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Recensione a Feudalesimi nella Toscana moderna, a cura di S. Calonaci e A. Savelli. in «Ricerche storiche», XLIV, 2-3, 2014

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precedenti. Chiudono il volume una bibliografia generale, un glossario e l’indice dei nomi di persona e di luogo.

RITA MAZZEI

Feudalesimi nella Toscana moderna, a cura di Stefano Calonaci e Aurora Savelli, «Ricerche storiche», XLIV, 2-3, 2014. – Il titolo del numero monografico della rivista «Ricerche storiche» dedicato ai Feudalesimi nella Toscana moderna rende omaggio a una recente moda storiografica che impone l’omnicomprensiva e generalissima etichetta di ‘feudalesimo mediterraneo’ ai più diversi sistemi di signoria fondiaria presenti in Europa in età moderna: peculiarità che avrebbe meritato che i curatori ne discutessero presupposti e conseguenze. Nel volume, tuttavia, non mancano i segni di inquietudine per l’uso di tale categoria.

Infatti, proprio il panorama toscano, indagato con attenzione e con il ricorso a fonti di prima mano, presenta elementi che smentiscono la lunga durata del sistema feudale e tratti che ne attenuano decisamente la portata. Nel mosaico giurisdizionale toscano della prima età moderna, il titolo feudale è un istituto peculiare, utilizzato in primo luogo dai granduchi. Come messo in luce da Giuseppe V. Parigino, i Medici – da una parte – usano la strumentazione fornita dal diritto feudale per costruire il loro patrimonio: la Lunigiana, la Romagna e le zone di confine con lo Stato pontificio sono i luoghi dove si concentrano le attenzioni della famiglia granducale. Essa, sia con le accomandigie sia con l’acquisto, intende controllare più strettamente il territorio, soprattutto ai confini del suo domino. Si tratta di una strategia perseguita anche dalla casa Asburgo Lorena e non sempre facile da portare a compimento, come dimostrano le pagine di Ilaria Marcelli, dedicate al conflitto che oppone la famiglia dei Bardi, conti di Vernio con il titolo di vicari imperiali dal 1355, al granduca Pietro Leopoldo.

Dall’altra parte, i Medici si servono della facoltà di creare nuovi feudi per grati-ficare i loro più stretti e fedeli collaboratori. Essi – se si esclude il caso del granduca Ferdinando III, costretto per fronteggiare la problematica congiuntura di primo Sei- cento a reperire risorse economiche con numerose infeudazioni dietro pagamento – non sono di larga mano, come messo in più punti in evidenza dall’intervento di Andrea Zagli, che illustra lavoro e lavorio necessario affinché la famiglia Niccolini, nel volgere di due generazioni, conquisti un titolo. Inoltre, generalmente, la cessione del merum et mixtum imperium non si accompagna a poteri di arruolamento militare e alla cessione della totalità delle prerogative fiscali. Il titolo feudale non è che un suggello onorifico della posizione sociale occupata.

E non a caso, come messo in rilievo da Stefano Calonaci, i diversi feudatari, nell’esercizio della giurisdizione signorile, peraltro volentieri demandata a un vicario, si ispirano alla figura, delineata proprio nel corso del Cinquecento dalla trattatistica, del buon principe: la clemenza e la ricerca dell’accordo fra i contendenti sembra essere la cifra caratteristica dei signori toscani. Il loro «volto benevolo», ritratto tem-po addietro da Gregory Hanlon, si irrigidisce, come ben nota Aurora Savelli, solo quando ne vengono messi in pericolo gli interessi economici, generalmente tutelati da un fattore.

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Sono proprio gli interessi economici dei singoli a spingere ad abusi della giuri-sdizione granducale: un fenomeno che viene fermato – all’interno del clima riformi-stico di pieno Settecento – dagli Asburgo Lorena. La riflessione giuridica, su cui si sofferma Patrizia Turrini, conduce, a metà secolo, a provvedimenti che riesaminano l’intera questione feudale: e non è un caso che, come nota Marcella Aglietti, le rispo-ste che gli aristocratici danno alla legge del 1750, che intende regolamentare la no-biltà e che chiede ai singoli prove della legittimità della condizione nobiliare, spesso non contemplino il titolo feudale: i nobili toscani presentano preferibilmente altri titoli per comprovare la loro distinzione sociale.

I saggi ci indicano dunque il percorso tramite cui si verifica l’inesorabile perdita di importanza del già debole sistema signorile nella Toscana dell’età moderna, con-segnandoci un quadro complesso, ma estremamente interessante e fecondo. Sicura-mente maggiore completezza sarebbe giunta da una riflessione sull’importante legge sui feudi emanata del 1749, presente nel programma del seminario di cui il volume è il risultato; tuttavia, queste pagine si presentano come un punto di riferimento per ulteriori studi sul tema più generale della signoria feudale in Europa.

NICOLETTA BAZZANO

BERTRAND FORCLAZ, Catholiques au défi de la Réforme: La coexistence

confession-nelle à Utrecht au XVIIe siècle, Paris, Honoré Champion, 2014, pp. 432. – Grazie a

fonti documentarie conservate presso vari archivi (atti concistoriali), Forclaz esamina la situazione della minoranza cattolica a Utrecht nel XVII secolo, all’indomani della pace di Westfalia: nella città, infatti, sopravvive il cattolicesimo, nonostante la grande diffusione del calvinismo, ma vi resistono anche le minoranze luterana e anabattista. Nell’Europa delle guerre di religione, si apre un vivace dibattito sulla tolleranza, mentre le esigenze politiche costringono al compromesso. La convivenza religiosa diventa pertanto necessaria prassi di deroga alle affermazioni di principio. La scelta di prendere in esame la situazione di Utrecht si rivela molto interessante, perché Utrecht rappresenta al contempo il baluardo essenziale del cattolicesimo, essendo scelta come sede della Missione d’Olanda, e del calvinismo, dal momento che si fonda l’Università nel 1636 e da lì si propaga la Nadere Reformatie. Forclaz riesce così a porre in luce lo stretto rapporto tra tolleranza e rapporti di forza all’interno delle varie istituzioni politiche e la decisione di soffermarsi sulla seconda metà del Seicento copre un vuoto storiografico.

Mentre gran parte della storiografia si è concentrata sull’analisi della diffusione della riforma e delle sue conseguenze nella seconda metà del Cinquecento, spostan-do lo sguarspostan-do in avanti si possono verificare gli effetti dell’imposizione di norme e il processo di adattamento e compromesso, tra cloisonnement confessionnel e oecu-ménicité de la vie quotidienne (interpretazioni opposte proposte rispettivamente da Groenveldt e da Frijhoff): Forclaz esamina contatti e solidarietà interconfessionali nella vita quotidiana, tenendo ben presente anche il quadro normativo di proibizio-ni e restrizioproibizio-ni. La convivenza religiosa, nella Repubblica delle Province uproibizio-nite, fu favorita dalla strana combinazione tra libertà di coscienza e monopolio della Chiesa

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