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L’industria creativa come politica economica per lo sviluppo

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

Economia e

Gestione delle Aziende

Tesi di Laurea

L’industria creativa come

politica economica

per lo sviluppo

Laureando

Giorgio De Bin

Matricola 829685

Anno Accademico

2011 / 2012

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Ringraziamenti

Ringrazio tutti coloro che mi hanno permesso di completare questo elaborato. A partire dalla mia famiglia, ai miei genitori Ermanno e Patrizia, ai miei fratelli Riccardo e Alberto, a mia nonna Anna e a tutti gli zii e cugini che in questi anni mi hanno sorretto nei miei studi e nelle mie ricerche esperienziali e didattiche. Un grande ringraziamento va a Michela che mi ha sopportato e aiutato in questi lunghi mesi di ricerca. Un grande ringraziamento anche ai miei coinquilini tutti Costanza, Alice, Sara, Chiara, Carlotta, Martina, Omar, Alberto, Giovanni che mi hanno permesso di vivere l’esperienza universitaria nel migliore dei modi. Un ringraziamento inoltre va a Venetiae Alumni, al suo presidente Roberto Paladini e al suo direttivo Anthony La Salandra, Simone Panizzutti, Antonio Talone e Alberto Dal Maschio che mi hanno permesso di testare ed ottenere un bagaglio di conoscenze che nessun altra esperienza riuscirà a fornirmi. Un grande ringraziamento anche a coloro che hanno contribuito a sostenermi finanziariamente negli studi e permesso di avere un profilo professionale importante la Fiorital srl e Unioncamere del Veneto. Tra i soggetti di queste due realtà devo molto a Emanuele Fiorotto, Andrea Giannotti, Daniela Balzi, Damiano Gobbo, Cecilia Bertolaso, Elena Spolaore, Antonella Capozza e agli altri colleghi Fiorital che mi hanno permesso di vivere una grande e proficua esperienza professionale. Per quanto riguarda Unioncamere del Veneto ringrazio Gian Angelo Bellati e Francesco Pareti per la virtuosa organizzazione che hanno messo in piedi e in cui ho imparato molto. Ringrazio poi i miei colleghi tutti e in particolare Valentina Colleselli, Valentina Montesarchio, Filippo Mazzariol, Flavia Di Noto, Massimiliano Condotta, Samuele Saorin, Alessandro Vianello, Sara Codognotto, Fracesco Lovat, Daniela Nardello, Brunella Santi, Luca Pavanato, Stefania De Santi, Irene Coppola, Roberto Bassetto, Sara Momi, Alessandra Vianello, Laura Manente, Erica Holland, Geyleen Gonzales e Michela Bergamin per avermi insegnato molto e per rendere piacevole quella gran parte della nostra vita che è il lavoro.

Ringrazio inoltre tutti i miei amici citandone alcuni e sicuramente dimenticandomene altri, un grazie a Filippo Mandara, Giuseppe Bortolotto, Anna Caliò, Arianna Cecilian, Daniel Collenzini, Enrico Marchese, Piero Zennaro, Alex Selvini, Camilla Soragni, Elisa Orio, Filippo Calegaro, Enzo Muoio.

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Ringrazio inoltre l’UDU Venezia e le persone che insieme a me hanno contribuito a costituirlo Matteo Montagner, Frank Maracchione, Francesca Bortot, Ilaria Gervasoni per avermi permesso di vivere esperienze importanti e molto formative in questo periodo universitario.

Ringrazio Ca’ Foscari, il suo Rettore Carlo Carraro e il suo Senato accademico per l’esperienza che mi hanno permesso di vivere.

Ultimo ma solo perché ad esso va un ringraziamento speciale è il Professore Fabrizio Panozzo che con le sue osservazioni e idee brillanti mi ha guidato in questa tesi e in molte importanti esperienze formative con integrità ed intelligenza.

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Indice

Ringraziamenti ... 2

Indice ... 4

INTRODUZIONE ... 6

1. Venezia 2019: la candidatura della Regione nord-est a Capitale Europea della Cultura e le industrie creative; ... 8

1.1. LA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA: NASCITA E STORIA ... 8

1.2. IL PROCESSO DI CANDIDATURA A CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA ... 11

1.3. LA CANDIDATURA DI VENEZIA E IL TERRITORIO DEL NORD EST A CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA ... 14

1.4. IL TEMA DI CANDIDATURA: RAPPORTO TRA CULTURA ED ECONOMIA E LE INDUSTRIE CREATIVE . 18 2. L’industria creativa ... 20

2.1. L’INDUSTRIA CREATIVA: DEFINIZIONI, DIFFERENZE E POLITICHE; ... 20

2.1.1. DAL SIGNIFICATO ETIMOLOGICO ALLA DEFINIZIONE DI WIKIPEDIA ... 20

2.2. L’INDUSTRIA CREATIVA: L’ORIGINE DELLA NOZIONE ... 28

2.3. L’INDUSTRIA CREATIVA E LE POLITICHE DEI DIVERSI INFLUENZATORI DELLA TEMATICA ... 30

2.3.1. Gli inglesi NESTA e Work Foundation ... 30

2.3.2. Le organizzazioni mondiali: UNESCO e UNCTAD ... 34

2.3.3. Le organizzazioni europee: il libro verde “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”, il rapporto KEA 2006 “L’economia della cultura in Europa” e il rapporto della Direzione Europea Arte e Cultura “ The entrepreneurial dimension of the cultural and creative industries”, ... 39

2.3.4. Le organizzazioni italiane: il libro bianco sulla creatività e il rapporto Unioncamere – Symbola: l’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori”. ... 45

3. Intervista agli stakeholder del territorio ... 52

3.1. L’ARTISTA:ANNA PIRATTI ... 53

3.2. IL DIRETTORE DEL FESTIVAL CITTÀ IMPRESA:ANTONIO MACONI ... 59

3.3. IL DIRETTORE DI UNIONCAMERE DEL VENETO: GIAN ANGELO BELLATI ... 64

3.4. L’AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA VENINI SPA:MANUEL GOMIERO ... 70

4. Una proposta concreta per lo sviluppo delle imprese creative e culturali nel Nord est ... 76

4.1. ANALISI DELLA SITUAZIONE ATTUALE ... 76

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4.3. STAKEHOLDERS ... 85

4.4. OBIETTIVI E STRUMENTI... 87

4.5. OUTPUT ... 90

4.6. INDICATORI CHIAVE ... 90

4.7. MACROSTRUTTURA PROGETTO WP E DELIVERABLE ... 90

6.8. SCHEDULE E GANTT ... 94

6.9. POSSIBILI FONTI DI FINANZIAMENTO ... 96

6.10. DESCRIZIONE PROGETTO ... 97

Conclusioni ... 110

BIBLIOGRAFIA ... 113

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INTRODUZIONE

Il tema dello sviluppo è tanto attuale quanto abusato nella discussione contemporanea. Oramai appare chiaro a tutti che il sistema economico sociale implementato in questi ultimi anni è in grave crisi. Una crisi difficilmente definibile congiunturale che ha penetrato la società e costretto tutte le sfere che la compongono ad una seria e profonda riflessione sull’impianto socioeconomico presente, dai suoi assiomi fino alle ultime devastanti sacche di inefficienza ed inefficacia riscontrate nei settori finanziari. La scuola di Chicago dopo il 2011, da emblema economico in cui individuare i candidati al Nobel per l’economia, è stata posta sulla graticola. La vittoria di Obama è la più chiara dimostrazione che anche gli Stati Uniti d’America, patria di quel liberismo finanziario estremista che ha dominato il mondo negli ultimi vent’anni, stanno ripensando nel profondo i propri caratteri economici e valoriali. Un sistema che arroccato nei suoi assiomi si è avviluppato su sé stesso arrivando a costruire una società talmente classista da rendere impossibile l’azione di quella mano invisibile spesso mal interpretata da molti politici ed economisti. Un sistema dunque bloccato, in una struttura che in altri tempi facilmente potrebbe essere definita feudale, una struttura in cui l’estremizzazione capitalistica ha portato alla riflessione stessa sulla crescita e lo sviluppo, una società in difficoltà, in cambiamento, che necessità di essere ripensata.

Questa tesi nasce con l’intento di innescare nei lettori una riflessione che, lontana dal voler essere la panacea per la crisi economica, cercherà di capire le potenzialità di uno sviluppo diverso, qualitativo e diffuso di un settore oggi di moda ma spesso mal interpretato: le industrie creative. Partendo dall’analisi di un processo in atto in questo periodo, la candidatura di Venezia a Capitale europea della Cultura che verte proprio su questa tematica, l’obiettivo sarà quello di decifrare approfonditamente il settore e l’interpretazione che ne viene data nella candidatura. Lo studio di questo processo ci permetterà di ragionare su una declinazione dello stesso a volte discutibile. Sarà poi inoltre analizzato, nel suo profondo, il settore delle industrie creative nella loro definizione a livello globale per comprenderne potenzialità e criticità e per arrivare infine alla costruzione di un’idea progettuale che permetta ai diversi stakeholder del territorio di comprendere e valorizzare concretamente il settore. La ricerca comprenderà

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l’utilizzo del metodo empirico dell’intervista a soggetti che lavorano direttamente nel settore per comprendere concretamente quanto la nostra precedente analisi teorica sia lontana dalla realtà, nell’idea che reali soluzioni debbano obbligatoriamente passare per coloro che costruiscono e sono l’economia e la società: le persone.

Come poi si vedrà l’aspetto finanziario è citato e riportato al suo scopo nativo e funzionale: il credito alle imprese. Si dimostrerà così che lo strumento finanziario non è, come molti lo definiscono, il demone da cui fuggire bensì un ottimo strumento utilizzato per scopi sbagliati. Come Einstein e Fermi non avrebbero mai pensato alle loro scoperte sul nucleare come un possibile forma di devastazione dell’umanità intera, allo stesso modo non si deve pensare che la finanza sia nata per devastare l’economia reale. Ogni strumento deve essere utilizzato nel modo corretto e spesso la finanza non lo è stato.

L’elaborato stesso nasce sotto questa luce nella ferma convinzione che il settore delle industrie creative potrà essere il futuro per uno sviluppo “intelligente, sostenibile e solidale” se e solo se verrà governato e valorizzato nel giusto modo, in quell’ottica di “coopetition” che ha permesso al nostro territorio di competere in maniera globale fin d’ora.

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CAPITOLO 1

1. Venezia 2019: la candidatura della Regione nord-est a

Capitale Europea della Cultura e le industrie creative;

1.1. La capitale Europea della Cultura: nascita e storia

Era il Gennaio del 1985 quando il Ministro della Cultura greco Melina Mercouri e il Ministro alla Cultura francese Jacques Lang stavano attendendo un aereo in ritardo per il maltempo, all’aeroporto di Atene. La discussione, seguendo sinuose derive dialettiche, arrivò a produrre un’idea che avrebbe cambiato la storia di tanti territori europei: la costituzione di una Città Europea della Cultura per valorizzare la ricchezza e le diversità europee in un’ottica di dialogo interculturale.

Il lancio ufficiale di questa iniziativa avvenne sei mesi dopo durante il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea con la risoluzione 85/C 153/02 nel 13 Giugno 1985. Melina Mercouri argomentò che la cultura, l’arte e la creatività erano importanti al pari della tecnologia, del commercio e dell’economia. L’iniziativa non nasceva dunque, come azione dell’Unione Europea, bensì come accordo tra i ministri dei diversi stati e prevedeva l’indicazione di una lista di nazioni che avrebbero scelto una loro città come capitale europea della Cultura. L’ordinamento nella scelta degli stati avrebbe dovuto seguire l’ordine alfabetico ma, come si può vedere dai primi 15 Stati designati, esso non fu rispettato :

1985 Atene - Grecia 1986 Firenze - Italia

1987 Amsterdam – Olanda 1988 Berlino - Germania

1989 Parigi - Francia 1990 Glasgow - Regno Unito

1991 Dublino - Irlanda 1992 Madrid - Spagna

1993 Antwerp - Belgio 1994 Lisbona - Portogallo

1995 Lussemburgo - Lussemburgo 1996 Copenhagen-Danimarca 1997 Thessaloniki - Grecia 1998 Stoccolma - Svezia 1999 Weimar – Germania

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Nel 1992, il Consiglio dei Ministri decise per un cambiamento di rotta e, con la risoluzione 92/C 1501 e 92/C 336/02, si prefissò di alternare la selezione delle città europee in modo che esse non fossero della stessa area geografica e che ci fosse un’alternanza tra capitali e città di provincia. Fu inoltre decisa la possibilità di candidare due città insieme.

Per l’anno 2000 ci fu un eccezione e furono nominate nove città europee della Cultura: Avignone ( Francia)- Bergen (Norvegia) – Bruxelles (Belgio) – Cracovia (Polonia)- Helsinki (Finlandia) – Praga (Repubblica Ceca) – Reykjavik (Islanda) – Santiago de Compostela (Spagna) – Bologna (Italia)

Sette città, seguendo il principio della doppia elezione, furono poi elette Città della cultura nei quattro anni seguenti:

2001 Rotterdam (Olanda) e Porto (Portogallo) 2002 Bruges (Belgio) e Salamanca (Spagna) 2003 Graz (Austria)

2004 Genova (Italia) e Lille (Francia)

Continuando nella cronistoria della Capitale europea della Cultura arriviamo ad un importante punto di svolta: nel 1999 il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo si accordarono affinché lo schema della Città della Cultura rientrasse ufficialmente tra le attività dell’Unione Europea: con la decisione 1419/1999/EC “E’ istituita un'azione comunitaria intitolata «Capitale europea della cultura». Obiettivo di detta iniziativa è valorizzare la ricchezza, la diversità e le caratteristiche comuni delle culture europee e contribuire a migliorare la conoscenza reciproca tra i cittadini europei”1

la Città della Cultura diventa ufficialmente espressione dell’Unione stessa. Il nome cambiò da “Città Europea della Cultura” a “Capitale Europea della Cultura” e furono introdotti nuovi criteri di selezione con l’introduzione di una procedura di candidatura che prevedesse un progetto Culturale di dimensione europea. Mantenendo comunque gli obiettivi per cui era nata, l’articolo 4 precisa che il programma deve:

1

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• Rafforzare la cooperazione fra gli operatori culturali, gli artisti e le città degli stati membri interessati, nonché degli stati membri in ogni settore culturale; • Far emergere la ricchezza della diversità culturale in Europa;

• Mettere in evidenza gli aspetti comuni delle culture europee;

Le città designate per gli anni a venire furono dunque: 2005 Cork (Irlanda)

2006 Patras (Grecia)

2007 Lussemburgo (Lussemburgo ) e Sibiu (Romania) 2008 Liverpool ( Regno Unito) e Stavanger ( Norvegia)

Con Decisione n. 649/2005/EC viene poi stabilita la lista dei paesi che fino al 2019 avrebbero ospitato la Capitale della Cultura.

Per quanto riguarda il sostegno finanziario profuso dall’unione Europea, esso aumentò nel corso degli anni di pari passi al successo crescente di questa manifestazione e arrivò, con la decisione N. 1622/2006/EC, ad una somma di 1.500.000 €. Questa cifra che rimane comunque secondaria rispetto l’impegno profuso dal territorio (circa il 5-6% del totale speso), viene attribuita attraverso una procedura di selezione e prende il nome dal Ministro greco che lanciò l’iniziativa, Melina Mercouri.

Importante è notare, in questo processo evolutivo dell’iniziativa, come tra le Capitali della Cultura siano state eletti, oltre alle città in senso proprio, anche territori vasti. Tra gli esempi eclatanti e di successo è d’obbligo citare la regione della Ruhr che, attraverso un imponente sforzo creativo, è riuscita a reinventare un territorio prima depresso reinterpretando la peculiarità comune della raccolta del carbone in un sentimento partecipativo. E’ questo un esempio emblematico perché rappresenta, insieme alle specifiche finalità della Capitale della Cultura, un esempio di successo della rivalutazione attraverso un nuovo approccio per legare insieme il territorio.

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1.2. Il processo di candidatura a Capitale Europea della Cultura

Per capire l’attuale processo di candidatura delle città ci risulta utile analizzare la decisione N. 1622/2006/EC che, oltre a delineare gli stati che ospiteranno le Capitali Europee fino al 2019, ribadisce che la manifestazione si svolgerà in contemporanea in due stati:

2007 : Lussemburgo e Romania 2008 : Regno Unito e Norvegia

2009 : Austria e Lituania 2010 : Germania e Ungheria

2011 : Finlandia ed Estonia 2012 : Portogallo e Slovenia 2013 : Francia e Slovacchia 2014 : Svezia e Lettonia 2015 : Belgio e Repubblica Ceca 2016 : Spagna e Polonia

2017 : Danimarca e Cipro 2018 : Paesi Bassi e Malta

2019 : Italia e Bulgaria

La decisione introduce inoltre la seguente procedura per la candidatura delle Città, degli stati prescelti, a Capitale Europea della Cultura:

Ogni stato, alla luce delle disposizioni delle linee guida annuali della Commissione , sei anni prima dell’anno della manifestazione, dovrà pubblicare un bando di selezione per le città del suo territorio interessate a candidarsi ad essere Capitali della Cultura contenente il Regolamento e i criteri per la selezione. Le città, da questo momento hanno dieci mesi per rispondere a tale bando presentendo il progetto di massima per l’anno in cui saranno Capitali della Cultura.

Dopo ciò, le proposte presentate verranno valutate da una giuria di tredici persone così composta:

• Sei esperti nominati dallo stato stesso;

• Sette esperti nominati dalle istituzioni europee;

Gli esperti Europei saranno parte della giuria per entrambi gli stati destinati alla candidatura.

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La giuria stilerà un elenco delle città più idonee fornendo raccomandazioni sugli sviluppi e i progressi da realizzare. Le città preselezionate dovranno sviluppare poi un dossier dettagliato che verrà valutato da una giuria nove mesi dopo la riunione di preselezione. Da questa valutazione uscirà la città raccomandata dallo stato ad essere Capitale della Cultura. Sulla base di questa valutazione ogni stato presenterà al parlamento europeo la candidatura e questo notificherà la designazione ufficiale a Capitale della Cultura.

E’ utile ricordare che oltre agli obiettivi precedentemente elencati in questo bando vengo inseriti dei criteri di coerenza con il programma “Cultura” della Commissione stessa in cui si sottolinea l’importanza delle seguenti priorità:

• La promozione della mobilità transazionale delle persone che operano nel settore culturale;

• Il sostegno alla circolazione transnazionale delle opere e dei prodotti artistici culturali

• Il sostegno al dialogo interculturale;

Ultima ma non ultima priorità a cuore all’Unione Europea è la partecipazione all’iniziativa dei cittadini residenti nella città o territorio all’evento, sia come attori attivi nel processo di programmazione e svolgimento della Candidatura, sia come attori coinvolti nei prodotti culturali. Il carattere duraturo delle attività implementate è poi sottolineato nelle linee guida per la valutazione delle candidature. Sarà dato infatti un punteggio più elevato a quelle programmazioni che, oltre ad avere uno sguardo prospettico prevedendo la città del domani, prevedranno delle iniziative durature nel tempo che continueranno a creare valore per la città o territorio anche oltre l’anno in cui saranno Capitale.

Una programmazione dunque duratura e con un impatto permanente che vuole rivalorizzare il territorio attraverso la cultura con azioni di impatto strutturale e partecipato nell’obiettivo di una riqualificazione sia internazionale che economica della città o territorio.

Qui uno schema (Fig. 1.1) riassuntivo della procedura per l’assegnazione del titolo di Capitale Europea della Cultura.

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Fig. 1.1 Schema riassuntivo delle fasi di candidatura a Capitale Europea della Cultura

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1.3. La candidatura di Venezia e il territorio del Nord Est a Capitale

Europea della Cultura

L’idea di candidare Venezia e la macroregione Europea del “nord est Italia” nasce per iniziativa della casa editrice Nordesteuropa in collaborazione con altri soggetti dell’imprenditoria del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige e venne lanciata durante una riflessione del Festival Città Impresa nel 2008.

L’idea di una rivisitazione del territorio in ottica post fordista a risposta della crisi del modello distrettuale di piccola media impresa tipica di questo territorio nasce dunque, da una riflessione di attori privati che, interrogandosi sul loro futuro, decidono di pensare a come reinterpretarsi. Per poter infatti continuare ad essere competitivi in una situazione economica come quella attuale, in cui la delocalizzazione legata alla globalizzazione ha messo in crisi il sistema economico presente, questa riflessione diventava necessaria. Un sistema economico, quello superato, che tra l’altro aveva permesso alla stessa piccola media impresa rappresentata in quella sala del festival Città Impresa in cui è stata lanciata l’iniziativa, di trasformare il “Nord Est” da territorio povero di emigrazione a locomotiva d’Italia.

La proposta grafica utilizzata per la candidatura è l’emblema di questo processo di trasformazione: “Please disturb”2

. Nata da un’iniziativa privata, “Please distrub” è una ricerca coordinata da Cristiano Seganfreddo direttore di Fuoribiennale e co-finanziata dalla Regione Veneto e dal Corriere della sera che voleva essere una mappa del Veneto del “contemporaneo”. Essa con il suo approccio innovativo di partenariato pubblico privato, palesa la necessità di cambiare l’approccio alle cose partendo proprio dal modo di analizzare lo status quo. Questa ricerca poteva infatti svilupparsi come una classica ricerca accademica con una pubblicazione finale che avrebbero letto in pochi interessati e sarebbe finita tra le altre migliaia di analisi del territorio che la Regione commissiona quotidianamente. E invece no, l’interrelazione tra parti pubbliche e private, tra approcci metodologici totalmente diversi da quello statistico a quello artistico completato dall’interscambio tra un’industria terziaria “standard” come i centri di ricerca e l’industria creativa del design hanno portato a produrre un lavoro di cui si parla

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tutt’oggi a più di cinque anni di distanza dalla sua pubblicazione. Un lavoro che ha attivato processi interrogativi in tutti i settori economici del territorio. Il Governatore del Veneto del 2008 Giancarlo Galan introduce questa ricerca con queste parole “Il Veneto del domani è già il Veneto di oggi: questo racconta Please Disturb.”3

.

Ecco con questo spirito l’idea e lo studio di fattibilità per Venezia 2019 è stato presentato nelle mani delle istituzioni.

L’ufficialità della candidatura di Venezia a Capitale della Cultura nasce nel 2010 con la sottoscrizione del protocollo d’intesa tra:

• Comune di Venezia; • Regione Veneto; • Provincia di Venezia • Provincia di Bolzano • Provincia di Trento • Friuli Venezia Giulia

Essa riprende l’idea presentata da Nordesteuropa ed inizia un lungo e travagliato percorso di discussioni ed accordi politici per poter arrivare alla presentazione del dossier di candidatura con una struttura di governance equilibrata e rispettosa per tutto il territorio che coinvolge

La candidatura di Venezia 2019 non è quindi la candidatura di una città, bensì è la candidatura di una macroregione intera accomunata da quelle peculiarità economico sociali che le hanno designato il Termine di Nord Est. Questo termine che a livello europeo ha un’accezione totalmente di senso diverso (per un olandese il nord est può essere al massimo ricondotto alle zone scandinave) , rievoca per quanto concerne l’Italia un idea di territorio stakanovista, in cui il lavoro è la vita, in cui le piccole medie imprese diffuse sul territorio diventano status simbol al punto di arrivare ad essere considerate l’essenza vitale del territorio. Un territorio in cui, nel dire comune, il livello d’istruzione è alquanto basso e la qualità culturale derisa. Nel pensiero degli organizzatori, attraverso il percorso di candidatura si vuole traghettare il nord est fuori

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da questi preconcetti, palesando all’Italia e all’Europa stessa il valore creativo culturale di questo territorio nascosto ai più ma presente e che appare così chiaro nella ricerca Please disturb.

La Candidatura può essere dunque interpretata come:

1. Un’operazione innovativa di riqualificazione dell’economia?

2. Oppure come valorizzazione di quello che un territorio già trasformato da postfordista a creativo sta già producendo?

La globalizzazione e la crisi attuale, tutt’altro che congiunturale hanno obbligato il territorio a reinventarsi e rinnovarsi e ora anche la politica, l’opinione pubblica e le istituzioni si stanno accorgendo di questo mutamento. Ecco che appare chiaro che la Candidatura può essere vista in un’ottica di auto consapevolizzazione del mutamento socio economico che sta avvenendo nei territori, nelle piazze di paese, nelle aziende internazionalizzate, in tutta quella parte insomma, che nel “famoso” nord est ha sempre “buttato il corpo oltre l’ostacolo”. La risposta dunque non può che essere la seconda infatti il cambiamento, visto in un’ottica strutturale, è il medesimo che ha portato il Nordest a diventare il “motore dell’Italia”, cambiano solo le tematiche in gioco. Mi spiego meglio: dal nord est degli anni 70-80 in cui la PMI come nuova forma socio economica si organizzava in distretti senza che i politici e l’opinione comune se ne accorgesse, allo stesso modo la nuova forma di network creativo si è già sviluppata. Il Territorio, inteso ovviamente come sintesi degli attori in gioco, è palesemente già con “il corpo oltre l’ostacolo” e decisamente oltre a quello che, con questa operazione politica, si vuol fare. Esso, e questo traspare sia dalla ricerca Please distrub che dalla ricerca Maclab sul Veneto , ha già risposto alla crisi congiunturale del modello Nord Est, è già ad una fase successiva, ragiona già come territorio creativo. Ora, ben venga questa candidatura, per palesare questo cambiamento e reindirizzare gli sforzi delle istituzioni e dei poteri forti sulla nuova “corretta” via, ma quest’azione è, come vedremo lungo la nostra ricerca, ben distante dall’essere un innovativo e lungimirante atto di trasformazione sociopolitica.

A parte le critiche alla politica in tutte le sue sfaccettature, da quella portata avanti dagli enti locali a quella creata nelle teste degli studenti da alcuni Professori nelle Università,

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il comitato dei promotori ha scelto come tema di candidatura a Capitale Europea della Cultura il rapporto tra Cultura ed Economia. Riprendendo il lavoro di Seganfreddo sono stati immaginati una serie di temi culturali che legano insieme il territorio e questi legami. Questa rete è stata rappresentata sulla struttura grafica disegnata in Please Disturb. Bisogna riconoscere l’ottima scelta di questa azione vista la genialità della rappresentazione grafica di questa ricerca. Essa infatti, metaforizza il territorio ad una grande metropoli e, come una metropolitana mette in connessione le diverse zone di una Città mantenendo comunque un’identità univoca del numero della linea metropolitana, allo stesso modo nel territorio si dipanano le reti cultural economiche attraverso tutto il Nord est. Nelle Provincie e in molte città sono presenti i nodi di questo network, le fermate della metropolitana, che permettono di identificare le tematiche di un territorio o città sia trasversalmente a tutta la linea ideale che è la metropolitana. Si deve però ricordare che questa scelta non è arrivata dalle istituzioni pubbliche coinvolte ma è la scelta portata avanti nella proposta di Nordesteuropa.

La rappresentazione grafica (Fig. 1.2) della Candidatura in tutta la sua capacità espressiva riesce in ogni caso a spiegare la metafora meglio di tante parole, eccola :

Fig. 1.2 Rappresentazione grafica della candidatura di Venezia 2019

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La nostra ricerca intende dunque analizzare in profondità il rapporto tra economia e cultura proposto nella candidatura nella sua essenza più diretta, l’industria culturale e creativa. Si cercherà di capire se la tesi degli organizzatori di Venezia 2019 sia corretta cercando di cogliere gli aspetti critici, migliorabili o correttamente individuati, di quello che si ritiene essere una delle chiavi dello sviluppo economico del domani.

1.4. Il tema di Candidatura: rapporto tra Cultura ed Economia e le industrie creative

Il tema scelto per la candidatura di Venezia 2019 è dunque il rapporto tra Economia e Cultura. Individuato per la sua trasversalità, esso vorrebbe essere il volano attraverso il quale attivare territorialmente quella rete di relazioni e iniziative tanto edulcorate dai manuali socio economici. Il tema, per questa sua trasversalità, è tanto complesso quanto spesso mal interpretato. La stessa definizione di Cultura potrebbe portarci infatti a riempire pagine e pagine di scritti con l’unico risultato di una tanto inutile quanto inefficace tautologia o, percorrendo vie parallele e alternative, portarci a soluzioni contrastanti con l’idea stessa di economia e cultura presa a modello in questa candidatura.

Nelle parole del direttore della candidatura Cecconi il maggior risultato di questo percorso dovrà essere, al di là della possibile ed auspicabile vittoria, la formazione di quelle reti e relazioni che darebbero al territorio in esame una marcia in più nella competizione globale.

L’intenzione di Cecconi è certamente piena di buone proposte e corrette interpretazioni ma da qui, ad arrivare alla creazione di un vantaggio competitivo per il territorio, passano molte considerazioni, non ultima l’opportunità di cogliere il vero valore potenziale delle Industrie creative e del loro impatto reale quotidiano e futuro. L’argomento dell’impatto economico delle industrie creative e culturali sul territorio è

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attualmente molto inflazionato e da quando The Rise of the Creative Class di Ricard Florida ha raggiunto il successo mediatico attuale, molti soggetti si sono arrogati il diritto di conoscere la tematica facendosi promotori di proposte, come quella di Florida, ormai largamente criticate e superate. Se si vuole analizzare il rapporto tra economia e cultura è necessario dunque passare per quello che potremmo definire l’oggettivazione di questo rapporto: l’industria creativa e culturale. E’ utile dunque fare chiarezza su cosa si intende per rapporto tra economia e cultura, lontani da preconcetti imposti dalle mode locali e cercando di capire, nel mondo, cosa si pensa di questo rapporto. Individuare dove questa candidatura manca di solidità argomentativa e dove invece essa si dimostra illuminante è uno degli scopi di questa tesi.

La visione di Cultura presa a modello da Cecconi è nostro malgrado una visione antiquata che trova innovatività solo nelle premesse alla stessa e che poi, nell’analisi empirica dell’approccio, ritorna ad essere quella che per anni ha portato il patrimonio italiano allo sfacelo trasformando quello che era il bel paese ad un “paese che vive delle proprie vecchie glorie”.

Questo approccio di “valorizzazione passiva” potrebbe apparire innovativo allorquando si discutesse con la classe dirigente attuale di questo paese ma, come cercheremo poi di spiegare, appare, ad un’analisi di più ampio respiro che prenda a modello paesi che sviluppano ricerche su tema da più di vent’anni come il Regno Unito o l’Australia, assolutamente limitato e limitativo per le potenzialità che esso potrebbe fornire ad un territorio in mutamento come è il “nord est” Italia attuale.

Per comprendere a fondo questo rapporto si è scelto di analizzare in profondità l’industria creativa, emblema della sintesi tra Economia e Cultura, dalla sua nascita attraverso le sue diverse definizioni e politiche fino ad arrivare alle sue manifestazioni chiare all’interno del nord est attuale.

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2. L’industria creativa

2.1. L’industria Creativa: definizioni, differenze e politiche;

L’iniziativa privata assume oggi più che mai un ruolo fondamentale nella società attuale. L’arretramento dello stato causato da politiche più o meno liberiste degli ultimi decenni hanno consegnato un ruolo di primo attore a questa parte della società. Emblema rappresentativo di questa visione economica è l’industria.

Un’industria che si trasforma, si modifica, risponde agli attacchi e ai mutamenti della società e si catapulta a piè pari verso il secondo millennio più in forma che mai. La peculiarità evolutiva di questa realtà ci conduce ad approfondire la ricerca su essa proprio lì nella sua più innovativa visione e manifestazione; in quel luogo che ancor rimaneva vergine dalle dinamiche capitalistiche, quell’ultimo emblema troppo importante per essere intaccato dalle dinamiche del Capitale: la Cultura. La cultura intesa nel suo rapporto travagliato con l’economia, con il mercato, con il capitale, proprio lì, in quella sintesi ancora non ben definita di amalgama tra Cultura ed Economia, in quel brodo primordiale creatore di nuove forme: le industrie creative.

2.1.1. Dal significato Etimologico alla definizione di Wikipedia

Affidandoci alla guida di uno degli intellettuali che ha illuminato per secoli l’occidente, Sant’Agostino :

Definitio nihil minus, nihil amplius continet, quam id quod susceptum est explicandum: aliter omnino vitiosa est.4

iniziamo la nostra analisi dell’industria creativa cercando di comprendere in profondità il significato delle parole che compongono il tema di ricerca, studiando le definizioni che vengono date di queste.

Notiamo subito che la parola Industria Creativa non compare nel dizionario della lingua Italiana utilizzato per l’analisi, UTET 1971. La questione ci perprime ma decidiamo di

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proseguire su questa strada. La nostra ricerca si sviluppa dunque andando a dividere il costrutto nei suoi due elementi costitutivi:

Nel Grande dizionario della lingua Italiana, UTET, 1971 troviamo per industria le seguenti definizioni5

:

• Diligenza intelligente e geniale impiegata al conseguimento di un fine; impegno, zelo, cura;

• Abilità, capacità, destrezza;

• Operosità, laboriosità, solerzia; lavoro, azione; iniziativa, impresa; fatica, sforzo; • Astuzia, scaltrezza;

• Mezzo, espediente, ripiego,rimedio, stratagemma; inganno, raggiro,intrigo. • Attività praticata scopo di lucro; esercizio di un arte, un mestiere, di una

professione;

• Attività mercantile, commercio

• Complesso di attività e di operazioni rivolte alla produzione di beni di consumo e di servizi mediante l’utilizzazione e la trasformazione delle materie prime; l’organizzazione che presiede a queste attività; il luogo e l’edificio dove esse si svolgono

• Effetto risultato di una determinata attività, prodotto; merce, manufatto; • Giusto compenso; provento, guadagno, profitto; acquisto;

• Accuratezza di esecuzione, raffinatezza, perfezione; bellezza, leggiadria; pregio,valore;

• Invenzione, trovata; esperimento;

andando ora ad approfondire la derivazione etimologica troviamo che essa proviene dal latino6

:

Industria: latino, INDÚSTRIA da INDÚSTRIUS, che il Georges vuole contratto da INDU-STARIUS complemento della particella INDU- IN in e STARE stare: proprio che

5

UTET, Grande dizionario della lingua italiana, 1971

6

(22)

insta, che preserva: ma che è più semplice e confacente all’antica forma riferita da Paolo Diacono (INDOSTRUUS) spiegare, per quanto concerne il secondo elemento della parola, con STRUERE fabbricare, ammassare, disporre, apparecchiare. Destrezza ingegnosa e diligente nell’operare; attività perseverante. Ma oggi si dà questo nome al lavoro manuale, al complesso delle arti fabbrili; all’esercizio dei commerci, e ad altre cose che sono il risultato della operosità e fanno prosperare le nazioni.

Bene dunque l’industria, citando Wikipedia7

è:

tutto ciò che svolge attività di produzione di beni di interesse economico con criterio massivo (rispetto al quale si distingue dall'artigianato) esercitando un'attività di trasformazione delle materie prime in semilavorati o prodotti finiti. L'industria rappresenta il settore secondario dell'economia.

Capiamo dunque che nell’analisi del contesto italiano l’industria appare ancor oggi il settore industriale secondario prettamente fordista.

Volendo poi allargare lo sguardo a livello europeo consultiamo dunque Wikipedia, questa volta inglese e vediamo che industria è8

:

Industry is the production of an economic good or service within an economy.

Possiamo osservare quindi che l’accezione che il “mondo Italiano” ha dell’industria è legata ad una visione fordista del mondo in cui industria era l’abbreviativo di industria secondaria. Si può infatti notare, utilizzando lo stesso canale informativo, Wikipedia, ma di una nazione diversa, come questa stessa parola assuma due significati diversi. Da un lato, quello italico, legato come sopra affermato a una visione economica fordista e dall’altro, quello inglese, molto più ampio e generico nella definizione.

7

http://it.wikipedia.org/wiki/Industria

8

(23)

Il passo successivo è quello di inoltrarci verso la seconda parte della parola “industria Creativa” oggetto della nostra analisi. Passiamo dunque ad analizzare la Creatività partendo da una citazione di Platone:

“ In effetti, per qualsiasi cosa che proceda da ciò che non è a ciò che è, senza dubbio la causa di questo processo è sempre una creazione”9

Tornando poi al nostro Grande dizionario della lingua Italiana,UTET, 1971 troviamo per creatività le seguenti definizioni 10

:

[der. Di Creativo] – virtù creativa, capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. In psicologia, il termine è stato assunto a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze.

Secondo lo stesso approccio metodologico di sopra andiamo ora a cercale la derivazione etimologica del termine creatività11

:

Derivata dal latino, la parola “creatività” ha radici corrispondenti in tutte le lingue indo-europee e, da un senso originario di ”generare”, ma anche di “condurre a termine”, “eleggere”, “dominare”, si è allargato sino ad includere quelle capacità potenziali che possono condurre a definire e strutturare il nuovo. “La creatività, l’apparizione dell’originale, la manifestazione dell’individualità, si trova in ogni cellula vivente”12

che crea, che ha capacità di porre in essere le cose che dà impulso, forza all’attività, alla vita, al pensiero; che è fonte viva di esperienza, di azione, di arricchimento spirituale e morale; fecondo, attivo, produttivo. Atto a creare l’opera d’arte; che si riferisce alla

9

Platone, Simposio, 205 b

10

UTET, Grande dizionario della lingua italiana, 1971

11

Francesco Bonomi - Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, 2008

12

(24)

realizzazione artistica, che è proprio della creazione, dell’invenzione estetica; inventivo;13

Ripetendo il termine di analisi vediamo la definizione di Wikipedia14

:

L'idea di creatività come atteggiamento mentale proprio (ma non esclusivo) degli esseri umani nasce nel Novecento. I primi studi sul fenomeno risalgono agli anni venti. Nella specie umana, mentre in alcuni campi - la matematica, per esempio - la creatività sembra svilupparsi meglio in giovane età, in altri - letteratura, musica, arti figurative - continua per tutto l'arco della vita.

L'atto del creare è stato a lungo percepito come attributo esclusivo della divinità: Catullo, Dante, Leonardo, infatti, non avrebbero mai definito se stessi dei creativi. Propri dell'uomo erano invenzione, genio e, dal 1700, progresso e innovazione. La parola creatività entra nel lessico italiano solo negli anni cinquanta.

Gli antichi Greci identificavano la creatività con la capacità poetica, e lo stesso fece Ralph Waldo Emerson, il più celebre filosofo della creatività, nel suo saggio "Il poeta". Tra le moltissime definizioni di creatività che sono state coniate si segnala per semplicità e precisione quella fornita dal matematico Henri Poincaré: "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili".

E Wikipedia Inglese15

:

“Creativity refers to the invention or origination of any new thing (a product, solution, artwork, literary work, joke, etc.) that has value. "New" may refer to the individual creator or the society or domain within which novelty occurs. "Valuable", similarly, may be defined in a variety of ways.

The range of scholarly interest in creativity includes a multitude of definitions and approaches involving several disciplines; psychology, cognitive science, education, philosophy (particularly philosophy of science), technology, theology, sociology,

13

A. Cresti, Psicoanalisi e creativita': la creativita’ da Freud ad Arieti……e oltre, Istituto di Psicoterapia Analitica di Firenze

14

http://it.wikipedia.org/wiki/Creativit%C3%A0

15

(25)

linguistics, business studies, and economics, taking in the relationship between creativity and general intelligence, mental and neurological processes associated with creativity, the relationships between personality type and creative ability and between creativity and mental health, the potential for fostering creativity through education and training, especially as augmented by technology, and the application of creative resources to improve the effectiveness of learning and teaching processes.”

In questo caso si può notare che l’approccio Wikipedia inglese e quella italiana sono coerenti e vale la pena sottolineare che entrambe rilevano un abuso di questa parola in molteplici discipline. Essa è infatti riscontrabile nelle più svariate tematiche: da quella più scientifica come la matematica a quella meno scientifica come la poesia lungo un filo conduttore che mette in seria difficoltà le categorie logiche tipicamente utilizzate dagli economisti e allo stesso tempo le fornisce un alone di potenza ed interesse che può essere riassunto in queste parole.

“La creatività, l’apparizione dell’originale, la manifestazione dell’individualità, si trova in ogni cellula vivente” 16

E’ creativo l’artista, E’ creativo l’inventore, E’creativo il poeta, E’ creativo lo scienziato, E’ creativo il pittore, E’ creativo l’imprenditore, E’ creativo il cuoco, E’ creativo l’artigiano, E’creativo l’Uomo. Ogni essere umano è caratterizzato da questa “malattia genetica che lo fa soffrire e lo attanaglia, e allo stesso tempo è quella peculiarità che distingue l’uomo dagli altri animali: l’impossibilità di ripetere le cose al medesimo modo, l’avversione alla ripetitività e alla noia”. Queste le parole di Antonio Albanese importante e famoso designer Italiano per molti anni alla direzione di Domus e titolare di uno degli studi di architettura più importanti di Italia. L’uomo dunque affetto da questa malattia è gradualmente “curato” dal sistema sociale in cui è immerso. L’uomo più sano, in cui le “cure” hanno attecchito di più è l’ottimo impiegato che nella sua ripetitività rispetta il sistema e le sue regole nel migliore dei modi. L’uomo “curato” da quel grande fratello da cui Orwell17

ci metteva in guardia e da cui tutti siamo oggi

16

H.H. Anderson, La creatività e le sue prospettive,1980

17

(26)

regolati. E, lungo quest’ipotetica scala di Creatività, dall’altra parte si trovano i creativi veri e propri, attanagliati da questo male interiore che li obbliga a cambiare le cose, insofferenti alle regole imposte, geniali, innovativi in altri termini Creativi. In recenti scritti di psicanalisi come ad esempio in Fromm18

si può inoltre identificare come questa malattia sia intrinseca nella società, obbligata dalla natura del proprio essere a soffrire, a generare nuovo, a distruggere le regole, reinventarsi il mondo.

“La salute mentale è caratterizzata dalla capacità di amare e di creare, dall’emergere dai legami incestuosi con il clan e la terra, da un senso di identità basato sull’esperienza di ognuno di sé come soggetto e agente del proprio potere, dalla capacità di comprensione della realtà dentro e fuori di noi attraverso lo sviluppo dell’obiettività e della ragione”.

Anche il maestro della psicanalisi, Sigmund Freud, si è occupato della tematica avvicinando la nozione di Creatività a quella del gioco. E’ curioso riportare come anche per Albanese l’idea di creatività come gioco fosse importantissima tanto da ribadirla più volte durante i nostri incontri.

“Creatività quindi = gioco = sogno e, secondo il modello pulsionale freudiano, esclusivamente come un processo intrapsichico. Infatti nei suoi saggi estetici, Freud non oltrepassa mai la semplice analogia strutturale tra lavoro onirico e lavoro artistico, (arte= sogno) e tra sorte dell’istinto e destini dell’artista.”19

Assolutamente contrario alla forma artistica, Freud nel suo pensiero positivista argomenta:

“…debbo dire che nella vita privata non ho per niente pazienza con i matti….vedo soltanto il danno che possono fare, e per quanto riguarda questi “artisti” io sono in effetti uno di quei filistei che lei mette alla gogna...Ma…lei stesso vede in modo chiaro perché questi individui non possono pretendere al titolo di artisti”. 20

18

E. Fromm, (1955), Psicoanalisi della società contemporanea, ed.di Comunità, Milano, 1960

19

A. Cresti, Psicoanalisi e creativita': la creativita’ da Freud ad Arieti…e oltre, Istituto di Psicoterapia Analitica di Firenze

20

(27)

Freud conferma la difficoltà ad accettare l’approccio totalmente trasversale al sistema di regole; è infatti la sublimazione, per Freud, il meccanismo che trasforma la follia in arte. “E’ un meccanismo di difesa dell’Io che consente uno spostamento della scarica energetica da una meta socialmente inaccettabile ad una accettabile, con una trasformazione dell’energia liberata. La sublimazione è un meccanismo che spiega, secondo Freud, tutte le attività culturali umane e che tuttavia assume una tonalità di “rinuncia”, il sapore amaro di un marcato godimento.”21

Per terminare questa veloce analisi riguardo la visione della creatività nella psicanalisi di Freud se ne cita un importante e famoso passaggio:

“…l’uomo felice non fantastica mai, solo l’insoddisfatto lo fa. Sono desideri insoddisfatti le forze motrici della fantasia, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che lascia insoddisfatti”22

in cui tutte le premesse anticipate vengono raccolte.

Potremmo approfondire la tematica psicologia-creatività addentrandoci nel pensiero laterale di De Bono23

o nelle mappe mentali di Buzan24

ma, non essendo questo lo scopo di questo elaborato, chiudiamo questo escursus con un riferimento economico. Schumpeter infatti, uno dei maestri del Capitalismo europeo, individua nella sua potente “distruzione creatrice”25

dell’imprenditore e del condottiero d’impresa, il ruolo fondamentale di forza rigeneratrice della società.

21

A. Cresti, Psicoanalisi e creativita': la creativita’ da Freud ad Arieti……e oltre, Istituto di Psicoterapia Analitica di Firenze

22

S. Freud, (1907), Il poeta e la fantasia, Opere, vol. 5, Boringhieri. Torino, 1972

23

De Bono E. , Creatività e pensiero laterale (Lateral thinking: a textbook of creativity), Rizzoli, 1998

24

Buzan Barry, Mappe mentali. Come utilizzare il più potente strumento di accesso alle straordinarie capacità del cervello per pensare, creare, studiare, organizzare, Roberti, 2008

25

Joseph A. Schumpeter, Il capitalismo può sopravvivere? La distruzione creatrice e il futuro dell'economia globale, ETAS, Milano, 2010

(28)

2.2. L’industria Creativa: l’origine della nozione

Il cruccio che in prima analisi non ci ha permesso di individuare, nel nostro dizionario, una chiara definizione per il termine Industria Creativa trova ora risposta nell’analisi cognitiva del fenomeno.

Il termine Industria creativa o meglio “Creative Industries” appare infatti per la prima volta in un rapporto del Department of Culture Media and Sport (DCMS) del Regno Unito nel 1998. Il DCMS, implementando il rapporto di politica strategica “Creative Industries Mapping Document”, individua in questa associazioni di termini la chiave per attuare la Creative Industries Task Force (CITF) che il nuovo eletto governo Blair vuole intraprendere. In questo rapporto le Creative Industries sono tutte quelle industrie che richiedono:

“Creativity and talent, with potential for wealth and job creation through exploitation of their intellectual property”.26

Inoltre questo rapporto fa emergere l’importanza di questa tipologia di industria per l’economia del Regno Unito di fine millennio. In questo rapporto si individua per la prima volta il fenomeno Creative Industries e se ne delimitano i confini. Vengono considerate industrie creative:

Pubblicità Videogiochi

Architettura Musica

Arte e mercati d’antiquariato Arte performativa

Artigianato Editoria

Design Software e servizi per computer

Design fashion Televisione e radio

Film e video

Appare alquanto curioso notare la mancanza delle attività GLAM (Gallery, Llibraries, Archives and Museum) che nell’immaginario comune rientrerebbero di diritto nella

26

(29)

categoria di industrie creative. Questo mancanza non è di certo una svista bensì è una chiara azione politica per indicare l’alto grado di cambiamento intrinseco a questa nuova stagione. Si deve ricordare, per completezza informativa che il DCMS, prima di questa azione riformatrice, aveva il nome di Department of National Heritage e molto probabilmente proprio per rafforzare l’azione riformatrice del rapporto è stata esclusa la categoria dell’Heritage (patrimonio culturale). Altra mancanza criticata ad esempio da Hesmondhalgh27

(2007) è la mancanza dello sport considerata la fatica profusa per inglobarlo nel ministero.

La definizione di Creative industries del DCMS viene inoltre criticata per l’inclusione di alcune categorie ad esempio da Garnham28

(2005) per l’inclusione in essa dei software perché, a suo parere, comprendendo questa categoria, si invalidava la possibilità di analisi economiche corrette in quanto il settore dei software era strutturale e largamente impattante a livello economico nella società dell’informazione. Di fatto veniva criticato il tentativo, sempre secondo Garnham, di aumentare il valore di impatto economico delle industrie creative inserendo il settore software.

E’ importante notare come il concetto di Creative Industries sia sopravvissuto e sia stato portato avanti anche oltre la sconfitta dei Laburisti dai seguenti governi conservatori a dimostrazione del valore di questa intuizione fenomenologica. Questo dimostra per l’ennesima volta, se fosse ancora necessario, che politiche oculate e ben comunicate ai cittadini, riescono a superare l’alternanza politica di un paese. Se nasca prima una politica o la discussione che la oggettiva, è una questione che impegna diversi ricercatori da molto tempo. Capire il ruolo di questa discussione, che in termini tecnici prende il nome di “narrazione”, e in che rapporti essa sia con le politiche sul tema che la riguardano è molto importante perché permette di capire il rapporto tra politica e vita sociale. Molte sono le analisi che si occupano di individuare il miglior modo formale per definire in questi termini una politica e il suo rapporto sistemico, e dunque non consequenziale o causale con queste narrazioni.

Michel Foucault29

, analizzando queste tematiche sottolinea che un “discorso” può essere analizzato in questi termini:

27

Hesmondhalgh D., The cultural industries, London, 2007

28

Garnham N, From cultural to creative industries : an analysis of the implications of the “creative Industries” approach toarts and Media Policy Making in the United Kingdom, 2005

29

(30)

• Criteri di formazione: la relazione tra gli oggetti identificati come rilevanti; i concetti attraverso i quali queste relazioni possono essere comprese; e le opzioni presentate per gestire queste relazioni;

• Criteri di trasformazione: come questi oggetti e le loro relazioni possono essere comprese nell’ottica di ricreare nuova formazione intesa secondo Foucault;

• Criteri di correlazione: come questo “discorso” è differenziato dagli altri discorsi ed il contesto istituzionale, sociale politico ed economico in cui questo discorso è situato;

Utilizzando qui dunque un approccio sistemico assumiamo che queste politiche siano strettamente legate al discorso che ci sta dietro in un indissolubile relazione che permette loro uno sviluppo sinergico.

L’approfondimento di questa tematica potrebbe portarci fuori tema però cogliamo questo breve cenno all’importanza delle definizioni intrinseche alle politiche, di cui spesso le politiche stesse sono esse stesse figlie, per analizzare l’approccio dei maggiori influenzatori o meglio “narratori” sul tema Industrie creative. Vedremo infatti chiaramente, dopo questa analisi, come sia difficile parlare di un singolo fenomeno di industria creativa capendo sempre di più che sarebbe più consono parlare di industrie creative. Ogni entità infatti produce una visione, un discorso, talmente discordante da quello che è il fenomeno industrie creative da portarci ad asserire che esistono più forme di industrie creative.

2.3. L’industria Creativa e le politiche dei diversi influenzatori della tematica

2.3.1. Gli inglesi NESTA e Work Foundation

La nostra analisi prosegue dunque individuando le politiche sulle industrie creative portate avanti dagli influenzatori prima inglesi, poi europei e mondiali, tornando, in ultima analisi, a quelli nazionali. Iniziamo questa analisi con l’ente inglese NESTA

(31)

(National Endowment for Science, Technology and the Arts) che si occupa di dare opinioni su temi di arte, scienza e tecnologia e che in un report del 2006 “Creating Growth: How the UK Can Develop World Class Creative Business” sviluppa un approccio all’analisi delle industrie creative evoluto rispetto a quello della DCMS. Nell’ottica dell’importanza del discorso nelle politiche formalizzate analizziamo questo rapporto della NESTA30

in cui viene criticato l’approccio del ministero inglese ritenendolo:

• Troppo ampio portando come esempio i software ed i servizi per computer che sono troppo differenti come crescita economica rispetto all’arte per permettere un analisi economica del fenomeno significativa;

• Manca una differenziazione all’interno delle 13 categorie di industria non permettendo di capire quale tra queste è più o meno importante per la crescita economica;

• Il fenomeno delle industrie creative è analizzato solo dal punto di vista dell’output tralasciando aspetti importanti come la value chain, le strutture di mercato, i meccanismi di distribuzione e i pattern di consumo;

• Le industrie creative rimangono legate del tutto o in parte ai sussidi statali;

la proposta che emerge da questo report (Fig.2.1) è un modello che differenzia le industrie creative in 4 diversi ma interconnessi gruppi :

• Creative service providers: coloro che guadagnano attraverso l’utilizzo delle loro proprietà intellettuali; sono incluse agenzie pubblicitarie,agenzie di design, studi di architettura e le agenzie dei nuovi media;

• Creative Content Producers: chi investe capitale per sfruttare le proprietà intellettuali verso i consumatori/audience e chi guadagna da quel mix di vendite dirette, pubblicità e sottoscrizioni; sono incluse le industrie audiovisive, le compagnie teatrali, gli studi di sviluppo videogame, le case discografiche, gli editori di libri e giornali e i fashion designer;

30

(32)

• Creative Experience providers: coloro che vendono l’esperienza di specifiche attività, performance in particolari spazi. Questa categoria include compagnie di produzione di teatro, opera e danza, organizzatori e promotori di concerti live e può essere estesa agli enti culturali, sportivi, di festival e di promozione turistica;

• Creative originals producers: coloro che sono coinvolti nella creazione, manifattura o vendita di oggetti che devono il loro valore aggiunto, esclusività e autenticità alla sfera culturale o creativa. Sono inclusi in questa categoria gran parte delle visual art, oggetti di artigianato, e prodotti di design.

(33)

Il secondo approccio che andiamo ad analizzare è il modello implementato dalla Work Foundation31

che con il suo report del 2007: ”Staying Ahead: The Economic Performance of the UK’s Creative Industries” propone il proprio modello passato alla storia con il nome di Concentric Circles Model. Questo approccio a differenza di quello di NESTA individua una stretta correlazione tra presenza di consumatori educati e ricchi e lo sviluppo delle industrie creative arrivando a definire questa categoria di persone co-costruttrici dell’economia della conoscenza. In questo report la Work Foundation sceglie di differenziare i contenuti creativi e dunque le industrie che li producono e distribuiscono in base al “valore espressivo” dei prodotti e servizi creativi. Essi individuano infatti i settori in base alla centralità del “valore espressivo” dei loro output. Per valore espressivo intendono, riprendendo le ricerche di David Thorsby (2000)32

, ogni dimensione che in senso lato ingrandisce il significato e il valore culturale.

Fig. 2.2 Modello Work Foundation del settore creativo come modello concentrico

31

Trad. da Work foundation, Staying Ahead: The Economic Performance of the UK’s Creative Industries, 2007

32

(34)

Nell’analisi dei settori dunque la Work foundation crea una distinzione sulla quale si discuterà poi molto e alla quale non è ancora stata data ferma chiarezza. La distinzione tra industrie culturali e industrie creative.

2.3.2. Le organizzazioni mondiali: UNESCO e UNCTAD

Passando poi ai modelli internazionali riguardo le industrie creative passiamo ad occuparci di altri due grandi influenzatori: l’UNESCO (Ounited Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation) e l’UNCTAD(United Nations Commission on trade, Aid and Development) .

L’UNESCO organo delle Nazioni Unite che si occupa dello sviluppo culturale, dell’educazione e scienza ha, fin dagli anni ’70, legato espressamente la cultura allo sviluppo credendo che solo attraverso lo sviluppo culturale dei paesi potesse esserci una vera indipendenza e sviluppo. Recentemente ha promosso il principio della diversità culturale fino ad arrivare nel 2006 quando definisce il fenomeno di industrie Creative assimilandole alle industrie Culturali dandone la seguente definizione:

“Industries which combine the creation, production and commercialization of creative contents which are intangible and cultural in nature […]generally include printing, publishing and multimedia, audiovisual, phonographic and cinematographic productions as well as crafts and design”

“the creative industries include the cultural industries as well as those [industries]in which the product or service contains a substantial element of artistic or creative endeavour and include activities such as architecture and advertising”33

Il modello dell’Unesco (Fig. 2.3), il “Model of Culture Cycle” appare nel rapporto “ Framework for Cultural Statistics” nel quale vengono esplicitati sei raggruppamenti operativi principali per individuare le industrie creative e altre due secondari, le seguenti:

33

(35)

• Patrimonio culturale e naturale: musei, palazzi storici ed archeologici, paesaggi culturali, patrimoni naturali;

• Performance e celebrazioni: arti performative, musica, e festival, fiere e feste; • Arti visuali e Artigianato: arte raffinata, fotografia, artigianato;

• Libri e media stampati: libri, giornali e magazine, altri prodotti stampati, stampe virtuali, biblioteche, fiere di libri;

• Media audiovisivi e interattivi: film e video, televisione e radio, internet TV e podcasting, video game;

• Design e servizi creativi: design fashion, design grafici, design di interni, design del paesaggio, servizi di architettura, servizi pubblicitari;

e in aggiunta le altre due chiavi:

• Turismo, ospitalità e accoglienza;

• Sport e attività ricreative compresi parchi museali, tematici e giochi; in più vengono individuati altri quatto raggruppamenti trasversali :

• Patrimoni culturali intangibili: tradizioni ed espressioni orali, riti, linguaggi, pratiche sociali;

• Educazione e Training: specifiche attività pedagogiche o altre attività di insegnamento a supporto di uno sviluppo comprensibile, critico e integrato sia culturalmente che nella forma di insegnamento;

• Archiviazione e conservazione: la conservazione, collezione e gestione di particolari siti e archivi di forme culturali (materiali e immateriali) con il proposito della conservazione, esposizione e ri-utilizzo;

(36)

Fig. 2.3 Modello UNESCO del settore creativo

Il concetto di Ciclo della Cultura (Fig. 2.4) viene sviluppato poi dall’UNESCO per cogliere il processo di creazione di valore all’interno di questi raggruppamenti e si dipana attraverso questi momenti:

• Creazione: l’origine e ideazione di idee e contenuti;

• Produzione: la costruzione di lavori culturali come produzioni uniche , riproduzioni di massa di forme culturali, prodotti di manifattura o oggetti richiesti per le produzioni culturali;

• Disseminazione: la distribuzione di massa di prodotti culturali a distributori, consumatori ed espositori;

• Esibizione/ricezione: esecuzione live e/o attraverso esperienze mediate agli spettatori attraverso la vendita o concessione di accessi limitati al consumo /partecipazione ad attività culturali (concerti, giochi, esibizioni nei musei); • Consumo/ partecipazione: le attività di ascolto e partecipazione nel consumo

(37)

Fig. 2.4 Modello UNESCO del Ciclo della cultura

La definizione dell’UNCTAD di Industrie creative34

segue un’altra strada e rifiuta la distinzione tra le industrie prettamente culturali e le altre industrie. In questa definizione infatti si preferisce individuare nove settori interconnessi che operano intorno al patrimonio culturale, alle arti, ai media e alle creazioni funzionali. Dunque le industrie creative e culturali sono :

• Quelle realtà che hanno un ciclo di creazione, produzione, e distribuzione dei beni o servizi stimolato, come primo input, dall’attività creativa;

• Quelle realtà hanno un varietà di attività basate sulla conoscenza e non limitatamente all’arte possono guadagnare dal commercio dei diritti d’autore; • Quelle realtà che producono beni tangibili e intangibili o servizi artistici con

contenuto creativo, valore economico e obiettivi di mercato;

34

(38)

• Quelle realtà all’incrocio tra artigianato, servizi e produzioni industriali; • Quelle realtà che comprendono nuove dinamiche di commercio;

L’Unctad sottolinea inoltre che le industrie creative sono un’opportunità per lo sviluppo dei paesi i via di sviluppo poiché la globalizzazione permetterà loro di avere in queste tematiche chance per competere con le economie più sviluppate. L’India ne è un esempio esplicito con Bolliwood. Su questa tematica anche la UE ha delle linee di Europe Aid specifiche che attraverso l’industria creativa mira a sviluppare i paesi meno sviluppati.

Questo il modello (Fig. 2.5) utilizzato dall’UNCTAD per individuare le industrie creative.

(39)

2.3.3. Le organizzazioni europee: il libro verde “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”, il rapporto KEA 2006 “L’economia della cultura in Europa” e il rapporto della Direzione Europea Arte e Cultura “ The entrepreneurial dimension of the cultural and creative industries”,

Procedendo nella nostra analisi è il turno dell’Unione Europea. Dopo i “discorsi” che trattano la tematica a livello mondiale, torniamo ad avvicinarci al nostro territorio. Tentiamo dunque di capire l’approccio utilizzato dalle istituzioni del vecchio continente per identificare e governare le industrie creative. Partiremo da quello che è passato alla storia come il “Vangelo” della nuova politica economico culturale dell’Unione: Il Rapporto KEA 2006 “L’economia della cultura in Europa”. Esso è diretta emanazione di quella Europe 2020 lanciata con il trattato di Lisbona nel 2000. La strategia di Lisbona, è utile ricordarlo, punta ad ottenere un Europa inclusiva, sostenibile e innovativa che valorizzi le sue diversità culturali e che basi il proprio valore competitivo sulla conoscenza. Da qui l’importanza che ricopre questo rapporto che segna una linea di demarcazione da quell’approccio alla cultura come patrimonio da foraggiare, allo sviluppo delle industrie culturali e creative, palesando in questo modo, l’importanza economica che il settore culturale ha e potrà sviluppare nei prossimi anni. In questo rapporto viene infatti sviluppata un’analisi quantitativa e trasversale nell’Europa dell’impatto che ha il settore culturale sull’economia territoriale. Sono messi in chiaro quali sono i gap su cui lavorare per sviluppare il settore, quali approcci vengono utilizzati e quali benefici possono essere forniti da uno sviluppo di tale settore nell’ottica dell’agenda di Lisbona. Non solo dunque economici ma anche socio politici e strategicamente vitali per un’economia in trasformazione dopo l’affermarsi della globalizzazione.

(40)

La definizione introdotta da questo rapporto35

sceglie di scindere il settore culturale da quello creativo dunque:

• Settore culturale: tradizionali campi artistici e industrie culturali;

• Settore creativo: restanti industrie e attività che usano la cultura come valore aggiunto alla produzione di prodotti non culturali;

Il modello proposto (Fig. 2.6) è un modello concentrico in cui le industrie culturali si trovano al centro e, tramite un processo di contaminazione concentrica, il modello si sviluppa attraverso le industrie creative che man mano allontanandosi dal centro diventano sempre più industriali e sempre meno culturali. Il centro dunque, è il massimo del culturale e il minimo dell’industriale, tipicamente il campo artistico. In un primo cerchio poi sono presenti i prodotti esclusivamente culturali cioè le industrie culturali. Nel secondo cerchio poi troviamo le industrie creative e nel terzo cerchio, si possono individuare le industrie correlate in cui la cultura e la creatività non sono input di produzione come ad esempio le ICT. Il modello si basa sull’importanza di una caratteristica peculiare a tutti e tre i cerchi: il copyright. Tutte le attività creativo culturali, infatti hanno la peculiarità, chi in maniera più conscia chi meno, di essere attività che acquisiscono valore dall’utilizzo o la produzione di qualcosa protetto da copyright

35

(41)

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