004, dedicato al tema L’identità della pedagogia oggi, dove il Presidente Laneve, individuava come nevralgica, cruciale, e urgente, la necessità di “dare forza al discorso pedagogico attraverso una ripuntualizzazione e ridefinizione del quadro teo-rico di base, vale a dire la strutturazione concettuale degli elementi costitutivi dell’oggetto della pedagogia”, che comporti la disponibilità ad una “sintesi

con-divisa, pur nel rispetto […] di tutte le sue espressioni e della varietà

(inevi-tabile e feconda) dei suoi approcci epistemologici” (Laneve, Gemma, 2005, p. 39). La ricostruzione e revisione dei fondamenti del discorso pedagogico è dunque sempre in corso d’opera, e così pure, in termini ancor più fonda-mentali, l’individuazione dei contenuti del ritaglio di realtà che identifica l’oggetto del proprio discorso e della propria opera. Il metodo di lavoro, co-me si evince da quest’ultima citazione, è la ricerca del consenso all’interno della comunità “scientifica” di riferimento partendo dalla presa d’atto del-l’esistente. Il procedere “per consenso” all’interno di una data comunità scientifica, nei termini appena riportati, ricorda il concetto di “scienza nor-male” kuhniano (Kuhn, 1985). L’idea della sintesi dei punti di vista e dei dif-ferenti approcci “epistemologici” significa, però, nulla più che una fotografia inclusiva dell’esistente, una semplice mappatura a posteriori di ciò che è dato per meglio amministrarlo, per cui tutto ciò che è, in sostanza, va bene

(any-thing goes, direbbe qui Feyerabend). Sembra anche riproporsi l’approccio alla

questione che Dewey esplicita nelle Fonti, dove dichiara di non affrontare diffusamente il problema relativo alla stessa nozione di scienza in generale, che è problema “irto di spine” e “controverso”: l’“idea di scienza”, egli so-stiene, va intesa con una buona dose di “larghezza” ed “elasticità”, in modo “da comprendervi tutte le discipline che sono comunemente considerate scienze. L’importante è scoprire quelle caratteristiche in virtù delle quali i vari campi vengono detti scientifici” (Dewey, 1990, p. 2). Ma allora dove va a finire la riflessione epistemologica e l’annesso e connesso problema della demarcazione razionale tra scienza e non scienza, nel nostro caso tra peda-gogia e non-pedapeda-gogia? Concludiamo qui questa breve rassegna preliminare dedicata alle posizioni storiche ed ai lineamenti della discussione italiana al fine di meglio introdurre quanto segue.

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3. Il contributo di Studium Educationis

Come si è potuto vedere nelle pagine precedenti, il problema epistemologico è stato tenuto aperto e vivo anche dalle Riviste pedagogiche, ed è dunque il momento di andare a riaprire alcune pagine significative che Studium

Edu-cationis ha direttamente dedicato al tema. Apriamo il numero monografico

intitolato Lineamenti di pedagogia generale, datato 1999 (n. 2), che affronta la problematica in modo diretto. Qui, già dalle Note introduttive del Direttore, Diega Orlando Cian, si entra nel merito della questione: “la monografia af-fronta la peculiarità del discorso pedagogico, rispetto a quello di altri saperi, so-prattutto nella sua complessità di ricerca epistemologica”. Il “tentativo di sistemazione unitaria” perseguito, è orientato alla individuazione delle “di-verse componenti” della pedagogia, “attraverso il nodo problematico teoria-prassi” (Orlando Cian, 1999a, p. 207, c.vo mio); alla delineazione dei “principi fondanti” e delle “parole-chiave dell’alfabeto pedagogico” (Orlando Cian, 1999a, p. 208) al di là delle differenti scuole pedagogiche di riferimento dei diversi Autori convocati, problematicismo, fenomenologia, personalismo. La ricerca del proprium del discorso pedagogico si specifica in un preciso piano di ricerca epistemologica volto ad identificare gli elementi strutturali e ri-correnti, espressi in principi generali e in un lessico distinto, in grado di qua-lificare la differenza specifica d’un campo di studi, ricerche e intervento (il nesso teoria-prassi) distinto e consistente. Di rilievo è l’intenzione di contri-buire a superare le differenze di scuola. Ciò sta a significare che l’assunto pre-liminare è il seguente: nessun orientamento pedagogico può considerare se stesso come l’autentico interprete della pedagogia o rappresentare la peda-gogia. La ricerca delle peculiarità del discorso pedagogico non può che essere comune e trascendere le opzioni di scuola. Il lavoro epistemologico riguarda infatti l’individuazione del nucleo fondamentale della disciplina, che sarà pre-sente in ogni sua declinazione particolare come garante della possibilità stessa del dialogo e della comprensione reciproca nelle differenze.

Quale allora la prima mossa, o la “mossa 0”? Occorre partire, secondo Minichiello, da “una reale pratica teorica che costituisca l’oggetto-educazione e lo svolga in un discorso che trae da sé i propri criteri di legittimità”, in se-guito organizzando “l’oggetto-educazione come campo semantico” (1999, p. 209). La teoria, in altri termini “produce l’oggetto empirico da cui è con-trollata” (1999, p. 210). La prima fallacia del discorso pedagogico è però dietro l’angolo:

Ricondurre la teoria educativa al processo di controllo empirico delle proprietà oggettive empiricamente controllabili significherebbe non solo “amputare” da tale teoria tutte quelle attese che la costituiscono (quali “cura”, “educazione”, “fini”, “soggettività”), e che non hanno proprietà empiricamente controllabili, ma cadere in un circolo vizioso […] per il quale il tipo di proprietà degli oggetti produce la teoria che determina quel tipo di proprietà (Minichiello, 1999, p. 210).

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Non è dunque pensabile concepire la pedagogia, in virtù dell’eccedenza semantica del suo oggetto, come una disciplina esclusivamente empirica. Essa certamente ha a che vedere con i “fatti” ma non è una scienza dei dati di fatto. Ciò che la contraddistingue è piuttosto un “da farsi” che non è riduci-bile empiricamente. La seconda fallacia riguarda la “prevedibilità degli eventi educativi”, eventi dunque, e non fatti. Una teoria educativa può anche “pre-vedere”, e certamente espande la visibilità degli eventi allargandone in qual-che misura la prevedibilità, ma è anqual-che un congegno per “generare” eventi educativi. A partire da queste considerazioni preliminari, e rigettando ogni approccio “fondativo” perché è il senso dell’educazione a fondare la possibi-lità, per la teoria, di avere senso (Cfr. Acone, 1994), Minichiello precisa:

Il discorso pedagogico, se da un lato è spinto a presupporre il senso dell’educazione come qualcosa da sempre già in atto, diventa […] la teoria/prassi del riconoscimento, della critica, della negoziazione dei signi-ficati che il multiverso educativo espone allo sguardo epistemologico dei saperi dell’educazione (Minichiello, 1999, p. 212).

La pedagogia, la razionalità pedagogica, interviene a posteriori rispetto a qualcosa che è già in corso, che ha una direzione, un senso, ossia l’educazione in atto, senza limitarsi a prenderne atto. Se esiste “un tipo di scientificità pe-culiarmente pedagogica”, essa non ha un valore costitutivo-fondativo ma “negoziale, ermeneutico ed euristico insieme” (Minichiello, 1999, p. 213). Questo tipo di scientificità

si dispone all’interno di un duplice rapporto problematico: quello che oppone la teoria alla prassi e l’altro che si dispone tra il “fatto” e il “valore”. Si può affermare che il rapporto tra questi due termini si può far rientrare nel primo, dato che il cosiddetto fatto educativo pren-de consistenza in virtù di attese teoriche connotate valorialmente [...] Il fatto educativo è, in sostanza, già un valore (Minichiello, 1999, pp. 213-214).

La pedagogia allora, sostiene Minichiello, “è contemporaneamente filo-sofia e scienza dell’educazione” e, proprio in conseguenza di tale circostanza, essa “si presenta come relazione problematica di teoria e prassi”, relazione, questa, che identifica il suo specifico connotato (Minichiello, 1999, p. 214). Diversi sono i modi d’intendere questa relazione, ma non riprendiamo qui la vexata queastio. La pedagogia, prosegue l’Autore, “è una teoria per la pratica non meno che una pratica per la teoria”, e proprio “dalla compenetrazione dei due punti di vista (dalla teoria alla pratica e dalla pratica alla teoria) si possano ricavare tre livelli teorici, quali riferimenti validi per l’individuazione dello spazio scientifico propriamente pedagogico” (Minichiello, 1999, pp. 215-216). Il primo livello, coerentemente, parte dalla constatazione che un contesto educativo pre-esiste ed è pre-determinato, ed è qui già operante, in chi si trova in situazione, un livello teorico ricevuto per tradizione da “adat-tare” alle nuove esigenze. Tale teoria (di primo livello) nasce a diretto contatto con la pratica. Il secondo livello teorico nasce da una riflessione sistematica

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sul livello teorico precedente e riguarda i concetti concernenti i fini del-l’educazione, i metodi, lo sviluppo cognitivo-affettivo, ecc. Nel circuito

di un’analitica, un’ermeneutica e una teleologia dei concetti, intesi co-me presupposizioni, assunzioni preliminari tacite dei saperi dell’educa-zione, si rivela la peculiarità epistemologica del discorso pedagogico e si manifesta, contemporaneamente, la realtà educativa come identità di fatto e valore, constatazione e senso (Minichiello, 1999, p. 216).

Il terzo livello segna il ritorno del sapere qui elaborato sul primo livello sotto forma di applicazione. Lo spazio scientifico della pedagogia, ed il tipo di scientificità propriamente pedagogico, sta tutto nel rapporto circolare fra teoria e prassi. Dalla teoria già in atto nella pratica, alla pratica della teoria e delle teorie, all’azione teoricamente ripensata e chiarificata nei suoi presup-posti, nel suo senso, nella sua destinazione. Al valore dell’educazione in atto, che inizialmente è esperito e constatato, al ripensamento del senso di quel valore. La peculiarità epistemologica della pedagogia non va dunque ricercata, secondo Minichiello, sul piano delle fondazioni sovradeterminate, a partire da un cominciamento assoluto, ma sul piano di ciò che consente di illuminare la realtà educativa storicamente esperita ed esperibile a partire da questa stessa realtà ma senza incorrere nella fallacia empirista.

La questione è rilanciata da Xodo, a partire dalla constatazione che l’epi-stemologia della pedagogia è alquanto “oscillante” almeno tra due posizioni: tra chi considera la teoria dell’educazione “come una riflessione distinta dal-l’azione educativa oppure come una teoria che conserva un collegamento con l’azione medesima” (1999, p. 218). Nel primo caso, la pedagogia si de-termina come un “sapere […] basato su conoscenze a- priori”, caratterizzato da argomentazioni riconducibili all’antropologia filosofica, dunque come di-sciplina filosofica legata “all’essenza della realtà umana”; nel secondo caso, essa si presenta come un “sapere a posteriori” costituito con l’apporto del-l’esperienza, come “emergenza teorica dell’esperienza”, e la teoria pedagogica vuole essere “scienza dell’azione educativa che ha la sua genesi storica nel-l’arte” (Xodo, 1999, p.218). Quelle che l’Autrice identifica come i “due assi teorici” della pedagogia Occidentale ben rappresentano il dilemma episte-mologico classico: “Pedagogia come scienza filosofica o pedagogia come scienza empirica?” (Xodo, 1999, p. 221). Una via per sciogliere il nodo po-trebbe essere quella di partire dall’educazione e dalla domanda “che cos’è educazione”? Ma subito si va al punto: “è in virtù di una teoria che io giungo a circoscrivere il mio oggetto, e cioè l’educazione. E’ in virtù di un approccio metodologico che conferisco realtà all’educazione” (Xodo, 1999, p. 221). La pedagogia teoretica o filosofica circoscriverà l’oggetto educazione in un mo-do e la pedagogia empirica in un altro, a partire dalle loro differenti presup-posizioni. L’educazione sarà una cosa per la prima un’altra per la seconda. Quale delle due scegliere? Il dilemma resta invariato. Ma, si chiede, l’Autrice, “ha ancora senso un’impostazione del problema epistemologico della peda-gogia come alternativo tra scienza e filosofia?”; così facendo tornano a ri-proporsi i problemi di sempre, ovvero se la pedagogia sia scienza del

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particolare o se sia più vicina alla filosofia in quanto scienza del generale; ed il problema rimane lo stesso anche specificando meglio il punto e parlando per un verso del rapporto con le scienze dell’educazione (è la pedagogia una di esse?), per l’altro del rapporto con la filosofia dell’educazione (è la peda-gogia conoscenza del generale?) (Xodo, 1999, p. 222). La pedapeda-gogia, in altri termini, “si ritrova alle prese, in relazione alla propria identità, con i vecchi problemi che credeva di aver superato” (Xodo, 1999, p. 224). Come superare l’impasse? Porre delle buone domande è sicuramente la cosa migliore, e la domanda in grado d’aprire nuovi varchi di senso e forse una via d’uscita dal dilemma e d’entrata nelle ipotesi risolutive è la seguente: in cosa consiste il “punto di vista” della pedagogia? Meglio: qual è il punto di vista della peda-gogia sulla realtà umana? La pedapeda-gogia “prima di essere una teoria […] rap-presenta un modo di vedere la realtà umana […] l’uomo come è e l’uomo come dovrebbe essere” (Xodo, 1999, p. 225). Di seguito lo sviluppo di tale premessa che consente di circoscrivere l’”oggetto della pedagogia”:

essa riguarda la realizzazione umana come passaggio dall’essere al dover essere, non solo biologico, ma anche simbolico-ideale, La pedagogia si occupa dunque del processo della crescita, in cui si inscrive una du-rata esistenziale, la costituzione di un’identità personale. Chiamiamo educazione l’azione sviluppata a sostegno di questo processo (Xodo, 1999, p. 226).

La pedagogia allora diventa la “scienza del possibile” e la “scienza del pro-getto”. Essa concerne un peculiare modo di vedere la realtà umana e l’essere stesso dell’uomo, e non va intesa come un spazio epistemico causa di se stesso perché “è la vita umana che attiva la pedagogia, perché è la vita stessa che si realizza attraverso un apprendimento” (Xodo, 1999, p. 226). E la pedagogia, a sua volta “istituisce l’educazione, ne è il presupposto a partire da un’ottica pro-iettata sull’uomo che apre alla dimensione della possibilità […] poiché oggi abbiamo riscattato a dignità educativa tutta la vita umana” (Xodo, 1999, p. 228). Il riferimento alla “vita umana” come primo motore (initium) e condizione di possibilità del discorso pedagogico radica il problema epistemologico su un fondamento esistenziale. Vita “umana”, si dice, non “vita” tout court, non dun-que il puro impulso del vivere dell’uomo vivente come tale, ma la forma di vita propria di ogni singolarità, che ciascuno è chiamato a rivelare a se stesso e agli altri come un valore e non come una funzione. C’è un imprescindibile terreno vitale, esistenziale, da non confondere con i “vitalismi” di diverso conio, che non va dimenticato allorquando ci si dedica a ripensare il pedagogico dalle fondamenta. Il rapporto pedagogia e vita umana “serve a richiamare l’oggetto formale della disciplina, cioè il punto di vista della pedagogia sulla vita al fine di rafforzare il significato esistenziale della disciplina” (Xodo, 1999, p. 229). Lo stesso nodo “teoria-prassi” può così essere ricompreso e dotato di un punto di vista specifico aperto ad un “oggetto” eccedente e ancora una volta non em-piricamente amputabile, quale la vita umana nel suo essere e nel suo divenire aperto all’educazione, alle azioni educative possibili da progettare in vista del poter-essere della vita umana personale.

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Il problema epistemologico della pedagogia trova nel contributo di Or-lando Cian ulteriori prospettive concettuali attraverso l’elaborazione delle “polarità pedagogiche” di ascendenza guardiniana, coglibili attraverso un’attenta riconsiderazione delle radici storiche della disciplina. C’è qualcosa di costante nel discorso pedagogico sviluppato nei grandi modelli del passato in grado di metterne in luce il segno e il senso distintivo? Risalire alle origini per ri-scoprire alcuni elementi fondanti “che non sono soggetti al cambiamento pur essendo coniugati proprio dentro al cambiamento” (Orlando Cian, 1999b, p. 234), percorrere a ritroso la storia del pensiero educativo è un modo per meglio comprendere e rispondere alle sfide del tempo presente e non è af-fatto, come taluno potrebbe pregiudizievolmente insinuare, opera di semplice erudizione o vieto passatismo. Le polarità, sono “opposizioni” correlate, che nell’esperienza del concreto vivente non si elidono ma si richiamano neces-sariamente secondo diverse gradazioni e accentuazioni dell’una e dell’altra. Non si tratta di antinomie ma di aspetti compresenti,

perché molto spesso si tratta di sfumature, di chiaroscuri, di valori tra cui responsabilmente scegliere […] in cui si è coinvolti in prima per-sona e che rendono l’educazione un’autentica creativa azione perso-nale […] Tutti i grandi pedagogisti presentano nelle loro opere alcune di queste costanti, che in un certo modo costituiscono lo statuto della pedagogia (Orlando Cian, 1999b, p. 234).

La polarità pedagogica “pienezza/incompiutezza” è la prima presa in esa-me e l’Autrice la ritrova in Coesa-menio, Locke, Rousseau, Pestalozzi e Froebel, classici nuovamente e pazientemente compulsati. In un tempo come quello odierno, che esalta il cambiamento per il cambiamento, dunque l’incompiu-tezza, sembra non esservi più tempo per la pienezza propria di ciascuna età dell’uomo, pienezza che apre al futuro perché sa sostare senza la coazione a procedere sempre oltre, che ha la consapevolezza dei consolidamenti, dei tra-guardi raggiunti pur provvisori ma dotati di valore in quanto tali e non da intendersi solo e soltanto come momenti preparatori a qualcosa d’altro rite-nuto migliore rispetto allo stato attuale. C’è una pienezza da comprendere, un maximum d’umanità in ogni età della vita. Ogni età, dirà Rousseau, “ogni stato della vita, ha la sua perfezione conveniente, la specie di maturità che gli è propria” (Rousseau, 1951, p. 142, in Orlando Cian, 1999b, p. 237). La po-larità pedagogica “autorità/libertà” è la seconda presa in considerazione, ed è anch’essa rintracciabile, in quanto regola basilare dell’educazione, negli Au-tori precedentemente menzionati. Essa consente di superare gli opposti estre-mismi, nemici entrambi dell’educazione, dell’autoritarismo e del permissivismo. Autorità e libertà non possono vivere l’una senza l’altra al-l’interno del discorso pedagogico. Dove non c’è legge non c’è libertà dirà Locke. E viceversa. L’autorità è nulla più che un mezzo per la libertà. La pre-senza viva della polarità autorità/libertà la si può ritrovare in questo passo froebeliano: “Ogni vera educazione insegnamento, ogni vera istruzione, ossia l’autentico educatore, il maestro, deve, in ogni momento ed in tutte le sue esigenze e determinazioni, mirare ad un duplice fine: dare e togliere, riunire

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e dividere, prescrivere ed essere indulgente, agire e sopportare, imporre e con-cedere, essere fermo e cedere” (Froebel, 1938, in Orlando, 1999b, p. 248). So-no queste costanti nel modo d’intendere l’educazione, costanti nel tempo al di là di ogni cambiamento storico-sociale e rintracciabili in ogni grande te-stimone della teoria e della pratica educativa, a consentire l’individuazione del proprium pedagogico al di là anche delle differenze di principio. Tali ele-menti comuni, “ci permettono di parlare di una ‘comunità’ di studiosi di pe-dagogia, di una scienza, che ha una sua specifica ottica e propri principi sull’educazione dell’uomo” (Orlando Cian, 1999b, p. 149). È dunque nella storia della pedagogia, negli elementi ricorrenti presenti nella teoria-pratica dei suoi più grandi interpreti, che va ritrovato lo statuto della pedagogia, la sua scienza e sapienza, attraverso un attenta disamina delle costanti strutturali e portanti. Che l’Autrice individua nelle “polarità pedagogiche”, come spe-cificazione di contenuto del problema formale relativo al rapporto tra teoria e prassi. Altre polarità sono certamente individuabili, quali ad esempio “iden-tità/cambiamento”, “simmetria/asimmetria”, “intenzione/casualità”, ma quelle trattate sono ritenute passibile di più urgente trattazione e riproposi-zione dato che un’aspetto (un polo) ha oggi eliminato l’altro, l’incompiutezza ha messo fuori gioco la pienezza, come si è detto, la libertà ha relegato l’au-torità nel campo delle parole sconvenienti.

Perseverando nel mantenere aperto questo numero di Studium Educationis, prezioso perché ricco di spunti fertili per individuare con esattezza gli ele-menti imprescindibili del discorso pedagogico, che certamente avrà conse-guentemente un proprio alfabeto qui puntualmente esaminato da altri maestri della pedagogia italiana – intenzionalità, rischio, irreversibilità, utopia (Bertolini); possibilità, progettualità, impegno (Contini); problematicità, ra-zionalità, singolarità (Frabboni); identità, cambiamento, differenza (Santelli Beccegato) – troviamo anche una curvatura in direzione delle professionalità educative ed una nota di sintesi. La prima tenta d’individuare il proprium delle professionalità educative data la loro pluralizzazione, ed è questo un problema strettamente legato allo scioglimento della questione epistemologica relativa allo statuto della pedagogia. Qual è il tessuto connettivo che le tiene assieme? Ancora una volta: come possono riconoscersi e valorizzarsi vicendevolmente fra loro le diverse figure? Comprendersi tra di loro? “C’è ancora una valenza comune tra il genitore e il terapeuta, tra l’animatore e il formatore, ecc.?” (Cambi, 1999, p. 329). Se tale denominatore comune esiste, esso va ricercato ad un livello “meta-teorico” in modo da poter individuare i punti di con-vergenza formale. Lo statuto intenzionale della “formazione”, intesa in senso antropologico come acquisire forma dell’uomo, “la propria forma di uomo in quanto uomo”, “sta al centro delle professionalità educative, in quanto le so-stiene, le anima, le coordina. È da questo paradigma che si può ricavare il ‘motore’ della professionalità educativa. Questa è tale quando si coordina sul paradigma della formazione” (Cambi, 1999, p. 331). Lo statuto pratico della pedagogia possiamo così dire, il suo darsi nella pratica educativa, risiede se-condo Cambi nella formazione, entro cui vige una logica che non è né espli-cativa né sperimentale bensì “estetica, più vicina all’arte, intrigata con quei suoi processi totalizzanti, sfuggenti, in cui il rapporto parte/tutto è non

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giudicato e pertanto imprevedibile, in cui la ‘forma’ è un equilibrio instabile […] sempre personale” (Cambi, 1999, p. 330). Ritroviamo qui ancora una volta l’imprescindibile relazione teoria-pratica come elemento costitutivo dell’as-sialità disciplinare pedagogica, la sua propria destinazione.

Ma di che cosa parla la pedagogia se non della “cura hominis ispirata al presupposto ‘pedagogico’ della coltivazione di ciò che fu ‘creato per essere inizio’ e destinato a valere come fine’? (Granese, 1999, p. 319). La riflessione pedagogica verte, in ultima analisi,

sugli imperativi di una ‘institutio hominis’ che sia cura dell’umanità dell’uomo, intendendosi per ‘umanità’ – il principio spirituale univer-sale e insieme – inseparabilmente – la totalità degli individui umani considerati come persone. Se si potesse comprendere che esattamente su questo punto insiste, traendone alimento e indirizzandovi linee di forza morale e materiale, lo specifico dell’idea pedagogica radicalmente elaborata e prospettata, già si sarebbe compiuto un importante passo avanti (Granese, 1999, p. 319, c.vo mio).

Tale nota riepilogativa e di cornice ben compendia e riassume i contributi qui riesaminati nelle loro differenti aperture di senso alla ricerca di una unità di vedute che mai può essere univoca ma sempre polifonica. Ed è proprio in questo che consiste il valore esemplare di questa monografia di Studium

Edu-cationis, luogo di dialogo tra i più autorevoli studiosi italiani, spazio-tempo

per la coltivazione delle differenze in prospettiva unitaria. Anche questo è la pedagogia e una Rivista di pedagogia non può che testimoniarlo in quanto pratica teorica.

Abbiamo scelto di concentrare la nostra analisi su un numero speciale monografico, pubblicato nel 1999, non a caso a pochi anni dalla fondazione della Rivista avvenuta nel 1996, perché ampiamente rappresentativo dello sforzo e dell’impegno sul tema in oggetto oltre che del particolare stile ed approccio alle questioni, all’insegna della massima apertura, che ha caratte-rizzato e che caratterizza Studium Educationis. Il tentativo di sistemazione uni-taria attraverso le differenze ha portato a delineare, come esito complessivo dei vari contributi, un’immagine della pedagogia come disciplina non em-pirica, ma neppure costretta a scegliere tra filosofia e scienza, e con un suo particolare rapporto con la teoria e la pratica intese come momenti non scin-dibili ma sempre compresenti. Si può forse dire che teoria e pratica sono an-ch’esse da intendersi come “polarità”, e rinvenendo in esse la “polarità” originaria, quella che costituisce la forma entro cui vanno a dispiegarsi tutte le altre. Ciò sta a significare che la pedagogia non è da considerarsi come una disciplina esclusivamente teorica, che pensa la generalità dell’educazione, per-ché in tal caso sarebbe filosofia (dell’educazione). Essa è una disciplina teorica che nel medesimo tempo è pratica, perché abita ed ha storicamente abitato la prassi e non il mondo intelligibile oppure i problemi della ragion pura. Se le cose stanno così, allora, essa, più che aver rinvenuto il proprio statuto epi-stemologico, essa ha a rigore compreso e postulato il proprio statuto pratico e le specifiche connotazioni di razionalità pratica (e non scientifica in senso

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stretto) che costituiscono la sua particolare consistenza e ragion d’essere. Che è radicata, col proprio sguardo, nella vita umana e nella storia dell’umanizza-zione, realizzata e da realizzare attraverso la “cura hominis” che consiste nel-l’imprevedibile formazione in ognuno della propria forma umana.

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