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Sulla semantica di "davvero" e "veramente": dati (con)testuali ed evoluzione diacronica

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Questa è la versione dell’autore dell’opera:

Davide Ricca e Jacqueline Visconti, Sulla semantica di davvero e veramente: dati (con)testuali ed

evoluzione diacronica, in Francesca Geymonat (a cura di), Linguistica applicata con stile. In traccia di Bice Mortara Garavelli, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2013, pagg. 141-161.

The definitive version is available at:

La versione definitiva è disponibile alla URL:

(2)

Versione mandata all’editore dopo le revisioni. L’impaginazione e le convenzioni bibliografiche sono state modificate dall’editore. NON CITARE IN DETTAGLIO Sulla semantica di davvero e veramente: dati (con)testuali ed evoluzione diacronica*

Davide Ricca (Torino), Jacqueline Visconti (Genova)

1. Introduzione

Uno degli aspetti più interessanti che emerge dagli studi di semantica e pragmatica diacronica degli ultimi decenni è il riconoscimento del ruolo dei fattori contestuali nel condizionare il mutamento semantico: l’idea, cioè, che il mutamento non interessi entità linguistiche in isolamento, bensì sia indotto dalla contiguità con altre componenti linguistiche ed extra-linguistiche1. In tale prospettiva,

il mutamento semantico non è più casuale, riconducibile tutt’al più a categorie molto generali come la restriction de sens o l’amélioration (Bréal 1897); diventa invece entro certi limiti prevedibile e regolare, anche interlinguisticamente, perché motivato da fattori soggiacenti identificabili, analoghi anche in lingue diverse. In particolare, si sostiene, la frequente associazione di un lessema con determinati contesti, detti «ponte» (bridging contexts, nella terminologia di Heine 2002) o «critici» (critical contexts in Diewald 2002, con maggior rilievo dato agli aspetti strutturali), fa sì che le proprietà di tali contesti percolino sul lessema, che, come una spugna, finisce con l’assorbirle. Se, cioè, è inizialmente il contesto a indurre un contrasto, una scalarità, una conferma, tali componenti si assoceranno gradualmente al lessema, si convenzionalizzeranno nella sua semantica, finché questi sarà in grado di veicolarle ed esprimerle anche in contesti che non le suggeriscono.

Una delle tendenze più attestate è quella di un graduale passaggio da significati più «oggettivi», concreti, collegati alla realtà eventiva, a significati più «soggettivi», connessi all’atteggiamento del locutore (ad esempio espressioni di modalità epistemica), e infine a funzioni di tipo interpersonale, «intersoggettive», incentrate cioè sull’interazione locutore-interlocutore (si vedano ad es. Traugott e Dasher 2002, p. 174, Traugott 2010a, Brems et al. 2012, López Couso 2010; per l’italiano Visconti 2005, Ricca 2008). Anche in questo fenomeno, detto (inter)subjectification (poco felicemente perché evoca la nozione di «soggetto» invece che quella di «locutore»), reso qui con «intersoggettivizzazione», è fondamentale distinguere il momento in cui tali componenti siano solo suggerite, inferibili a partire dal contesto, dal momento in cui esse si semanticizzano (cfr. Traugott 2010a, 2010b). È facile capire come questo tipo di studi abbia ricevuto un notevole impulso dalle applicazioni diacroniche della linguistica dei corpus, che, pur con tutti i suoi limiti, offre la possibilità di elaborare dati almeno indicativi sulla frequenza e la distribuzione di particolari costrutti in momenti e in tipi di testo diversi, consentendo così di formulare ipotesi solide, o per lo meno falsificabili, sulla loro evoluzione.

In questo contributo ci occuperemo dell’evoluzione degli avverbi davvero e veramente. Queste espressioni sono solo parzialmente sinonime, specie se le si guarda in prospettiva diacronica. In particolare, si mostrerà come il solo veramente sviluppi una nuova funzione di attenuatore della forza illocutiva quando si trova in un contesto di confutazione, che quasi capovolge la funzione di rafforzamento dell’affermazione derivante dal significato letterale della sua base. Nella prospettiva del modello di Traugott, questo passaggio viene a rappresentare un caso di transizione dal livello soggettivo a quello intersoggettivo, poiché richiede lo scambio dialogico e l’interazione cooperativa tra gli interlocutori (cfr. ad es. Traugott e Dasher 2002, p. 174).

* Questo lavoro è la rielaborazione, in una prospettiva un po’ più orientata sull’italiano, di contenuti in buona parte

presenti in Ricca e Visconti (in stampa).

1 Una enucleazione pionieristica dei fondamenti di questo tipo di approccio è nei lavori di Elizabeth Traugott negli anni

(3)

Il ricorso all’analisi di un corpus diacronico ci consente inoltre di identificare un possibile contesto ponte per questo sviluppo, e anche di formulare qualche ipotesi sul perché la stessa evoluzione non si riscontri con davvero.

2. Veramente e davvero attraverso i secoli: alcuni dati «grezzi»

Sono almeno tre gli avverbi italiani collegati a vero, per derivazione o univerbazione, che possono essere impiegati con funzioni soggettive o intersoggettive: veramente, invero e davvero2, a cui si

possono aggiungere gli arcaici o decisamente estinti veracemente e daddovero.

I significati dei termini in questione si sovrappongono in parte, come si può rilevare tra l’altro dalle loro definizioni spesso circolari nei dizionari; ma si sono anche evoluti secondo direttrici differenti.

Inoltre, se si guardano i dati di frequenza relativa ricavabili dal corpus di italiano prevalentemente letterario della LIZ 4.0, si registra immediatamente una grande differenza del loro rilievo quantitativo nelle diverse fasi dell’italiano. I dati sono riportati in tabella 1: va però ricordato che il corpus LIZ non può essere considerato in alcun modo un corpus bilanciato, né dal punto di vista della tipologia testuale (benché il campione vada al di là della letteratura in senso stretto, includendo testi scientifici, argomentativi e anche epistolari), né tantomeno dal punto di vista della sua uniformità quantitativa e qualitativa attraverso i vari periodi.

Tabella 1. Frequenza assoluta e relativa (in occorrenze per milione di tokens) degli avverbi di verità nel corpus LIZ, divisi per secoli.

Secolo veramente veracemente daddovero davvero invero Totale ditokens3

N freq.rel. N freq.rel. N freq.rel. N freq.rel. N freq.rel.

1200 53 84 31 49 0 - 0 - 1 - 630 792 1300 469 134 28 8,0 2 - 1 - 0 - 3 504 703 1400 481 191 8 3,2 4 1,6 1 - 35 14 2 523 302 1500 1908 233 20 2,4 39 4,8 5 - 159 19 8 174 718 1600 451 157 14 4,9 8 2,8 4 1,4 57 20 2 866 251 1700 922 218 8 1,9 14 3,3 460 109 43 10 4 221 995 1800 2061 213 38 3,9 10 1,0 1167 120 39 4,0 9 695 841

Dalla tabella 1 appare chiaro che veramente è sempre stato un lessema di alta frequenza lungo tutta la storia dell’italiano: intorno a 200 occorrenze per milione dal Quattrocento in poi. Può essere utile un confronto con altri avverbi modali di alta frequenza: se si considera il sottocorpus dei testi della LIZ del XIX secolo, le 2061 occorrenze di veramente rappresentano il doppio di quelle di

certamente (845) e sicuramente (151) messe assieme. Tra gli avverbi modali, soltanto forse è

nettamente più frequente, con circa 817 occorrenze per milione.

2 Anche i segnali discorsivi di richiesta di conferma nevvero? e vero? potrebbero essere presi in considerazione, anche

se non se ne parlerà in questa sede.

3 I totali in tokens per i sottocorpus suddivisi per secoli sono leggermente più bassi delle cifre ricavabili dalla LIZ, in

quanto abbiamo escluso dalla considerazione alcuni testi chiaramente non pertinenti (ad esempio le opere in dialetto, tra cui venti commedie di Goldoni scritte prevalentemente in veneziano, il Fermo e Lucia e l’edizione del 1827 dei

Promessi Sposi per evitare ripetizioni, e alcuni testi dal carattere estremamente artificioso–letterario (in primo luogo per

il Quattrocento l’Hypnoerotomachia Poliphili, e per l’Ottocento l’insieme dei libretti delle opere di Verdi). Per la verità le percentuali non sono state granché influenzate da questi interventi.

(4)

Le frequenze un po’ più basse per il Trecento e soprattutto per il Duecento sono in parte compensate dal numero non trascurabile di occorrenze del quasi sinonimo veracemente. Ma è probabile che una causa più rilevante sia data dalla tipologia testuale, in quanto i contesti più favorevoli d’uso per veramente, quelli dialogici, sono meno frequenti nei testi LIZ dei primi secoli, data in particolare l’assenza di testi teatrali.

Per affidabili confronti di frequenza tra i periodi sarebbe quindi necessario disporre di un corpus bilanciato. Ma che la tipologia testuale abbia un ruolo essenziale si può già vedere da un sondaggio all’altro estremo temporale, nell’italiano contemporaneo. Nel LIP (Lessico dell’italiano

parlato, che consta peraltro di soli 490 000 tokens), la frequenza relativa di veramente è ancora più

alta rispetto alla LIZ: 673 tokens per milione; d’altra parte, in un corpus giornalistico (tre anni della

Stampa di Torino, 1996-1998, per un totale di ben 75 milioni di tokens) la frequenza precipita a un

decimo, 63 per milione, scendendo inoltre al disotto di quelle di certamente, sicuramente o

probabilmente nello stesso corpus. Se ne deduce che la LIZ, nonostante il suo carattere

prevalentemente letterario, sembra comunque fornire un contesto globalmente più favorevole all’avverbio rispetto alla prosa giornalistica, presumibilmente proprio a causa della relativa abbondanza di mimesi dialogica (nel teatro e nei dialoghi dei romanzi).

Per quanto riguarda invero e davvero, i dati della LIZ sono molto chiari e sorprendentemente diversi rispetto al caso di veramente. Entrambi gli avverbi sono infatti estremamente rari nel periodo medievale, e le loro frequenze crescono all’improvviso a partire dal Quattrocento e Settecento rispettivamente. Il quadro non cambierebbe includendo i casi altrettanto rari in cui le espressioni sono scritte come non univerbate (in vero e da vero). Per riuscire ad identificare le diverse funzioni di questi avverbi per i periodi più antichi, occorre far ricorso al corpus molto più esteso dell’OVI – si vedano, per davvero, gli esempi (25) e (26) –, in cui comunque le frequenze relative rimangono minime.

La storia anche quantitativa di questi due avverbi diverge grandemente nei periodi successivi. Come si vede dalla tabella, invero non raggiunge mai una frequenza comparabile a quella di

veramente, pur sviluppando alcuni usi caratteristici. Oggi, invero è ritornato ad essere

sostanzialmente marginale: è del tutto assente dai due corpus di parlato LIP e C-ORAL/ROM, il che non stupisce, perché suonerebbe effettivamente strano nel parlato informale contemporaneo. Nella prosa era discretamente diffuso fino all’Ottocento, come risulta dalla LIZ, ma sembra essere stato rapidamente marginalizzato non appena l’italiano è divenuto lingua effettivamente parlata da settori rilevanti della popolazione, pur non essendo certamente del tutto estinto (le tre annate della Stampa, ad esempio, ne ospitano ancora 149 occorrenze per una frequenza relativa di 2 per milione). Per ragioni di spazio non ci si occuperà più di invero nel seguito, rimandandone la discussione a possibili ricerche future.

Al contrario, una volta affermatosi nel Settecento, davvero mantiene la sua alta frequenza fino ad oggi, mostrando una ampia sovrapposizione semantica con veramente, come risulta dall’indagine di De Cesare (2002). Si vedrà tuttavia nel § 5 che davvero non ha per nulla condiviso con

veramente lo sviluppo di una particolare funzione, i cui inizi possono rintracciarsi già in epoca

medievale, che ha condotto il secondo avverbio ad esprimere un livello più alto di intersoggettività. 3. Multifunzionalità/polisemia di veramente in italiano antico

Per l’italiano antico si dispone del grande corpus dell’OVI (Opera del Vocabolario italiano, consultabile in rete al sito www.vocabolario.org), che al momento della consultazione totalizzava 17 677 486 tokens di testi toscani4 dalle origini a fine 1300; per una descrizione vedi Beltrami e

Boccellari (2006). A differenza della LIZ, il corpus dell’OVI non privilegia i testi letterari, il che naturalmente non implica che possa essere considerato un corpus bilanciato, per ovvie ragioni.

4 Non è difficile all’interno dell’OVI isolare un sottocorpus contenente i soli testi toscani, ed è a questi che si farà nel

(5)

Data l’alta frequenza di veramente in italiano antico (le 2533 occorrenze nel corpus dell’OVI confermano una frequenza relativa di 143 tokens per milione), non è difficile illustrare l’ampio spettro di funzioni dell’avverbio già presenti in quel periodo, che si dispongono a diversi livelli lungo il continuum di soggettività.

All’estremo oggettivo della scala, veramente è largamente attestato come avverbio di predicato. L’esempio (1) è particolarmente chiaro, dato che contrasta addivenire veramente ‘nella realtà’ con la negazione dello stesso avverbio, col valore di ‘in apparenza’:

(1) E questo che ll’uno pianeto si congiunga co l’altro adiviene in due modi, cioè veramente e

non veramente: [veramente] quando l’uno obscura l’altro e tollie la veduta dell’altro, e

alotta si vede quello disotto e non quello ch’è disopra. Non veramente quando sono in uno medesimo cerchio, ma non che ll’uno tocchi l’altro o entri sotto a l’altro [Anon., Metaura

d’Aristotile volgarizzata,1,15; 1355].

Come avverbio di predicato, veramente è poi molto comune nella collocazione dire veramente ‘con sincerità’:

(2) Ciascun crede, che gran diletto sia avere onore, e segnoria, e tutti se ne maravigliano. Ma io ti dico veramente, che maggiore securtà, e allegrezza ha colui, che spregia tutto questo mercato di fortuna, e non vi compra, e non vi vende alcuna cosa. [Anon.,

Pistole di Seneca, 118; 1325].

In altri casi, veramente agisce come modificatore di frase, senza però segnalare un particolare coinvolgimento da parte del parlante. È questo l’ambito della «modalità oggettiva» identificata ad esempio in Lyons (1977, pp. 797-798). Ci sono vari criteri per identificare questo tipo di modalità rispetto alla più comune modalità soggettiva, solitamente espressa da avverbi come certamente o

probabilmente. Si noti in particolare che i due tipi di modalità possono coesistere nello stesso

enunciato: una frase come è certamente possibile che … non è contraddittoria proprio perché la frase è possibile che … esprime la modalità oggettiva e l’avverbio certamente ha portata su di essa agendo a un livello gerarchicamente più alto, che è appunto quello della soggettività (cfr. ad es. Hengeveld 1989, p. 139). Un avverbio modale italiano che può ricoprire entrambi i ruoli è

sicuramente: si veda la discussione in Ramat e Ricca (1998, pp. 194-195).

Due dei criteri più chiari per distinguere tra modalità oggettiva e soggettiva sono fondati sul fatto che la prima deve trovarsi all’interno della portata (in inglese scope) della negazione di frase, ed è compatibile con le frasi interrogative (per una discussione più ampia, cfr. Ramat e Ricca 1998, pp. 193-196): si confronti è certo che piova? con *certamente pioverà?.

Per quanto sia difficile trovare esempi reali che funzionino in modo soddisfacente come test sintattici – è questa in fondo una delle scommesse principali di Salvi e Renzi (2010) –, entrambi i criteri sembrano applicarsi bene in un caso come (3):

(3) Surexit[sic] vere. Come non resuscitarono veramente gli altri? Elia resuscitò uno, Eliseo ne

risuscitò due, Iesù Cristo ne risuscitò tre. Non resuscitorono veramente costoro? Non come Cristo; perché tutti gli altri, che resuscitarono mai, ebbono poi a morire, ma Cristo, dopo la suressione, non morì poi [...]. [F. Sacchetti, Sposizioni di Vangeli, 48; 1378-81].

È chiaro che gli usi di veramente esemplificati in (1) e (3) non sono sempre facili da tenere distinti, e in vari casi si può trattare di vaghezza piuttosto che di ambiguità tra i due valori. Per esempio, in (4) il significato sembra aver chiaramente a che fare con il valore di verità, e quindi punta ad una interpretazione come avverbio frasale; d’altra parte il contrasto esplicito con in figura potrebbe anche suggerire una lettura in termini di modificatore di predicato, e non è detto che le due si escludano:

(6)

(4) In questo tempo fu turbata la Chiesa per Berengario, il quale dicea che ’l corpo e ’l sangue di Cristo non era veramente ne l’altare, ma in figura. [Leggenda Aurea, 176; 2a metà del XIV sec.].

In ogni caso, in una prospettiva diacronica non è così rilevante separare i due usi in tutte le istanze, dato che entrambi sono ben attestati a partire dalla documentazione più antica.

Fin dalle origini, tuttavia, sono attestati altri usi che possono essere considerati come molto chiaramente «soggettivi». Un caso tipico del genere è (5):

(5) Et così va oltre Tulio [‘Cicerone’] e dicerà di ciascuna parte per sé, e primieramente dicerà della ’nvenzione, sì come di più degna; e veramente è più degna, però ch’ella puote essere e stare sanza l’altre, ma l’altre non possono essere sanza lei [B. Latini, Rettorica, 73.8; circa 1260-61].

In (5) veramente veicola due tipi di interpretazione, in modo probabilmente inestricabile: ‘ritengo vero che …’ e ‘vi assicuro che …’. La prima parafrasi rientra nel campo della modalità soggettiva: l’avverbo agisce sulla componente proposizionale dell’enunciato, ne assegna il valore di verità; la seconda sottolinea la sincerità dell’atto linguistico, gravitando quindi nella sfera illocutiva dell’enunciato (usando la distinzione proposta ad es. da Hengeveld 1989, p. 138).

Questa compresenza si riscontra spesso negli esempi reali ricavabili da un corpus, e ce lo si può attendere, dato che la nozione stessa di verità coinvolge inerentemente le due componenti (per una osservazione simile sul fr. vraiment, cfr. Rodríguez Somolinos 2011, p. 99). In altri casi – come i successivi esempi (6) e (7) – il contesto del discorso chiarisce quale delle due prospettive prevalga. Ma qualunque sia l’interpretazione preferita (quando ve ne sia una), in questi casi, a differenza dei precedenti, ci troviamo nell’ambito della soggettività, perché il coinvolgimento diretto del parlante è cruciale per entrambe le letture.

Sul piano del discorso, un aspetto importante presente in (5) è la sua funzione asseverativa, cioè di conferma dell’asserzione precedente. Si tratta di una funzione molto caratteristica dell’avverbio (cfr ad es. Helbig e Helbig 1993; De Cesare 2002, pp. 215-216), anche se sono attestati fin dai primi secoli impieghi di veramente collocati in tutt’altro contesto discorsivo, di tipo limitativo o avversativo. Si vedano oltre gli esempi (9), (10) e (20).

Si è detto che un criterio sintattico importante per confermare il valore soggettivo di veramente si può addurre quando l’avverbio è esterno alla portata della negazione. Questo si registra sia in enunciati in cui veramente è orientato verso il valore di verità, come (6):

(6) molte possessioni si difendono di non servire lo comune di Siena de le cabelle et de l’altre factioni, dicendo che sono de lo spedale Sancte Marie; et tali sono segnate del segno de lo spedale, et veramente de lo spedale non sono; et li frutti et le rendite d’esse possessioni a lo spedale, né a li povari non tornano [Statuti senesi, dist. 1, 585; 1309-10 (ed. Gangalandi)], sia in casi come (7), in cui al contrario l’avverbio agisce chiaramente al livello illocutivo, dato che modifica un enunciato iussivo, privo di valore di verità per definizione:

(7) e ciascuno de la compagnia dica per l’anima sua XIJ pater nostri con ave maria, o vero con requiem eternam. Veramente di ciò non faccia alcuno consciença, [‘non lo renda pubblico’] a ciò che fallando non gli possa essere rimputato a colpa. [Statuti fiorentini, 670.22; 1297].

(7)

Il doppio valore di veramente come modificatore di frase e di predicato trova una conferma inoppugnabile, un vero test sintattico, qualora i due avverbi coesistano nella stessa frase. Un caso del genere esiste nel Convivio, già segnalato da Niccoli (Enciclopedia dantesca, s.v., 1976)5:

(8) avegna che più cose nell’occhio a un’ora possano venire, veramente quella che viene per retta linea nella punta della pupilla, quella veramente si vede [Dante, Convivio, II, 9; 1304-7].

Dal punto di vista delle strategie discorsive, il ruolo di veramente modificatore di frase non è univoco già nell’italiano antico. Oltre all’uso asseverativo esemplificato in (5), infatti, l’avverbio all’inizio di frase può introdurre un enunciato che limita l’ampiezza di un’affermazione precedente, e talvolta contrasta chiaramente con essa. Questo uso è ben presente in alcuni passi del Convivio, come già segnalato per es. in Niccoli (1976). Un esempio tra i più evidenti si trova proprio all’inizio dell’opera:

(9) […] onde, acciò che la scienza è ultima perfezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti. Veramente da questa nobilissima perfezione molti sono privati, per diverse cagioni, che dentro all’uomo e di fuori da esso lui rimovono dall’abito di scienza [Dante, Convivio, I, 1; 1304-7].

Più blandamente avversativo, vicino al ruolo di un connettivo di passaggio per introdurre un nuovo argomento, è il tipo ricorrente esemplificato in (10):

(10) Veramente qui nasce un dubio, lo quale non è da trapassare sanza dichiarare [Dante,

Convivio, II, 8; 1304-7].

In esempi come (9)-(10), l’avverbio appare parafrasabile con ‘a dire il vero, in verità’, e per casi come (9) le descrizioni tradizionali si spingono ad attribuirgli il significato di ‘ma’, ‘tuttavia’ (cfr. Niccoli 1976, p. 950). Questo ultimo passaggio non sembra percorribile, perché una vera e propria congiunzione avversativa come ma, o anche un avverbio connettivo come tuttavia, hanno la capacità di introdurre autonomamente una proposizione coordinata all’interno di una frase complessa, come in sono stanco ma devo ancora finire il lavoro: un livello di grammaticalizzazione che veramente non ha mai assunto in nessuna fase dell’italiano. Inoltre, va sottolineato che questi usi sono ancora piuttosto lontani dagli impieghi moderni di veramente ad inizio di frase che si discuteranno nel paragrafo successivo, come gli esempi goldoniani (22)-(23). Infatti la funzione avversativa in casi come (9)-(10), motivata essenzialmente dal contesto, non porta con sé l’attenuazione a fini pragmatici dell’asserzione che segue, ma semmai il contrario.

Infine, anche l’uso di veramente con portata ristretta a un singolo sintagma aggettivale/preposizionale, con un valore rafforzativo peraltro diverso da quello degli avverbi di grado come molto6, è già attestato nei primi secoli. Questo costituisce un tratto che differenzia

veramente rispetto a molti avverbi di maniera, il cui uso come focalizzatori è chiaramente più tardo

rispetto al loro uso come modificatori di predicato (è il caso di puramente, semplicemente,

unicamente, il cui impiego come focalizzatori è divenuto invece dominante in italiano moderno, cfr.

5 Niccoli (1976) parla di funzione avversativa per il primo veramente e asseverativa per il secondo, ma in realtà il

contrasto riguarda essenzialmente il piano dei costituenti modificati dai due avverbi. Sull’opportunità di usare il ternine ‘avversativo’ per gli usi di veramente che introducono la principale di un costrutto concessivo, vedi anche la discussione degli esempi (9)-(10) poco oltre nel testo.

6 Concordiamo con De Cesare (2002, p. 227) sul fatto che veramente / davvero non sono affatto interscambiabili con

molto: sono pienamente compatibili con gli aggettivi non graduabili e, quando modificano quelli graduabili, possono

cooccorrere sia col superlativo (veramente altissimo) che con lo stesso molto (veramente molto alto). Pertanto non possono essere considerati come avverbi di grado, diversamente da quanto avvenuto ad esempio con very in inglese.

(8)

Ricca 2010, p. 740); e lo distingue anche dal fr. vraiment, che pare acquisire l’uso di rafforzatore a portata ristretta solo relativamente tardi, intorno al Cinquecento (d’Hondt e Defour 2012).

Naturalmente, non sempre è facile identificare la reale portata di veramente, perché quando l’aggettivo compare in un predicato nominale, l’avverbio potrebbe essere anche considerato come modificatore dell’intero predicato. Ma in un caso come (11), in cui l’aggettivo virtuoso modifica esso stesso un SN, non c’è possibile ambiguità:

(11) Certamente onore o disonore, lode o biasimo non cura l’uomo veramente virtuoso. [Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti degli antichi latini e toscani, dist. 39, 4; 1302-8].

Come mostrato nella tabella 1, un concorrente di veramente nei primi secoli è veracemente, abbastanza frequente in quel periodo (331 occorrenze nell’OVI, pari a una frequenza relativa di 19

tokens per milione). Prevedibilmente, derivando dall’aggettivo verace, questo avverbio tende a

sottolineare la sincerità piuttosto che il valore di verità dell’enunciato (cfr. Niccoli in Enciclopedia

dantesca s.v.) e si trova sia come modificatore di predicato (es. 12) che di frase, quest’ultimo con

valore soggettivo (es. 13):

(12) Io publico notaio della soprascripta corte, iuro che l’oficio per lo quale io sono posto, servire più veracemente che io potrò, a me sciente; et in quello nulla fraude commettrò [Statuti

pisani, 64; 1304].

(13) Veracemente, amore, la infermità del meo core mi fa confortare [Anonimo, Sommetta ad

amaestramento di componere volgarmente lettere, 207.31; 1284-7].

L’avverbio, tuttavia, è molto più marginale nelle fasi successive della lingua, come risulta dalla tabella 1, e soprattutto non condivide l’ulteriore evoluzione semantica di veramente discussa nel prossimo paragrafo.

4. Verso l’intersoggettività: veramente come strategia per mitigare un rifiuto

Già ampiamente polisemico in italiano antico, veramente conosce nei secoli successivi un ulteriore, interessante sviluppo semantico. Nell’italiano contemporaneo, infatti, veramente conserva grosso

modo tutti i significati visti in § 2 (benché alcune collocazioni come modificatore di predicato,

come dire veramente in (2), siano ora quanto meno marginali). Tuttavia, nei contesti dialogici – soprattutto se posto alla sinistra del verbo finito, nella posizione di presa di turno – l’avverbio porta a pieno sviluppo la componente avversativa già presente in esempi come (9). Gli esempi (14)-(15) sono tratti da corpus di parlato contemporaneo: in (14), l’avverbio introduce un enunciato che confuta seduta stante quanto appena detto dall’interlocutore; la stessa strategia è usata in (15), per mitigare l’impatto di una risposta che contraddice le aspettative dell’interlocutore.

(14) A: quello che facevano ai nostri tempi che oggi non si faceva più B: * mh veramente ai miei tempi non lo facevano [LIP, Firenze B 12]. (15) A: Batman è stato uno degli eroi della sua infanzia?

B: Veramente, i miei eroi erano i Kennedy e Martin Luther King [C-ORAL ROM].

Anche per questo impiego non è esclusa la posizione a destra del verbo finito. Tuttavia essa è molto meno comune, e richiede normalmente una forte cesura intonativa, anche se non segnalata nell’esempio (16) dal LIP:

(9)

(16) A: i ragazzi stanno bene

B: i ragazzi solo l’Enrico c’è veramente

A: mh

B: ho finito adesso di parlare con Francesco

A: mh

B: in Svizzera sta lui

A: ah infatti me l’ha detto Gino che è in Svizzera [LIP, Milano B 67].

Negli esempi moderni, la strategia discorsiva di confutazione è generalmente accompagnata da un certo grado di mitigazione della forza illocutiva associata all’asserzione che segue7. Questo uso

di veramente è infatti stato definito di Abtönungspartikel da Held (1988, p. 65) e di adverbe

atténuant da De Cesare (2002, pp. 223-225). Come nota anche De Cesare (2002, p. 224), questa

strategia può condurre a coppie (quasi) minime a livello frasale, anche se in contesti discorsivi e contorni intonativi necessariamente diversi. Si confrontino gli esempi costruiti in (17a-b):

(17a) - Ti fermi a cena?

- Veramente devo andare a prendere i bimbi ... (17b) - Che fai adesso?

- Devo andare a prendere i bimbi - Tutte scuse!

- Guarda, te l’ho detto, VERAMENTE devo andare a prendere i bimbi

Si noti come veramente sia in grado di assumersi da solo l’onere comunicativo della confutazione (mitigata). In (17a) l’enunciato si sarebbe potuto concludere con veramente…(con il contorno intonativo appropriato), e l’interlocutore l’avrebbe interpretato come un cortese rifiuto. Un esempio reale è dato da (18):

(18) MAX: ora faccio un pezzo io // eh? va bene? MAR: mah / veramente + [C-ORAL-ROM]

D’altra parte, come già detto, la funzione rafforzativa e asseverativa di veramente rimane disponibile nell’italiano contemporaneo. Un esempio reale a inizio frase è dato in (19):

(19) ecco allora ecco dottore ascolti lì è successo il fatto che non hanno potuto rispondere da Torino perché veramente la linea si è interrotta [LIP, Milano E 7, riferito a un programma televisivo].

Tuttavia, a causa del diverso contorno intonativo, non è chiaro se l’avverbio in (19) occupi la stessa posizione sintattica che negli esempi (14)-(15). In (19) veramente ha necessariamente un’intonazione marcata, di focus, mentre con funzione confutativa non può essere focalizzato (il netto contrasto intonativo associato ai due usi di veramente era già stato notato da Held 1988, pp. 70-72).

Casi di evoluzione di un termine da asseverativo/rafforzatore a confutativo/mitigatore non sono certo ignoti alla letteratura. Ad esempio, è documentato come elementi provenienti dalle aree semantiche del ‘bene’ o del ‘reale’ acquisiscano funzione di mitigatori, o almeno diventino mezzi

7Questo impiego è già stato descritto da Suomela- Härmä (1986, p. 384). Anche se non menzionato nella tassonomia di

Caffi (2007), veramente apparterrebbe quindi alla categoria delle hedges, cioè di quelle espressioni mitiganti la cui portata è l’illocuzione (Caffi 2007, pp. 95; 102ss.). Per l’italiano antico, invece, Bazzanella (2010, p. 1347) lo cita, con un esempio, tra i segnali discorsivi con valore rafforzativo.

(10)

per esprimere cooperativamente il disaccordo con quanto appena detto dall’interlocutore: cfr. tra molti altri Jucker (1997) per well e Fanego (2010) per lo spagnolo de hecho. È interessante, in ogni caso, che questa funzione di veramente non sembri condivisa dal francese vraiment (cfr. d’Hondt e Defour 2012) né in italiano da davvero, che pure ricalca gli altri impieghi di veramente (si veda § 5). Mentre davvero potrebbe con naturalezza sostituire veramente in (19), la sostituzione sarebbe impossibile in (14)-(16). Il netto contrasto suggerisce che dal punto di vista sincronico si abbia a che fare con una distinzione polisemica per veramente, piuttosto che con un continuum di vaghezza, e solleva la questione della dinamica diacronica grazie alla quale l’impiego di veramente per introdurre e al tempo stesso mitigare una confutazione abbia acquisito autonomia semantica.

Un plausibile contesto ponte è costituito da quelle occorrenze in cui la confutazione è realizzata dal discorso, mentre veramente agisce ancora come un rafforzatore dal punto di vista illocutivo. Questa combinazione è attestata fin dall’italiano antico, come si è visto in (9), e se ne possono trovare occorrenze anche in un contesto dialogico, per esempio in (20):

(20) Ed ella disse: Non so se infermità o altro accidente l’occupa. -- Dunque -- diss’io -- non l’hai tu veduto, o forse non è venuto?--

Ella allora disse: - Veramente l’ho io veduto, ed è venuto, ma non quello che noi attendevamo. - Allora diss’io: - E chi t’ha fatta certa che quegli che è venuto non sia desso? Vedestil tu altra volta, o ora con occhio chiaro il rimirasti?

- Veramente - disse ella - io nol vidi altra volta costui, che io sappia [G. Boccaccio, Elegia

di Madonna Fiammetta, 7; 1343-44].

A prima vista, probabilmente, un parlante contemporaneo interpreterebbe (20) come gli esempi precedenti (14)-(15). Tuttavia, il contesto rende chiaro che, anche se vi è confutazione, veramente mantiene pienamente il suo valore di rinforzo dell’atto illocutivo. Questo appare proprio uno di quei contesti atti a favorire un mutamento semantico di tipo metonimico (nel senso di Traugott e Dasher 2002, pp. 28-34). Modalizzare come vera un’asserzione in apertura di turno conversazionale conferisce retrospettivamente a quanto precede lo statuto di non vero; sottolineando però la propria sincerità, anziché la falsità dell’affermazione dell’interlocutore, il locutore manifesta al contempo un atteggiamento di rispetto nei suoi confronti, così che il disaccordo risulta espresso cooperativamente, mitigato. Questo significato della costruzione sarà gradualmente assorbito dal solo veramente, che diverrà esso stesso marca di confutazione (mitigata).

È naturalmente difficile stabilire con precisione quando l’uso confutativo attenuato di

veramente raggiunga la piena autonomia semantica. Guardando ai dati della LIZ, alcuni passaggi

dialogici a partire dal XVII secolo sembrano ad uno stadio già abbastanza avanzato. Per esempio, in (21) veramente compare ancora con la negazione, ma il contesto rende chiaro che l’intenzione del locutore non è rafforzare il proprio enunciato negativo «non ho fatte tali osservazioni», ma mitigarlo, poiché poi continua affermando di volerle «per ogni modo» fare:

(21) Sagredo: […] Ma di grazia, signor Salviati, non perdete più tempo in questo particolare, perché uno che avesse avuto pazienza di far l’osservazioni di una o due lunazioni e non restasse capace di questa sensatissima verità, si potrebbe ben sentenziare per privo del tutto di giudizio; e con simili, a che consumar tempo e parole indarno?

Simplicio: Io veramente non ho fatte tali osservazioni, perché non ho avuta questa curiosità, né meno strumento atto a poterle fare; ma voglio per ogni modo farle. [G. Galilei, Dialogo

(11)

È interessante come in questa fase di transizione sia molto comune trovare la costruzione di tipo concessivo veramente non ... ma, in cui la frase introdotta da veramente è sullo sfondo, mentre l’avversativa introdotta da ma veicola i contenuti in rilievo.8

Nelle commedie di Carlo Goldoni, il processo appare completato. Innanzitutto, in molte realizzazioni del costrutto veramente non ... ma la lettura moderna pare inevitabile. In (22), per esempio, la forza illocutiva della frase introdotta da veramente è mitigata al punto da poter essere contraddetta esplicitamente dalla frase immediatamente successiva:

(22) Cavaliere: - Bene... Se qualche volta verrete anche voi, vi vederò volentieri. qualche volta.

Cav.: - Da me... Perché?

Mir.: - Perché, illustrissimo signore, ella mi piace assaissimo. [C. Goldoni, La

locandiera, Atto 1, Sc. 15; 1753].

Si trovano inoltre casi ancora più inequivocabili, in cui il valore mitigante di veramente è completamente svincolato dal contesto. In (23) la signora «un poco avanzata» sicuramente non intende sottolineare la propria età; anzi, tenta disperatamente di mitigare l’impatto comunicativo della spiacevole realtà:

(23) Florindo: - Signora, quanti anni avete?

Gandolfa: - Veramente sono un poco avanzata, saranno ormai quarantaotto. Florindo (da sé): - (Oh maledetta! Credo ne abbia ottanta). [C. Goldoni, Il giocatore,

Atto 3, Sc. 17; 1750].

Naturalmente lo stesso autore può ancora usare veramente secondo la precedente strategia discorsiva, cioè per confermare e asseverare un enunciato già evocato – anche negativo, come in (24):

(24) Conte: - È bella in tutte le maniere la signora Menichina. Cecilia(con ironia): - Bravo, sior Conte.

Conte: - Veramente non si potevano accoppiare due cognate di maggior merito e di maggior gentilezza. [C. Goldoni, La casa nova, Atto 1, Sc. 14; 1760].

La funzione di mitigare una confutazione appare l’unico mutamento semantico di rilievo negli otto secoli di storia documentata dell’avverbio, forse accanto alla marginalizzazione degli usi propriamente di predicato (dire veramente e simili) nell’ultimo periodo. Nella prospettiva del modello di Traugott (cfr. Traugott e Dasher 2002, p. 174, Traugott 2010a), tale mutamento è interessante in quanto riconducibile alla transizione da soggettivizzazione a intersoggettivizzazione, dato che l’uso di veramente come mitigatore in contesti confutativi implica in modo centrale l’attenzione del locutore a «salvare la faccia» dell’interlocutore (cfr. Traugott e Dasher 2002, pp. 22-23).

5. L’emergere di davvero

8 Si veda Beeching (2009) sul ruolo della concessione nell’evoluzione delle particelle rafforzative o mitiganti. Si noti

che la posizione di veramente in questi contesti concessivi è esattamente complementare a quella che lo stesso avverbio, pure in un’espressione concessiva, occupa in esempi come (8) del Convivio citato sopra: lì avevamo avvegna che …

(12)

Come mostra la tabella 1, contrariamente a veramente, davvero è estremamente raro nel corpus LIZ fino alla fine del XVII secolo. Per i primi due secoli, il più ampio corpus dell’OVI conferma la sua rarità: vi si trovano solo 5 occorrenze, comprese quelle scritte (o edite) in due parole. I dati ne documentano sia l’uso come avverbio di predicato (dire da vero), sia quello di avverbio frasale, presenti in (25) e (26) rispettivamente:

(25) Allora ella, credendo che ’l diciesse da vero, cominciò a piangiere [F. da Barberino, Reggimento e costumi di donna, IV, 6; 1318-20 ].

(26) Onde, pognamo che possibile fosse questo nono cielo non muovere; [...] e Venere e Mercurio quasi come lo Sole si celerebbe e mosterrebbe, e la Luna per tempo di quattordici die e mezzo starebbe ascosa ad ogni gente. E da vero non sarebbe quaggiù generazione né vita d’animale o di pianta; notte non sarebbe né die, né settimana né mese né anno, ma tutto l’universo sarebbe disordinato, e lo movimento delli altri sarebbe indarno [Dante, Convivio, II, 14; 1304-7].

Un po’ meno rare sono le forme daddovero e la variante daddivero, di cui si trovano 47 occorrenze nel corpus dell’OVI (9 scritte in una parola e 38 in due), e che possono considerarsi pienamente equivalenti a da vero, derivando da una doppia univerbazione a partire da da di vero. Questa forma appare sin dall’inizio in tutti i significati illustrati per veramente, compresi quelli che agiscono a livello di atto linguistico (non diamo esempi per ragioni di spazio).

Nel XVIII secolo, la LIZ registra una vera esplosione nelle occorrenze di davvero, anche se la maggioranza (401 su 460) concentrata nelle commedie di Goldoni, mentre daddovero subisce una rapida marginalizzazione: sopravvissuto fino al XIX secolo come reliquia letteraria, è completamente sconosciuto all’italiano contemporaneo.

La polifunzionalità di davvero in Goldoni e scrittori coevi eguaglia quella riscontrata nell’italiano contemporaneo e descritta, ad esempio, da De Cesare (2002). Ai numerosi casi in cui

davvero agisce come modificatore di predicato o a livello illocutivo, più o meno corrispondenti agli

esempi (25) e (26), si aggiunge la funzione di focalizzatore con portata sul sintagma, ad esempio, aggettivale in (27). Con questa funzione davvero, diversamente da quanto accade nell’uso contemporaneo, si trova sempre alla destra dell’aggettivo:

(27) Corallina: - Ognuno porta i ferri del suo mestiere. Lelio: - Come sarebbe a dire?

Cor. - Eh, dico per servir dama. (con ironia)

Lel.: - Spiritosa davvero. [C. Goldoni, La moglie saggia, Atto 1, Sc. 13; 1752]. Inoltre, la funzione modale oggettiva, parafrasabile grosso modo con ‘è vero che’, è rappresentata con particolare frequenza dalle occorrenze di davvero in interrogative olofrastiche: (28) Beatrice: - A buon conto, stassera verrà qui alla conversazione.

Rosaura: - Davvero?

Be.: - Senz’altro. [C. Goldoni, L’avvocato veneziano, Atto 1, Sc. 7; 1750].

Si noti come in questa funzione Goldoni utilizzi veramente soltanto una volta (su 462), mentre circa il 10% delle occorrenze di davvero (42 su 401) è di questo tipo. Si riscontra qui una differenza evidente con l’italiano contemporaneo, che in questi contesti utilizza comunemente entrambi gli avverbi.

Data l’ampiezza dei suoi significati, è decisamente sorprendente che davvero sia così poco attestato, in tutte le sue funzioni, in documenti scritti precedenti il Settecento. Una possibile spiegazione può risiedere nella dimensione diafasica: è possibile che l’espressione fosse abbastanza

(13)

diffusa nei registri informali/parlati, ma apparisse raramente nei testi scritti, forse anche a causa del possibile blocco esercitato dall’antagonista veramente. Solo uno studio di testi di tipo non letterario dal Quattrocento in poi potrebbe contribuire a chiarire la questione. È da notare che già Riccardo Ambrosini, nelle due voci da dov(v)ero9 e da vero dell’Enciclopedia dantesca, segnalava il loro

impiego eccezionale in Dante (ciascuno ricorre una sola volta, in entrambi i casi nel Convivio), e in particolare per da dovero (Convivio, 4, 19) ne ipotizzava l’uso «forse per conferire vigore, con un tratto linguistico popolaresco e pertanto inatteso nel tessuto stilistico del Convivio, all’affermazione […]» (Ambrosini 1976, II, p. 299).

L’unica eccezione interessante alla sovrapposizione semantica tra davvero e veramente è costituita dall’impiego di veramente per introdurre e mitigare una confutazione, discusso nel § 410.

È dunque giustificato cercare quali elementi abbiano potuto ostacolare una analoga evoluzione per

davvero. Un fattore rilevante potrebbe essere la differenza nella posizione sintattica dei due avverbi.

Qualitativamente, sia davvero sia veramente possono occupare la posizione iniziale nell’enunciato, sia in apertura di turno conversazionale sia più in generale in una posizione alla sinistra del verbo finito. Ma quantitativamente, il conteggio effettuato sull’ampio corpus delle commedie di Goldoni – il primo autore nella LIZ in cui entrambi gli avverbi compaiono con frequenze alte e paragonabili – dà risultati molto diversi.

La posizione preferita per davvero è chiaramente la fine dell’enunciato, o – meno frequentemente – una posizione interna a destra del verbo. Le occorrenze di davvero in apertura di turno conversazionale sono una netta minoranza: escludendo quelle di tipo olofrastico e altri casi non pertinenti (in particolare il tipo sì/no davvero), il rapporto è 30:308, quindi circa 1:10. Come prevedibile, i casi a inizio frase sono quasi tutti realizzazioni della funzione di modificatore della forza illocutiva, mentre quelli a destra comprendono gli usi di modificatore di predicato, di focalizzatore e di modalità oggettiva (non sempre chiaramente distinguibili gli uni dagli altri). Ma anche gli usi illocutivi si possono trovare alla fine della frase, come in:

(29) Ridolfo: - E poi, se non si partisse né meno in tutt’oggi?...

Leonide: - Come! che! lo ponete in dubbio che si parta oggi? Sarebbe bella! S’ha da partire per assoluto. Ho fatto far le ambasciate, ho fatto le visite, mi sono licenziata dalla conversazione; e che oggi non si partisse? Non vi mancherebbe altro davvero! [C. Goldoni, I malcontenti, Atto 1, Sc. 13; 1755]. Invece, per veramente il rapporto tra posizione a sinistra e a destra del verbo è più equilibrato, circa 2:3. È vero che gli impieghi in contesti di confutazione mitigata (quasi tutti concentrati in apertura di turno conversazionale) erano già sviluppati e diffusi a questo punto, come visto nel § 4. Ma anche escludendoli dal computo, il rapporto resta di circa 1:2. Si potrebbe quindi ipotizzare che la nuova funzione mitigante per veramente si sviluppi essenzialmente in contesti di presa di turno, ancora oggi la sua posizione preferita, e che per un analogo sviluppo di davvero non ci sia mai stata la «massa critica» di contesti ponte favorevoli. Pertanto, nonostante il parallelismo semantico nelle funzioni precedenti di davvero e veramente, la loro asimmetria posizionale (se confermata da più ampi conteggi) potrebbe avere giocato un ruolo non irrilevante nel loro divergente sviluppo nei secoli successivi.

5. Conclusioni

9 La voce dell’Enciclopedia dantesca ha a lemma da dovvero, ma il testo del corpus dell’OVI riporta da dovero. 10 Va precisato che davvero è di per sé compatibile con una confutazione, dato che ricorre liberamente con la negazione

olofrastica nell’espressione no davvero! Tuttavia, in questi casi si ha chiaramente un rafforzamento della forza illocutiva della negazione, diversamente da veramente no, che di solito al contrario la attenua.

(14)

Forse il risultato più significativo di questa analisi risiede nell’inquadramento dell’evoluzione semantica di veramente all’interno della prospettiva del modello di Traugott sul cambiamento semantico, e in particolare nella transizione tra i livelli di soggettività e intersoggettività: perché

veramente diventi una marca che introduce una confutazione, e al contempo ne attenua

pragmaticamente l’impatto di ostilità nei confronti dell’interlocutore, sono necessari dei contesti dialogici di negoziazione tra i due partecipanti all’atto comunicativo, che configurano appunto il livello intersoggettivo. A sua volta, ciò suggerisce che la posizione di presa di turno, all’inizio dell’enunciato, sia quella determinante per innescare questa evoluzione. L’esame di contesti reali, ricavabili da corpus estesi di italiano anche non letterario, diventa naturalmente essenziale per il riconoscimento dell’importanza dei contesti interattivi quale motore del mutamento semantico.

Anche se su questo tipo di analisi gravano inevitabilmente le difficoltà insite in ogni indagine linguistica in diacronia (in questo caso pesa particolarmente l’impossibilità di recuperare i contorni intonativi negli esempi del passato), ci pare di poter affermare che un esame fine dei contesti di uso di un termine attraverso i secoli, volto a identificare la divisione del lavoro tra co-testo, lessico e contesto, apra prospettive interessanti sulla sua evoluzione e sui soggiacenti meccanismi cognitivi e comunicativi.

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