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Recensione di: Mercè Rodoreda, Cartes de guerra i d’exili (1934-1960), a cura de C. Arnau, Barcelona, Fundació Mercè Rodoreda - IEC, Arxiu Mercè Rodoreda 7, 2017, 382 pp.

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Academic year: 2021

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Il ruolo chiave giocato dagli epistolari nello studio dei rispettivi autori è riconosciuto da tempo, almeno a partire dai primi anni ’90, con interventi sul tema come quello di Emil M. Cioran, e se ne pubblicano ormai in abbondanza. Si pensi, per restare in ambito catalano, alla corrispondenza tra Rafael Tasis e Ramon Xuriguera, tra Josep Carner e Armand Obiels o le lettere che Obiols indirizza a Rodoreda. Il carteggio, di fatto, costituisce uno strumento d’indagine insostituibile per la messa a fuoco di aspetti centrali della produzione e dell’esperienza vitale di chi li ha redatti. Così, la pubblicazione di Cartes de guerra i d’exili (1934-1960) di Mercè Rodoreda assume un rilievo davvero enorme, posto che si tratta della corrispondenza di una delle figure più apprezzate della letteratura catalana. Attraverso queste lettere è possibile non soltanto seguire da vicino la vita dell’autrice ma anche quella dei destinatari, come Carles Pi i Sunyer, Armand Obiols e altri ancora. Nella prima parte, risalente all’epoca della fine della Guerra civile spagnola e dello scoppio della Seconda guerra mondiale, si riflette un periodo di profonda solitudine, in cui la corrispondenza si rivela un elemento di primaria necessità, che lascia ampio spazio alla confessione. Per Rodoreda sono anni difficili, pieni di angoscia, segnati da un’assoluta precarietà, che rappresentano un’esperienza dura, che la segnerà profondamente, come donna e come scrittrice. In realtà, tutta la produzione di Rodoreda è debitrice di queste missive, come dimostra la loro lettura, a partire dalla raccolta di narrativa breve Vint-i-dos contes (1958) fino a Quanta, quanta guerra… (1980), con un’evidenza speciale per quanto riguarda il romanzo La plaça del Diamant (1962). Una volta terminato il conflitto, prima a Parigi e poi a Ginevra, Rodoreda si reinserisce nelle correnti letterarie e artistiche del momento, anche come pittrice, ammirata da Picasso e da Miró, come emerge da questa stessa corrispondenza (cfr. la recensione di Mercè Rodoreda, Obra plàstica, pròleg de Joandomènec Ros, Barcelona, Fundació Mercè Rodoreda – Institut d’Estudis Catalans, Arxiu Mercè Rodoreda 6, 2016, 215 pp., pubblicata in Rivista Italiana di Studi Catalani, 7, 2017, pp. 210-213). A partire da allora, l’autrice può tornare a dedicarsi alla scrittura, con l’opera della piena Mercè Rodoreda, Cartes de guerra i d’exili (1934-1960), a cura de Carme Arnau, Barcelona, Fundació Mercè Rodoreda - Institut d’Estudis Catalans, Arxiu Mercè Rodoreda 7, 2017, 382 pp.

Veronica ORAZI

Università degli Studi di Torino

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maturità. L’esilio, in un certo senso, finisce, e allora può finalmente riprendere a coltivare la letteratura, che rappresenta la sua vocazione più profonda, con risultati tali da renderla la romanziera più tradotta della letteratura catalana per molto tempo. Si capisce, allora, fino a che punto queste lettere rappresentino una fonte di informazione privilegiata, documenti imprescindibili, una testimonianza di grande interesse in cui emerge, ancora una volta, lo stile peculiare della scrittrice, che le trasforma in una lettura assolutamente godibile.

Il volume raccoglie la prima parte della corrispondenza di Rodoreda, fino appunto al 1960. Tuttavia, all’autrice non piace scrivere lettere e non le considera pezzi letterari, come si evince da quanto affermato talvolta in questo stesso epistolario, a differenza di altri autori (come Carles Riba o Armand Obiols). Nonostante questa impressione, nelle missive la scrittura è sempre originale e mai banale, si avverte chiaramente la necessità di scrittura che le origina ed è per questo che la lettera riesce a riflettere fedelmente lo stato d’animo della scrivente. Da queste missive, però, emergono anche aspetti particolari, che riguardano la natura e la struttura condivisa del genere epistolare: per esempio, la corrispondenza tra Rodoreda e Obiols, interessante sotto diversi punti di vista, è singolare perché le lettere che i due si scambiano non si ‘incastrano’, cioè non costituiscono una sequenza ordinata, né presentano un filo argomentale che si sviluppa nel corso del tempo e nell’alternanza delle lettere; di fatto, solo di tanto in tanto in esse appare una risposta o la citazione di un frammento che consente di ricostruire un dialogo scritto, che in realtà procede in modo del tutto peculiare e atipico.

Nella prima sezione sono raccolte le lettere della fase Barcellona - Parigi - Roissy en Brie - Limoges-Bordeaux (1934-1946), incentrate in modo quasi esclusivo sulla guerra e sul dopoguerra, con tutte le difficoltà e le situazioni drammatiche che quegli anni comportano; in un frangente simile, appare chiaro che niente altro conta, nulla importa, se non la sopravvivenza. Sono epistole dominate dall’angoscia profonda e da un senso di solitudine desolante. In questo momento, la vita di Rodoreda – come quella di tanti altri – è segnata da fatti storici di una durezza inaudita e queste lettere consentono di seguire da vicino lo svolgersi di un’esistenza intensa sotto tutti gli aspetti, rischiosa e difficile. Dalle lettere emerge anche la volontà di Rodoreda di non lasciare l’Europa, la Francia, a differenza di altri esuli che erano pertiti per il Sudamerica, sebbene in un determinato momento, particolarmente difficile, l’idea di riparare in Messico la tenti: le epistole sono una fonte preziosa di informazione su tutti questi risvolti e offrono dettagli interessanti sulla vita di una donna e di un’artista speciale. Così, per esempio, restando in Francia, Rodoreda e altri, come Lluís Nicolau

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Recensioni d’Olwer, Carles Riba, Josep Pous i Pagès, vivono l’invasione tedesca del nord del Paese come una seconda sconfitta, un’altra disfatta, cui deve necessariamente seguire un altro allontanamento da luoghi divenuti invivibili, per cui abbandonano Parigi e una sensazione di drammatica impotenza si impossessa di tutti. Rodoreda, scrittrice e romanziera di prim’ordine, esprime tutto questo nelle lettere e poi lo riversa nella sua produzione narrativa, dove converte in racconto le esperienze eccezionali e tragiche che vive e che ha vissuto. Per esempio, l’esperienza della partenza da Parigi prima dell’arrivo dei nazisti viene riportata nel racconto Orléans, 3 quilòmetres della raccolta Semblava de seda i altres contes, mentre altri episodi drammatici si rifletteranno in Cop de lluna, Nit i boira e Nocturn compresi in Vint-i-dos contes o in Mort de Lisa Sperling all’interno della stessa raccolta Semblava de seda i altres contes o il romanzo Quanta, quanta guerra…. Allo stesso modo, questo riverbero riemergerà nella sua opera plastica, in cui compaiono figure scheletriche con occhi stralunati, gruppi di persone circondate dal fil di ferro, che rimandano alle prime deportazioni di prigionieri dalla Francia verso i campi di sterminio nazisti, eventi di cui Rodoreda è testimone diretta. Tutto ciò emerge in modo netto dall’epistolario e plasma la visione del mondo dell’autrice, che si fa più profonda, universale e al contempo talvolta tragica e oscura, facendo di lei una romanziera incline a meditare e a scrivere sulla condizione umana.

La seconda sezione comprende le lettere dell’epoca di Parigi Barcel -lona - Châtel Guyon - Ginevra (1946-1960). Dopo anni di spostamenti, di precarietà e di ristrettezze di ogni genere, il periodo parigino (1946-1954) rappresenta, in un certo senso, una fase di minima stabilità, come dimostrano le missive che se ne conservano. A Parigi Rodoreda inizia a scrivere poesia, con risultati molto interessanti, tema sul quale scambia lettere con Obiols ma anche con Josep Carner e con sua moglie Émile Noulet o con il futuro presidente della Generalitat Josep Tarradellas e con la sua consorte Antònia Macià. Quando nel 1949 torna per un breve periodo a Barcellona, le lettere riflettono la sua impressione di un luogo in cui il Franchismo ha azzerato la vitalità e ogni sorta di libertà e ha imba -vagliato la sua lingua. Questa parentesi segna l’inizio della corrispondenza successiva col figlio, caratterizzata da toni familiari e informali, persino umoristici, diversi rispetto a quella intrattenuta con altri interlocutori. Una volta tornata nella capitale francese, le lettere testimoniano anche il suo avvicinamento alla pittura e al collage, descritto in termini entusiastici, in cui si può intravedere un certo influsso di Picasso, di Miró, di Klee, oltre a informarci su una vita quotidiana sulla cui descrizione l’autrice indugia con grazia e con uno stile originale, talvolta persino mordace. Non è difficile identificare in queste epistole più di un punto di contatto con la

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scrittura successiva: si pensi a tratti quali il monologo di una figura fem -minile del tutto verosimile che si rivolge a un interlocutore muto con uno stile sostanzialmente colloquiale, dove si rilevano persino dettagli, aneddoti e immagini che passeranno nei suoi romanzi. Per esempio, la lettera in cui Rodoreda racconta la visita al museo del Louvre e descrive le opere che ha visto, può richiamare il prologo di Mirall trencat. Nel 1954 si trasferisce a Ginevra, la città in cui riprenderà definitivamente a scrivere e dove redigerà i romanzi maggiori. Poi, a partire dalla seconda metà degli anni ’50, la scrittrice viaggia con una certa frequenza a Barcellona e nelle lettere di questo periodo la descrive in modo minuzioso.

Ciò che emerge in modo netto dalla lettura di questo primo volume dell’epistolario dell’autrice è che Rodoreda trova un registro adeguato per rivolgersi a ciascun destinatario, a seconda del carattere e dell’indole dell’interlocutore e del tipo di rapporto che intrattiene con ciascuno di loro, rispettoso oppure familiare, in cui è possibile cogliere persino un peculiare senso dell’umorismo, consustanziale alla sua personalità. La raccolta si chiude con la lettera che accompagna l’invio de La plaça del Diamant al Premi Sant Jordi 1960: si tratta di un momento chiave, simbolico, nella vita dell’autrice e nella sua produzione, a partire dal quale Rodereda potrà finalmente dedicarsi appieno alla scrittura con risultati spettacolari, in cui riverserà tutto ciò che fino ad allora ha vissuto, trasformandolo in un esempio di grande letteratura, dalla portata univer sale.

Non resta che attendere, quindi, la pubblicazione del secondo volume dell’epistolario di Mercè Rodoreda, intrattenendosi nel frattempo con questo primo tomo, illuminante quanto affascinante, perché in grado di svelare un volto inedito ed estremamente suggestivo di questa grande autrice.

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