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Storia della Formazione Professionale in Italia Vol. IV Gli anni 1860-1879

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Academic year: 2021

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(1)STUDI. STUDI PROGETTI ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE. La collana è nata nel 2003 con l’obiettivo di contribuire al dibattito suscitato in Italia dalle riforme sul sistema di istruzione e formazione. Propone una costante attività di studi, progetti ed esperienze, che permette al CNOS-FAP e al CIOFS/FP di rispondere prontamente ai cambiamenti e di adeguare le attività ai fabbisogni formativi ed educativi dei destinatari.. • GHERGO F., Storia della Formazione Professionale. in Italia 1947-1997. Dal dopoguerra agli anni ’70, vol. 1, 2009 • PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 • ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 di storia, 2011 • MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”. Indagine conoscitiva e prospettive di futuro, 2011 • GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia, 1947-1997. Gli anni ’80, vol. 2, 2011 • GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia, 1947-1997. Gli anni ’90, vol. 3, 2013 • CUROTTI A., Il ruolo della Formazione Professionale salesiana da Don Bosco alle sfide attuali, 2013 M • ALIZIA G. - M. TONINI, Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 • PELLEREY M. (a cura di), Strumenti e metodologia di orientamento formativo e professionale nel quadro dei processi di apprendimento, 2018 M • ANTEGAZZA R., Articoli da amare. La Costituzione italiana spiegata ai ragazzi, 2020. Federazione CNOS-FAP Sede: Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma tel. 06 51.07.751 (r.a.) - Fax 06 51.37.028 e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it sito: www.cnos-fap.it. ISSN 1972-3032 ISBN 978-88-31972-11-6. CNOS-FAP. Storia della Formazione Professionale in Italia - Vol. IV. Collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale”. STUDI PROGETTI ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE. Storia della Formazione Professionale in Italia Gli anni 1860-1879 Volume IV. Il CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale), è una associazione di fatto, costituita nel 1977, promossa dal CNOS, ente con personalità giuridica civilmente riconosciuta con D.P.R. n. 1016 del 20.09.1967 e D.P.R. n. 264 del 02.05.1969. È l’istituzione che rappresenta i salesiani d’Italia impegnati nell’area dell’orientamento, della formazione e dell’aggiornamento professionale, nello stile educativo di don Bosco. Opera con percorsi di formazione iniziale, superiore e continua in interazione con il sistema dell’istruzione e del mondo del lavoro. Il CNOS-FAP coordina attualmente, attraverso la Sede Nazionale, 16 associazioni regionali.. CIOFS/FP. F. GHERGO. Il CIOFS/FP (Centro Italiano Opere Femminili Salesiane - Formazione Professionale) è una associazione di fatto costituita nel 1986, promossa dal CIOFS, ente con personalità giuridica civilmente riconosciuta con D.P.R. n.1105 del 20.10.1967. Rende attuale l’attenzione al mondo della formazione e del lavoro che Maria Mazzarello avviò con i laboratori familiari (1872) curando l’apporto peculiare che le donne sono chiamate ad offrire alla società. Opera con percorsi di formazione iniziale, superiore e continua in interazione con il sistema dell’istruzione e del mondo del lavoro. È presente attualmente, con coordinamento nazionale, in 15 Regioni d’Italia..

(2) Storia della Formazione Professionale in Italia Volume IV Gli anni 1860-1879. Fulvio GherGo. Anno 2020.

(3) © 2020 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma Tel.: 06 5107751 - Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it.

(4) Sommario. Note tecniche a) L’oggetto di indagine.............................................................................................. b) Le fonti consultate .................................................................................................. c) La terminologia tecnica utilizzata........................................................................... d) La struttura del volume............................................................................................ 7 11 13 14. Capitolo i Gli anni ‘60. la prima legge italiana sulla scuola e l’esclusione dell’istruzione professionale dal sistema scolastico nazionale iNtroduzioNe - Gli eveNti e i feNomeNi del deCeNNio 1. Il processo di unificazione nazionale...................................................................... 2. La popolazione dello Stato Unitario....................................................................... 3. La popolazione per professioni............................................................................... 4. La piemontizzazione del nuovo stato nazionale ..................................................... 5. Il “nuovo” sistema scolastico nazionale ................................................................. 6. Le risorse finanziarie per il sistema scolastico nazionale....................................... 7. Scontro Chiesa e Stato in materia di istruzione...................................................... 8. Il processo di industrializzazione e nuove competenze.......................................... 9. L’istruzione professionale come fenomeno extrascolastico ................................... 10. Il quadro complessivo del sistema formativo italiano ............................................. 19 20 23 25 27 30 33 37 38 44. la leGGe CaSati 1.1. Premessa .......................................................................................................... 1.2. I precedenti piemontesi.................................................................................... 1.3. Gli ordinamenti degli studi .............................................................................. 1.4. Funzione socio-politica del sistema scolastico casatiano ................................ 1.5. Analisi delle strutture dell’istruzione media..................................................... 47 48 53 63 68. il SiStema pubbliCo di iStruzioNe profeSSioNale: aSpetti iStituzioNali 2.1. Istituzione del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio (MAIC).... 2.2. Collocazione della Istruzione Professionale all’interno del MAIC nel decennio 2.3. Il consiglio superiore per le scuole professionali del MAIC ........................... 2.4. Il ruolo delle Province ..................................................................................... 2.5. Il ruolo delle camere di commercio.................................................................. 75 79 82 85 90. il SiStema pubbliCo d’iStruzioNe profeSSioNale: le attività 3.1. La Relazione Pepoli......................................................................................... 3.2. Istituti Tecnici e scuole speciali........................................................................ 93 96. 1.. 2.. 3.. 3.

(5) 3.3. Istruzione nautica............................................................................................. 3.4. L’Istruzione Professionale di terzo livello: le scuole superiori nell’industria e nel commercio............................................................................................... 3.5. Le scuole professionali .................................................................................... 3.6. Attività formativo-professionali a favore delle donne..................................... 4.. attività private di formazioNe profeSSioNale Nel deCeNNio 4.1. Premessa .......................................................................................................... 4.2. La Formazione Professionale del mondo cattolico.......................................... 4.3. L’Istruzione Professionale promossa dal mondo laico .................................... 4.4. Considerazioni conclusive................................................................................ 132 176 189 217 225 225 246 270. Capitolo ii Gli anni ‘70. una moderata espansione delle scuole professionali la prima normativa amministrativa iNtroduzioNe - Gli eveNti e i feNomeNi del deCeNNio 1. Roma capitale del Regno........................................................................................ 2. La Sinistra al potere................................................................................................ 3. La popolazione ....................................................................................................... 4. Le professioni ......................................................................................................... 5. Una popolazione in larga misura povera: le condizioni dei lavoratori della terra.. 6. Una popolazione in larga misura analfabeta........................................................... 7. Il sistema formativo italiano alla fine degli anni ‘70.............................................. 8. L’istruzione tecnico-professionale.......................................................................... 9. Le risorse finanziarie per il sistema formativo nazionale....................................... 1.. 2.. 3.. 4.. 285 289 291 292 296 300 306 309 314. il quadro iStituzioNale 1.1. Collocazione della Formazione Professionale all’interno del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio ............................................................ 1.2. Soppressione del MAIC (1877)....................................................................... 1.3. Ricostituzione del MAIC (1878) ...................................................................... 315 316 318. le attività pubbliChe di iStruzioNe profeSSioNale Nel deCeNNio 2.1. Istruzione Tecnica............................................................................................ 2.2. Le scuole superiori........................................................................................... 2.3. Le scuole professionali – arti e mestieri governative ....................................... 323 360 372. le attività private di iStruzioNe profeSSioNale 3.1. Premessa .......................................................................................................... 3.2. Scuole professionali di ispirazione cristiana ................................................... 3.3. Scuole professionali – arti e mestieri fondate dall’associazionismo ............... 3.4. Scuole fondate da benefattori e filantropi......................................................... 411 411 419 425. CoNSiderazioNi CompleSSive Sulle SCuole profeSSioNali – arti e meStieri foNdate Nel deCeNNio. 4.1. Premessa .......................................................................................................... 4.2. Le denominazioni ............................................................................................ 4.3. Anno di istituzione delle scuole........................................................................ 4. 431 431 434.

(6) 4.4. Comparti economici e aree professionali ........................................................ 4.5. Utenza.............................................................................................................. 4.6. Tipologia di gestione ....................................................................................... 4.7. Distribuzione territoriale delle scuole.............................................................. 4.8. Distribuzione regionale delle scuole per tipologia di gestione......................... 434 436 441 443 455. la prima reGolameNtazioNe ammiNiStrativa: la CirColare Cairoli 5.1. Norme per la Scuola d’arti e mestieri e per la Scuola d’arte applicata alla industria .................................................................................................... 5.2. Analisi della normativa..................................................................................... 457 467. 6. la SpeSa per l’iStruzioNe profeSSioNale ............................................................ 475. bibliografia .................................................................................................................... 481. indice.............................................................................................................................. 489. 5.. 5.

(7) Note teCNiChe. Per una comprensione della ricerca storica contenuta in questo volume ci sembra doveroso preliminarmente identificarne e circoscriverne l’oggetto, precisare le fonti consultate, spiegare le scelte della terminologia tecnica usata, illustrare la struttura formale del volume. a) L’oggetto di indagine Occorre cioè, prima di tutto, rispondere alla domanda: qual è la Formazione Professionale di cui si vuole ripercorrere le evoluzioni e i cambiamenti nel tempo? Se il sostantivo formazione sta ad indicare un percorso di istruzione/educazione/apprendimento l’aggettivo professionale rappresenta il traguardo cui tende tale percorso e che quindi qualifica la natura del percorso stesso. Il punto di arrivo finale di tale percorso, e quindi il suo obiettivo, è fornire a chi lo ha frequentato le capacità per effettuare una prestazione lavorativa, almeno ad un livello iniziale di produttività. Queste capacità, che sono rappresentate da conoscenze e abilità specifiche per ciascun tipo di compito lavorativo, vengono chiamate competenze. Ma dove e come possono essere acquisite le competenze? La recente letteratura in materia ha precisato che le competenze possono essere apprese in contesti formali (in un percorso di formazione strutturato), non formali (in ogni altro ambiente strutturato che persegua scopi educativi e formativi come: volontariato, Servizio Civile Nazionale, privato sociale, imprese ed apprendistato) ed informali (in qualunque esperienza durante l’arco della vita)1 (Cfr. Fig. n.1).. 1 D.Lgs. n. 13 del 16 gennaio 2013 “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’art. 4, commi 58 e 68, della L. n. 92/12”, in GAzzETTA UFFICIALE n. 39 del 15 febbraio 2013.. 7.

(8) Figura n. 1 - Apprendimento delle competenze professionali. Naturalmente noi ci occuperemo di processi formativi della categoria “contesti formali”; categoria nella quale rientrano anche i percorsi della scuola e dell’Università. Ma vi rientra pure quell’insieme di azioni formative, attivate al di fuori della scuola e dell’università, destinate sia ad utenti che devono entrare nel mercato del lavoro sia a quanti, già occupati, intendono aggiornare o perfezionare le proprie competenze o si vogliono riqualificare per un’altra occupazione. Un insieme di attività a cui nel tempo sono stati dati diversi nomi: istruzione, addestramento, formazione e seguiti, quasi sempre, dallo stesso aggettivo: professionale. Un insieme di attività con un basso livello di regolamentazione, affidata più spesso ad atti amministrativi che a leggi organiche. Un insieme di attività che, a livello centrale, avrà come riferimento istituzionale o un Ministero di attività economiche o il Ministero del lavoro, oltre a coinvolgimenti sia con i soggetti pubblici locali sia con il tessuto e le realtà economico-culturali del territorio. Un insieme di attività che nel tempo svilupperà una sua peculiare didattica, che non assume programmi predefiniti e standardizzati, ma elabora progetti formativi, che alternano l’aula e il laboratorio, periodi di studio con periodi di esperienza lavorativa e che strutturano il percorso di apprendimento insegnamento secondo criteri di brevità essenzialità e polivalenza. Un insieme di attività gestito da una pluralità di soggetti, pubblici o privati; questi ultimi di diversa estrazione e con riferimenti culturali diversi. È questo insieme di attività che, a causa del suo livello di destrutturazione verrà descritto come arcipelago, ma al quale riserviamo ugualmente l’appellativo di sistema in quanto tutte le parti che lo compongono hanno la stessa finalità professionalizzante, sarà l’oggetto della nostra narrazione storica: il sistema di Formazione Professionale, che da sempre nell’ordinamento italiano ha vissuto una sua vita autonoma e parallela a quella della Scuola e dell’Università. È vero che la definizione di Formazione Professionale che abbiamo sopra enunciato può essere applicata anche ad alcuni canali della scuola (si pensi in epoca contemporanea agli istituti professionali) o della università (ad esempio le specializ8.

(9) zazioni mediche o ingegneristiche) ma riserveremo la nostra attenzione esclusivamente all’istruzione-addestramento-Formazione Professionale. Figura n. 2 - La finalità professionalizzante nei tre sistemi del “contesto formale”. Perché è l’unico dei tre segmenti, che costituiscono il sistema formativo italiano, al quale la definizione data si sovrappone quasi completamente. Infatti tutte le attività realizzate da questo sistema sono sempre prevalentemente finalizzate alla acquisizione di competenze professionali. In altri termini mentre negli altri sistemi formativi ci possono essere anche delle finalità professionalizzanti, in quest’ultimo gli obiettivi di professionalizzazione sono prevalenti. E quindi mentre la definizione data si può applicare anche a qualche segmento della scuola e dell’università (Cfr. Fig. n. 2, dove il livello di finalità della professionalizzazione è resa dal colore giallo), nel caso della Formazione Professionale definizione e sistema quasi coincidono. La differenza tra Scuola/Università e Formazione Professionale rinvia ad una diversità strutturale. Ciò che le identifica e fa sì che non siano riducibili all’una o all’altra è il fatto che privilegiano due tipi di apprendimento diversi che rinviano a intelligenze diverse. Qui tocchiamo il punto nevralgico della differenza sostanziale tra un percorso scolastico ed uno professionale e che merita, pertanto una breve digressione. Pur con le necessarie cautele nei confronti di discorsi potenzialmente riduzionistici, si può affermare che nell’attività umana sono compresenti due ‘momenti’, uno conoscitivo e l’altro operativo. Il primo caratterizza l’attività scientifica, il secondo quella tecnologica. È vero che le due forme di attività sono complementari. Ma è anche vero che tra queste due forme sussiste una differenza di natura ed è proprio questa differenza che fonda la loro complementarietà. La scienza ha come obiettivo il progresso della conoscenza, la tecnologia quello della trasformazione della realtà data. La scienza mira ad acquisire nuove informazioni sulla realtà, la tecnologia tende ad immettere informazione nei sistemi esistenti. Più precisamente, la scienza tenta di elaborare sistemi esplicativi e predittivi, la tecnologia interviene nel corso delle cose, sia per impedire che certi stati o eventi si producano, sia per far apparire stati o eventi che non apparirebbero spontaneamente. 9.

(10) Non è difficile applicare queste considerazioni al confronto tra momento conoscitivo (scolastico) e momento operativo (professionale) dell’attività formativa rivolta all’uomo. Nell’analogia si conservano sia la distinzione che l’interazione trai due momenti. È su questa base teorica che si possono fondare sia l’identità specifica dei due percorsi formativi, sia la loro pari dignità. Il primo, quello scolastico, è prevalentemente finalizzato alla conoscenza, il secondo, quello professionale, è prevalentemente finalizzato alla operatività. Due vie di pari dignità, non più gerarchizzate (come si usa dire oggi, in serie A e in serie B). Abbiamo usato in modo intenzionale la locuzione “percorso formativo prevalentemente finalizzato a...”. Infatti, l’esistenza di due distinti percorsi formativi, Scuola e Formazione Professionale non richiede che nel primo ci si proponga di realizzare solo le possibilità dell’intelletto e nel secondo solo quelle della mano. I due aspetti non sono separabili, perché non si dà educazione al conoscere senza educazione all’operare e viceversa. Di conseguenza, nessuna esperienza di apprendimento dovrebbe rimanere allo stato di pura rappresentazione mentale, così come non dovrebbe rimanere allo stato di puro addestramento al fare. La non separabilità e quindi l’interazione dei due momenti ha, dunque, un significato preciso dal punto di vista didattico e trova un fondamento nella forte influenza reciproca che i due momenti hanno nella attività scientifica e tecnologica. Ma ciò non equivale a dichiarare la loro identità. Conoscere ed operare, come abbiamo visto, si distinguono nettamente per gli obiettivi che perseguono. Una analoga distinzione si instaura tra Scuola e Formazione Professionale. Qualche esempio, da intendere ovviamente nell’ottica della prevalenza. Nella Scuola il piano formativo è centrato sulle discipline teoriche, nella Formazione Professionale lo stesso piano è centrato sulle tecnologie applicate. Nella Scuola il paradigma ‘normativo’ è il programma, nella Formazione Professionale il centro propulsore è il progetto. Nella Scuola l’archetipo del corsista è lo studente, nella Formazione Professionale è l’apprendista. Nella Scuola il luogo dove si apprende è l’aula, nella Formazione Professionale il luogo di apprendimento è il laboratoriobottega-reparto2. Se la distinzione tra i sistemi è oggi sufficientemente delineata (non senza opportune e auspicabili forme di collaborazione e integrazione) altrettanto non si può dire in riferimento al passato, in particolare proprio nei decenni oggetto della nostra indagine, come avrà modo di riscontrare il lettore che vorrà addentrarsi nelle pagine che seguono. Il caso più eclatante è rappresentato dagli Istituti Tecnici. Previsti dalla Legge Casati del 1859, il legislatore nel 1861 li affida alle competenze del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio insieme a tutte le strutture formative professionalizzanti. Dopo dibattiti e riforme di segno contrario, che a volte danno agli 2. Cfr. zUCCON G.C., Meno scuola più FP, in Professionalità n. 39, maggio-giugno 1997, p. 4.. 10.

(11) Istituti Tecnici una configurazione più “liceale” a volte più “professionale”, verranno riaffidati nel 1878 al Ministero della Pubblica Istruzione. A nostro avviso questi Istituti non avevano tutte le caratteristiche che connotano e contraddistinguono un canale di Formazione Professionale (bastava analizzare l’organizzazione oraria degli insegnamenti impartiti) da autorizzare la loro collocazione sotto le competenze del Ministero che si occupava di Formazione Professionale. Ma li abbiamo ugualmente trattati, perché il primo dovere di chi fa narrazioni storiche non è quello di scegliere quello che deve essere raccontato o no in base a propri assunti e convinzioni, ma in base ai convincimenti e alla cultura del periodo studiato. In altri termini: se per quasi 20 anni gli Istituti Tecnici sono stati considerati dalle istituzioni un canale del sistema formativo-professionale, dobbiamo trattarli come tali, anche se siamo di diverso avviso. b) Le fonti consultate È proprio per attenzione alla “cultura dell’epoca” che in questo testo abbiamo avuto come riferimento principale la documentazione istituzionale e non la letteratura storiografica del settore (peraltro quantitativamente molto contenuta e che dedica al periodo considerato solo qualche cenno generale)3. Partendo dalla Gazzetta Ufficiale4 che abbiamo consultato dal numero 3 del 4 gennaio 1860 al n. 305 del 31 dicembre 1879 per un totale di 6.307 numeri, senza considerare i supplementi ordinari e straordinari5 (Cfr. Graf. n.1). In ogni numero della Gazzetta – che nelle edizioni di questi primi decenni era una sorta di zibaldone dove accanto alla pubblicazione di atti ufficiali trovavano spazio notizie di politica estera, informazioni di carattere meteorologico, romanzi a puntate, comunicati sugli andamenti delle borse... – abbiamo cercato qualsiasi tipo di informazione o di atto amministrativo che riguardasse, in maniera diretta o indiretta, la nostra materia: regolamenti, istituzione di scuole, norme per gli esami, indizione di concorsi per vacanze di cattedre o per la partecipazione a percorsi di studio all’estero, statistiche sugli esami... ma anche statistiche demografiche o relative ai settori economici.. 3 Fa eccezione il D’Amico che dedica al periodo da noi considerato il Cap. 7 e parte del Cap. 8. Vedi D’AMICO N., Storia della formazione professionale in Italia, F. Angeli, 2013. 4 Storicamente la Gazzetta Ufficiale deriva dalla Gazzetta Piemontese, il giornale ufficiale del Regno di Sardegna dal 2 agosto 1814 al 31 dicembre 1859. Il 4 gennaio 1860, la Gazzetta Piemontese cambiò nome in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia. Dal 17 marzo 1862 il sottotitolo della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia riportò la scritta Giornale Ufficiale del Regno d’Italia. Vedi augusto. digitpa.gov.it. 5 Il numero complessivo delle Gazzette varia di anno in anno in considerazione del calendario. Talvolta in maniera considerevole perché veniva pubblicata anche di domenica (negli anni 1872 e 1873 si raggiungono i 361 numeri!).. 11.

(12) Grafico n. 1 - N. Gazzette Ufficiali consultate per anno dal 1860 al 1879. Per controbilanciare le informazioni e le valutazioni istituzionali di origine governativa abbiamo anche dato spazio all’opposizione politica (che si è espressa soprattutto nei dibattiti parlamentari) o alla voce critica di esperti. Sempre per un’attenzione particolare alla “cultura dell’epoca” abbiamo spesso riprodotto testi o brani di testi originali. Abbiamo preferito, cioè, in molti casi dare direttamente la parola alle fonti piuttosto che commentarle. Per la ricostruzione del quadro complessivo delle attività di Formazione Professionale nel primo anno del Regno (e quindi per avere la “situazione di partenza”, l’“anno 0” della nostra storia) ci siamo avvalsi della Relazione del ministro Pepoli6, che contiene anche informazioni su attività iniziate prima della unificazione italiana negli stati preunitari. REGNO D’ITALIA, Relazione del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio (Pepoli) sopra gli Istituti Tecnici le Scuole di Arti e Mestieri, le Scuole di Nautica, le Scuole delle Miniere e le Scuole Agrarie, Torino 1862, Per gli eredi Botta, Tipografia della Camera dei Deputati. 6. 12.

(13) Per le attività, invece, che iniziano ad operare negli anni successivi, oltre alle informazioni provenienti dalla Gazzetta Ufficiale, ci siamo avvalsi, in particolare, di due pubblicazioni: la prima del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio che contiene notizie sulle “scuole professionali” che hanno partecipato alla Esposizione delle Scuole Industriali e Commerciali di Roma del 19077; la seconda del Ministero dell’Educazione Nazionale8, che passa in rassegna le scuole industriali attive nel 1930. Naturalmente nell’una e nell’altra fonte abbiamo fermato l’attenzione solo sulle “scuole professionali” nate nei decenni 1860 e 1870. Abbiamo completato, poi, queste informazioni, con altre desunte da ricerche bibliografiche ed emerografiche o su siti specialistici presenti nel web. c) La terminologia tecnica utilizzata Nelle pagine che seguono, riproducendo la terminologia delle fonti consultate, utilizziamo i termini istruzione professionale e scuola professionale. Termini che normalmente nella normativa e nella saggistica contemporanea non sono riferiti alla formazione di competenza delle Regioni, ma a quella di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione, secondo convenzioni semantiche che sono state definitivamente fissate dalla letteratura normativa prima e dall’uso corrente dopo nella seconda metà del secolo scorso. Nelle leggi prima e nel linguaggio corrente dopo il termine istruzione viene riferito solo al sistema scolastico del Ministero che appunto si chiama d’Istruzione, mentre per il sistema che faceva riferimento al Ministero del lavoro prima e ora fa riferimento alle Regioni si parla solo di Formazione Professionale. E così il termine scuola indicava esclusivamente la struttura formativa del sistema d’istruzione, mentre quella della Formazione Professionale si chiamava CAP, Centro di Addestramento Professionale (fino agli anni ‘70), CFP, Centro di Formazione Professionale (fino agli anni 2000) o CFP e/o Agenzia formativa nei primi decenni del 2000. Nell’800 queste distinzioni non c’erano. I termini “istruzione” e “scuola” venivano indifferentemente usati per il mondo del Ministero della Pubblica Istruzione per indicare un percorso o una struttura formativa di tipo umanistico o tecnico-scientifico e per quello del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio per indicare un percorso o una struttura di tipo tecnico-professionale. Ciò che li distingueva era l’aggettivo che veniva posposto ai due termini istruzione o scuola: “professionale” o “normale”, o “tecnica”, o “ginnasiale”, o “liceale”.. MINISTERO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREzIONE DELL’INSEGNAMENTO INDUSTRIALE E COMMERCIALE, Esposizione delle Scuole Industriali e Commerciali in Roma (Novembre7. Dicembre 1907) Catalogo, Roma, Stabilimento Giuseppe Civelli, 1907. 8 MINISTERO DELL’EDUCAzIONE NAzIONALE - DIREzIONE GENERALE PER L’ISTRUzIONE TECNICA, L’istruzione industriale in Italia, Roma, “L’universale” Tipografia Poliglotta, 1930.. 13.

(14) Nel caso della parola scuola nel sistema formativo di competenza del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio poteva essere aggiunto, invece dell’aggettivo “professionale”, un aggettivo che faceva riferimento al settore (scuola “industriale”, “commerciale”, “nautica” ...) o un complemento di specificazione (scuola “di arti e mestieri”, “di disegno”, “di arte applicata all’industria”, “di incisione del corallo”...) o un complemento di scopo o destinazione (scuola “per le arti fabbrili”). d) La struttura del volume Anche per questo lavoro, che si occupa del periodo che va dal 1860 al 1879, abbiamo replicato la scelta – già fatta per i tre volumi che si occupano della storia della Formazione Professionale dal 1947 al 19979 – di ricostruire l’evoluzione della Formazione Professionale per decenni. Per cui avremo un primo capitolo per il primo decennio (1860-1869) e un secondo per quello successivo (1870-1879). Figura n. 3 - La struttura formale del volume. Naturalmente le evoluzioni avvengono senza soluzione di continuità e i cambiamenti per lo più travalicano i limiti temporali di un decennio. L’impostazione scelta, anche se può apparire troppo didascalica, presenta il vantaggio di studiare gli avvenimenti e i fenomeni in relazione ai problemi e alla cultura di un determinato periodo molto circoscritto. A ciascun decennio si fa precedere un’introduzione con una duplice funzione: – presentare gli eventi politici economici e sociali che maggiormente lo caratterizzano e che costituiscono lo scenario nel quale si collocano i fenomeni e le vicende studiate; GhERGO F., Storia della formazione professionale in Italia 1947-1997. Vol. I, Dal Dopoguerra agli anni ‘70, Vol. II Gli anni ‘80, Vol. III Gli anni ‘90, CNOS-FAP e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. 9. 14.

(15) – ripercorrere in una visione d’insieme le principali innovazioni, le manifestazioni e gli episodi più salienti dell’istruzione professionale: un insieme di “fotogrammi” che ci consegnano l’immagine dell’istruzione professionale del decennio considerato. All’interno di ciascun capitolo considereremo: a) gli aspetti istituzionali, cioè la collocazione del sistema d’istruzione professionale a livello del governo centrale e il coinvolgimento/partecipazione dei soggetti territoriali pubblici; b) gli aspetti funzionali relativi ai soggetti formativi, pubblici e privati, che iniziano in quel periodo la loro attività (nel primo capitolo, però, come già detto, tenteremo la ricostruzione del quadro delle scuole professionali degli stati pre-unitari, anche se nate precedentemente ma operative nell’anno formativo 1860-61); c) gli aspetti legislativo-normativi che regolamentano il settore. Sezione che fa registrare un solo intervento a chiusura del ventennio considerato (Cfr. Fig. n. 3). Un’ultima informazione: nel testo sono stati riprodotti i valori monetari in lire presenti nei documenti consultati. Per trasformare tali valori in valori correnti in euro occorre utilizzare i coefficienti della tavola sottostante10. Praticamente prima viene moltiplicata la cifra espressa in lire con il coefficiente dell’anno a cui la somma monetaria fa riferimento e, poi, il prodotto viene diviso per 1.936,27. ANNI. COEFFICIENTI. ANNI. COEFFICIENTI. ANNI. COEFFICIENTI. 1861 1862 1863 1854 1865 1866 1867. 8.513,9146 8.462,3152 8.715.8677 8.962,0154 9.114,1123 9.019,9096 8.803.7957. 1868 1869 1870 1871 1872 1873 1874. 8.462,3152 8411,3373 8.291,4608 8.943,0991 7.116,62,59 6.712,8942 6.555,3146. 1875 1876 1877 1878 1879. 7.655,0548 7.234,6218 6.053.5866 7.219,6587 7.310,3770. 10. ISTAT, Il valore della moneta in Italia dal 1861 al 2009, Roma 2009.. 15.

(16) CAPITOLO I Gli aNNi ’60: la prima leGGe italiaNa Sulla SCuola e l’eSCluSioNe della iStruzioNe profeSSioNale dal SiStema SColaStiCo NazioNale.

(17) iNtroduzioNe. Gli eventi e i fenomeni del decennio. 1. il processo di unificazione nazionale Tra il 1859 (seconda guerra di indipendenza) e il 1861 l’Italia raggiunse l’Unità sotto le insegne del regno sabaudo. Dopo l’armistizio di Villafranca, seguito alla vittoria del Piemonte e della Francia a Magenta contro l’Austria, con la pace di zurigo gli Asburgo cedono la Lombardia alla Francia, che l’assegnano ai Savoia. Nei mesi successivi si unirono al Piemonte i ducati di Parma e Modena1, il Granducato di Toscana2 e parte dei territori dello Stato pontificio (l’Emilia e la Romagna)3. Per l’annessione dei territori delle Marche e dell’Umbria si attese invece la battaglia di Castelfidardo4, nel settembre del ‘60. Infine, a seguito della vittoriosa spedizione garibaldina5 (maggio 1860) e le successiNel maggio 1859, vi furono forti moti popolari per l’unione del ducato al regno sabaudo. Il 9 giugno 1859, la duchessa reggente Luisa Maria ed il figlio Roberto I furono costretti ad abbandonare il ducato. Il 15 settembre 1859 venne dichiarata decaduta la dinastia borbonica e il 30 novembre Parma entrò a far parte delle province dell’Emilia, rette da Carlo Farini. 2 Nel Granducato di Toscana erano all’opera molti sostenitori della causa dell’unità italiana; all’inizio delle ostilità tra Piemonte e Austria chiesero l’abdicazione del Granduca Leopoldo II. Questi lasciò Firenze con la famiglia. Il Municipio di Firenze preso atto della mancanza di un governo legittimo, nominò un Governo Provvisorio Toscano che offrì la dittatura a Vittorio Emanuele II che però II si limitò ad accordare la propria protezione e nominò commissario straordinario il suo inviato Carlo Boncompagni, con funzioni di capo di Stato. L’11 marzo ed il 12 marzo 1860 si tenne il plebiscito che decretò a larghissima maggioranza l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna. 3 Dopo la sconfitta di Magenta, le truppe austriache ritirarono i propri presidi stanziati a sud del Po. Ne approfittò subito il Regno di Sardegna che inviò proprie truppe nelle Legazioni pontificie. L’11 giugno 1859 il Legato pontificio di Bologna fu obbligato a lasciare la città; il giorno dopo quello di Ravenna ne seguì la sorte. Sotto la supervisione di Massimo d’Azeglio a Bologna si instaurò una giunta di governo con giurisdizione su tutto il territorio dell’ex Legazione. L’Armistizio di Villafranca (11 luglio) modificò la situazione: il re di Francia e l’imperatore d’Austria si accordarono sul ritorno delle Legazioni pontificie alla Chiesa. Ma ormai le truppe piemontesi avevano già preso possesso del territorio. Il 6 settembre l’Assemblea delle Romagne deliberò la richiesta di annessione e nei giorni 11 e 12 marzo 1860 si tenne il plebiscito per l’annessione. Il 15 marzo i territori vennero annessi definitivamente al Regno di Sardegna. 4 Ai primi di settembre del 1860, si verificarono tumulti in alcune città marchigiane, per la cui repressione si mosse l’esercito papalino. Il governo di Torino protestò contro questa repressione e chiese con una nota ufficiale il disarmo e lo scioglimento delle truppe mercenarie pontificie, ottenendo come risposta un diniego. A seguito di ciò l’11 settembre 1860 l’esercito piemontese attraversava il confine penetrando nelle Marche e in Umbria. Lo scontro avvenne il 18 settembre, a Castelfidardo e successivamente l’esercito piemontese prese la roccaforte di Ancona. Il plebiscito di annessione avvenne nel novembre del 1860. 5 Nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1860, poco più di mille volontari, presero il mare da Quarto, presso Genova. L’11 maggio 1860 sbarcarono a Marsala e Giuseppe Garibaldi assunse la dittatura dell’isola in nome del re Vittorio Emanuele II. Il 15 maggio sconfissero a Calatafimi le truppe borboniche 1. 19.

(18) ve battaglie, si ebbe l’annessione del Regno delle due Sicilie alla monarchia sabauda (ottobre di quell’anno). Per il Veneto, ancora sotto l’impero austriaco, si dovrà aspettare la Terza guerra di indipendenza nel 1866. Ma intanto il 17 marzo del 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato primo re d’Italia (Cfr. Fig. n. 4). 2. la popolazione dello Stato unitario E l’Italia unita sentì il bisogno di fare un censimento generale della sua popolazione. Se ne occupò la Direzione Generale della Statistica del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio (MAIC).6 Al 31 dicembre del 1861 il nuovo Regno contava 21.777.324 persone che abitavano in 59 circoscrizioni amministrative (provincie) che formavano 193 circondari, all’interno dei quali c’erano 7.720 comuni7 (Cfr. Tab. n. 1).. di Francesco II. Dopo tre giorni di combattimenti, i contingenti governativi abbandonarono Palermo, dove Garibaldi proclamò la decadenza della monarchia borbonica. Mentre nell’isola si formava un governo civile provvisorio sotto la guida di Francesco Crispi, fra giugno e luglio sbarcarono a Palermo 15.000 volontari. Col loro apporto, Garibaldi poté muovere all’attacco delle truppe borboniche e sconfiggerle, il 20 luglio a Milazzo, costringendole a rifugiarsi sul continente. Il 20 agosto Garibaldi sbarcò in Calabria e poi risalì rapidamente la penisola. Il 6 settembre Francesco II abbandonò Napoli e si rifugiò nella fortezza di Gaeta. Il giorno dopo Garibaldi entrò a Napoli e assunse la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II e a Teano il 26 ottobre gli consegnò il Regno delle Due Sicilie. 6 Il 5 ottobre 1861 Il ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, Filippo Cordova, emana il regolamento per l’esecuzione del censimento generale della popolazione. Vengono stabiliti: il conteggio della popolazione di fatto ma anche della popolazione di diritto, le fattezze e le modalità di compilazione delle schede, la direzione e la sorveglianza delle operazioni. Nelle schede devono essere registrate tutte le persone presenti alla mezzanotte del 31 dicembre e nell’ordine: prima il capo famiglia, poi la moglie, i figli secondo l’età, gli altri congiunti, le persone di servizio e infine gli estranei. La direzione del censimento è affidata al ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio. In ogni comunità è istituita una commissione locale di censimento presieduta dal sindaco o da un consigliere delegato, i commissari sono nominati dall’intendente del circondario su proposta delle giunte municipali che dovranno indicarli: «tra le persone più notevoli per probità, capacità, pratica conoscenza dei luoghi, e amore del pubblico bene». 7 I risultati vengono raccolti in tre volumi, pubblicati dal 1864 al 1866, ma alcuni dati e relative analisi compaiono nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 12 aprile 1864 n. 88.. 20.

(19) Tabella n. 1 - Comuni e popolazione del Regno d’Italia (dicembre 1861). Fonte: MAIC - Direzione generale di statistica, Censimento generale del Regno, 3° volume.. 21.

(20) Figura n. 4 - L’Italia prima della Terza Guerra di Indipendenza del 1866 (in azzurro il Regno d’Italia8, in blu le Regioni passate alla Francia nel 1860, in verde il Veneto austriaco, in viola lo Stato Pontificio). Nella carta geografica (riprodotta dalla voce Storia d’Italia di Wikipedia), viene riportata Pescara con la stessa evidenza che hanno altre provincie. In effetti Pescara nasce sia come comune (dalla unificazione di due città limitrofe: Castellamare Adriatico e Pescara) sia come provincia nel 1927. 8. 22.

(21) Con questa popolazione l’Italia diventava: «...la quinta grande regione in Europa (n.d.r. dopo Russia, Austria, Inghilterra, Francia) e supera la Spagna che pur è due volte più vasta, e la Prussia, che anche essa, sebbene di non molto, lo (sic) vince d’estensione territoriale. Se al Regno fossero ricongiunte tutte le terre e tutti i popoli che appartengono all’Italia geografica, esso sommerebbe a 27 milioni circa d’abitanti, poco meno che la Gran Bretagna e sarebbe, dopo la Francia, lo Stato unilingue più popoloso d’Europa».9 Con l’Unità l’Italia, dopo secoli d’insignificanza politica, si candidava, anche per l’entità della sua popolazione, ad un ruolo da protagonista nelle vicende europee. 3. la popolazione per professioni Ma questo popolo numeroso con quali lavori si manteneva? Per quanto riguarda la popolazione per professioni sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 30 gennaio del 186610 vengono riportati i dati della Tabella n. 2 (la nomenclatura è quella usata nel Censimento). Tabella n. 2 - Popolazione per professioni. Fonte: MAIC - Direzione generale di statistica, Censimento generale del Regno, 3° volume. Ibidem. N. 30, p. 2. I dati relativi a “popolazione per professioni” vengono riportati anche nella Gazzetta Ufficiale del 5 febbraio 1866 n. 36. 9. 10. 23.

(22) Se si considera che la popolazione totale ammontava a 21.277.324 persone11, quelle impiegate nelle industrie agricole rappresentavano il 35% circa. Vanno al di là di tale valore percentuale Modena, Reggio e Massa, l’Umbria, le Marche, Parma e Piacenza, il Piemonte e la Liguria e le provincie napoletane12. Sotto la voce industria manifattrice vengono comprese tutte le forme di artigianato e i pochi stabilimenti industriali, quasi esclusivamente tessili. L’industria, infatti, in quel periodo era ancora nella fase nascente13, anche perché la classe politica, dove c’era una larga rappresentanza di possidenti terrieri, era convinta che il Paese dovesse puntare sull’agricoltura come base della crescita economica e che lo sviluppo industriale vittorio emanuele ii, sarebbe venuto in un eventuale futuro. primo re d’italia Il fatto che le donne siano presenti più degli uomini in questo comparto economico sta ad indicare il grande peso del tessile, sia come lavorazione a domicilio che negli “opifici”. Il Commercio (naturalmente più consistente quello al dettaglio che quello all’ingrosso) marca una maggiore presenza nei centri più popolati e urbani (seimila e oltre abitanti) dove fa registrar il 5,8% di addetti sul totale degli abitanti; scende all’1,9% nei comuni rurali. Il settore dei trasporti (quelli nautici ancora sono i più utilizzati) impegna il 35% di tutto il personale che lavora nel comparto del commercio. I rilevatori statistici hanno trovato difficoltà nel comparto delle libere professioni,14 ad esclusione dell’area degli operatori sanitari (“gli esercenti l’arte salutare”): medici e chirurghi ammontano a 18.947. Otto ogni 10.000 persone. Quasi come in Francia, dove il rapporto è di 7/10.000.. Nelle fonti sopracitate non c’è corrispondenza tra il totale della popolazione censita (21.277.324) e il totale della popolazione per professioni (21.471.991). 12 Ibidem. 13 L’unificazione economica del Paese se da un lato portò allo sviluppo dell’agricoltura, dall’altro penalizzò il settore industriale: continuò a svilupparsi l’industria della seta, mentre declinarono le altre produzioni tessili e anche i settori siderurgico e meccanico non riuscirono a cogliere l’occasione offerta dallo sviluppo delle ferrovie come era accaduto in altri Paesi europei. L’espansione agricola degli anni ’60-’70 consentì un’accumulazione di capitali che rese a sua volta possibile un ulteriore potenziamento delle infrastrutture indispensabili per il successivo sviluppo industriale. La costruzione delle vie di comunicazione aveva però portato a delle spese notevoli che unite alle spese sostenute per la guerra contro l’Austria del ‘66, produssero un pesante deficit nel bilancio dello Stato. Per sanare questo deficit, i governi succedutisi fra il ‘66 e il ‘69 furono costretti ad attuare una durissima politica fiscale. 14 MINISTERO DELL’AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO UFFICIO, «Prezzo dell’opera sarebbe il far conoscere particolarmente il numero degli esercenti ogni professione liberale. Davanti a questo ufficio tuttavia noi abbiamo arretrato, sia perché alcune professioni riescono molto indefinite o troppo complesse; sia perché stando alle denunce individuali, si corre il rischio di essere tratti in errore intorno al posto che ciascun professionista occupa nella gerarchia sociale». 11. 24.

(23) 4. la piemontizzazione del nuovo stato nazionale In occasione della proclamazione del Regno d’Italia sul nome del monarca ci fu un significativo dibattito parlamentare.15 Giuseppe Ferrari,16 ad esempio, sosteneva che fosse più corretto che il re si chiamasse Vittorio Emanuele I, in quanto il primo del nuovo Regno17. Ma prevalse l’opinione di quanti ritenevano che il nome dovesse sottolineare più che la novità del nuovo soggetto la continuità tra il Regno del Piemonte e i territori annessi, quasi che il nuovo soggetto non fosse un nuovo stato ma il vecchio stato del Piemonte allargato. Questa vicenda del nome del Re, in apparenza di poco rilievo, è, invece, l’espressione della cultura istituzionale in cui nasceva l’Italia Unita. Lo Stato italiano non si affermava, infatti, quale Stato nuovo. Alla base dell’Unità d’Italia non c’era alcun processo fondativo o costituente e, anzi, la linea voluta dal Cavour18 era proprio quella della continuità istituzionale tra Regno di Sardegna e Regno d’Italia, una sorta di traslazione della monarchia e dell’apparato istituzionale e del sistema burocratico sabaudo all’intero territorio della penisola, mano a mano che avvenivano le annessioni. Non per nulla la formula utilizzata per le leggi da applicare ai nuovi territori era “viene estesa Camillo benso a... la legge...” e la numerazione delle leggi stesse Conte di Cavour continuava quella utilizzata nel Regno di Sardegna. 15 Discussione proposta di legge per l’intitolazione degli atti del Governo - Tornata del 16 aprile, in ATTI DEL PARLAMENTO ITALIANO, sessione del 1861 (VIII Legislatura), dal 18 febbraio al 23 luglio 1861, Torino 1861, Tipografia Eredi Botta. 16 GIUSEPPE FERRARI (1811-1876). Avvocato, si diede per vocazione agli studi filosofici. Soggiornò per lunghi anni in Francia. Nell’Essai sur le principe et les limites de la philosophie de l’histoire (1843), e più nella Filosofia della rivoluzione (1851), espose la sua concezione attivistica della realtà per cui anche la storia d’Italia gli si configurava come un seguito di rivoluzioni (histoire des révolutions d’Italie, 4 voll., 1856-58). In politica era per un federalismo repubblicano e democratico. Favorevole a un intervento della Francia, poi all’emancipazione dell’Italia da ogni legame religioso, fu dal 1859 nella vita parlamentare un radicale isolato, ma influente per il prestigio della sua onestà e per la competenza nelle discussioni economiche e amministrative. Nel 1876 fu nominato senatore. Tra le sue opere, oltre quelle già ricordate, da menzionare il Corso sugli scrittori politici italiani (1862). 17 In ATTI DEL PARLAMENTO ITALIANO; op. cit., on. G. Ferrari: «Infatti, se Vittorio Emanuele è secondo, di chi è secondo? Lo è di Vittorio Emanuele primo, nato con idee antiche, continuatore di antichissime tradizioni, e appunto nemico del regno d’Italia, ... Ci viene fatta un’obbiezione: ci fu detto che, conservando al Re il suo nome di Vittorio Emanuele II, s’intende di seguire gli usi della Casa di Savoia, la cui tradizione ha sempre mantenuto una medesima numerazione a traverso gli accidenti più svariati della sua elevazione…. Ora, l’uso generale fu sempre che, ogniqualvolta un Principe di Stato minore giungeva in uno Stato maggiore, egli abbandonava la propria numerazione per prendere quella dello Stato acquistato, perchè i Principi non hanno altra patria che la terra sulla quale essi regnano». 18 CAMILLO PAOLO FILIPPO GIULIO BENSO, CONTE DI CAVOUR, DI CELLARENGO E DI ISOLABELLA, noto semplicemente come conte di Cavour (1810-1861), fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al. 25.

(24) L’Unità d’Italia, insomma, fu una vicenda poco costituzionale e molto amministrativa: la carta fondamentale continuò a essere lo Statuto Albertino del 1848,19 concesso di malavoglia da parte di Carlo Alberto20 ed elaborato in assenza di attività costituente; la legge elettorale,21 che prevedeva il diritto di voto sulla base del censo, era un pedissequo recepimento della legge elettorale piemontese;22 l’ordinamento giudiziario che assoggettava pienamente i giudici al Re e al governo23 era quello del regno sabaudo; le forze militari appartenenti agli stati preunitari furono poste sotto il comando degli ufficiali piemontesi24 mentre la massa dei soldati veniva reclutata con la leva obbligatoria, vigente nel vecchio Regno ed estesa all’intero 1852, presidente del Consiglio dei ministri dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Nel 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri del nuovo Stato e morì ricoprendo tale carica. Fu protagonista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, dell’anticlericalismo, dei movimenti nazionali e dell’espansionismo del Regno di Sardegna ai danni dell’Austria e degli stati italiani preunitari. In economia promosse il libero scambio, i grandi investimenti industriali (soprattutto in campo ferroviario) e la cooperazione fra pubblico e privato. In politica sostenne la promulgazione e la difesa dello Statuto albertino. Capo della cosiddetta Destra storica, siglò un accordo (Connubio) con la Sinistra con la quale realizzò diverse riforme. Contrastò apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si trovò in urto con Giuseppe Garibaldi. In politica estera coltivò con abilità l’alleanza con la Francia grazie alla quale, con la seconda guerra di indipendenza, ottenne l’espansione territoriale del Regno di Sardegna in Lombardia. Benché non avesse un disegno preordinato di unità nazionale, riuscì a gestire gli eventi politici (sommosse nel Granducato di Toscana, nei ducati di Modena e Parma e nel Regno delle Due Sicilie) che assieme all’impresa dei Mille portarono alla formazione del Regno d’Italia. 19 Lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia, noto come Statuto Albertino dal nome del re Carlo Alberto di Savoia, fu la costituzione adottata dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848 (Vedi GAzzETTA PIEMONTESE, n. 58 del 5 marzo 1848). Nel preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto viene definito come Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda. Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d’Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando fu adottato un regime costituzionale transitorio, valido fino all’entrata in vigore della Costituzione, il 1º gennaio 1948. Lo Statuto Albertino, in quanto costituzione flessibile, poteva essere modificato o integrato con legge adottata secondo la procedura ordinaria. Le leggi costituzionali infatti, sono presenti nell’ordinamento italiano solo a partire dalla Costituzione repubblicana del 1948 che è rigida. 20 CARLO ALBERTO EMANUELE VITTORIO MARIA CLEMENTE SAVERIO DI SAVOIA-CARIGNANO (17981849) è stato Re di Sardegna, Duca di Savoia e Principe di Piemonte dal 27 aprile 1831 al 23 marzo 1849. Durante il periodo napoleonico visse in Francia dove acquisì un’educazione liberale. Nel 1821 diede e poi ritirò l’appoggio ai congiurati che volevano imporre la costituzione a re Vittorio Emanuele I di Sardegna. Divenne conservatore e partecipò alla spedizione legittimista contro i liberali spagnoli del 1823. Non destinato al trono, diventò re dello Stato sabaudo nel 1831 alla morte dello zio Carlo Felice che non aveva eredi. Da sovrano, dopo un primo periodo conservatore durante il quale appoggiò vari movimenti legittimisti d’Europa, nel 1848 aderì alle idee ispirate a un’Italia federata guidata dal papa e libera dagli Asburgo. Sempre in quell’anno concesse lo Statuto. Guidò le forze che portarono alla prima guerra di indipendenza contro l’Austria ma, abbandonato da papa Pio IX e Ferdinando II di Borbone, nel 1849 fu sconfitto e abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele. Morì in esilio qualche mese dopo nella città portoghese di Oporto. 21 7 dicembre 1860, n. 4513. 22 Editto sardo del 17 marzo 1848, n. 680. 23 Decreto Rattazzi del 13 novembre 1859, n. 3781. 24 Il 4 maggio 1861 il Ministro della guerra Fanti firmò il decreto ministeriale che trasformò l’Armata Sarda nel Regio Esercito Italiano. Si trattava di assemblare e coagulare centottantamila uomini, provenienti da forze militari diverse, appartenenti agli Stati pre-unitari (sabaude, lombarde, toscane,. 26.

(25) territorio nazionale25. Insomma, accantonati gli autonomi regimi luogotenenziali, passo a passo, a due, tre anni dalla caduta delle vecchie monarchie, in tutte le province venivano estesi sistemi, leggi, consuetudini sarde26. 5. il “nuovo” sistema scolastico nazionale Questo processo di “piemontizzazione” dell’Italia unita riguardò anche il sistema scolastico come era stato disegnato dal Regio Decreto n. 3725/59, che prende il nome dal conte Gabrio Casati, ministro della pubblica Camera dei deputati istruzione. del regno di Sardegna, In effetti il testo del Decreto, che si propose di nel palazzo Carignano. assemblare e uniformare disposizioni legislative e progetti di riforma, non fu approvato dal Parlamento ma dal Re, in forza dei poteri emiliane e meridionali) e porle sotto il comando degli ufficiali piemontesi. Soltanto un terzo degli oltre settemila ufficiali del disciolto esercito garibaldino vennero accolti nei ranghi del regio esercito mentre circa due terzi (duemilatrecento su tremilaseicento richieste) furono gli ufficiali borbonici ammessi nell’esercito italiano. Cfr. F. CAMMARANO, La costruzione dello Stato e la classe dirigente, in Storia d’Italia, vol. II, Il nuovo Stato e la società civile 1861-1887, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 42. 25 In particolare, la Legge 26 maggio 1861, n. 35, autorizzò una leva di cinquantaseimila uomini nelle province napoletane; la Legge 30 giugno 1861, n. 63, autorizzò una leva in Sicilia sui nati nel 1840; la Legge 22 agosto 1861, n. 223, disciplinò la leva militare per le antiche province dello Stato, Lombardia, Emilia, Marche, Umbria, Sicilia; la Legge 13 luglio 1862, n. 695, intervenne ancora in ordine alle province napoletane e la Legge n. 696 dello stesso giorno disciplinò la leva obbligatoria per tutte le province dello Stato. In generale, il sistema del sorteggio delle reclute destinate alla leva obbligatoria quinquennale, da prestare lontano dai luoghi natii, fu prescritta per tutti i maschi ventenni. Dagli obblighi di leva ci si poteva sottrarre soltanto mediante l’esonero a seguito del pagamento di una cospicua somma: questo meccanismo introduceva uno strumento di divisione cetuale, perché soltanto i ceti abbienti erano in grado di far fronte all’onere finanziario. Per gli abili non sorteggiati per la leva quinquennale, era prescritta una ferma di addestramento di quaranta giorni, al termine della quale si tornava a casa, ma si restava a disposizione in caso di mobilitazione bellica. La leva (già introdotta nell’Italia settentrionale da Napoleone) fu uno strumento importante per la difesa nazionale, dal momento che provvide a fornire la “massa critica” necessaria per la costruzione del Regio esercito. Ma, soprattutto, essa fu uno strumento di diffusione dell’identità nazionale, poiché i giovani, spesso poveri e analfabeti, venivano introdotti alle elementari norme igieniche e della lingua italiana scritta e orale. Peraltro, l’introduzione della leva obbligatoria nel meridione sollevò un forte malcontento, dando luogo a frequenti fenomeni di renitenza e di diserzione. Le famiglie dei giovani sorteggiati, infatti, specialmente nel Mezzogiorno agricolo, venivano private per alcuni anni di fondamentale forza lavoro, con il rischio di finire sul lastrico. Cfr. SANDULLI A. - G. VESPERINI, L’organizzazione dello stato unitario, pp. 50-51, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1/2011. 26 L’intento di Cavour, di plasmare la costruzione unitaria attorno alla monarchia sabauda, nel segno della continuità con l’esperienza del Regno di Sardegna, fu perseguito anche dai suoi successori. Per questo vennero bocciati in Parlamento i quattro disegni di legge presentati, all’inizio del 1861, dal Ministro dell’interno Marco Minghetti, che andavano nel senso di un forte decentramento, soprattutto amministrativo, ma anche legislativo. L’unità amministrativa dello Stato italiano, al contrario, fu perseguita dai regi decreti Ricasoli attraverso un disegno centralistico imperniato attorno al rafforzamento dell’organizzazione dell’amministrazione centrale. Cfr. SANDULLI A. - G. VESPERINI, L’organizzazione dello stato unitario, op. cit. p. 48.. 27.

(26) straordinari che lo Statuto Albertino gli concedeva in tempo di guerra. Le truppe piemontesi e quelle francesi, infatti, erano impegnate contro quelle austriache nella Seconda guerra di indipendenza. E così un decreto, nato per esigenze del Piemonte (Cfr. par. 1.1), mai discusso e sottoposto al voto di un parlamento, diventa la legge fondamentale che regolamentava il sistema scolastico dalle Alpi alla Sicilia. E lo regolamenterà per cinquant’anni, quando, nel 1923, il Decreto Casati verrà soppiantato dai 5 Decreti27 che costituiranno il corpus legislativo della riforma Gentile. 5.1. Il disegno complessivo della Legge Casati Il sistema disegnato dal Casati (Cfr. par. 1.2) prevedeva alla base della piramide scolastica l’istruzione elementare: gratuita, articolata in due gradi, della durata di due anni ciascuno. Il primo biennio era obbligatorio. Per i pochi che avevano le opportunità di proseguire gli studi, si presentavano queste possibilità: la scuola normale (per l’istruzione dei maestri; si articolava in due cicli di due anni ciascuno), l’istruzione secondaria classica e l’istruzione tecnica. La prima della durata di otto anni (il ginnasio di 5 e il liceo di 3 anni) dava accesso a qualsiasi facoltà universitaria. Il ginnasio liceo era l’unico corso di studi secondario di tipo liceale, ovvero non finalizzato a una formazione tecnicoprofessionale, ma al proseguimento degli studi in ambito universitario. Invece l’istruzione tecnica (articolata in Scuola Tecnica e Istituto Tecnico) mirava a fornire il middle management, si direbbe oggi, del pubblico impiego o del sistema produttivo privato. 5.2. Istruzione classica e Istruzione Tecnica: due percorsi paralleli, ma non equivalenti La precoce divaricazione tra istruzione classica (ginnasio e liceo) e istruzione tecnica (Scuola e Istituto Tecnico), dopo il breve percorso della scuola elementare determina una discriminazione dei giovani in età di formazione e di orientamento non in base alle loro attitudini e capacità, ancora del resto non ben definite, ma alla loro appartenenza sociale. Pertanto questa scelta prematura – che verrà eliminata soltanto cento anni dopo, nel 1962, con la scuola media unificata – determina il ruolo sociale, economico e professionale per tutta la vita. Inoltre: dal Casati in poi le scuole classiche e quelle tecniche hanno finito per cristallizzarsi in categorie diverse, per formare, come dirà il filosofo Ugo Spirito: «...due specie di uomini, caratterizzate, l’una dalla cultura, l’altra dalla tecnica»28. Categorie diverse, ma non paritetiche, canalizzazioni parallele ma non equivalenti, processi contemporanei ma con funzioni differenti, posti in posizione gerarchica in cui il ruolo dominante spetta alla cultura classica, a quella tecnica decisamente quello subordinato (Cfr. par. 1.4). 27 R.D. 31 dicembre 1922, n. 1679 (delega); R.D. 6 maggio 1923, n. 1054 (scuola media di 1º e 2º grado); R.D. 16 luglio 1923, n. 1753 (amministrazione scolastica); R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 (università); R.D. 1º ottobre 1923, n. 2185 (scuola elementare). 28 SPIRITO U., Nuovo Umanesimo, Roma 1969, p. 22.. 28.

(27) 5.3. Funzione sociale del sistema scolastico Una gerarchia tra canali formativi che riproduceva e intendeva perpetuare la gerarchia tra classi sociali (Cfr. par. 1.3). In altri termini: la scuola in Italia nasceva con una caratteristica “rispecchiare le stratificazioni sociali” e con una finalità “conservare l’ordinamento sociale”. Tali intenti sono evidenziati anche dalla scelta del soggetto che aveva competenza sui diversi canali scolastici. Così al ginnasio liceo, gestito dallo Stato, andavano i figli delle classi abbienti; alle scuole tecniche, gestite dalle Province, andavano i figli del ceto medio destinati a coprire ruoli subalterni nell’apparato produttivo della società; alle scuole elementari, gestite dai Comuni, andavano i figli del popolo proletario (Cfr. Fig. n. 5). Pur riconoscendo il dato significativo di avere contribuito a ridimensionare il gravissimo fenomeno dell’analfabetismo, la Legge Casati viene considerata l’espressione dell’interesse delle classi privilegiate che, mentre smuovono le popolazioni verso l’ideale etico-politico di una presa di coscienza nazionale, riservano a sé il privilegio dell’iniziativa politica. In particolare sulla scuola elementare si concentrò però, con speranze eccessive, una grande aspettativa sociale e politica: si voleva plasmare in senso unitario e nazionale la coscienza del popolo allo scopo di unificare una nazione nata dalla somma di stati che per secoli avevano vissuto separati. Se la politica aveva creato lo Stato italiano, la scuola doveva crearne lo spirito, quasi rispondendo al celebre aforisma attribuito a Massimo D’Azeglio: «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani!». Figura n. 5 - Rappresentazione della funzione sociale della Legge Casati. 29.

(28) 5.4. Nascita della scuola popolare statale Fu la Legge Casati a proclamare per la prima volta l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione primaria. Per tutta la durata secolare della Repubblica veneta non si trova traccia di cattedre o scuole salariate dell’erario ad uso del popolo; le poche esistenti erano realizzate soprattutto da ecclesiastici o da strutture ecclesiali. Nel Regno di Sardegna era una cosa rara saper leggere e scrivere tanto che in qualche provincia il numero degli analfabeti toccava il 95% degli abitanti. Nel Regno di Napoli, nel 1851, non esisteva l’istruzione pubblica elementare. Anche le plebi cittadine e di campagna della Sicilia erano in uno stato di profonda ignoranza: nel 1852 non vi era un contadino che sapesse leggere e scrivere. In Toscana, attorno al 1850, su 8 fanciulli uno solo andava a scuola e su 12 fanciulle, una sola. «Dappertutto – fatta eccezione dello stato Pontificio – la plebe era, studiatamente, lasciata nella più grande ignoranza... l’istruzione delle donne era quasi del tutto trascurata... I reggitori degli Stati e dalle classi più elevate della società consideravano l’istruzione un vero privilegio e stimavano invece cosa naturale, necessaria e quasi fatale che la plebe rimanesse ignorante. Gli stessi enciclopedisti, i primi volgarizzatori della scienza, ritenevano che questa non dovesse diventare popolare; D’Alembert29 scriveva: “La libertà non è un bene fatto pel popolo. perché il popolo è un bambino che cade e si fa male non appena lasciato solo, e non si rialza che per battere”»30. L’istruzione popolare ha comunque una nascita molto stentata: infatti la sua gestione era stata affidata ai Comuni, la maggior parte dei quali doveva fare affidamento su limitate risorse provenienti quasi esclusivamente da proventi delle imposte e dai dazi di entrata locali. Alle difficoltà economiche si aggiungeva il disinteresse della classe politica locale rappresentata prevalentemente dall’aristocrazia fondiaria e da una borghesia produttivamente arretrata. Disinteresse che a volte si tramutava in una vera e propria ostilità nei confronti dell’alfabetizzazione e della conseguente promozione sociale dei ceti subalterni. Nascita stentata, è vero, ma pur sempre un inizio. Qualcuno ha ridimensionato il fatto a “solo dichiarazione di principio”. Ammessi i tanti condizionamenti e difficoltà, non si può tacere comunque il fatto che per la prima volta viene affermato un principio che era ancora controverso in altre nazioni d’Europa. 6. le risorse finanziarie per il sistema scolastico nazionale Forse l’istruzione, il fattore più importante per fare gli italiani, ora che l’Italia era stata fatta, meritava un volume di risorse finanziarie più cospicue dei 15 milioni (pari all’1,6% del bilancio statale) che il governo le riservò per l’anno 1863 (cfr. Graf. n. 2). 29 JEAN BAPTITE LE ROND D’ALEMBERT (1717-1783). Matematico, fisico, filosofo e astronomo francese, tra i più importanti protagonisti dell’Illuminismo. Faceva parte del gruppo degli Enciclopedisti redattori della Encyclopédie edita da Diderot e da d’Alembert stesso. 30 Cfr. GIACON M., L’azione caritativa e formativa dei Maddalena di Canossa, Roma 1974.. 30.

(29) Grafico n. 2 - Valore % di alcune poste del bilancio dello Stato Italiano (1863; stanziamento complessivo pari a 943 milioni). Ma se il governo italiano destinava all’istruzione “solo” quindici milioni, occorre considerare che negli Stati preunitari di milioni se ne spendevano solo otto31, mentre per le spese militari si spendeva venti volte di più! Infatti, i 250 milioni del Ministero della Guerra sommati ai 78 del Ministero della Marina rappresentano il 34,7% del bilancio dello Stato! E nel rapporto tra spese per l’istruzione e quelle militari l’Italia fa registrare, rispetto ad altre realtà europee, in un periodo storico in cui tutti combattevano contro tutti, le posizioni peggiori. Dalla tabella n. 3 emerge che la differenza tra i valori percentuali (rispetto al bilancio statale) delle spese che l’Italia destina all’esercito e alla marina militare con le spese che riserva all’istruzione è di 33.1 punti.. 31 MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUzIONE, Statistica del Regno d’Italia, Istruzione pubblica e privata. Anno 1862-63, Relazione del ministro della Pubblica Istruzione (Natoli), in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 17 Aprile 1865, n. 92: «È curiosa la storia degli ordinamenti sull’insegnamento anteriori all’unificazione del Regno. Tutti insieme i governi italiani, compreso quello della Venezia, non avevano in bilancio per l’istruzione pubblica più che otto milioni, dove il Governo nazionale ne spende ora quindici».. 31.

(30) Tabella n. 3 - Spese per l’istruzione e militari in Italia e nei Paesi europei (1862-63). Fonte: Ministero Pubblica Istruzione, Statistica del Regno d’Italia. Istruzione pubblica e privata. Un dato superiore di quasi 5 punti rispetto alla Francia, di quasi 7 rispetto alla Prussia e di 8 rispetto all’Austria, che pure avevano eserciti poderosi! Differenze che diventano abissali se confrontate con i valori delle regioni autonome tedesche che confluiranno nel secondo Reich, nel 187137. Il commentatore di questi dati annota: «I popoli, che molti sacrifici si impongono pel mantenimento degli eserciti permanenti, non sono in grado di destinare all’istruzione le somme che il Belgio, l’Olanda e i piccoli Stati della Germania vi consacrano … Noi facciamo voti perché in codesta nostra Europa venga il tempo, in cui smesse la paure e le provocazioni reciproche, possano i popoli restringere, se non abolire completamente, le spese militari, e serbare, invece una larga quota di sagrifici alla diffusione dell’istruzione popolare ed pio iX all’incremento in genere del sapere». Divenuto Regno nel 1810, sotto Bismark diventa uno stato satellite della Prussia, però, conservando la propria famiglia reale e il proprio apparato statale. 33 Il Ducato diventa Regno con Federico I, nel 1805, a seguito di accordi con Napoleone. Quando, con la regia di von Bismarck si costituisce il Reich, entra nel nuovo stato nazionale tedesco, conservando la monarchia. Il regno termina con la sconfitta degli stati centrali nella prima guerra mondiale. 34 Regione al confine con la Polonia diventa Regno nel 1831. E lo rimarrà fino alla fine della prima guerra mondiale. 35 Creato nell’epoca napoleonica, divenne nel 1871 parte dell’Impero tedesco e rimase inalterato nei confini fino alla fine della seconda guerra mondiale. 36 Il Regno d’hannover (nell’area settentrionale dell’attuale Germania) nel 1866 viene annesso alla Prussia. 37 Il primo Reich è rappresentato dal Sacro Romano Impero germanico dal 962 al 1808. Il secondo, detto anche impero tedesco o germanico, si riferisce comunemente alla Germania nel periodo che va dal conseguimento di una piena unità nazionale, il 18 gennaio 1871, fino all’abdicazione del Kaiser Guglielmo II il 9 novembre 1918. 32. 32.

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