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Il rilievo fotogrammetrico per nuvole di punti RGB della ‘sala triabsidata’ del sito archeologico di Aiano-Torraccia di Chiusi (SI)

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IL RILIEVO FOTOGRAMMETRICO PER NUVOLE DI PUNTI RGB DELLA “SALA TRIABSIDATA” DEL SITO ARCHEOLOGICO

DI AIANO-TORRACCIA DI CHIUSI (SI) 1. Introduzione

Lo stato attuale di un edificio storico è definito dagli archeologi “struttura materiale”; essa riveste un’importanza fondamentale in quanto fonte principale di “lettura” da cui scaturiscono tutte le informazioni relative all’edificio. La registrazione delle sue caratteristiche, sia esso un intero Com-plesso Architettonico o, a maggior ragione, ciò che si conserva delle strutture presenti all’interno di un Sito Archeologico, richiede strumenti che siano in grado di fornire la maggior quantità possibile di dati, a prescindere dalle finalità disciplinari. La registrazione deve cioè essere effettuata in modo tale da fornire elementi utili ad analisi che possano avere finalità differenti: analisi strutturali, studio delle tecniche costruttive, restauro, evoluzione edilizia, etc. La tecnologia oggi ci offre molte strade percorribili; la scelta di questi percorsi dipende da fattori molto diversi fra loro: economici, tecnico-pratici, sociali o semplicemente mentali.

Nel presente elaborato viene presentata la metodologia di rilievo per nuvole di punti RGB in dotazione al LAArch (Laboratorio di Archeologia dell’Architettura) dell’Università degli Studi di Siena e la sua applicazione diretta per il rilievo della cosiddetta “sala triabsidata”, vasto ambiente emerso dallo scavo archeologico della villa di Aiano-Torraccia di Chiusi (Comune di San Gimignano, Siena). Il lavoro, svolto nell’agosto del 2010, ha coperto un periodo di quattro giorni sul campo e tre giorni di elaborazione al computer e ha portato alla costituzione di un modello 3D dell’intera struttura (pareti interne ed esterne e creste dei muri) da poter integrare ai rilievi effettuati con altre strumentazioni nel resto dello scavo.

2. Il contesto di studio: lo scavo archeologico di Aiano-Torraccia di Chiusi

Dal 2005 una missione belgo-italiana guidata dall’Université catholique de Louvain nell’ambito del progetto internazionale “VII Regio. The Elsa Valley during Roman Age and Late Antiquity”, sotto la direzione scientifica del prof. Marco Cavalieri, ha in concessione lo scavo di una villa tardoantica di grande interesse, in un settore marginale dell’ager Volaterranus. L’area, già nota per numerosi quanto significativi ritrovamenti di epoca romana, ha evidenziato, nel corso delle sette campagne svolte, una realtà insediativa complessa,

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ca-ratterizzata da una villa longinqua impiantata verosimilmente tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C., con una architettura ed un apparato decorativo di tipo monumentale: a questa prima fase va sicuramente riferita una sala esalobata, definita esternamente da una monumentale ambulatio pentalobata e accessibile da un vestibolo rettangolare. Tra le funzioni specifiche di questi ambienti non secondaria doveva essere quella di comunicazione tra le varie sezioni dell’edificio, così come documentato in altre strutture coeve (ad es., la villa di Cazzanello a Tarquinia o la domus delle Sette Sale sull’Oppio) e come attesterebbero le aperture coassiali agli estremi dell’ambiente stesso.

In un momento successivo – che i dati stratigrafici collocano nell’ul-timo quarto del IV sec. d.C. – forse per un evento naturale traumatico, il progetto edilizio della villa, non ancora portata a compimento, fu sottoposto a consistenti variazioni. In particolare la sala esalobata fu trasformata in modo radicale, sia dal punto di vista architettonico sia funzionale: il livello pavimentale fu notevolmente abbassato, tre esedre furono alternatamente abbattute e al loro posto furono costruiti altrettanti ambienti rettangolari. La nuova sistemazione conferì l’insolita forma di una sala triloba a base triango-lare, ben diversa dal τρίκογχος classico perché esito di una complessa vicenda

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costruttiva. Il pavimento della sala, successivamente alla ristrutturazione, fu realizzato mediante un cementizio a base litica con decorazione geometrica al centro dell’ambiente e nell’abside prospiciente il vestibolo, mentre le re-stanti due esibiscono un emblema centrale di tipo decorativo (quello meglio conservato rappresenta un calice fiorito inserito in una guilloche delimitata da un arco di cerchio a profilo dentellato: Cavalieri 2010b). Se in questo riadattamento progettuale (Cavalieri et al. c.s.) la sala perde la funzione di passaggio – le aperture vengono definitivamente tamponate – per definirsi come sala da otium, l’ambulatio esterna, che i crolli dei laterizi suggeriscono essere coperta, conserva la propria funzionalità.

Nel corso del V sec. d.C., verosimilmente verso la fine, la struttura evidenzia i primi segni di abbandono e crollo: alcune parti (come la sala tria-bsidata) non sono più abitate e, progressivamente, sono obliterate dal crollo dei rivestimenti parietali e delle coperture, mentre altre porzioni subiscono le prime spoliazioni, finalizzate principalmente al recupero di marmi per la produzione di calce e smagrante per la produzione e l’uso locali di ceramica da fuoco. Solo in un momento successivo la villa, ormai allo stato di rudere, diviene un’area in cui si recupera e si conserva materiale eterogeneo (ferro, leghe di rame, oro, pasta vitrea) per la fabbricazione di piccoli oggetti di artigianato come spilloni, armille e vaghi di collana: è in questa fase, infatti, che, sia negli ambienti rettangolari attorno alla sala triabisidata, sia in quelli a S che nel lungo corridoio di N-O s’impiantano officine dedite a diverse attività, in primis di carattere pirotecnologico (Cavalieri, Giumlia-Mair 2009; Cavalieri 2011).

Nel corso della seconda metà del VII sec. d.C. la struttura, per quanto attiene alla parte indagata dagli scavi, sembra definitivamente abbandonata, anche se l’area evidenzia tracce di frequentazione ancora per tutto il basso Medioevo forse per la presenza di un importante diverticolo della via Fran-cigena, secondo la testimonianza dell’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che percorse questo tracciato sullo scorcio del X sec. d.C.

3. Il rilievo della “sala triabsidata”

Il Laboratorio di Archeologia dell’Architettura dell’Università degli Stu-di Stu-di Siena, Stu-diretto dal prof. Roberto Parenti (http://www.laarch.unisi.it/) ha scelto di dotarsi da qualche anno della metodologia di rilievo ZScan/ZMap, una tecnologia, elaborata dall’azienda Menci Software di Arezzo, che consente di generare modelli tridimensionali che non solo offrono la possibilità di rap-presentare fotograficamente, con una definizione elevata, le superfici visibili, ma risultano anche corretti geometricamente nelle tre dimensioni. Si tratta di una tecnica di registrazione che utilizza tre immagini fotografiche digitali ed un programma di elaborazione fotogrammetrico che genera nuvole di punti

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Fig. 2 – Vista dall’alto del modello tridimensionale della “sala triabsidata”. Le lacune presenti sul modello sono dovute alla presenza di elementi di sostegno in legno posti all’esterno della struttura.

Fig. 3 – Particolare del modello tridimensionale a nuvola di punti RGB.

RGB, a cui è collegata la texture fotografica tridimensionale. La restituzione fotografica delle superfici offre il grande vantaggio di permettere all’operatore una lettura oggettiva delle caratteristiche materiche del manufatto, portando così ad una registrazione che meglio risponde alle necessità di una puntuale conoscenza delle strutture murarie. Inoltre, a livello logistico e operativo,

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Fig. 5 – Vista assonometrica del modello tridimensionale della “sala triabsidata”.

Fig. 4 – Particolare del modello tridimensionale con texture.

l’esperienza maturata nei rilievi sul campo e in laboratorio ha permesso di valutare alcuni aspetti positivi che hanno apportato un sensibile miglioramen-to nei diversi momenti del lavoro: l’estrema portabilità della strumentazione (scarso peso e ingombro); la praticità d’uso; la velocità nel lavoro sul campo e nella restituzione dei modelli; la possibilità di creare una serie di prodotti utili alle analisi archeologiche della struttura materiale (ortofotopiani, Digital Elevation Models, sezioni, etc.).

3.1 Il progetto di presa fotografica

Il primo passo nella strutturazione di un rilievo è la creazione di un progetto di presa fotografica, ovvero l’elaborazione di un modello operativo di lavoro che tenga conto dei risultati che si vogliono ottenere e dei fattori

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oggettivi, soggettivi e ambientali che possono influire nella corretta restituzione dei modelli. In linea generale, i fattori che incidono maggiormente sul progetto di presa sono legati alle dimensioni dell’oggetto da rilevare, alle condizioni di illuminazione (da evitare zone d’ombra e riflessi), alle condizioni generali dell’area in cui il sito è collocato (ambiente urbano, area isolata, presenza della vegetazione) e alle modalità di presa (sensore complanare o fortemente incidente alla superficie dell’edificio). Altro fattore che può influenzare for-temente il lavoro sul campo è la scala di risoluzione richiesta per il rilievo. In tal senso, le specifiche dell’English Heritage raccomandano i valori di distanza (Ground Sample Distance – GSD)1 per le nuvole di punti, indicati in Tab. 1.

Come è possibile notare in Tab. 1, per creare un modello a risoluzione elevata (pixel della superficie reale intorno a 1 mm), la camera fotografica deve essere posta vicina all’oggetto da rilevare, ad una distanza compresa tra 0,50 e 3-4 m, a seconda dell’obiettivo impiegato. La definizione ottenibile con l’obiettivo 28 mm ad una distanza di 4 m dalla superficie da rilevare, confrontata con le richieste dell’English Heritage, non è in grado però di

resti-1 Nel telerilevamento il GSD è la dimensione nel mondo reale di quella parte del soggetto rappresentato da un pixel di un’immagine digitale. Nelle specifiche dell’English Heritage si raccoman-dano dei valori puntuali per la fotogrammetria su scale architettoniche tipiche (Andrews 2009).

Camera Altezza del sensore H mm Ottiche Mm/Df Distanza camera/ manufatto Ds mm

Altezza superficie rilevata

Hs mm Risoluzione geometrica mm Nikon D700 12 M 23,9 20 4000 4780 1,59 28 3414,29 1,14 60 1593,33 0,53 20 2000 2390 0,80 28 1707,14 0,57 60 796,67 0,27 Output scale GSD 1:50 2 mm 1:20 1 mm 1:10 0.5 mm �� �� ��

Tab. 1 – Caratteristiche del progetto di presa fotografica in riferimento alle specifiche dell’English Heritage (tabella in alto a sx). I dati fanno riferimento ad una situazione ideale, in cui il sensore della camera risulta perfettamente parallelo alla superficie da

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tuire prodotti a scale inferiori a 1:50. Per poter ottenere delle scale maggiori è necessario avvicinare la macchina fotografica alla superficie del manufatto. L’elevata quantità di fotografie richieste da un progetto di questo tipo por-teranno però ad un modello finale di dimensioni elevate e quindi di difficile gestione da parte del software.

La “sala triabsidata” del sito archeologico di Aiano-Torraccia di Chiusi presenta condizioni di rilievo ottimali, in quanto costituita da murature non troppo alte (circa 1,5 m) e libere lateralmente. Ciò ha permesso di pianificare un progetto di presa che prevedesse un numero adeguato di foto complanari alla struttura, alla distanza ottimale di circa 3,5-4 m. In questo modo, l’alta risoluzione richiesta al rilievo, per poter successivamente effettuare analisi archeologiche direttamente sul modello 3D e sugli ortofotopiani, è risultata ampiamente raggiunta.

3.2 Il lavoro sul campo

La registrazione della struttura materiale avviene attraverso una campa-gna fotografica delle superfici e delle strutture architettoniche che compongono l’edificio, accompagnata da un rilievo topografico, con cui vengono determi-nate le coordidetermi-nate delle marche fiduciali (target) posiziodetermi-nate precedentemente sulle superfici da rilevare. Nello specifico, l’acquisizione dei dati prevede la realizzazione di triplette fotografiche con una camera digitale Nikon D700 posizionata su una barra metrica, utilizzando da una a tre ottiche calibrate (20 mm, 28 mm e 60 mm) in base alla definizione richiesta e alle condizioni oggettive di ripresa. Devono essere pertanto studiate le migliori soluzioni per evitare forti distorsioni, zone d’ombra ed elevata disomogeneità cromatica. La realizzazione di un rilievo topografico, anche se non obbligatorio2, aiuta in

modo determinante tutto il lavoro di elaborazione e restituzione e costituisce lo strumento di controllo esterno al programma.

Durante il rilievo sul campo è molto importante tenere conto del fatto che non si tratta di realizzare delle fotografie per la generazione di ortofoto-piani o per un più classico progetto di fotogrammetria monoscopica, ma si tratta di fotogrammetria stereoscopica, per cui risulta basilare la posizione dell’operatore, e quindi della camera, nel cogliere tutte le parti della struttura necessarie alla costruzione del modello tridimensionale. Bisogna pertanto saper cogliere la tridimensionalità dell’oggetto e fotografare tutte le parti necessarie.

2 Laddove non sia possibile abbinare il rilievo topografico a quello fotogrammetrico, la metodologia ZScan è comunque in grado di elaborare il modello tridimensionale del manufatto, purché le triplette fotografiche vengano effettuate in maniera complanare alla superficie. Benché l’orientamento delle triplette non venga in questo caso sempre garantito, la precisione del modello è comunque conferita dalla calibrazione dell’obiettivo e della macchina fotografica e dai parametri (distanza dell’obiettivo dalla superficie fotografata, a cui corrisponde una determinata posizione lungo la barra metrica) che vengono inseriti nel software al momento della restituzione.

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Il lavoro sul campo svolto presso la villa d’Aiano-Torraccia di Chiusi ha richiesto quattro giorni, dei quali due per il rilievo della struttura (un giorno per i prospetti interni ed uno per quelli esterni e per le creste) e due per il rilievo topografico. Le foto sono state effettuate con gli obiettivi 28 mm e 60 mm, il primo utilizzato ad una distanza di 3,5-4 m per il rilievo dei prospetti esterni e interni, il secondo invece utilizzato da 7 m in posizione rialzata rispetto alle strutture murarie, per il rilievo delle creste. Il rilievo dell’ambiente triabsidato ha previsto un totale di 85 triplette fotografiche (dalle quali sono stati generati altrettanti modelli). Il rilievo topografico non è avvenuto in progress con il lavoro fotografico, ma nei giorni seguenti; l’ambiente ha previsto un totale di 193 target battuti da sette stazioni (una interna alla struttura triabsidata e sei esterne).

3.3 Il lavoro in laboratorio

La restituzione dei rilievi in laboratorio può essere suddivisa in due fasi, corrispondenti ai software utilizzati per la generazione (ZScan) e per la gestione e digitalizzazione (ZMap) dei modelli 3D. La prima fase, ef-fettuata attraverso il software ZScan, riguarda l’elaborazione dei dati per la generazione di nuvole di punti RGB. Il programma, dopo una prima rettifica automatica delle tre foto, utilizza le coordinate geometriche (pun-ti di controllo) per orientare le singole triplette; a questo processo segue l’individuazione sulla foto dell’area da generare e l’impostazione del passo di ricostruzione della nuvola di punti in funzione del valore del Ground Sample Distance (GSD). Al decrescere del GSD la risoluzione aumenta e di conseguenza anche il tempo di generazione della nuvola di punti e quindi del lavoro in laboratorio (Tab. 2).

Le nuvole di punti così create, vengono salvate in formato .vtp. È inoltre possibile salvare i singoli modelli in formato ASCII XYZ e ASCII XYZ RGB; in questo caso l’estensione permette l’esportabilità dei file in altri programmi per la gestione di nuvole di punti o in semplici visua-lizzatori. Una volta generati i modelli, la loro gestione e digitalizzazione avviene attraverso il software ZMap. Il primo prodotto realizzabile con questo programma, dal quale si ottengono tutti gli altri elaborati di seguito descritti, è il modello tridimensionale a restituzione fotografica dell’intero oggetto rilevato. Tale modello, creato semplicemente importando i singoli modelli georeferenziati all’interno del software ZMap, offre la possibilità di effettuare elaborazioni su una nuvola di punti con texture, sfruttando quindi la tridimensionalità a diversi gradi di visualizzazione e la cromìa dell’oggetto, al fine di registrarne e mapparne le caratteristiche. Il modello tridimensionale è inoltre esportabile dal software ZMap in diversi formati (.ply, .obj, .wrl, .stl, etc.), molti dei quali visualizzabili e interrogabili

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attra-verso software open source liberamente disponibili in rete. Ciò permette da un lato la possibilità di un libero scambio dei prodotti realizzati da soggetti diversi e dall’altro fornisce un concreto apporto a livello comunicativo del risultato finale. La possibilità di disporre del modello tridimensionale in diversi formati consente di integrare lo stesso con altri prodotti derivati da rilievi effettuati in momenti e con strumentazioni diverse (ad es. con nuvole di punti generate da laser scanner).

Mediante l’interfaccia di ZMap, che si avvicina molto a quelle dei software CAD, è possibile inoltre digitalizzare i modelli texturizzati, creando disegni wireframe 3D. Si tratta di modelli 3D vettoriali “reali”, cioè dise-gnati direttamente sul modello tridimensionale e quindi basati sulla reale disposizione nello spazio degli elementi da rilevare. I modelli wireframe così creati vengono esportati dal software in formato .dxf e .dwg. Il modello tridimensionale della “sala triabsidata” di Aiano-Torraccia di Chiusi è il risultato della mosaicatura di 85 modelli 3D delle dimensioni di 20-30 Mb ciascuno. Il modello risultante è stato gestito in parte dal software ZMap (per la digitalizzazione e per le modifiche) e in parte da software open source (per la visualizzazione). In merito alla digitalizzazione del modello tridimen-sionale texturizzato, rispetto alle classiche analisi bidimensionali, le analisi archeologiche effettuate hanno prodotto una quantità maggiore di dati a disposizione dell’operatore. La possibilità di disegnare sul modello, infatti, ha permesso di raggiungere una notevole chiarezza a livello interpretativo (pensiamo alla possibilità di avere a disposizione un’analisi stratigrafica 3D dell’intero complesso) ed un miglioramento a livello di completezza e correttezza del dato registrato (ad es. la registrazione delle caratteristiche della struttura materiale nella caratterizzazione delle tecniche costruttive ha previsto anche una serie di informazioni ricavate direttamente dal dato tridimensionale).

Prodotto derivato direttamente dal modello tridimensionale è l’orto-fotopiano. Esso viene realizzato all’interno del software ZMap mediante la trasformazione dei singoli modelli 3D in ortofotopiani, successivamente mosaicati tra loro per comporre un unico ortofotopiano in formato TIFF

GSD impostato nel programma ZScan

GSD reale sulla

nuvola di punti Numero di punti della nuvola Tempo impiegato nella generazione

9 mm 12 mm 142.211 8 min.

3 mm 4 mm 1.247.293 35 min.

Tab. 2 – Utilizzando un obiettivo 28 mm, la stretta correlazione fra il GSD im-postato nel programma dall’operatore al momento della generazione dei modelli e i possibili risultati (le nuvole di punti generate).

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dell’intera superficie rilevata. Sebbene il processo risulti in gran parte au-tomatico, al fine di ottenere un elaborato a qualità desiderata, due fasi, eseguite direttamente dall’operatore, risultano fondamentali: il momento della generazione dei singoli fotopiani, quando si effettua la scelta della grandezza del GSD dell’immagine e, successivamente, il momento della mosaicatura con l’inserimento di un valore strettamente correlato alla qualità e all’equalizzazione dell’immagine finale. In quest’ultima fase, la scelta dei valori varia da 1 a 6: il numero più basso crea un fotomosaico in pochissimo tempo (circa 5 minuti per una coppia di ortofotopiani), ma con un risultato qualitativamente molto scarso; utilizzando il numero più alto, la qualità del fotomosaico è ottima, ma i tempi aumentano sensibilmente (circa 30 minuti per una coppia di ortofotopiani). Ovviamente il tempo di creazione del mosaico è strettamente correlato sia alla quantità degli orto-fotopiani da mosaicare, che alle dimensioni degli ortoorto-fotopiani stessi. Per la realizzazione degli ortofotopiani dei prospetti della “sala triabsidata” si è scelto di impostare il valore 5, che permette di ottenere un’ottima qualità nella restituzione dell’immagine, perfettamente adeguata alle esigenze e al lavoro dell’archeologo.

Un altro prodotto strettamente collegato al modello tridimensionale è il Digital Elevation Model (DEM), ossia la rappresentazione della distri-buzione delle quote della superficie rilevata in formato digitale. Il DEM viene prodotto in formato raster associando a ciascun pixel l’attributo re-lativo alla quota assoluta, creando così una sorta di mappatura delle quote (rappresentate da diversi colori) presenti sulla superficie. Per ottenere un prodotto di questo tipo nel software ZMap, è sufficiente identificare un UCS (User Coordinate System) relativo al piano di riferimento per la creazione del modello e indicare lo step (rappresentato dal Ground Sample Distance) con il quale vogliamo trasformare i singoli modelli 3D in DEM. La scelta della grandezza del pixel viene poi ripetuta una seconda volta al momento della mosaicatura dei singoli DEM, ottenendo così il modello finale. Il mo-dello viene poi utilizzato come base per ottenere sezioni di superficie dai rilievi. Queste ultime vengono create attraverso una polilinea (orizzontale, verticale o obliqua) tracciata dall’operatore sul DEM, che viene automatica-mente “spalmata” dal software sulla superficie tridimensionale dell’oggetto.

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Il processo, in gran parte automatico, avviene impostando semplicemente uno step che indica la distanza di una serie di punti che il software crea lungo la polilinea indicata. I punti vengono poi automaticamente uniti fra di loro attraverso linee, creando così una polilinea unica che rappresenta in modo fedele il profilo esterno dell’oggetto. Ogni sezione può essere esportata da ZMap in formato .dxf e .dwg.

4. Conclusioni

Un buon intervento di documentazione e registrazione del patrimonio culturale è la base con cui affrontare cantieri di restauro, progetti di ricerca archeologici e storico/artistici e attività di tutela, come ad esempio la preven-zione del rischio sismico o il monitoraggio dello stato di conservapreven-zione di siti archeologici complessi, non solo per preservare il bene, ma per renderlo fruibile al pubblico. La possibilità di integrare le tecnologie oggi a nostra di-sposizione, insieme alla necessità di utilizzare nel migliore dei modi i prodotti digitali creati da queste stesse tecnologie, risulta il passo fondamentale per arrivare ad un obiettivo comune: conoscere ciò che stiamo registrando per conservarlo e promuoverlo, seguendo l’idea che oggi un monumento non è più solo un oggetto da conoscere in se stesso, ma diventa parte attiva della società, trasformandosi in un generatore, non solo di risorse culturali, ma anche economiche e sociali.

Ad oggi però alcuni nodi fondamentali devono ancora essere affrontati e risolti, nell’ottica di una migliore gestione ed utilizzazione della documenta-zione prodotta dai rilievi: la codifica di metodologie standardizzate di lavoro sull’ampia gamma di modelli digitali a nostra disposizione, che consentano di produrre una documentazione omogenea del Patrimonio Culturale; la creazione di un sistema sicuro per la circolazione e la fruibilità di questi dati; la gestione di nuvole con milioni di punti e con texture (i visualizzatori disponibili sul web, e gratuitamente scaricabili, costituiscono una risorsa ancora da sondare in tutte le loro possibilità). Per concludere, è importante sottolineare che il modello generato può essere considerato il prodotto di una serie di operazioni di registrazione, elaborazione e catalogazione dei dati che devono essere gestiti e resi disponibili, sia oggi sia in futuro. Per questo motivo devono essere posti in primo piano sia il problema della quantità e della qualità delle informazioni, sia quello della loro conservazione ed utiliz-zazione nel tempo.

Soprattutto in periodi di crisi economico-finanziaria qual è quello che si sta vivendo, va sottolineato il valore aggiunto dell’economicità della risorsa impiegata, sia sotto il profilo dei costi d’acquisto dello strumento, sia dell’elaborazione dei dati degli stessi. Infatti, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in questa stessa sede (Cavalieri, Pace 2011), non tutto ciò

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che è innovazione tecnologica è sempre applicabile alla ricerca archeologica e non per limiti metodologici intrinseci alla stessa, ma per i mezzi ridotti cui spesso deve far fronte. In tal senso, benché non completamente sovrapponibile funzionalmente ad un laser scanner, la metodologia di rilievo ZScan/ZMap ha efficacemente mostrato come precisione del dato, affidabilità e duttilità applicativa siano obiettivi perseguibili anche mediante una strumentazione più facilmente accessibile per costi generali, messa in opera e rielaborazione dei dati.

Andrea Arrighetti

Laboratorio di Archeologia dell’Architettura Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti

Università degli Studi di Siena Marco Cavalieri

Centre d’Étude des Mondes Antiques Institut des Civilisations, Arts et Lettres

Université catholique de Louvain

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ABSTRACT

Reconstructing the development of architectural complexes throughout time is often very difficult. Buildings are usually a series of constructive actions, changes from the original project, and collapses and reconstructions due to human actions (such as demolitions) and/or natural disasters (earthquakes, floods, etc.). The building’s structure records all these events, and by using a relief map gives us the chance to understand and decode them. The archaeological relief map is thus supposed to offer a complete and concise documentation. At the same time, it must be enriched with the additional information needed for a more detailed analysis of the archaeological object itself. In the last few years, the introduction and continuous improve-ments of many instruimprove-ments (e.g. laser scanners and photogrammetric technologies) have led to a significant qualitative and quantitative change in the recording of material structures. In particular, the possibility of combining different relief technologies – obtaining high reso-lution, 3D geometrically correct models of buildings or of entire archaeological sites (which could be further investigated thanks to archaeological analysis or other procedures) – has modified the archaeological approach towards the material “datum” and its divulgation. In order to acquire a better knowledge of contemporary technologies, the dissemination of different methodologies – through their application in research contexts – is the best way to transmit and compare them. This article is dedicated to the presentation and detailed analysis of a photogrammetric RGB point-clouds technology, used for the relief of a room during the archaeological excavation at Aiano-Torraccia di Chiusi (San Gimignano, Siena).

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