UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Medicina
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
Tesi di Laurea
IL RUOLO E IL VISSUTO DELL'INFERMIERE NEL CONTESTO
PENITENZIARIO
Relatore: Prof. Alessandro Ditadi
Correlatore: Prof. Ivo Lizzola
Laureanda: Melinda Mattara
INDICE
RIASSUNTO
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1: PROBLEMA………..1
LA NORMATIVA DELLA SANITA' PENITENZIARIA 1.1 Riforma sanità penitenziaria e storia normativa………..………1
1.2 La normativa………..……….3
1.3 Gli istituti penitenziari in Veneto……….………4
EPIDEMIOLOGIA DELLA POPOLAZIONE DETENUTA IN VENETO E ASSISTENZA INFERMIERISTICA 1.4 Stato di salute della popolazione detenuta in Veneto……..……….5
1.5 Comitato Nazionale di Bioetica………. . 6
1.6 OMS per i detenuti……… .. 7
1.7 Assistenza infermieristica in carcere ……… .. 9
CAPITOLO 2: OBIETTIVO...13
CAPITOLO 3: INDAGINE………...15
3.1 Il campione e il contesto..……….. 15
3.2 Modalità d’indagine………...…………..15
3.3 Strumenti d’indagine………...……….. 15
3.4 Risultati ottenuti sul campione ottenuto..……….……. 16
3.4.1 Dati socio-anagrafici... 16
3.4.2 Dati esperienza lavorativa professionale ... 17
3.4.4 La relazione con il detenuto e il vissuto dell’infermiere ... 20
CAPITOLO 4: CONCLUSIONI………..….…27
5.1 Limiti dello studio……….……….………...… 27
5.2 Conclusioni……… 27
BIBLIOGRAFIA
RIASSUNTO
Sintesi del problema:
L'infermiere nel contesto penitenziario ha un ruolo poco conosciuto, lavora al di fuori del contesto ospedaliero, e ha a che fare quotidianamente con detenuti, polizia penitenziaria e figure professionali mediche e non mediche. Nonostante tutto, la sua figura non è conosciuta e messa in rilievo come dovrebbe visto il luogo di particolare complessità in cui opera.
Obiettivi:
Lo scopo di questa indagine è:
Conoscere la normativa che disciplina il lavoro degli infermieri negli istituti penitenziari;
Individuare il ruolo dell’infermiere all’interno del carcere, in particolare: Conoscere la tipologia di lavoro assistenziale;
Esplorare il vissuto percepito dall’infermiere;
Conoscere i rapporti con le altre figure professionali. Individuare i requisiti necessari per poter lavorare in carcere.
Strategie:
Due diverse tipologie di strategie hanno premesso la realizzazione di questa indagine: La consultazione della letteratura scientifica al fine di definire l'ambito di studio e il
problema di partenza;
L'elaborazione di un'intervista, partendo dallo studio della letteratura scientifica individuata e la sua somministrazione agli infermieri nell'istituto penitenziario di Vicenza.
Giudizio di fattibilità:
Per realizzare questa intervista è stata indispensabile la collaborazione del coordinatore dell'unità operativa di sanità penitenziaria, per sapere quale modalità di distribuzione fosse preferibile utilizzare in relazione alle attività all'interno del carcere e al carico di lavoro degli infermieri. Ancora più importante si è dimostrata la disponibilità degli infermieri interpellati a rispondere all'intervista.
Indicatori di risultato:
Adesione e disponibilità all'indagine di un numero sufficientemente ampio di infermieri; Definizione del ruolo dell'infermiere in carcere;
INTRODUZIONE
Il termine da cui deriva la parola carcere e “carcar”, luogo senza tempo. Etimologicamente è un luogo che nega la vita, in cui il tempo per i detenuti si ferma e non vi è evoluzione con il mondo esterno, ma tutto si blocca e non progredisce. E' un evento drammatico per la persona detenuta, che produce sofferenza per lo stesso, ma anche per le persone che vi sono più in contatto, instaurando ogni sorta di meccanismo di difesa da parte di ognuno per poter sopravvivere all'evento. La quotidianità negli istituti penitenziari svela dinamiche che solo lavorandoci si possono capire, vivendo momenti di totale angoscia e disperazione, di vuoto esistenziale ed emozionale contrapposti a momenti di presa di coscienza e miglioramenti. L'etica professionale insegna che tutti i cittadini devono ricevere la stessa assistenza sanitaria in qualsiasi luogo siano collocati, anche dentro il carcere; e qualunque sia il proprio status sociale di cittadino, libero o rinchiuso, qualunque sia la razza e fede di appartenenza. Di questo argomento vi è anche un articolo del codice penale dedicato, L. 26/7/1975 n° 354 (vedi allegato 1).
Lavorare negli istituti penitenziari porta a conoscere momenti di fragilità che si possono vivere solamente all'interno di questo ambiente, a condividere limitazioni della libertà individuale e spaziale, inoltre contribuisce a curare dentro di sé una sensibilità diversa verso realtà e problematiche che sono sconosciute alla realtà esterna1. Nonostante questo aspetto sia fondamentale, spesso gli operatori dell'assistenza penitenziaria vengono trascurati e poco presi in considerazione dalla società. Nel corso degli anni la sanità penitenziaria è stata presa in considerazione per alcune riforme, ma dal 2008 le competenze in materia sono passate dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute. La sanità penitenziaria evidenzia una serie di problemi: i bisogni di salute sono enormi e richiedono una vera e propria presa in carico dei detenuti, che oltre alle malattie comuni a tutta la popolazione, spesso presentano stati di salute aggravati dalle condizioni di vita legate alla reclusione. Il vissuto di malattia e l’assistenza infermieristica sono destinate ad alterarsi nel carcere, rivestendosi di significati particolari2.
1 Anzoni M., Al Presidente del Collegio IP.AS.VI Stefano Bazzana, Brescia, 2001 (on line). Disponibile da:
http://www.ipasvibs.it/files/anzoni_mariastella.pdf (consultato il 11/09/2015)
2
Crotti Partel M., Il lavoro degli infermieri in carcere: cercare la qualità nella criticità. Osservatorio, Tempo di nursing 58-59/2011, Collegio IP.AS.VI di Brescia. p. 3-4 (on line). Disponibile da: http://www.ipasvibs.it/files/tdn_58_7_02.pdf (consultato il 11/08/2015).
1
Capitolo 1: PROBLEMA
LA NORMATIVA DELLA SANITA' PENITENZIARIA
1.1 Riforma sanità penitenziaria e storia normativa
La Riforma della Sanità Penitenziaria rappresenta una delle misure progressiste più importanti degli ultimi anni. La presenza negli Istituti Penitenziari del personale sanitario viene prevista per la prima volta dal Regolamento Carcerario del 1931 (R.D. n. 787 del 18/06/1931)3, ma è solo nel 1970, con la legge n. 740 4 che vengono, seppure sommariamente, disciplinati i rapporti di lavoro del personale sanitario, ponendo le basi per il servizio sanitario e la continuità assistenziale in carcere. A quel tempo, non era ancora stato istituito un unico organismo pubblico e nazionale preposto alla tutela del diritto alla salute per tutti i cittadini, e anche fuori dal carcere, vigeva un sistema sanitario affidato alle Casse Mutue e alle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB). Quando nel 1978 con la legge n. 8335 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), in attuazione dell’art. 32 della Costituzione, il sistema della Sanità penitenziaria rimane separato da esso ed esclusivamente dipendente dall'Amministrazione Penitenziaria. La legge 354/756 di riforma dell'Ordinamento Penitenziario, sostituisce il Regolamento del 1931 e detta regole più precise in tema di tutela della salute in carcere. L'art. 11, in particolare, stabilisce per l'Amministrazione Penitenziaria la facoltà di avvalersi - ove necessario - dei servizi pubblici ed introduce la figura del medico specialista e del servizio di psichiatria. La tutela della salute in carcere si consolida come una competenza diretta del Ministero di Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP). Il medico in carcere è un dipendente del Ministero di Giustizia e risponde funzionalmente e gerarchicamente al Direttore del carcere. La Circolare del Ministero di Giustizia n. 3337/5787 del 07/02/92 stabilisce che in ogni Istituto di Pena debbano essere presenti nell'area sanitaria due aree: quella medica e quella infermieristica, entrambe integrate con l'area educativa. Questa circolare rappresenta il primo passo verso una forma di integrazione e per considerare la salute e la sua garanzia quali presupposti fondamentali
3 R.D. n° 787, 18 giugno 1931 “Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena”.
4 Legge n° 740, 9 ottobre 1970 “Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di
prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell’Amministrazione penitenziaria”.
5
Legge n° 833, 23 dicembre 1978 “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale”.
6
Legge n° 354, 26 luglio 1975 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure priva-tive e limitapriva-tive della libertà”.
2
per la tutela della sicurezza. La legge 419/19987, prevede all'art. 5, una delega specifica per il riordino della Sanità Penitenziaria, disponendo che essa debba entrare a far parte del SSN, anche se con gradualità.
In attuazione di queste disposizioni, il D.Lgs. 22 giugno 1999, n. 2308 inserisce tale settore nel SSN, definendo gli ambiti di intervento degli enti interessati: Regioni, Ministero della Salute e Ministero della Giustizia. All’Azienda Sanitaria Locale (ASL) è assegnata la funzione di erogare le prestazioni sanitarie, mentre all’Amministrazione Penitenziaria di mantenere i compiti relativi alla sicurezza. Il D.Lgs. n. 230/99 rappresenta un vero e proprio cambiamento culturale. Non basta più mantenere l'integrità fisica della persona detenuta, ma si deve garantire la tutela della salute di un cittadino che si trova, più o meno temporaneamente, privato della libertà personale. Lo stesso D.Lgs. 230/1999 dispone il transito immediato, a decorrere dal 1 gennaio 2000, delle funzioni relative alla prevenzione e all’assistenza e cura dei detenuti tossicodipendenti e prevede il trasferimento delle altre funzioni sanitarie al termine di un periodo di sperimentazione da realizzarsi presso alcune Regioni9. In quegli anni la sperimentazione procede fra mille difficoltà, soprattutto per la resistenza di molti operatori sanitari del settore. La riforma viene, perciò, definita di "carta". Essa, viene indirettamente sostenuta dalla Legge Costituzionale del 18/10/0110 ("riforma Costituzionale del Titolo V della Costituzione") che, passando tutte le competenze in tema di salute alle Regioni, lascia ancora il permanere della Sanità Penitenziaria sotto l'egida del Ministero di Giustizia. Successivamente, il Decreto Interministeriale (Giustizia e Salute) del 16/05/02, istituisce una Commissione mista di studio (detta Commissione Tinebra) per il rinnovamento del Servizio Sanitario Penitenziario, con il mandato di fornire indicazioni per un nuovo modello organizzativo della Sanità Penitenziaria. I lavori della Commissione procedono con molte difficoltà e resistenze, tanto da ipotizzare il mantenimento di alcune competenze sanitarie al Ministero di Giustizia (quelle di base) e di trasferirne solo alcune al SSN (quelle specialistiche ed
7Legge n° 419, 30 novembre 1998 “Riordino della medicina penitenziaria”. 8
D. Lgs. n° 230, 22 giugno 1999 “Riordino della medicina penitenziaria, a norma dell’articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n° 419”.
9 Ministero della Giustizia, Il percorso della riforma. Riforma della sanità in carcere, 2012 (on line).
Disponi-bile da:
http://193.109.206.5/giustizia/it/mg_2_3_5_1.wp;jsessionid=6285EBB492D2E29E64FD22348289F8E1.ajp AL01 (consultato il 1/9/2015).
3
ospedaliere). Fu soltanto la lungimiranza degli allora Ministri della Salute e della Giustizia ad indicare che per il passaggio efficiente delle competenze da un Ministero ad un altro, queste dovevano essere complete. Nel biennio 2006-07 i Ministeri della Salute e della Giustizia, insieme ai rappresentanti delle Regioni, sostengono la costituzione di una Commissione tecnica con l'incarico di preparare le Linee Guida e la proposta del testo di legge per il passaggio delle competenze in tema di Sanità Penitenziaria dal Ministero di Giustizia al SSN. La legge finanziaria 2008 dispone il definitivo passaggio di tutte le funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in questione, da attuarsi mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato il 1° aprile 200811. Da quel momento in poi, per la prima volta, le due Istituzioni coinvolte (Giustizia e Sanità) si devono confrontare in tema di Sanità Penitenziaria in maniera paritetica ed i sanitari non sono più dei singoli professionisti che entrano in carcere con il solo obbligo di rispettare l'Ordinamento Penitenziario, ma delle figure professionali fra loro organizzate ed integrate con la rete assistenziale territoriale12.
1.2 La normativa
Il Dpcm ( Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) 1° aprile 2008 (Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 2008) ha stabilito che i rapporti di lavoro, le risorse finanziarie, le attrezzature e i beni strumentali in materia di sanità penitenziaria venissero trasferiti dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale. Il rapporto di lavoro degli operatori sanitari (medici, ma soprattutto infermieri) che operavano negli Istituti penitenziari è stato inglobato, con alcune differenze Regionali, tra quelli gestiti dalle Aziende sanitarie locali o dalle Aziende Ospedaliere. E’ auspicabile che, in una situazione di così profonda trasformazione limitata dalla scarsità di risorse e da criticità evidenti, si investa sui professionisti. Un’appropriata sanità penitenziaria non potrà che dipendere da un’organizzazione che sia in grado di assicurare tutti i livelli di assistenza medica (di base, specialistica, gestione delle patologie croniche), a questo sarà necessario affiancare
11 DPCM 1 aprile 2008, “Modalità e criteri del il trasferimento del Servizio Sanitario Nazionale delle
funzio-ni safunzio-nitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e befunzio-ni strumentali in materia di sanità penitenziaria”.
12
Nava F., Riforma della sanità penitenziaria, Diritto alla salute in carcere, 2011 (on line). Disponibile da: http://www.felice-nava.it/diritto-alla-salute-in-carcere/incompatibilit%C3%A0-alla-detenzione/ (consultato il 26/8/2015).
4
l’incentivazione dell’assistenza infermieristica, per favorire la prevenzione, l’educazione ai corretti stili di vita e interventi igienico organizzativi efficaci. Per fare ciò, l’unica possibilità è garantire la quantità e la qualità degli interventi assistenziali, per permettere l’erogazione di prestazioni professionali, erogate da personale riconosciuto, preparato, motivato e coinvolto13 (vedi allegato 2).
1.3 Gli istituti penitenziari in Veneto
Prima di presentare una panoramica sugli istituti penitenziari in Veneto, è importate differenziare la casa circondariale dalla casa di reclusione. La casa circondariale indica gli istituti più diffusi, presenti praticamente in ogni città sede di Tribunale. Vi sono detenute le persone in attesa di giudizio e quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni (o con un residuo di pena inferiore ai cinque anni). La casa di reclusione invece, indica gli istituti adibiti all’espiazione delle pene. In molte Case Circondariali c’è una "Sezione Penale" e, in alcune Case di Reclusione, c’è una "Sezione Giudiziaria" destinata alle persone in attesa di giudizio14.
Nella regione Veneto sono presenti un totale di 9 istituti penitenziari: 7 case circondariali e 2 case di reclusione. Elenco inoltre il numero degli infermieri e il numero di detenuti per ogni carcere aggiornati al 31 dicembre 2014, in ordine decrescente per capienza
regolamentare15. Provincia Tipo Istituto Capienza Regolamentare Totale detenuti Di cui donne Di cui stranieri N° infermieri Padova CR 436 608 254 8 Verona CC 345 562 46 377 17 Padova CC 179 175 121 5 Venezia S. CC 161 261 177 6
13 Crotti Partel M., Il lavoro degli infermieri in carcere: cercare la qualità nella criticità. Osservatorio, Tempo
di nursing 58-59/2011, Collegio IP.AS.VI. Di Brescia, 2011; p. 6 (on line). Disponibile da: http://www.ipasvibs.it/files/tdn_58_7_hi.pdf (consultato il 17/9/2015).
14 Ristretti e orizzonti, I molti nomi delle carceri, (on line). Disponibile da:
http://www.ristretti.it/glossario/nomicarceri.htm (consultato il 25/8/2015).
15Giunta regionale, La sanità penitenziaria nel Veneto (dati 2008-2014). Area sanità e sociale, Sezione
attuazione programmazione sanitaria, Settore salute mentale e sanità penitenziaria. Regione del Veneto, 2014 (on line). Disponibile da: http://www.regione.veneto.it/c/document_library/get_file?uuid=12fde77a-31fa-4801-b722-d4df85134bda&groupId=10793 (consultato il 1/9/2015)
5 Maria Maggiore Vicenza CC 156 238 119 8 Treviso CC 143 207 92 5 Venezia Giudecca CRF 119 71 71 34 3 Belluno CC 89 65 47 3 Rovigo CC 71 63 36 3
EPIDEMIOLOGIA DELLA POPOLAZIONE DETENUTA IN VENETO
E ASSISTENZA INFERMIERISTICA
1.4 Stato di salute della popolazione detenuta in Veneto
In uno studio di coorte, finanziato dal Ministero della Salute, basato sull'analisi della documentazione medica svolto nell'anno 2014, sono stati arruolati 15.751 detenuti presenti in 57 strutture detentive italiane. E' stata la prima indagine epidemiologica sulla stato di salute di un campione di detenuti delle strutture detentive di Toscana, Lazio, Umbria, Veneto, Liguria e l'Azienda sanitaria di Salerno.
Per quanto riguarda la regione Veneto, tutte le strutture detentive presenti sul territorio hanno partecipato allo studio. Il campione d'indagine dei soggetti per il 55% ha un’età compresa tra 18 e 39 anni mentre meno del 6% supera i 60 anni, con una media di 39,3 anni. Tramite l'utilizzo del sistema di codifica e classificazione ICD-9-CM, sono state suddivise le patologie in grandi gruppi di cause, individuando le patologie principali. In elenco vi è la distribuzione (%) dei grandi gruppi di patologie nella popolazione detenuta in Veneto su un campione di 2695 detenuti:
disturbi psichici (41,3%);
malattie del sistema circolatorio (10,7%); malattie dell'apparato digerente (9,1%); malattie endocrine del metabolismo (8,3%); malattie infettive e parassitarie (6,9%); malattie del sistema nervoso (3,9%);
6 malattie osteomuscolari e del connettivo (3,4%); malattie dell'apparato respiratorio (3,2%); malattie dell'apparato genitourinario (1,9%); traumatismi e avvelenamenti (1,6%);
malattie della pelle e del sottocutaneo (0,9%); tumori (0,1%);
malattie di sangue e organi emopoietici (0,1%); altre condizioni patologiche (8,6%)16.
1.5 Comitato Nazionale di Bioetica
Il Comitato Nazionale di Bioetica elenca e affronta il problema con una serie di raccomandazioni per coloro che lavorano all'interno dei penitenziari, verso i detenuti: - Raccomanda alle istituzioni competenti che il diritto alla salute dei detenuti sia inteso nella piena accezione, al fine di raggiungere un effettivo riequilibrio dei livelli di salute dentro e fuori le mura, ben oltre la garanzia dell’uguaglianza di accesso alle prestazioni sanitarie.
- Ricorda che il fondamento della salute del detenuto è l’essere trattato con dignità e rispetto, nella piena osservanza dei diritti umani fondamentali. Fra questi, il diritto ad essere curato fuori dal carcere quando la detenzione aggravi la sofferenza dell’infermità fino a limiti intollerabili.
- Ricorda che la riforma sanitaria non si esaurisce nel passaggio delle competenze dall’autorità penitenziaria a quella sanitaria. In coerenza con un approccio globale alla salute, le autorità sanitarie devono prendere pienamente in carico il controllo sulle condizioni igieniche degli istituti, lo stato delle celle e dei servizi, le condizioni di vita dei detenuti, la sopportabilità del regime carcerario. La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 8 gennaio 2013 (vedi allegato 3) che ha giudicato la vita nelle celle italiane sovraffollate come “trattamento inumano e degradante” indica che la riforma è ancora ben lontana dal raggiungimento dei propri obiettivi.
16Agenzia regionale di sanità della Toscana, La salute dei detenuti in Italia: i risultati di uno studio
multicentrico, Documenti dell'Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, 2015; p. 64 (on line). Disponibile da: http://www.ars.toscana.it/it/pubblicazioni/collana-documenti-ars/pubblicazioni-2015/2977-la-salute-dei-detenuti-in-italia-i-risultati-di-uno-studio-multicentrico-2015.html, (consultato il 27/08/2015).
7
- Segnala che alcuni aspetti del sistema sanitario erogato su base regionale vanno corretti, se si vuole offrire ai detenuti pari opportunità nell’accesso alle prestazioni sanitarie. In particolare, occorre che amministrazione penitenziaria e Regioni operino per varare al più presto la cartella sanitaria informatizzata nazionale, che segua in tempo reale il detenuto nei suoi spostamenti da regione a regione; che sia assicurata la continuità delle cure nel passaggio da un carcere all’altro, anche in presenza di diversità nei livelli di assistenza da regione a regione.
- Invita a prendere immediati provvedimenti per gli aspetti in cui più gravi permangono le disuguaglianze o non sono rispettate le pari opportunità nell’accesso alle prestazioni: non sufficiente tempestività negli interventi d’urgenza, ritardi nelle visite specialistiche e nella programmazione di interventi in ospedali esterni, insufficienti prestazioni per bisogni specifici della popolazione detenuta.
- Raccomanda le aree chiave di intervento, con particolare riguardo alla salute mentale e alla prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo, alla prevenzione dell’HIV e di altre malattie trasmissibili. Maggiore attenzione va prestata ai diritti e alle esigenze delle donne detenute, nel quadro di un sistema di giustizia penale sensibile al genere.
- Invita il SSN nelle sue articolazioni regionali a prendere immediatamente in carico la grave situazione igienico sanitaria e di condizioni di vita all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione, in attesa di misure di più ampia portata per decidere la sorte di queste strutture e risolvere l’insieme dei problemi legati alle persone senza passaporto. - Raccomanda infine di prestare attenzione affinché un settore così delicato come quello del carcere, che abbisogna di ogni sforzo per raggiungere standard accettabili di vivibilità, non abbia al contrario a soffrire per la contrazione delle risorse17.
1.6 OMS per i detenuti
L' OMS ci informa che i principali disturbi in carcere sono di natura psichica, infettiva e gastroenterica. Alcuni comportamenti poco salutari, come il consumo di tabacco e l’abuso di alcol, associati alla malnutrizione e alla mancanza di attività fisica, possono aggravare gravi patologie croniche come il diabete e l’ipertensione, che hanno prevalenza più elevata
17
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Raccomandazioni. “La salute dentro le mura”; CNB, Comitato Nazionale per la Bioetica, 2013; 9, p. 26-27 (on line) Disponibile da:
8
rispetto alla popolazione non istituzionalizzata. Una larga parte di malattie non trasmissibili, come diabete e malattie cardiache, potrebbero essere ridotte agendo sui principali fattori di rischio. Da qui le indicazioni OMS:
aumentare l’attività fisica;
informazione ed educazione sugli stili di vita più corretti;
corsi speciali per soggetti più vulnerabili, gli anziani, i soggetti sovrappeso; corsi speciali di ginnastica per gruppi vulnerabili.
Quanto alle malattie trasmissibili, la popolazione detenuta è esposta al contagio di malattie infettive legate a uso iniettivo di droghe, a pratiche sessuali a rischio e violenze fisiche. Un allarme particolare è lanciato dalla OMS per la HCV (Epatite C), il virus dell'HIV (AIDS), la HBV (epatite B) e tubercolosi. Per questo motivo l'OMS ha esposto 15 interventi chiave raccomandati nel contesto:
1) informazione e educazione su HIV, epatite e malattie sessualmente trasmissibili; 2) disponibilità di preservativi ai detenuti (in forma discreta); 3) Prevenzione della violenza sessuale (in particolare proteggendo i soggetti vulnerabili come le persone con differente orientamento sessuale e i giovani); 4) Trattamento della dipendenza da droghe compresa la terapia con oppiacei sostitutivi; 5) Disponibilità in forma confidenziale di materiale sterile per iniezione ai consumatori di droghe; 6) Prevenzione della trasmissione che può avvenire attraverso forniture mediche e dentali infette; 7) Prevenzione della trasmissione che può avvenire tramite tatuaggi; 8) Profilassi post esposizione a situazioni di possibile contagio; 9) Facile accesso al test HIV volontario e al counselling; 10) Trattamento per HIV, compresa la terapia anteretrovirale; 11) Prevenzione, diagnosi e trattamento della tubercolosi (considerati l’alta percentuale di co-morbilità HIV-TBC); 12) Prevenzione della trasmissione madre-bambino; 13) Prevenzione e trattamento delle infezioni sessualmente trasmissibili; 14) Vaccinazione, diagnosi e trattamento dell’epatite virale (compresa la vaccinazione per l’epatite B per tutti, per l’epatite A per i soggetti a rischio, e prevenzione/trattamento per epatite B e C); 15) Protezione del personale (che dovrebbe ricevere informazione, educazione e training da parte di sanitari, per svolgere i propri compiti di lavoro in sicurezza18.
18
Presidenza del Consiglio dei Ministri, La popolazione carceraria: lo stato di salute. “La salute dentro le mura”, CNB, Comitato Nazionale per la Bioetica. La popolazione carceraria: lo stato di salute, 2013; 2, p.
8-9
1.7 Assistenza infermieristica in carcere
Un recente studio, condotto dall’Università di Toronto, Facoltà Bloomberg 19
di infermieristica, ha esaminato il ruolo di 500 infermieri che lavorano nel sistema carcerario provinciale dell’Ontario, il quale si occupa di quasi 9.000 persone, in 30 strutture. Nello studio, condotto da Joan Almost e Diane Doran, prima rassegna globale sugli infermieri che lavorano nelle strutture correzionali in Canada, si è riscontrato che gli infermieri che lavorano nel settore sentono di avere uno scarso controllo sulla loro pratica professionale, a causa delle restrizioni dovute alle ragioni di sicurezza, hanno un minore accesso alle risorse e alle attrezzature necessarie, e un’esperienza più elevata di stress emotivo e di tensione nella relazione col paziente. Lo studio ha anche rilevato che, nonostante la soddisfazione sul lavoro sia leggermente inferiore a quella degli infermieri impiegati in altri settori, coloro che lavorano in carcere registrano livelli di burnout inferiori, oltre che un maggiore proposito di rimanere a fare il proprio lavoro. La ricerca attribuisce questo aspetto al fatto che il lavoro in carcere è molto diversificato e richiede agli infermieri di attingere ad una vasta gamma delle loro competenze. La principale differenza tra carcere e altri settori è che negli istituti penitenziari è importante non solo l’assistenza sanitaria, ma anche la sicurezza, dice Linda Ogilvie, responsabile dei servizi sanitari aziendali per il Ministero della Sicurezza della Comunità e dei servizi correzionali e questo è un equilibrio “unico”, molto particolare20
. A volte i detenuti cercano di aggirare la sicurezza sostenendo di avere un problema di salute, al fine di lasciare la struttura e andare in ospedale: ad esempio possono dichiarare di avere dolori al petto, il che permette di lasciare la cella per ottenere qualche giorno di ricovero in infermeria.
E’ spesso molto difficile capire se si tratta di una sensazione vera o se il detenuto sta tentando di fuggire dal carcere e inoltre c’è il problema dello stress emotivo, a causa delle allusioni sessuali. La salute viene strumentalizzata dal detenuto e prendendo in considerazione la piramide dei bisogni di Maslow21, il valore della salute viene distorto,
9-10 (on line). Disponibile da:
http://www.governo.it/bioetica/pdf/6La%20salute%20dentro%20le%20mura.pdf (consultato il 15/9/2015).
19 Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health (Baltimore, Maryland, United States of America),
www.jhsph.edu, (consultato 27/10/2015).
20Crotti Partel M., Il lavoro degli infermieri in carcere: cercare la qualità nella criticità. Osservatorio, Tempo
di nursing 58-59/2011, Collegio IP.AS.VI. Di Brescia, 2011; p. 4-5 (on line). Disponibile da: http://www.ipasvibs.it/files/tdn_58_7_02.pdf (consultato il 17/9/2015).
10
non essendo più il fine, ma il mezzo, cedendo il passo al desiderio di riacquistare la libertà. Il particolare rapporto con la malattia si manifesta con due fenomeni principali: la simulazione dei sintomi e l'autolesionismo. Un esempio di strumentalizzazione dei sintomi può essere evidente con precordialgia, sincopi, crisi epilettiche, dolore. Esempi di autolesionismo invece possono essere rappresentate da ferite da taglio, ingestione di corpi estranei, inalazione di gas, contaminazione delle ferite, tentativi di impiccagione, omissione volontaria di assunzione di farmaci salvavita, ingestione volontaria di farmaci in dosi tossiche, sciopero della fame e della sete22. L’ambiente insomma non è favorevole alla costruzione di una relazione terapeutica: se non si dispone di un qualche tipo di meccanismo, che impedisca lo stress emotivo, diventa un ambiente molto difficile in cui lavorare. Nonostante ciò l'infermiere è una presenza indispensabile nel contesto penitenziario poiché è la figura che sta più a contatto con il detenuto per quanto riguarda gli aspetti della somministrazione della terapia, l'educazione alla salute e tutto ciò che riguarda la clinica e la professionalità infermieristica. I bisogni di salute in carcere sono critici, enormi e richiedono una vera e propria presa in carico dei detenuti, che oltre alle malattie comuni a tutta la popolazione, spesso presentano stati di salute aggravati dalle condizioni di vita legate alla reclusione in un carcere o agli stili che in passato hanno pregiudicato i loro organismi. L’epidemiologia penitenziaria dimostra che i bisogni di salute dei detenuti sono più vicini ai modelli di assistenza territoriale che non ospedaliera, proprio per come avviene per la popolazione che vive al di fuori delle carceri e che ricorrono alla medicina generale molto più spesso di quanto ricorrano all’ospedale. E’ chiaro quindi, che un’appropriata sanità penitenziaria non potrà che dipendere da un’organizzazione che sia in grado di garantire tutti i livelli di assistenza esistenti, dalla medicina di base alla specialistica, senza dimenticare la prevenzione e l’educazione ai corretti stili di vita23. Le competenze che deve avere l'infermiere sono:
Gestione del processo di valutazione dei bisogni di salute dei detenuti;
fondamentali dell'assistenza infermieristica, promuovere la salute, Casa editrice Ambrosiana, 2004; p. 31-32-33.
22Borri B, Patriarca D., L'assistenza infermieristica in carcere dopo la riforma della sanità penitenziaria.
Salute in carcere,Convegno take care, IP.AS.VI. Firenze, 2010; p. 22-23-24-25.
23Martellotti E., L’IP.AS.VI apre il confronto sul lavoro nelle carceri. L’infermiere 1/2009, Attualità
infermieristica penitenziaria, 2009; p.11 (on line). Disponibile da:
11 Gestione organizzativa assistenziale;
Gestione dell'assistenza infermieristica nell'ambito della medicina generale e specialistica;
Gestione dell'assistenza infermieristica nell'ambito psichiatrico e delle dipendenze; Collaborazione nella gestione delle situazioni di emergenza-urgenza;
Assistenza infermieristica transculturale.
Tra le difficoltà assistenziali vi è anche la relazione infermiere-assistito poiché la domanda assistenziale è sempre mediata dal personale di custodia, per cui non è configurabile un rapporto che vada oltre al semplice supporto professionale e strettamente empatico. Inoltre c'è il rischio che il pregiudizio influenzi la valutazione (notiziari, quotidiani che parlano di colui che ha commesso un reato con cui poi si avrà a che fare all'interno dell'istituto penitenziario). La difficoltà di discriminazione dei casi simulati da quelli reali, sottovalutando il dolore, le situazioni a rischio clinico e il disagio psicologico.
Oltre alle difficoltà assistenziali vi sono anche le difficoltà dell’infermiere tra cui la scarsa soddisfazione derivata dall'impossibilità di valutazione dei risultati, la frequenza di episodi cruenti che generano ansia, contrasto con i propri valori morali e culturali24.
Da quanto sopra descritto emerge che all’infermiere che lavora presso un'unità operativa di sanità penitenziaria, viene richiesto di attivare processi ed interventi interni in grado di rispondere alle esigenze ed ai bisogni assistenziali della persona con limitazione della libertà personale, concilianti con il sistema di sicurezza previsto dal regime penitenziario. Trovare il giusto equilibrio tra queste due culture non è una cosa facile, ma fa parte di un vasto progetto di interazione-integrazione e cooperazione che ha come unico scopo la cura del malato/detenuto. Inoltre deve possedere notevoli capacità comunicativo-relazionali, essere ancorato ai principi giuridici ed ai valori etico-deontologici che caratterizzano la professione infermieristica. Più che mai deve credere e saper rispettare i principi del segreto professionale, e deve riconoscere in sé una forte motivazione e dimostrare il relativo impegno professionale così come declinato nel Codice deontologico dell’infermiere al punto 4.6 “L’infermiere assicura la tutela e la riservatezza delle informazioni relative alla persona. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati si
24
Borri B, Patriarca D, L'assistenza infermieristica in carcere dopo la riforma della sanità penitenziaria. Salute in carcere. Convegno take care, IP.AS.VI Firenze. 2010; p.31-32.
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limita a ciò che è pertinente all’assistenza” e deve riconoscere in sé una forte motivazione e dimostrare il relativo impegno professionale. Nessuna commiserazione o atteggiamento pietistico né freddo distacco, ma la creazione di un clima favorevole ad una relazione più proficua. Quindi il problema dell’operatore sanitario è quello di farsi accettare come tale e non associato al resto del regime a cui il paziente è sottoposto. L’infermiere, soprattutto, deve saper operare in sospensione di giudizio e senza discriminazioni legate alle posizioni giuridiche del paziente, rispettando il principio cardine del Codice Deontologico al punto 1.3 “La responsabilità dell’infermiere consiste nel curare e prendersi cura della persona, nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo” non dimenticando quanto definito al punto 4.8 “L’infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico ma per intima convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l’assistito ripone in lui”. Dovendo delineare un bilancio complessivo, si può affermare che l’esperienza è stimolante sotto il punto di vista professionale, un arricchimento umano, ma anche molto impegnativa sia per i processi operativi che per l’enorme responsabilità che coinvolge tutti gli operatori ed in particolare l’infermiere25
.
25
Melesi M., Medicina penitenziaria: l'esperienza dell'equipè infermieristica dell'A.O. San Paolo di Milano. Io infermiere n°3, 2008; p 30-31-32-33-34 (on line). Disponibile da:
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Capitolo 2: OBIETTIVI
L’obiettivo della tesi è di far emergere cosa vivono effettivamente gli infermieri in questo contesto, essendo l’unità operativa di sanità penitenziaria un posto di lavoro che non viene frequentato durante il tirocinio.
Gli obiettivi principali sono:
Conoscere la normativa che disciplina l’assistenza sanitaria all’interno degli istituti penitenziari e comprenderne l’evoluzione;
Individuare il ruolo dell’infermiere nella realtà penitenziaria; Esplorare il vissuto percepito dall’infermiere;
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Capitolo 3: INDAGINE
3.1 Il campione e il contesto
All'inizio dello studio sono stati contattati tutti gli istituti penitenziari del Veneto ad eccezione dell'istituto penitenziario di Belluno, per motivi logistici e organizzativi, ma c'è stato contatto telefonico solamente con gli istituti penitenziari di Vicenza, Padova, Verona, Rovigo e Treviso. Nonostante ciò, vicissitudini e difficoltà di contatto hanno portato a selezionare gli istituti di Vicenza, Padova e Verona presentando loro la richiesta di intervista all’infermiere finalizzata alla tesi, previo contatto verbale. Di questi 3 istituti solamente l'istituto penitenziario di Vicenza ha dimostrato piena disponibilità all'intervista. Sono stati coinvolti nell'intervista tutti gli infermieri dell'istituto, per un totale di 9 infermieri, escludendo gli infermieri occupati nel Servizio per le Dipendenze (SERD). E' stato scelto questo sistema metodologico per poter aver un campione che avesse a che fare per più tempo durante il turno di lavoro con figure penitenziarie, detenuti e medici.
3.2 Modalità d’ indagine La ricerca bibliografica
Dapprima è stata effettuata una ricerca bibliografica della letteratura relativa al tema dell'infermiere che lavora in carcere attraverso la banca dati PubMed, utilizzando come stringhe di ricerca: nurse, prison, prisoners, bournout. Poiché tale ricerca bibliografica non ha permesso di individuare materiale relativo a esperienze sul territorio nazionale, sono state condotte altre ricerche su Google Scholar usando la formula: “infermiere penitenziario” e “prison nurse”.
Nonostante ciò gli articoli individuati non erano del tutto inerenti a ciò che si ricercava, per cui la consultazione si è spostata sui siti IP.AS.VI, Ministero della Giustizia, Regione Veneto, e siti propri degli istituti penitenziari italiani.
Intervista ad un campione di infermieri
E' stata condotta un'intervista con lo scopo di trovare informazioni riguardo al vissuto dell'infermiere in carcere (vedi allegati 4-5-6-9).
3.3 Strumenti d’indagine
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prof. Ivo Lizzola, correlatore e docente di pedagogia della marginalità e della devianza, pedagogia dei diritti umani e pedagogia sociale, nel corso di laurea di scienze umane e sociali dell’Università di Bergamo. E' stata realizzata grazie alla consultazione della letteratura selezionata, di alcune tesi di laurea e di articoli che trattavano l'argomento ricercato in alcuni siti elencati. L'intervista è stata elaborata nel rispetto dei requisiti concettuali, metodologici e procedurali al fine di far uscire effettivamente l'argomento in questione.
La sua struttura è divisa in quattro sezioni principali:
La prima parte è anagrafica in cui (senza chiedere generalità che potessero rilevare l'identità dei singoli soggetti) viene effettuata una raccolta dei dati personali di riferimento. In questa prima parte viene chiesto il sesso e l'anno di nascita;
La seconda parte riguarda la formazione professionale: titolo di studio professionale, altri titoli professionali, esperienze lavorative passate;
La terza parte affronta e analizza l'aspetto penitenziario proprio dell'infermiere, chiedendo da quanto lavora nella struttura penitenziaria, le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo posto di lavoro, se si è partecipato a corsi di aggiornamento specifici, aspettative professionali passate e odierne:
La quarta parte analizza se sono possibili momenti di relazione con il detenuto, come si sente l'infermiere in carcere, la soddisfazione percepita, la collaborazione con la polizia penitenziaria e la percezione della relazione medico-detenuto.
3.4 Risultati ottenuti sul campione ottenuto
Lo strumento di raccolta dati è stato somministrato a tutti gli infermieri dell'unità operativa di sanità penitenziaria di Vicenza.
3.4.1 Dati socio-anagrafici
Per quanto riguarda la prima parte anagrafica dell'intervista, i dati sono i seguenti:
Età: Il 56% del campione ha un'età di oltre 50 anni mentre il 44% ha un'età che va dai 35 ai 50 anni. Ciò fa capire che il personale infermieristico che lavora all'interno dell'istituto ha raggiunto comunque una maturità personale che può essere un ulteriore valore per ciò che riguarda il modo di porsi con le figure penitenziarie e i detenuti e l'assistenza infermieristica stessa, dato da non sottovalutare in questo contesto;
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Sesso: Il 78% del campione è di sesso femminile mentre il 22% è di sesso maschile.
3.4.2 Dati esperienza lavorativa professionale
Per quanto riguarda la seconda parte dell'intervista, rispetto alla formazione professionale, i dati sono i seguenti:
Formazione professionale: Il 100% del campione, ha una formazione professionale con diploma regionale; di questo totale il 10% dello stesso ha integrato il proprio diploma con la laurea universitaria;
Il 20% del campione ha una formazione in Master di coordinamento, il 10% in Master di mediazione linguistica e culturale, il 10% in Master in urodinamica e il restante 60% non ha acquisito altri master o titoli professionali;
Esperienza lavorativa: Per ciò che riguarda le esperienze lavorative infermieristiche del campione, si può notare nel grafico la variabilità di unità operative in cui hanno lavorato gli infermieri: il 64% del campione ha lavorato nell'area internistica, il 28% ha lavorato nell'area chirurgia, il 6% ha lavorato nell'assistenza domiciliare e il 3% ha lavorato nell'area critica. Questi dati sono rilevanti perchè mettono in evidenza l'esperienza lavorativa degli infermieri indispensabile in questo contesto in cui si può avere a che fare con pluripatologie ed è fondamentale l'esperienza clinica.
Area internistica 64% Area chirurgica 28% Area critica 3% Assistenza territoriale 5%
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La carriera lavorativa di ogni infermiere supera i 20 anni di lavoro come si può notare nel grafico:
3.4.3 Esperienza nell’ambito carcerario
Per quanto riguarda la terza parte dell'intervista, analizzando l'aspetto penitenziario proprio dell'infermiere, i dati sono i seguenti:
Riguardo al tempo di lavoro nella struttura penitenziaria del campione, l'11% lavora da 11-15 anni, il 22% lavora da 6-10 anni; in questi 2 dati si può riscontrate che parte del campione ha vissuto il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie e dei rapporti di lavoro. Il 56% lavora da 1-5 anni mentre l'11% lavora da meno di un anno. Più di 35 anni 22% 30-40 anni 11% 25-30 anni 22% 20-25 anni 45% Meno di 20 anni 0% Esperienza lavorativa 11-15 anni 11% 6-10 anni 22% 1-5 anni 56% Meno di un anno 11%
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Tempi d’ inserimento: rispetto alla mappature delle competenze e definizione dei
tempi di apprendimento richiesti dalla struttura (vedi allegato 8), sono necessari 2 anni di percorso per l'inserimento completo e autonomo dell'infermiere nella casa circondariale.
Motivazione: le motivazioni che hanno portato il campione studiato a lavorare nel contesto penitenziario sono state abbastanza simili e si possono riassumere affermando che tra i vari motivi ci sono la richiesta di trasferimento da altri reparti per motivi di lavoro o personali, proposte da parte del personale dirigenziale dell'ulss e il bisogno di un riscontro umano più forte, dato dalla diversità dell'utenza e del contesto. La motivazione di partenza è estranea alla complessità del contesto e con aspetti motivazionali deboli. Ciò, come vedremo, non sarà un ostacolo alla professione.
Aggiornamento: Nella domanda 7 viene chiesto se il campione ha partecipato a corsi di aggiornamento inerenti la realtà carceraria. I corsi sono pochi per il personale infermieristico penitenziario, ma vengono comunque preparati da altri servizi (es. SERD) con l'aggiunta di elementi specifici per il contesto. Gli argomenti che sono stati trattati finora e che accomunano la maggior parte del campione sono corsi di formazione riguardo alla prevenzione e al rischio di suicidio in carcere, la tossicodipendenza, l'etnoclinica, la somministrazione farmacologica in carcere, il vissuto dei parenti dei detenuti, la relazione con il detenuto e realtà multiculturali; Il 100% del campione lavora nella sezione maschile poiché l'istituto penitenziario di
Vicenza è un istituto che accoglie solamente detenuti di sesso maschile;
Nella domanda 9 viene chiesto rispetto alla aspettative come si vede oggi in questa realtà; parte del campione ha fatto riferimento all'inizio della propria carriera lavorativa penitenziaria in cui entrava per la prima volta la figura del coordinatore infermieristico, figura sconosciuta all'amministrazione penitenziaria, totalmente nuova visto la riforma legislativa e la presenza di un'effettiva equipè infermieristica. Il totale del campione non si aspettava niente e all'inizio trovava le dinamiche penitenziarie incomprensibili, l'ambiente completamente diverso e chiuso e le moltissime leggi da seguire. Viene riferito che la paura effettiva non era il contesto, ma perdere le conoscenze infermieristiche maturate fino ad ora, visto la ricca esperienza precedente e per una piccola parte la paura era di non essere accettati dal personale penitenziario. Ora invece
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emerge che le dinamiche si comprendono di più, che si cerca di mantenere i propri presupposti di lavoro seguendo i detenuti e rispettandoli e che ora ci si sente effettivamente un professionista. La sensazione è quella di sentirsi adeguati al contesto, propensi e felici con una serenità maggiore rispetto a quella iniziale, raggiungendo una maturità personale e professionale.
3.4.4 La relazione con il detenuto e il vissuto dell’infermiere
Per quanto riguarda la quarta parte dell'intervista, incentrata sulla relazione e il vissuto personale dell'infermiere, si considerano queste situazioni:
Difficoltà della relazione: Il 100% del campione afferma che ci sono momenti di relazione con il detenuto durante la somministrazione della terapia e le medicazioni, ma ci sono alcune variabili che la rendono più complessa tra cui l'agente che segue l'infermiere e la sua disponibilità di tempo, e la presenza dell'agente stesso che può rendere più difficoltosa la relazione solamente con la sua presenza poiché il detenuto non riesce ad aprirsi al dialogo. Alcuni infermieri passando tra le varie sezioni riescono comunque a ritagliare momenti di relazione con i detenuti andando appositamente alla ricerca del dialogo. Un aspetto da tenere in considerazione è che i detenuti si relazionano in maniera diversa se è presente l'agente o no, di conseguenza la relazione subisce un cambiamento tanto che alcuni detenuti chiudono la relazione o cambiano argomento. E' una relazione che non viene definita alla pari essendo un ambiente di costanti regole da seguire. Il rapporto di fiducia infermiere-detenuto si può stabilire, nonostante sia complicato e ci voglia pazienza, non con tutti poiché alcuni possono essere troppo esuberanti, mancare di rispetto e per evitare ciò, una tecnica molto semplice è dare del “lei”, mantenendo e incentivando la distanza terapeutica e personale.
L’approccio al detenuto: tra le caratteristiche di relazione con il detenuto emerge il
porsi con un atteggiamento di spontaneità ed elementi come la gentilezza, il sorriso, la sincerità, il saluto, senza mai cedere alla provocazione.
“Dimenticare” il reato: importante è non vedere il reato che hanno commesso, di cui
la maggioranza degli infermieri non vuole essere a conoscenza per paura di farsi condizionare (almeno all'inizio della loro carriera lavorativa), ma relazionarsi con tutti
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in maniera uguale senza giudicare, altrimenti non si lavorerebbe serenamente. I detenuti sono persone, per cui è importante scindere la parte umana dalla parte del detenuto ed è positivo per la relazione, ma soprattutto per loro.
Nuovi detenuti: I problemi di relazione riguardano inoltre la barriera linguistica e l'arrivo di nuovi detenuti. Infatti, può succedere, che essendo più arrabbiati sono più ingestibili e rendono difficoltosa la relazione perché non conoscono e non c'è la stima, ma con il tempo e la pazienza ci si conosce di più e le situazioni cambiano in meglio grazie alla relazione di fiducia che può instaurarsi. Nel caso in cui le provocazioni siano molte o non si riesca ad instaurare una relazione efficace, l'infermiere prende in mano la situazione chiudendo i discorsi iniziati, usando il silenzio, e concludendo il proprio lavoro serenamente;
I sentimenti dell’infermiere: Nella domanda 13 viene chiesto, con l'aiuto dell'allegato
“Elenco di parole di sentimento”, come si sente l'infermiere che lavora in carcere e nel grafico seguente sono esposte le parole di sentimento divise nelle
categorie dell'elenco (vedi allegato 4).
Il 38% dice parole della categoria FELICE, il 31% rientra nella categoria FORTE, il 14% categoria CONFUSO, il 10% categoria SPAVENTATO, il 7% categoria TRISTE e nessuno nella categoria DEBOLE. Il totale delle parole dette sono state 14 scelte tra le varie categorie. Tra le parole dette dall'elenco delle parole di sentimento emergono soprattutto FELICE e FORTE che anche se possono essere una sorpresa in questo
Felice 38% Forte 31% Confuso 14% Spaventato 10% Triste 7% Debole 0%
22
contesto, effettivamente non lo sono, perché il lavoro dell'equipè infermieristica fa notare che alla base vi è solidità, omogeneità ed aiuto reciproco che permette serenità di lavoro nonostante il contesto non sia dei più sereni, ciò dimostrato anche dal grado di soddisfazione percepita sul lavoro.
Aspetto interessante è che le parole che hanno accezione positiva, sono state dette da tutti gli infermieri, ma soprattutto da quelli che hanno più esperienza mentre le parole con accezione negativa, sono state dette per la maggior parte dagli infermieri che hanno meno anni di esperienza.
Nella domanda 14 il 100% del campione ritiene che la relazione con il detenuto sia un'occasione di crescita non solo professionale, ma umana. Il ruolo infermieristico va
11-15 anni 5% 6-10 anni 60% 2-5 anni 25% meno di 2 anni 10%
Parole positive rispetto agli anni di esperienza
11-15 anni 0% 6-10 anni 20% 2-5 anni 40% meno di 2 anni 40%
23
oltre il reato ed è un'ulteriore radicazione della professione infermieristica portando effetti positivi anche nella cura. I sentimenti prevalenti sono pena e preoccupazione verso il detenuto in contrapposizione ad infermieri che riferiscono di essere a loro agio essendo una situazione stimolante, diversa dall'ospedale e cercando di porsi in ascolto. Paure: Nella domanda 15 il 100% degli infermieri riferisce di vivere “bene” la realtà
carceraria. Emerge che la paura in questo contesto detentivo non c'è, ma c'è più paura per le situazioni che possono instaurasi a livello penitenziario perché se succede qualcosa l'equipè infermieristica non ne viene a conoscenza, ma bisogna solamente rispettare le regole penitenziarie e attendere. Il fare il proprio lavoro al meglio, serenamente e facendo ciò che è vantaggioso e che può far bene all'utente è un altro aspetto ricorrente.
Malattie: Per quanto riguarda le malattie, i detenuti con malattie più gravi vengono inviati in altre strutture e in caso di necessità vanno inviati in ospedale (es. casi di autolesionismo o sospetto diagnostico). Le malattie più gravi riguardano la patologia psichiatrica, ma in generale non ci sono grandi malattie fisiche, sono più situazioni legate allo stato d'animo e allo spazio detentivo. Vivere con animo aperto e in ascolto è ulteriore modo per poter lavorare al meglio in questa realtà;
Ambivalenza della richiesta: Nella domanda 16, secondo gli infermieri intervistati, emerge che il detenuto potrebbe percepire l'infermiere come un'altra opportunità per ottenere qualcosa, un tramite per il medico e l'agente. Nello stesso tempo come ruolo d'aiuto, di tutela, rispettando la figura infermieristica e capendo che la presenza dell'infermiere è per il suo bene, tanto che viene espresso di essere percepiti come persone su cui può contare. L'infermiere deve dimostrare fiducia senza abbassare l'attenzione; attuare l'ascolto attivo, consentendo uno sfogo di relazione che può essere costruttivo nel corso della permanenza del detenuto all'interno dell'istituto per la relazione di fiducia;
Soddisfazione percepita: Nella domanda 17 il 78% del campione non lascerebbe questo contesto lavorativo, mentre il 22% del campione lo lascerebbe solo per proposte migliori o perché non vuole lavorare in questo contesto fino al pensionamento;
24
I dati emersi mostrano che il grado di soddisfazione percepita è molto alto in quanto oltre 1/3 del campione è pienamente soddisfatto mentre nessuno è insoddisfatto. Ciò è un ulteriore dato positivo per quanto riguarda il lavoro nell'istituto penitenziario. Anche in questo caso, il grado più alto è stato dato dagli infermieri che lavorano nell'istituto da più anni mentre il grado più basso è stato dato dagli infermieri che lavorano da meno anni.
Comportamento assertivo: Nella domanda 19, è stato chiesto il modo di ritenersi percepito nella relazione con il detenuto, il risultato è esposto nel grafico seguente:
Il 78% ritiene di essere assertivo, l'11% passivo e l'11% aggressivo. Questi dati dimostrano che il luogo presenta difficoltà di relazione poiché strumentalizzazioni,
Ottima soddisfazione (9-10) 67% Buona soddisfazione (8) 11% Discreta soddisfazione (7) 22%
18- Da 0 a 10, dica il grado di soddisfazione percepita per il suo lavoro Aggressivo 11% Assertivo 78% Passivo 11%
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mancanza di rispetto da parte dei detenuti e le provocazioni possono rendere ulteriormente complicato il lavoro attivando delle modalità di relazione che possono non essere efficaci.
Rapporto con il personale penitenziario: Nella domanda 20 rispetto al valutare il ruolo e i comportamenti del personale di polizia penitenziaria il campione, nonostante in parte sia stato vago nelle risposte, riferisce che c'è stata un'evoluzione dall'inizio del loro lavoro in carcere percependo un miglioramento dato anche dal continuo turn-over e dalla presenza di agenti giovani molti tra i quali laureati. Essendo il loro un lavoro molto difficile è fondamentale la collaborazione e non la contrapposizione con l'area sanitaria poiché garantiscono la sicurezza del detenuto e quella del personale sanitario. Molte volte sono ritenuti una difficoltà in più per il lavoro infermieristico, altre volte un supporto, riferendo di essere una risorsa indispensabile soprattutto quando si ha a che fare con detenuti che non collaborano o che non permettono una buona relazione. Nella domanda 21, il 44% del campione riferisce che non vi è collaborazione tra area
sanitaria e area del controllo, il 44% riferisce che c'è una serena collaborazione mentre il 12% si considera neutrale. Ciò è dato dal fatto che la collaborazione è soggettiva, gli agenti sono numerosi ed è complicata l'omogeneità di lavoro da parte loro, nonostante ciò il miglioramento e l'evoluzione continua viene percepita. Ciò che potrebbe aiutare il rapporto tra le due aree è la collaborazione e il parlarsi, trovando un punto d'incontro e condividendo le varie esperienze per poter capire effettivamente come vivono le situazioni le due aree e venirsi incontro.
Nella domanda 22 viene chiesto il parere personale rispetto al regime di sorveglianza dinamica integrata (vedi allegato 7), un modo di fare sorveglianza, alternativo alle modalità tradizionali, che conduce dalla semplice custodia e dal controllo assoluto della persona alla conoscenza di essa. Per il 67% del campione è un regime positivo poiché permette ai detenuti di poter uscire dalle loro celle, favorendo il dialogo con altri detenuti, nonostante siano sempre rinchiusi e ritenendo che sarebbe più utile farli uscire all'aria aperta o tenendoli occupati con qualche attività. Per il 33% non è un regime del tutto positivo perché ha creato malumori tra gli agenti, che hanno un minor controllo delle dinamiche e anche fra i detenuti, che avendo le celle aperte subiscono furti da altri detenuti e non mancano episodi di risse, ritenendolo un regime che crea situazione
26 ritenute pericolose.
Nella domanda 23 la relazione medico-detenuto per il 56% dipende dal medico con cui il detenuto è in relazione, per il 33% è una relazione efficace, mentre per l'11% non è una relazione efficace. Ciò che viene percepito è che è il detenuto stesso a scegliere il medico con il quale aprirsi, instaurando una buona relazione di fiducia, ma è importante tenere presente che una parte dei detenuti quando va in visita medica lo fa solamente per ottenere qualcosa (es. terapia aggiuntiva), aspetto manipolatorio che non crea i presupposti di una relazione efficace.
27
Capitolo 4: CONCLUSIONI
4.1 Limiti dello studio
Uno dei limiti principali di questo studio è stata la difficoltà di poter estendere lo studio ad ulteriori istituti penitenziari in cui servivano appositi permessi e procedure più impegnative, oltre a resistenze di vario tipo da parte degli stessi, per poter fare l'intervista agli infermieri e poter entrare direttamente nell'istituto. Di conseguenza il limite principale è stato l’esiguità del campione.
4.2 Conclusioni
Tra i dati che principalmente emergono, i più rilevanti sono i seguenti:
Tutto il campione ha più di 20 anni di esperienza lavorativa come infermiere;
Tutti gli infermieri ritengono di avere una tipologia di relazione efficace con il detenuto, ponendosi in ascolto con l’utente difficile, anche se in lieve contraddizione con alcuni atteggiamenti non assertivi;
Il 69% delle parole di sentimento hanno accezione positiva mentre il restante 31% ha accezione negativa;
Riguardo alle parole di sentimento, quelle con accezione positiva sono state dette da chi ha più esperienza nell'istituto, mentre quelle con accezione negativa da chi ha meno esperienza nell'istituto (aspetto che solitamente nelle unità operative ospedaliere è opposto);
Il grado di soddisfazione percepita per il lavoro inizia con discreta soddisfazione (7), valore che nonostante sia il più basso emerso, nella scala numerica da 0 a 10 è ritenuto un valore molto alto. Inoltre il totale del campione afferma di vivere bene il contesto penitenziario e la tendenza a pensare di lasciare questo contesto di lavoro è negativa; La maggior esperienza porta ad una maggiore soddisfazione, ad affrontare meglio le
situazioni poiché il bagaglio di competenze è maggiore e permette di gestire le situazioni nel modo più professionale;
Il rapporto del campione con la polizia penitenziaria è ambivalente: viene valutato come una risorsa da quasi la metà del campione e come una difficoltà in più per la restante parte.
28
Da questo studio si può riscontrare un confronto e conferma dallo studio di Almost e Doran in cui effettivamente ci sono livelli di bornout inferiori rispetto ad altre unità operative ospedaliere e le uniche condizioni di difficoltà riguardano infermieri che lavorano nell'istituto da meno tempo poiché hanno meno esperienza.
A fronte dei risultati ottenuti si può definire e capire cosa vive l'infermiere all'interno del contesto, nonostante lo studio si sia focalizzato solo in un istituto penitenziario. L'esperienza lavorativa alla spalle di ogni infermiere sottoposto all'intervista è tra i dati più importanti poiché essendo un contesto difficile che presenta dinamiche complicate e a volte incomprensibili, è fondamentale per poter affrontare il luogo penitenziario, per poter essere riconosciuti come professionisti e per poter agire nella maniera più giusta e adeguata. I corsi di aggiornamento sono pochi e sarebbe indispensabile ce ne fossero di più poiché nessuno ha insegnato agli infermieri che hanno più esperienza all'interno dell'istituto come lavorare, ma hanno dovuto usare tutta la loro esperienza e il confronto continuo per poter permettere un'assistenza infermieristica adeguata al contesto. Ciò è un dato positivo poiché ha garantito un'omogeneità di lavoro e ha permesso di costruire una buona equipè infermieristica, ma nello stesso tempo sarebbero indispensabili corsi di aggiornamento non occasionali dato il contesto in continua evoluzione.
Nonostante i vari limiti dello studio, ciò che è stato un limite ma allo stesso momento una ricchezza, sono stati i racconti degli infermieri in cui dopo aver fatto una domanda erano stimolati a raccontare sempre qualcosa in più rispetto alla domanda stessa. Ciò, dalla scrivente, viene ritenuta una ricchezza poiché ha fatto si che si potesse capire perfettamente come l'infermiere vive il carcere, esponendo molto sfumature che in una tesi di questo tipo purtroppo non si possono scrivere poiché rientra nel segreto professionale. Il modo in cui gli infermieri si sono aperti al dialogo è stata una situazione inaspettata e un ulteriore dato di valore. Ciò fa capire che nonostante il luogo sia chiuso e difficilmente accessibile, l'assistenza infermieristica non cambia, e la presa in carico del paziente in modo olistico è la base anche per questo contesto alternativo e insolito. I fondamenti infermieristici sono indispensabili, permettendo, aiutando e sostenendo il lavoro infermieristico. I bisogni del detenuto, la relazione che deve esserci e la preparazione infermieristica in questo luogo è fondamentale sia perché si viene quotidianamente messi alla prova dai detenuti stessi, sia perché è un contesto di lavoro impegnativo in cui si lavora in equipe.
BIBLIOGRAFIA
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