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Il sistema degli eremi dei Monti Pisani. Restauro dei luoghi.

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INDICE

INTRODUZIONE

13

TRA ISOLAMENTO CONTEMPLATIVO E CURA DELLE ANIME

PARTE I 11

L’EREMITISMO MEDIEVALE

17

L’EREMITISMO MEDIEVALE TOSCANO: ALL’ORIGINE DELL’ORDINE AGOSTINIANO

IL DOCUMENTO TORELLIANO E NOTE ALLA BIBLIOGRAFIA

SULL’INDIVIDUAZIONE DEGLI EREMI DEI MONTI PISANI

25

GLI EREMI DEI MONTI PISANI

29

II. CELLA DI PRETE RUSTICO

31

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento Storiografia

(4)

6

XIII. EREMO DI RUPECAVA

37

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento Storiografia

XIV. SAN GIORGIO DI SPELONCA

45

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

XV. EREMO DI SAN GIACOMO DI MORIGLIONE

51

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

XVI. SAN BARTOLOMEO DI MONTE VORNO

55

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

XVII. SAN GIACOMO DI AGNANO

59

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

XVIII. EREMO DI SAN BERNARDO

61

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

(5)

XX. IL MIRTETO

65

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

XXII. SAN SALVATORE NELLA COSTA DEL MONTE

71

Storiografia

Posizione e riferimenti territoriali

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

IL MONTE PISANO ALL’EPOCA MEDIEVALE

75

LA SCELTA DEL SITO INSEDIATIVO

CONSIDERAZIONI SUL SISTEMA DEGLI EREMI

79

IL “DESERTO” COME METAFORA

PARTE II 88

IL RESTAURO DEI LUOGHI

89

INTRODUZIONE

L’AMBIENTE NATURALE COME CONDIZIONE PER LA DEFINIZIONE DI SPAZI INTERVALLARI

PER UNA FENOMENOLOGIA DELL’ARCHITETTURA

(6)

8

LA SPELONCA

99

IL MIRTETO

103

DOMUS DEI DOMUS ECCLESIAE

CELLA DI PRETE RUSTICO

107

UN PICCOLO TEATRO ALL’APERTO

SAN BERNARDO

111

ALTRI EREMI

115

CONCLUSIONI

117

BIBLIOGRAFIA

119

LIBRI ARTICOLI SITOGRAFIA

(7)
(8)
(9)

Il sistema degli eremi del Monte Pisano

INTRODUZIONE

L’oggetto della ricerca è il sistema degli eremi medievali del Monte Pisa-no. La necessità dello studio risiede nell’emergenza di conservazione dei beni architettonici e della memoria storica di cui sono testimoni. Inoltre un ulteriore obiettivo specifico è costituito dalla volontà di indagare che ruolo e significato possano assumere questi luoghi nella nostra contem-poraneità: ci si chiede se non possano essere riconfigurati come luoghi significativi oltre che solo come testimonianze storiche, o quale tipo di esperienza possano costituire oggigiorno. Se possano ancora assumere un valore simbolico o altrimenti, esaurita la loro funzione primaria, non pos-sano che essere lasciati a rudere o se nel contesto culturale in cui viviamo possa avere ancora senso ricercare scientemente un isolamento seppur momentaneo dalla confusione di stimoli che ci circonda.

Rispetto al territorio di studio il riferimento è al Monte Pisano, un’area geomorfologica i cui confini sono chiaramente definiti e che ospita diversi sistemi storici, ad esempio quello delle fortificazioni medievali, a testimo-nianza di quel processo di contrazione e dilatazione delle zone di espan-sione delle città di Pisa e Lucca. Di fatti questa sua caratteristica di essere margine fisico delle due territorialità costituisce un fortissimo limite per la sua gestione a livello territoriale con i moderni strumenti urbanistici: il confine tra le due province attraversa il monte che quindi raramente viene considerato nella sua interezza e globalità.

Il numero di questi insediamenti eremitici è tale da costituire un sistema territoriale che si declina puntualmente a seconda delle vicende partico-lari di ciascun insediamento: in tutta l’area del Monte Pisano sono visibili le tracce di circa nove rormitori. Un numero tutto sommato abbastanza importante se si considera l’estensione del monte, e se si considera che nella fase apicale dello sviluppo eremitico, il numero era ben più alto.

(10)

12

Attualmente lo stato di conservazione di queste architetture superstiti è piuttosto preoccupante, e solo una è stata recuperata per essere convertita in ristorante.

Inoltre sembra di poter cogliere in questi ultimi anni un progressivo interessamento alle pendici del monte e alle sue vicende da parte delle co-munità limitrofe, che timidamente accennano strutture di collaborazione tra enti privati per la valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti, anche in chiave ricettiva. Il Monte Pisano di fatti potenzialmente potrebbe vanta-re caratteristiche tali, per varietà della componente floro–faunistica e per la vicinanza alle città storiche di Pisa e Lucche, da poter tornare ad essere una risorsa per il territorio, caratteristica che sempre lo ha contraddistinto nei secoli passati e che verrà messa in evidenza nel presente testo.

Chiarite le motivazioni alla base della ricerca è opportuno spiegare in cosa sia consistito il presente lavoro. In primis è stato delineato il conte-sto conte-storico di riferimento e sono state messe in evidenza le caratteristiche della ricomparsa dal XI secolo del fenomeno dell’eremitaggio in relazione alla fase patristica dei primi secoli della storia del cristianesimo; progressi-vamente quindi si riduce la scala dell’analisi storica per delineare più nello specifico che tipo di esperienze venissero condotte in Toscana e precisa-mente nel Monte Pisano. Si scopre così che tale territorio ospitò l’embrio-ne di quello che sarebbe divenuto l’Ordil’embrio-ne degli eremiti di Sant’Agostino. Da questo punto in poi la ricerca si concentra sugli eremi del Monte Pisa-no che afferiroPisa-no all’ordine nella prima metà del XIII secolo, momento in cui si ha una fotografia piuttosto chiara dell’ampiezza del fenomeno grazie ad un documento in cui si rinvengono le presenze ad uno dei primi capitoli dell’Ordine.

Per la qualità delle fonti e per la rilevanza degli insediamenti afferenti a questo ordine si è deciso di concentrare l’analisi solo sui romitori agosti-niani, di cui viene fornita una sorta di tassonomia che ha lo scopo di far emergere un quadro sintetico delle strategie di insediamento medievali e dei riferimenti territoriali ancora leggibili.

Terminata la fase di analisi, da grande a piccola scala, si entra nella seconda, quella di interpretazione del luogo, di strategia e di proposta progettuale. Nello specifico è stato scelto di riferirsi al quadro teorico proposto dallo storico e critico Christian Norberg Schulz che propone la necessità di un’architettura basata sulla sua fenomenologia, portatrice di significati e simboli e capace di orientare il vissuto dell’uomo. Tutto il si-stema dei sei eremi agostiniani ancora presenti sul territorio viene quindi

(11)

interpretato come sistema di «spazi intervallari», ovvero spazi che invitino alla meditazione e alla ricreazione contemplativa dell’uomo. Questa chiave interpretativa è stata influenzata dal pensiero del critico d’arte Gillo Dor-fles e dal suo libro «L’intervallo perduto». Si descrivono quindi i progetti e la riflessione sui temi della composizione di cui si sono nutriti.

Il progetto quindi non si pone come obiettivo primario il restauro in sé delle architetture medievali; piuttosto ricerca, tramite un’operazione di «restauro dei luoghi» , la riconfigurazione del significato dei siti, la cui rivalorizzazione in sè comporti un progressivo recupero di attenzione da parte della comunità e un conseguente recupero delle strutture.

(12)

“ho sceso dandoti

il braccio

almeno un

milione di scale

e ora che non ci

sei è il

vuoto ad ogni

(13)
(14)

In Toscana

l’eremitismo si

manifestò

essenzialmente

nella diffusione

di cellae rurali

abitate da

piccole comunità

di confratelli

(15)

Spinte riformatrici del XIII secolo

L’EREMITISMO MEDIEVALE

TRA ISOLAMENTO CONTEMPLATIVO E CURA DELLE ANIME

In un mondo medievale in cui la vita e le attese di ciascuno erano intimamente legate alla dimensione trascendente, in cui la prospettiva escatologica professata dalla Chiesa si configurava come fine più adeguato cui orientare la propria esistenza, si collocò la nascita di varie forme di santificazione della vita, ogni volta con caratteristiche differenti a seconda del clima culturale e struttura sociale del periodo storico, e anche delle caratteristiche regionali1.

In particolare alla fine del XII secolo in poi tra le preoccupazioni princi-pali dell’attività riformatrice della Chiesa si assistette all’istituzionalizzazio-ne dell’assetto organizzativo, e di certo politico, di nuovi ordini che ispira-vano la propria regola e il proprio stile di vita all’ideale della vita apostolica condotta dai primissimi discepoli di Cristo.

Fu in questo momento storico in cui sorsero gli ordini mendicanti, ispirati alle figure di San Francesco e San Domenico, per i quali il voto di povertà dei singoli e dei conventi era una condizione essenziale per la condotta del loro orientamento spirituale. Un altro ordine nato in questo periodo e interesse principale di questo studio, l’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino, oggi semplicemente chiamato Ordine di Sant’Agostino.

Questo tipo di esperienze spirituali sorse e assunse sempre più impor-tanza in un periodo in cui il sistema monastico e il clero secolare erano

(16)

18

fortemente criticati dai fedeli poiché sostenevano uno stile di vita lontano da quello professato dal Vangelo.

A questo proposito è bene ricordare che pur non potendo i monaci possedere proprietà come singoli, potevano possederle in quanto comu-nità intera, e spesso erano proprietà piuttosto ingenti, in questo senso le vicende dell’abbazia di Cluny sono piuttosto esemplari.

In più il sistema ermeticamente bipolare rappresentato da quelle istitu-zioni clericali sembrava non soddisfare più i bisogni del tessuto sociale, infatti da un lato si trovavano i canonici tutti orientati alla cura delle anime e alla diffusione del sistema culturale cristiano, la cui testimonianza però stava via via perdendo di credibilità, dall’altro il sistema monastico rigo-rosamente isolato dal mondo e incentrato sulla preghiera che non trovava riscontro nell’attività pastorale.

La Chiesa, in autocoscienza, si affaccia al XIII secolo con la necessità di adeguare le proprie strutture ad un mondo in rapida evoluzione, dove diventa necessario far fronte ai moti di rivolta popolari e rinsaldare la fidu-cia dei fedeli nelle sue istituzioni. A questo proposito papa Innocenzo III convocò il concilio ecumenico del 1215, uno dei più sostanziosi e incisivi nella storia della Chiesa, che “insieme con una crociata militare per l’O-riente, doveva preparare una riforma morale, distruggere le dottrine false, restaurare la pace, difendere la libertà e disporre misure prudenti per la “sublimatio” del clero sia alto che basso2”.

Fu in questo clima culturale che iniziò il processo di genesi del feno-meno eremitico medievale e soprattutto furono queste le condizioni dove trovò lo spazio per consolidarsi ed essere ratificato dalla volontà politica della curia.

L’EREMITISMO MEDIEVALE TOSCANO:

ALL’ORIGINE DELL’ORDINE AGOSTINIANO

Quando si parla di eremitismo medievale è necessario far chiarezza da

(17)

subito sullo spostamento semantico del termine rispetto alla condizione dell’anacoretismo patristico.

Nella storia della cultura cristiana le prime esperienze di vita contempla-tiva nella solitudine si concretarono tra il III e IV secolo nei deserti nord africani di Egitto, Siria e Palestina; è il caso per esempio di Sant’Antonio abate o Paolo di Tebe, le cui agiografie ebbero sicuramente larga diffusione nell’Europa meridionale3, come testimoniato anche dalla vasta e

trasversa-le produzione iconografica4.

Antonio disfattosi di tutte le sue ricchezze visse isolato nel deserto, nella più totale povertà di una grotta, e ciclicamente tormentato dal diavolo in persona contrastò tenacemente le sue tribolazioni al punto da raccogliere intorno a sé piccolissime comunità di anacoreti di cui divenne guida spiri-tuale. In modo analogo Paolo si liberò di tutti i sui beni e condusse la sua vita in una grotta, vivendo miracolosamente cibato da un corvo che ogni giorno gli portava un pezzo di pane.

Lo slancio rinnovato dell’eremitismo alle porte del nuovo millennio conobbe forme che solo in parte conservarono la memoria delle esperien-ze passate. In questa stagione si riattualizza una forma antica, che viene reinterpretata secondo le nuove condizioni sociali e culturali: il deserto nel mondo Occidentale diviene un bosco o una foresta, l’esperienza è sempre più raramente condotta in solitudine, e i luoghi per l’insediamento sono ambiguamente isolati dal contesto urbano ma comunque ben visibili dai fedeli5.

L’eremita medievale ormai è conscio del suo ruolo nel panorama sociale

3. Cfr. Martin in Vauchez, 2003. pp. 175-189.

4. Il tema del santo Antonio e delle provocazioni di satana è stato rappresentato in tutte le epoche da artisti come Piero della Francesca, Jeronymus Bosch, Paul Cezanne, Salvador Dalì, Velazquez, Goya ecc.

5. Un quadro piuttosto ricco e aggiornato sulle varie vicende dell’eremitismo medievale è rappresentato dal volume che raccoglie l’esito del convegno Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècle) del 2003, il già citato volume curato da Vauchez nella nota 3.

Nella raccolta si mette in evidenza come tale fenomeno assunse le più svariate sfaccettature culturali e declinazioni regionali. Si accenna in più saggi alla variante femminile dell’eremitismo e alle implicazioni urbane rappresentarono.

Il presente studio si concentra sugli elementi chiave che trovano riscontro nelle esperienze della specificità territoriale del Monte Pisano.

(18)

20

e lo manifesta nella scelta del luogo per insediarsi.

Riguardo ai luoghi dell’insediamento, nell’ambito di questo studio sono state approfondite le vicende storiche legate ad un territorio preciso e circoscritto, quello dei Monti Pisani, stretto tra due città, Lucca e Pisa, il quale fu sia capillarmente segnato di romitori sia laboratorio per le primis-sime forme di associazionismo di questa tipologia di spiritualità.

In Toscana il fenomeno eremitico si manifestò essenzialmente nella dif-fusione di cellae rurali abitate da comunità di confratelli che raggiunsero al massimo circa una decina di persone le quali vivevano della raccolta di legna e grano, quando di castagne e olive, dell’allevamento di qualche capo di bestiame e delle donazioni dei fedeli6. Dalle fonti è noto che avessero

qualche possedimento, proporzionale alla fama del romitorio, e che fos-sero soggetti al pagamento di fitti sui loro possedimenti7. Questo

quanto-meno era l’assetto a partire dalla fine del XII secolo circa in poi, ovvero da quando ci giungono le prime testimonianze documentarie.

Rispetto invece alle varie configurazioni dell’eremitismo nell’alto medio-evo è piuttosto difficile, in generale in tutto il mondo cristiano, ricostruir-ne l’ampiezza e la configurazioricostruir-ne. Sicuramente l’ideale di isolamento dalla vita mondana e l’ispirazione al sentimento di “contemptus mundi” hanno sempre affascinato l’immaginario collettivo delle comunità, spingendo alcuni singoli a condurre una vita anacoretica trovando rifugio in grotte o anfratti del bosco, ed esponendo il proprio corpo alle intemperie e affidan-do il proprio sostentamento alla provvidenza. Lo storico e archeologo Hu-bert mette bene in evidenza il significato antropologico di quest’esistenza:

“Poiché l’eremita si vota alla fede, alla preghiera e all’esercizio della povertà, si accontenterà di arredare nel più semplice dei modi quei luoghi solitari. È per questo motivo che nella maggioranza

6. Essenzialmente sono due gli studi fondamentali sulla storia degli Eremiti della marca di Tuscia. Quello di Kaspar Elm del 1962 che si concentra più sugli aspetti storici e il naturale proseguimento di Benigno Van Luijk del 1968, più concentrato sugli aspetti spirituali delle varie congregazioni.

(19)

dei casi l’abitazione eremitica non fu altro che un prolungamento attraverso le epoche di forme abitative preistoriche o protopreisto-riche: la grotta, la capanna di legno, il rifugio di muri a secco, posi-zionati in alto, al limitare di una foresta o nel centro di un’isola. Le forme esteriori che rivestono la più grande indigenza non mutano affatto attraverso le epoche.8

Probabilmente la spinta anacoretica è un sentimento che ha accompa-gnato l’uomo in un continuum durante i vari secoli e che solo nel pieno medioevo è stato formalizzato in un progetto di ampie vedute. Anche il Monte Pisano non viene meno a questa logica e sulle sue pendici sono ancora presenti segni di questa evoluzione: in alcuni casi, come ad esem-pio per l’eremo di Rupecava, si tratta di frequentazioni longeve per altri semplicemente casi di nuova fondazione che colgono in pieno lo spirito riformatore della Chiesa. Purtroppo allo stato attuale delle conoscenze i contorni di queste frequentazioni prima dell’avvento dell’Ordine Agostinia-no soAgostinia-no ancora piuttosto nebulosi.

La situazione del XIII dei romitori Toscani dunque rappresenta l’esito di una spinta istituzionalizzatrice di una forma antica9 presente sul territorio,

e frutto di un preciso percorso politico che mirò a dare un assetto congre-gazionale e unitario a esperienze varie e spontanee sul territorio.

La prima tappa in questa direzione è la nascita nella diocesi di Lucca

8. J. Hubert, “l’érémitisme et l’archéologie”, in L’eremitismo in Occidente (1965), 462-84. p. 462. Tradotto dall’originale: “Comme l’ermite se voue à la fois à la priere et à l’exercice de la pauvreté, il se contentera d’aménager le plus simplement du monde ces lieux solitaires. C’est pourquoi l’habitat érémitique ne fut le plus sou-vent qu’une sorte de prolongement, à travers toute l’époque historique, de formes d’habitat préhistorique ou protohistorique: la grotte, la cabane de bois, la hutte de pierres sèches établie dans un lieu élevé, au milieu d’une forêt ou dans une île. Les formes exterieures que revêt le plus grand dénuement ne change guère au cours des âges”.

9. Ad esempio riguardo l’eremo di Rupecava, nella scheda dedicata nel capitolo seguente, si sa che la forma dell’insediamento all’inizio del XIII secolo è il frutto di un adeguamento di una situazione precedente.

(20)

22

della Congregatio Tredecim Cellarum10, attestata già nel 1230, di cui la

comunità di Rupecava, e successivamente quella di Prete Rustico assunse il ruolo di guida.

Tale associazione è definita nelle fonti come “consortium vel hospitalis aut usus” 11 , appariva quindi con i caratteri di un’associazione di

fondazio-ni autonome che si sostenevano reciprocamente più che un ordine vero e proprio dotato di una regola e struttura precise; caratteri che invece iniziarono a prendere forma con l’intervento del cardinale Riccardo An-nibaldi, facente parte di un’influente famiglia romana e imparentato con Innocenzo III, che tramite la sua carica di governatore della Maremma si fece interprete diretto della linea politica della santa sede, impegnata in un riordino delle varie comunità religiose. Tramite un’intensissima attività diplomatica riuscì a riunire alcuni dei romitori toscani nella Congregazio-ne Toscana degli eremiti Congregazio-nel 1243, Congregazio-nella quale confluì Congregazio-nel 1248 la lucchese Congregazione delle tredici.

Già in questa forma la Congregazione Toscana prevedeva l’adesione alla regola di Sant’Agostino, una regola adeguatamente mixta tra vita contem-plativa e attività pastorale, e la definizione di un superiore principale per tutte le istituzioni congregate.

Il grande passo decisivo verso la fondazione dell’Ordine degli eremitani di Sant’Agostino avvenne con la Grande Unio del 1256 in cui, sempre per opera di Annibaldi, vennero unificati alla congregazione anche i Brettine-si, i Giamboniti e i Guglielmiti.

A questo stadio finale del processo di riorganizzazione e semplificazione delle numerose forme eremitiche possiamo riconoscere la particolarità di questo ambizioso programma ovvero, la vastità, l’ampiezza dell’operazione che coinvolse conventi anche oltralpe.

Risulta a questo punto abbastanza chiaro in quale tipo di processo associativo vennero inseriti gli insediamenti dei Monti Pisani e che ruolo sociale e culturale dovessero svolgere nelle previsioni della Santa Sede.

10. Cfr. Elm, 1962 e Luijk, 1968 e Benvenuti [et al.] 2007 per tutta la vicenda del processo congregativo degli eremi toscani.

(21)

Questo approfondimento storico quindi illumina le vicende di nostro interesse su molteplici aspetti. In primis sul grado di protagonismo sociale e sul tipo di esperienza spirituale ricercata dai romiti dei Monti Pisani, dipendentemente da questo sulla logica insediativa dei loro complessi eremitici (o almeno di quelli le cui tracce giungono ai nostri giorni), e non da ultimo sugli elementi per delineare il quadro storiografico entro cui si inserisce la ricerca delle tracce dei vari eremi.

(22)

nel documento

Torelliano si

riportano i nomi

di circa sessanta

insediamenti

Toscani

(23)

SULL’INDIVIDUAZIONE DEGLI

EREMI DEI MONTI PISANI

Il documento Torelliano e note alla bibliografia

Da un punto di vista metodologico emerge a questo punto la necessità di esplicitare le scelte interpretative per l’individuazione dei romitori nei Monti Pisani e per la definizione dei limiti geografici d’indagine di questa riflessione.

Approfondite le vicende storiche sia su larga sia su piccola scala territo-riale intorno all’origine dei romitori, risulta chiaro come il sistema degli eremi dei Monti Pisani sia intimamente connesso con la storia dell’Ordi-ne Agostiniano e di conseguenza con tutto il suo apparato storiografico. È proprio all’interno di ricerche sull’origine dell’ordine che si rintraccia un documento particolarmente importante per l’orizzonte del presente studio, il documento Torelliano, ovvero uno scritto in cui si riportano le presenze al un Capitolo generale dell’Ordine del 1250, quindi ancora antecedente alla Grande Unione, svoltosi nel romitorio di San Salvatore in Cavina. Grazie a questo documento, pubblicato e commentato nel volume di Zazzeri12, è possibile avere un’idea piuttosto precisa dei romitori attivi in

questo momento storico.

Nello specifico in questo documento si riportano i nomi dei conventi e rappresentanti di circa sessanta insediamenti sparsi in Toscana e per come è strutturato è piuttosto facile individuare la logica con cui è stato stilato,

(24)

26

ovvero per aree di provenienza.

Di questi sessanta nomi circa nove sono legati alle pendici del Monte Pisano e, ad eccezione della Cella Presbyteri Rustici che per la particolare importanza è inserito al secondo posto, quelli di nostro interesse sono tutti raggruppati tra il numero V e il XIV13.

Per l’intimo legame dell’Ordine con il Monte Pisano, per la qualità delle fonti reperibili e per la caratteristica vocazione eremitica della regola agostiniana si è deciso di prendere come riferimento l’elenco Torelliano stilato nel 1250 e di omettere, almeno per ora e in attesa di ulteriori ricer-che, altri manufatti che probabilmente sono riconducibili a questo tipo di esperienze insediative ma il cui quadro storiografico non ci permette di distinguerlo da un piccolo monastero o semplicemente una cappella sorta in un luogo isolato.

Una volta assunto questo come riferimento lo studio si è ampliato degli approfondimenti dei vari studiosi che con le rispettive competenze, quan-do storiche, quanquan-do archeologiche, quanquan-do architettoniche, hanno contri-buito ad arricchire il quadro compilativo.

I contributi di Caciagli (1979) e Benassi [et al.] (2005), soprattutto per la precisione e accuratezza della descrizione architettonica dei manufatti e della ricostruzione del quadro storico si sono rivelati di particolare impor-tanza per la conoscenza del nucleo del Mirteto.

Un respiro tanto multidisciplinare non è ancora disponibile per gli altri insediamenti; per l’eremo di Rupecava ad esempio è rintracciabile solo un quadro storiografico, peraltro piuttosto complesso e talvolta contraddit-torio, la cui ricostruzione più attendibile nella nostra opinione è quella di Ducci (1999).

In generale il contributo di Zazzeri (2008), frate Agostiniano, è stato importante soprattutto per la sistematicità con cui ha portato avanti la ri-cerca intorno a ciascun eremo citato nel documento Torelliano più che per l’interpretazione dei dati storici, del suo lavoro è convincente la

comple-13. In questa parte dell’elenco compaiono anche ai numeri XIX e XXI l’eremo di Frocechia, denominazione medievale di Fucecchio e quindi nelle prossimità ma al di fuori dei limiti dei Monti Pisani e al numero XXI un eremo di San Bartolomeo de […] di cui è molto incerta l’attribuzione.

(25)

tezza e la cura. Un altro studio con la volontà di presentare una rassegna di fondazioni eremitiche dei Monti Pisani è quello di Fascetti (2007), che in una pubblicazione dedicata allo studio di questo sistema geomorfologico presenta, forse per primo, in un capitolo il tema dei romitori come sistema omogeneo nel territorio; la sua rassegna si basa su una tavola del Thea-trum basilicae Pisae, (Martini, 1705), e purtroppo non sempre è attendibile nella ricostruzione delle vicende storiche.

Un testo molto autorevole di riferimento per le questioni storiche è quello di Testi Cristiani (2011) che, arricchito al suo interno dai contributi di Ceccarelli Lemut e Garzella, traccia un profilo dell’organizzazione del sistema diocesano pisano e crea un quadro storico-topografico attendibile entro cui inserire le vicende eremitiche del Monte Pisano.

Per quanto riguarda invece la ricostruzione delle vicende legate alla nascita dell’Ordine e delle relazioni della vicenda con il territorio dei Monti Pisani i riferimenti sono stati, in ordine cronologico e ognuno a comple-tamento e revisione dell’altro: Elm (1962), Van Luijk (1969) e Benvenuti [et al.] (2007).

(26)

gli eremi di

nostro interesse

sono raggrupati

tra il numero V e

XIV del documento

(27)

Tassonomia descrittiva

Fatte le dovute premesse storiche e bibliografiche si hanno quindi tutti gli strumenti per presentare nel dettaglio i vari insediamenti.

L’intenzione è, per ogni fondazione, quella di tracciare un profilo sinteti-co delle vicende storiografiche salienti, di delineare il quadro delle carat-teristiche insediative e di presentare le strutture esistenti e il loro grado di conservazione.

Il numero romano prima del nome si riferisce alla numerazione nel documento Torelliano.

(28)

fondato nel 1181,

ad oggi restano

solo le mura

(29)

O San Giacomo della Cella o Colledonico

II. CELLA DI PRETE RUSTICO

Storiografia

Le rassegne più complete delle fonti rispetto alla vita di questo insedia-mento ci giungono dal lavoro di Zazzeri e Concioni14, le cui ricostruzioni

sono piuttosto compatibili.

La cella di Prete Rustico compare nei documenti proprio dagli atti della sua fondazione: si edificò nel 1181, per interesse di sacerdote Rustico e una piccola comunità di altre tre persone, una chiesetta e un’abitazione15.

La morte di Presbiter Rusticus coincise con un iniziale affievolimento della vitalità dell’insediamento, da cui si risollevò nel 1201 quando frate Lotario otterrà la conduzione della piccola chiesa, della cella e del terreno intorno a patto di versare ogni anno una libbra di cera, un moggio di grano e uno di miglio16 alle monache di Santa Maria di Pontetto, proprietarie del

terreno dell’eremo.

Da questo momento in poi la vita del complesso è piuttosto florida, come attestato dalle numerose fonti, e per tutto il XII sono riportate donazioni di terreni, beni e nuovi ingressi nella comunità, tra cui la una donazione a favore degli altri romitori di Rupecava, della Spelonca e di San Salvatore in Cavina del 1223.

I tratti salienti dello sviluppo dell’insediamento sono rappresentati in

14. Zazzeri, 2008 e Concioni, 2008. 15. Zazzeri, 2008. p. 28

(30)

32

primis dal suo ingresso nell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino17 nel

1244; la sua importanza crescente è testimoniata nel 1253 quando Bonoste si offre all’eremo di Prete Rustico con una dote costituita da sostanziose rendite; il dato interessante ai fini della presente ricerca è che tale atto fu stipulato nel chiostro e aula capitolare della chiesa18, elementi

architettoni-ci rari nel panorama degli insediamenti eremitiarchitettoni-ci dei monti pisani.

È utile ricordare a questo punto che nel 1256 papa Alessandro IV ratificò la Grande Unione dell’Ordine e l’eremo entrò a farne parte da subito19, è

proprio in questo periodo probabilmente che la Cella presbyteri Rustici stava conoscendo il momento apicale del suo sviluppo; infatti nel 1260 nel Libellus extimi Lucane Dyocesis l’eremo appareva come il più ricco della diocesi di Lucca, con un reddito tassabile di 200 libbre20, e nei suoi locali

nel 1276 si celebrò il capitolo provinciale21 dell’Ordine.

La parabola discendente della vita del romitorio iniziò con la fine del secolo, si alienarono beni in favore di conventi cittadini e si smantellaro-no le proprietà: dopo circa cinquant’anni dal Libellus extimi, nel 1302, il patrimonio risulta essere fortemente in contrazione, composto di sole 20 libbre22.

Da questo momento in poi inizia il lento abbandono e decadimento dell’istituzione e delle strutture.

Posizione e riferimenti territoriali

L’eremo in questione si trova sul versante lucchese del Monte Pisano, sulle pendici nordoccidentali, in località Cocombola a Montuolo, ovvero l’antica pieve di Flexo, molto vicino alle anse del fiume Serchio nei pressi dell’antica via che collegava Pisa e Lucca.

17. Zazzeri, 2008. p 31 18. Concioni, 2008. p. 450 19. Concioni, 2008. p. 447 20. Zazzeri, 2008. p. 32 21. Zazzeri, 2008. p. 32 22. Zazzeri, 2008. p. 33

(31)

La cella sorge alle pendici del monte, praticamente già in valle e ha la facciata esposta a sud-ovest.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

Delle strutture originarie medievali ad oggi restano solo i muri perime-trali della chiesa, di dimensioni interne 17.5m x 8.5m, cinta ai fianchi da due costruzioni di epoca recente che sul retro sono unite da una sorta di terrazza coperta, realizzata probabilmente con resti delle strutture anti-che.

Le dirette prossimità della cella hanno subito un processo di urbaniz-zazione piuttosto importante e risulta difficoltosa l’interpretazione delle scelte insediative medievali.

(32)

34

(33)
(34)

sorge nella

prossimità di tre

grotte naturali.

fondato prima del

1214,ancora vi si

celebra il rito

ad agosto e

(35)

XIII. EREMO DI RUPECAVA

O Lupocavo

Storiografia

La vicenda della sua fondazione è essenzialmente ricostruita da Ducci23

che fa una sintesi critica degli apporti di Repetti, di Bertini e di Roth. La prima datazione diffusamente condivisa è quella della consacrazione della chiesa del 5 Maggio 1214, per mano dell’arcivescovo di Lucca, costru-ita sui terreni dei da Ripafratta che sempre ne conservarono il giuspatro-nato; invece a restare incerta e sovrapposta alla leggenda è la vicenda della fondazione dell’insediamento ecclesiastico: secondo la tradizione sarebbe un Guglielmo, inizialmente fatto coincidere con il duca d’Aquitania, poi con Guglielmo di Malavalle, e infine con un Guglielmo generico gentiluo-mo francese del secolo XII24, ad aver scelto la prossimità di queste

concavi-tà naturali come luogo adatto per la vita eremitica.

Quello che comunque emerge con sicurezza è che l’atto del 1214 si confi-gurò come la ratifica istituzionale di una frequentazione antica già conso-lidata, che nella tradizione agiografica vide tra i suoi vari visitatori anche il celebre S. Agostino d’Ippona; addirittura da un estimo del 1260 si evince che la chiesa, nella sua fase primitiva, è ricordata già dall’84525.

23. Ducci, 1999. p. 275-277

24. Ducci, 1999. p. 275. Si noti che Zazzeri nel 2008 ancora propende per accredi-tare la fondazione dell’eremo a Guglielmo di Malavalle; dal momento in cui anche l’autore stesso mette in evidenza qualche contraddizione, siamo propensi ad acco-gliere l’opinione di Ducci.

(36)

38

Negli anni successivi, nel 1221 e 124426, la curia romana emise ulteriori

donazioni e privilegi, favorì così la progressiva affermazione della dimen-sione cenobitica del complesso che nel giro di pochi anni, intorno al 1230, si associò nella Congregatio tredecim cellarum della diocesi di Lucca. In tali documenti compare come dipendente dalla pieve battesimale di S. Martino di Flesso o Flexo, oggi denominata Montuolo.

La vita associativa di Rupecava progredì confluendo nella Congregazione Toscana dal 1243 e nella Grande Unione del 1256.

Nel 1750, tramite breve, Benedetto XIV chiuse il convento e lo collegò a quello di San Nicola in Pisa dei padri Agostiniani.

Nel 1801 il Convento con tutti i suoi beni fu rivenduto ai Conti Roncioni discendenti dei Da Ripafratta, primi proprietari.

Le vicende storiografiche dell’insediamento nel XIII secolo sono ulte-riormente ampliate dalle raccolte di fonti curate da Concioni27 e Zazzeri28.

Nella prima si attesta nel 1223, nel 1251 e nel 1255, il diritto di possesso di alcuni “pezzi di terra” degli eremiti, tra cui anche “un orto con alcuni alberi presso le nuove mura della città di Lucca che confina con una via pubblica da un lato”; tale donazione, del 1223, era a favore non solo di Rupecava ma anche degli eremi di Valbuona di Garfagnana, della Cella di Prete Rustico, di San Giorgio della Spelonca, e di San Salvatore di Cavina, che avrebbero dovuto gestire il bene in comunione: è un documento in cui emerge, embrionale, la tensione verso una configurazione associata e che ci dà preziose informazioni riguardo al grado di isolamento degli insedia-menti eremitici, sempre più vicini alla configurazione cenobitica attiva nel tessuto sociale, sempre meno vicina alla tradizione patriarcale anaco-retica. Addirittura tale appezzamento di terra doveva ospitare una sorta

26. Carte dell’Archivio Arcivescovile di Pisa, Fondo luoghi vari, a c. di G. Garzella e L. Carratori (Pisa 1988), 39, nr. 22 e 96, nr. 61. Anche B. Rano, “Documentazione lucchese dei secoli XII e XIII attinente all’Ordine Agostiniano: Alle origini dell’Ordi-ne”, Annalecta Augustiniana 46 (1983), 115-256, 235ss., nr. 177-79; i privilegi saranno ripetutamente confermati nel decennio successivo, come risulta dai documenti nr. 180-82. Citato in: Ducci, 1999.

27. Concioni, 2008. p. 445-446 28. Zazzeri, 2008.

(37)

di ospizio, una piccola proprietà condivisa, strategica per i contatti con la realtà urbanizzata. Il dato è riportato anche da Zazzeri29.

Un altro documento utile a ricostruire la vicenda esistenziale degli ere-miti è costituita dal documento Libellus extimi Lucane Dyocesis del 1260, in cui in occasione della raccolta di una decima papale si censiscono le proprietà della diocesi; rispetto all’eremo di Rupecava si legge “Heremito-rium de Lupicavo libras XX”30, ovvero il patrimonio tassabile dell’eremo

era di venti libbre, una condizione non particolarmente florida soprattutto se confrontato con altri insediamenti confrontabili.

È interessante notare che il santuario, nonostante versi in stato ormai di rovina, continui a godere di particolare favore da parte dei fedeli, che continuano a salire alla “Grotta della goccia” , adornano la piccola edicola e a provvedono materialmente, per quanto possibile, alla conservazione dei ruderi.

Qui si celebrano messe ogni anno in estate e autunno, in occasione di particolari festività legate al culto mariano.

Posizione e riferimenti territoriali

L’eremo è situato a mezza costa del Monte Maggiore, ad un’altitudine di 294 metri s.l.m. in posizione dominante su di una vallata castagne, legna-me, bacche, polle d’acqua.

Strategicamente si pone sulla via di comunicazione tra il Castello di Molina di Quosa e Castello di Ripafratta o Cerasomma, come a dominare il passaggio naturale tra Pisa e Lucca che ospita il fiume Serchio; nella rico-struzione del contesto medievale un’altra condizione strategica favorevole all’insediamento era costituita dalla fitta coltivazione di castagno nell’area, che sicuramente era indice di una densa presenza umana, tra boscaioli e contadini.

Specialmente dalla più alta delle tre grotte, quella cui si accede tramite la scala, e probabilmente dai locali del complesso monastico

originaria-29. Zazzeri, 2008. p. 101 30. Zazzeri, 2008. p. 102

(38)

40

mente costruiti ad un piano sopraelevato rispetto al piano della strada, si traguarda con lo sguardo la valle del Serchio, e il versante meridionale delle prime pendici delle Alpi Apuane.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

L’edificio cenobitico si sviluppa su un piano addossato al muro di cinta che formalizza una soglia tra il bosco e l’ambiente monastico. Tale muro, con il suo sviluppo rettilineo, fa da contrappunto al profilo scavato della parete rocciosa del monte, in cui si aprono tre ampie grotte. Questa strut-tura, risalente al XVI-XVII, secolo ospitava le celle dei monaci, il refettorio, e forse anche dei magazzini.

Sono rintracciabili porzioni di muratura medievale anche nel muro perimetrale.

La piccola chiesa dedicata a S. Maria è costruita nell’intercapedine inter-na tra il muro e le grotte, e non è visibile dalla strada.

La chiesa odierna è a navata unica con abside e orientamento est-ovest, di circa 6.2 m x 9.5 m, le cui proporzioni sono esito di un allungamento dell’edificio nel secolo XVIII. Inoltre sul fianco destro della costruzione sono visibili strutture con monofora e portale e parte absidale di periodo alto medievale. Ci troviamo quindi di fronte a contributi di tre periodi differenti, i primi antichi nel fianco destro, la struttura principale del XIII secolo e l’allungamento più recente.

Rano31 a questo proposito fa notare che il 19 ottobre 1259 papa

Alessan-dro IV emise una bolla in cui esortava il popolo di Pisa, Lucca e Luni, a provvedere al restauro della chiesa che versa in uno stato di rovina.

La bolla, conservata presso l’Archivio Storico di Lucca, recita: “Cum igitur dilecti filii prior et fratres heremitarum heremi de Lupo Cavo Ordinis sancti Augustini, Lucane diocesis, sicut sua nobis petitione mostrarunt, ecclesiam ipsius heremi nimia vetustate consumptam de novo reparare ceperint opere sumptuoso, ad quod fidelium subsidium esse

(39)

dignoscitur opportunum, universitatem vestram rogamus et hortamur in Domino … ut per subventionem vestram opus inceptum valeat consumari. … “32

Ducci33 quindi concludere che si devono a questo restauro i resti antichi

sul fianco destro, esito dell’inversione nel XIII secolo dell’assetto della pic-cola “ecclesiam” preesistente e “nimia vestutate consumptam”.

32. Citato da Ducci, 1999, pagina 305. 33. Ducci, 1999. p. 304

(40)

42

(41)

La chiesa tra le strutture conventuali e la parete rocciosa

(42)

l’insediamento fu

fondato nel 1190

vicino ad una

grotta piuttosto

(43)

Storiografia

Le prime tracce storiografiche dell’eremo sono datate al 24

giu-gno del 1187

34

, momento in cui Paganello da Porcari, podestà di

Lucca, donò al sacerdote eremita Giovanni degli Onesti il terreno

dove sorgeranno l’eremo e la chiesa, per redimere lo stesso

Paga-nello, i suoi soldati e il popolo lucchese dai loro peccati.

L’insediamento venne fondato nel 1190 dal Magister Johannes de

Pretis e da un altro sacerdote Dulcis, che vennero incaricati nel

1198 dal Guido, arcivescovo di Lucca, di amministrare l’eremo,

da subito anche con il compito di cura delle anime.

La comunità nel 1204 era composta da un sacerdote e quattro

fratelli

35

.

L’eremo della Spelonca entra a far parte dell’Ordine degli

ago-34. Zazzeri, 2008 p. 108. L’autore fa notare che l’originale di tale documento non è rintracciabile, e che i dati riportati ci giungono attraverso le testimonianze di vari autori seicenteschi sul documento originale.

35. Zazzeri, 2008.

XIV. SAN GIORGIO DI

SPELONCA

(44)

46

stiniani di Tuscia nel 1244 e nel 1256 nella Grande Unione degli

eremiti agostiniani.

Le fonti riportate da Zazzeri inoltre delineano il quadro di una

stagione piuttosto florida per tutto il XIII secolo: a seguito di

donazioni di terreni, tra cui vigne con ortali e di un numero

piut-tosto stabile di confratelli, l’insediamento compare nel Libellus

extimi Lucanae Dyocesis nel 1260 con un reddito di 70 libbre

destinato a raggiungere le 84 dopo 17 anni e mantenersi stabile

fino alla fine del secolo.

La fase decadente si avvia con il XIV secolo, e già nel 1433 non ci

sono più confratelli nell’area, e la conduzione dell’eremo viene

affidata ad un frate milanese

36

.

Posizione e riferimenti territoriali

L’eremo sorge a mezza costa del monte, in posizione dominante

rispetto al passo fra Pisa e Santa Maria del Giudice.

La scelta specifica di questo sito da parte della comunità

me-dievale è con ogni probabilità dettata dalla presenza dell’ampia

grotta di cui è ancora visibile l’adattamento per l’uso umano.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

Ciò che resta dell’insediamento è costituito essenzialmente da

una piccola chiesa ad aula unica, scalette scavate nella roccia,

una grotta, un pozzo e una piccola vasca circolare larga circa un

metro scavata nella roccia.

Si cerca quindi di delineare che relazioni intercorrano tra questi

elementi.

La struttura della chiesa si inserisce, con orientamento sud-est,

(45)

in un’ansa disegnata dalla parete rocciosa del monte

parallela-mente alla bocca della grotta. È sulla superficie tra questi due

elementi che sono posizionati la conca, poco profonda, e la bocca

della cisterna.

Dal lato opposto della chiesa, a sinistra della facciata, sono state

scavate nella roccia delle scalette che conducono ad un piano

leggermente sopraelevato in cui sono leggibili tracce di scavo e

adattamento della roccia al fine di ospitare possibili strutture di

tamponamento. Si nota infine che la chiesa ospita un’apertura,

probabilmente una porta, sul fianco sinistro che la collegava

pro-babilmente ad un locale di cui si leggono tracce dei muri

perime-trali.

La chiesa è ad aula unica e tetto a capanna, le dimensioni di circa

5 x 9 m. È costruita in blocchi di calcare squadrato e la volta a

botte è di una fase posteriore probabilmente del XVIII secoli.

Dalle notizie storiografiche è noto che l’eremo funzionasse come

pieve, e l’intaglio circolare nella roccia potrebbe costituire la

traccia di un fonte battesimale.

(46)

48

(47)
(48)

fondato prima del

1235,

ne restano

pocchissime

(49)

Storiografia

Non ci sono giunte informazioni riguardo alla data di fondazione. Come riportato dal Fascetti37 Van Liujk lo attesta esistente almeno dalla seconda

metà del XII secolo.

Fu abitato dai florensi e in seguito, almeno dal 123538, vi si insediò la

comunità che confluì nella O.E.S.A. nel 1243.

Nei primi venti anni dalla fondazione della O.E.S.A. sono attestati a favo-re dell’efavo-remo passaggi di terfavo-re e la contesa con i flofavo-rensi sulla giurisdizione dell’eremo di San Bartolomeo di Vorno; nel Libellus extimi della diocesi di Lucca del 1260 si trova menzione di proprietà per 60 libbre per una confra-ternita di tre o quattro individui39.

La vita dell’eremo finì piuttosto rapidamente: nel 1266 sotto indicazione del generale agostiniano, fr. Guido da Staggia, si nominano due confratelli a vendere ed alienare i beni dell’eremo di Moriglione, tra cui anche l’eremo di San Bartolomeo di Vorno, al fine di raccogliere 350 libbre per comprare strutture e terre per edificare un nuovo convento cittadino a Lucca; e così già dai primissimi anni del secolo successivo l’insediamento resta disabita-to40.

37. Fascetti, 2007 38. Zazzeri, 2008. p.117 39. Zazzeri, 2008. p. 118-119 40. Zazzeri, 2008. p. 119-120

XV. EREMO DI SAN GIACOMO DI

MORIGLIONE

(50)

52

Posizione e riferimenti territoriali

L’eremo di San Giacomo era situato nel versante settentrionale del Monte Pisano, sui monti di Vorno, 100 metri a valle della confluenza del fosso di Vorno con il rio di Selvavecchia ad un altitudine di quasi 500 metri s.l.m.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

(51)
(52)

l’eremo si

trovava a sud-est

dell’abitato di

Vorno.

Al suo posto

sorsero nuove

strutture ad oggi

in stato di

abbandono

(53)

Storiografia

Van Liujk lo indica come esistente già nella prima metà del X secolo41.

La data di fondazione non è conosciuta, se consideriamo che nel 1244 gli eremiti di Moriglione chiesero al papa che il romito di monte Vorno tor-nasse in loro proprietà, dopo un intervallo di più di dieci anni in cui i fra-telli florensi lo avevano lasciato vuoto, possiamo affermare che negli anni trenta del XIII secolo l’insediamento era attivo42. Non si riscontrano molte

altre informazioni sulla vita del romito, se non indicazioni su donazioni nel 1245 e che in questo periodo il locus era abitato da quattro persone43.

Posizione e riferimenti territoriali

L’eremo si trovava a sud-est dell’abitato di Vorno tra le cime dei monti Formicosa e Gallico, lungo la strada che da Vorno conduce a Compito, ad un’altitudine di circa 500 metri s.l.m non lontano da una pozza d’acqua.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

Al posto delle strutture medievali sono sorte nuove costruzioni abitate fino alla metà del secolo scorso adesso versano in uno stato di abbandono.

41. Fascetti, 2007 INSERIRE NUMERO PAGINA 42. Zazzeri, 2008. p.121

43. Zazzeri, 2008. p. 122

Tra le cime dei monti Formicosa e Gallico

XVI. SAN BARTOLOMEO

DI MONTE VORNO

(54)

Agnano è una

frazione alle

pendici del

Monte Pisano.

(55)

Storiografia

Allo stato attuale delle conoscenze non ci sono informazioni sulla sua fondazione.

Probabilmente l’appartenenza dell’eremo all’Ordine Agostiniano è stata piuttosto breve. Nelle fonti di tale ordine i riferimenti sono soltanto due; il primo è del documento torelliano in cui si attesta la presenza dell’eremo al capitolo generale del 125044 e il secondo è un documento del 1262, sempre

riportato nel testo di Zazzeri, in cui si attesta che la comunità del romito elesse il notaio Gerardo suo procuratore, sotto il portico della chiesa45.

Posizione e riferimenti territoriali

Agnano è una frazione del Monte Pisano che sorge alle sue pendici, è in diretta prossimità della strada pedemontana lungomonte.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

Ad oggi non restano tracce né della chiesa né delle strutture del romito-rio.

44. Zazzeri, 2008. p. 125 45. Zazzeri, 2008. p. 125

XVII. SAN GIACOMO DI

AGNANO

(56)

le prime

tattestazioni

certe sono del

1210.

Oggi le

strutture annesse

alla chiesa sono

state convertite

(57)

Storiografia

La vicenda storiografica di questo insediamento è piuttosto incerta e non mancano le contraddizioni. Zazzeri46 critica apertamente le posizioni

di Martini47, e ancora le sue ipotesi non sono del tutto compatibili con la

lettura di Benassi48 che si concentra su un’analisi dei documenti costruiti.

La data della fondazione non è rintracciabile, anche perché probabil-mente sorge sui resti di un antico edificio sacro costruito per opera di frati camaldolesi, la struttura attuale risale probabilmente all’inizio del XII secolo dal momento in cui il sito pare riceva la visita di san Bernardo di Clairvaux nel 113549.

Le prime attestazioni certe sono del 121050: si sa che l’insediamento

apparteneva al monastero e chiesa benedettina di S. Michele in Borgo, e successivamente, anche se non si conosce il momento preciso, i confratelli decideranno di far parte dell’Ordine Agostiniano. Nel nuovo assetto

figura-46. Zazzeri, 2008. Cfr. tutto il capitolo Eremus Sancti Bernardi de Costa Aquae (n. 18)

47. Martini, 1976. Cfr. tutto il capitolo L’eremo dei Santi Jacopo e Verano alla Costa d’Acqua.

48. Benassi, 2005. Cfr. in particolare nel saggio di D. Ulivieri il capitolo L’architettu-ra camaldolese nel territorio pisano

49. Martini, 1976, p. 383

50. Zazzeri, 2008 e Martini, 1976.

Già cella dei Santi Jacopo e Verano alla costa d’acqua

XVIII. EREMO DI

SAN BERNARDO

(58)

62

no per la prima volta tra i presenti del Capitolo generale nel 125051.

Grosse incertezze sono legate soprattutto ai documenti della prima metà del 1200 intorno alla vicenda della costruzione di due chiese: una per vole-re di fr. Bernardo in località di Costa Feminicola ma con il nome dell’evole-remo antico, Santi Jacopo e Verano, e la seconda sul sito dove sorgeva il romito dei Santi Jacopo e Verano ma con il nuovo nome di S. Bernardo52.

In epoca contemporanea è stata aperta la strada Calci-Monte Serra, mo-dificando percettivamente il territorio e il suo percorso di avvicinamento. Infine la chiesa venne restaurato nel 1969 dalla Soprintendenza ai Monu-menti di Pisa in cui si eliminarono le sovrastrutture addossate al tempio e venne rifatto il tetto.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

Di questo eremo rimane solo la chiesa, di dimensioni 12,6m x 6,30, ad aula unica senza abside costruita in blocchi di verrucano, con campanile a vela impostato sulla facciata di epoca successiva. Probabilmente le tre mensole in facciata al di sopra della porta di ingresso dovevano sorreggere una tettoia antistante l’edificio.

Delle strutture medievali resta ben poco: tracce di muri perimetrali sono rinvenibili nelle tamponature della struttura adesso adibita a ristorante.

Posizione e riferimenti territoriali

Sorge a mezzacosta esposto a mezzogiorno sulle pendici del monte Ser-ra, posizione strategica poiché di controllo sulla parte meridionale della val Graziosa e perché collega Calci con Buti e la Verruca. Come suggerisce la toponomastica originariamente questo sito era particolarmente ricco di acque sorgive, di cui una pozza resta presente ancora oggi. Dalla picco-la valle esposta a sud si una chiara visione delpicco-la città di Pisa, si distingue Livorno, e si giunge con lo sguardo addirittura fino alla costa e le isole.

51. Zazzeri, 2008. 52. Martini, 1976

(59)
(60)

l’insediamento è

situato a

mezza costa

vicino a

direttrici

importanti del

Monte Pisano

(61)

Storiografia

Il complesso del Mirteto compare nella prima volta nelle fonti degli an-nali camaldolesi nel 115053, momento in cui il piccolo cenobio era sotto le

dipendenze della badia di San Michele alla Verruca, si attestava il passag-gio di proprietà all’ordine cistercense. Come la storica Benassi fa notare questo è l’unico documento in cui si attesta l’appartenenza del sito all’ordi-ne camaldolese.

In seguito in una lettera di papa Gregorio IX del 1227 si apprende che il complesso in questa data apparteneva all’ordine cistercense.

Su questi episodi entrambi gli studiosi, Zazzeri e Benassi, sono concordi. La ricerca di Zazzeri, basata sulle fonti agostiniane, a questo punto arricchisce la vicenda storica di un passaggio importante: nel 1244 il papa Innocenzo IV solleva gli eremiti di Mirteto dall’osservanza della regola di San Benedetto i quali adotteranno la Regola di Sant’Agostino, e partecipe-ranno al Capitolo generale dell’O.E.S.A. di Tuscia del 125054.

La breve parentesi agostiniana si conclude nel giro di pochi anni, infatti già dal 1258, due anni dopo la Grande Unione, si attesta che il complesso è nuovamente sotto la regola cistercense55.

La vita della comunità si protrasse, ormai in declino, per tutto il XIV secolo, in cui sono attestate permute di terre, donazioni e trasferimenti di

53. Benassi, 2005. p. 10 54. Zazzeri, 2008. p.137 55. Zazzeri, 2008. p.137

Eremo di Santa Maria delle nevi di Asciano

(62)

66

persone. Tramite questi documenti, illustrati da Benassi56, abbiamo

qual-che indicazione sulle caratteristiqual-che insediative dell’eremo: sicuramente erano proprietari di alcuni appezzamenti di terre e di mulini.

La parabola discendente della vitalità dell’eremo segue le sorti della crisi del sistema monastico. Da questo punto in poi il complesso assume sem-pre più le fattezze di un insediamento produttivo.

Posizione e riferimenti territoriali

Insediato a mezza costa, a nord-est di Asciano sulle pendici del monte Faeta. In un contesto ricco di risorse naturali, prima fra tutte la abbondan-te presenza di acqua.

In fase medioevale, come suggerito dalla toponomastica, l’area era rico-perta da macchie di mirto.

L’insediamento è esposto a mezzogiorno e situato lungo importanti vie di transito del Monte Pisano, ovvero una delle vie di collegamento tra Pisa e Lucca passando per Asciano.

Strutture e caratteristiche dell’insediamento

La piccola chiesa è a navata unica con abside, costruita in conci di ver-rucano, la cui cava era sotto le dipendenze dell’abbazia di San Michele alla Verruca.

Ha le dimensioni di circa 5m x 10m che corrispondono esattamente ad un rettangolo di 11 piedi x 22 piedi nelle unità mensorie pisane57. L’edificio

segue l’orientamento est-ovest con abside rivolto ad oriente.

La costruzione manifesta alcuni accorgimenti difensivi come l’apertura di tre monofore nell’abside nella direzione della strada che congiungeva Calci con Agnano.

56. Benassi, 2005. p 12

57. R. Castiglia mette bene in evidenza i rapporti formali della piccola chiesa nel suo approfondimento “Elementi di conoscenza del nucleo di Mirteto e del suo ter-ritorio” contenuto in “Mirteto, Storia e trasformazioni di un complesso monastico nel monte Pisano.” Pisa, 2005. p. 44

(63)

L’elemento dell’acqua è formalizzato in questo caso nella presenza di una piccola fonte di fianco all’ingresso della chiesa.

È interessante notare, come messo in evidenza nello studio di Benassi58,

le analogie costruttive con altre fabbriche camaldolesi di cui la più signifi-cante ai fini del presente studio è rappresentata dall’eremo di S. Bernardo. Entrambe le costruzioni sono in conci di verrucano squadrati con la mede-sima lavorazione “a punta”.

(64)

68

(65)
(66)

si celebrò qui il

capitolo generale

del 1250.

Oggi le strutture

sono abitate da

privati.

(67)

XXII. SAN SALVATORE

NELLA COSTA DEL MONTE

O in Cavina di Vicopisano

Storiografia

Nella storiografia l’eremo di San Salvatore alla costa del monte compare la prima volta nel già citato documento del 122359, in cui si assegnava ad

una sorta di consorzio di eremi un terreno con alcuni alberi da frutto e al-cuni locali; non si hanno quindi informazioni circa la fondazione dell’inse-diamento né ancora sulla regola di vita adottata, ma sicuramente possiamo attestare che nella prima metà del XIII secolo era attivo.

Probabilmente era una comunità anche piuttosto rappresentativa dal momento in cui nel 1250 vi si celebra un Capitolo generale dell’Ordine, antecedente alla fase della Grande Unione. Specialmente dal punto di vista storiografico tale Capitolo si rivelerà particolarmente fondamentale poiché qui si produsse il documento attestante i conventi di provenienza dei partecipanti alla riunione, il documento Torelliano, che si rivelerà fonda-mentale per ricostruire la vicenda dell’ Ordine degli Eremiti della Tuscia a metà del XIII secolo; questo elenco è alla base della ricostruzione storica di Zazzeri60.

Tornando alle vicende dell’eremo, non si riscontrano dati riguardo l’ade-sione del romito di San Salvatore alla prima unione del 1243, ma la suppo-niamo assodata dal momento in cui, come abbiamo visto, sette anni più tardi vi si celebrerà il Capitolo.

La fase positiva dell’insediamento è testimoniata anche dai censimenti

59. Concioni, 2008. p. 447 60. Zazzeri, 2008.

(68)

72

per la raccolta delle decime, in cui leggiamo che tra il 1276 - 1277 l’eremo aveva un reddito tra le 160 e le 200 libbre61.

Con la fine del XIII secolo ci si avvia però, sorte condivisa dalla maggior parte degli altri romitori, verso una lenta fase decadente, che porterà prima alla riduzione delle rendite dell’eremo, e poi alla progressiva contra-zione della comunità. Infatti già nel 1297, negli stessi documenti, si evince che l’eremo non percepiva reddito di cui pagare imposte62. Si era già

inne-scato quel processo per cui si favoriva la vendita di proprietà dei romitori in favore dei conventi cittadini. Con ogni probabilità il declino della cella era avanzato al punto che le sue parti costruite avevano bisogno di restau-ri, si sa che nel 1358 il priore generale Gregorio da Rimini esplicitò formal-mente la necessità di un recupero63. Così come le strutture stavano pian

piano perdendo solidità, anche la comunità stava perdendo consistenza: già nel XV secolo l’eremo era retto da uno o al massimo due frati64.

Nel 1570 in occasione del Capitolo generale dell’Ordine di Perugia si procedette all’unificazione degli eremi di Rupecava e di San Salvatore al convento di San Nicola, le cui rendite avrebbero contribuito al restauro del convento urbano. La vita del romitorio dedicato a San Salvatore da questo momento in poi resta legata a quella di San Nicola.

Posizione e riferimenti territoriali

Esposto a mezzogiorno, il complesso sorge a mezzacosta del monte Ver-ruca nei pressi di una polla. Allo stato attuale è raggiungibile dalla strada che da Vico Pisano arriva sulla cima del monte, in località “Mandrie di Sotto”.

È interessante notare che tale romitorio sorge sulla via di collegamento tra Vico e la Rocca della Verruca e l’Abbazia di San Michele sempre sulla Verruca.

61. Zazzeri, 2008. p. 146 62. Zazzeri, 2008. p. 146 63. Zazzeri, 2008. p. 147 64. Zazzeri, 2008. P. 147

(69)

Strutture

Delle strutture medievali resta ben visibile solo la chiesa, che attualmen-te si trova inserita in un agglomerato di strutture più recenti apparenattualmen-te- apparente-mente senza legame con la tipologia insediativa antica.

La piccola chiesa ad aula unica ha le dimensioni in pianta di 5.70m x 14.70m, è costruita in filari regolari di blocchi di verrucano ed è orientata con la facciata ad ovest.

(70)

in epoca medievale

il Monte era ricco

di risorse e

poteva essere

percorso in

alternativa alle

paludi pedemontane

(71)

Storicamente, dall’antichità e per tutto il medioevo, il Monte Pisano non si configurava nell’organizzazione territoriale come un limite, come un elemento divisorio, attributo che probabilmente gli compete nella nostra epoca contemporanea. Piuttosto era, con la sua struttura morfologica, elemento costituente di un sistema complesso di relazioni e vie di transito; in sostanza assumeva un ruolo essenziale per la connessione tra le città di Pisa e Lucca, e più in generale della piana.

A testimoniare la sua importanza di presidio strategico e del suo essere bacino di espansioni e contrazioni delle aree di influenza delle due città, sono tutt’ora visibili sparsi su tutto questo territorio collinare, anche se con diversi gradi di conservazione, resti di insediamenti di vario tipo: quando fortificazioni, quando edifici di matrice ecclesiastica e quando strutture finalizzate allo sfruttamento delle risorse naturali.

Il Monte era inserito in una vasta paludosa ed era lambito da nume-rosi fiumi e canali navigabili, che in fase medievale erano rappresentati dall’Arno, l’Auser con i suoi rami secondari il Tubra e l’Auserculus. Il Lago di Bientina, allora noto come Lago di Sesto, aveva come immissario prin-cipale l’Auser che rendeva raggiungibile via acqua la città di Lucca dalla depressione bientinese. << […] il monte rappresentava una solida isola di terraferma, dove le attività stanziali non erano soggette alle stesse forme di precarietà e di instabilità65>>, e ancora a chi aveva il diritto di sfruttarle

65. Dalla presentazione che l’urbanista Piero Pierotti fa del volume a cura di R. Fascetti Il Monte Pisano. Storia del territorio. 1997. p. 9

Il sistema viario

IL MONTE PISANO

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76

offriva risorse molto utili, quali l’abbondanza di terre coltivabili, di legna-me e di energia idrica per muovere le macine dei mulini e dei frantoi, e ancora cave di materiale da costruzione.

Le principali vie di comunicazione terrestri intorno al monte essenzial-mente erano due, con i nomi dell’epoca erano la Strata Vallis Arnis che si snodava alla sinistra del fiume e che proseguiva per tutta la val d’Arno, la via pedemontana sul lato orientale dei Monti che lambiva il Lago di Bien-tina e quella nella valle del Serchio, la via a Luca a Pisas, di connessione direttamente tra le due città.

Questo assetto viario tra l’altro ricalca piuttosto fedelmente i tracciati antichi del periodo romano66, ricostruiti da Ceccarelli Lemut e

Pasquinuc-ci tramite lo studio della distribuzione dei toponimi miliari e delle fonti scritte.

Nel caso della strada alla sinistra dell’Arno che si snoda nell’ager Pisanus possiamo far risalire la genesi dell’attuale via Tosco-Romagnola che nella sua configurazione attuale se ne discosta fortemente in seguito alle siste-mazioni dell’alveo del fiume.

La via a Luca a Pisas è attestata sin dal periodo romano, sulla base di ipotesi formulate partendo dalla localizzazione di necropoli, di costruzioni del periodo e la struttura geomorfologica del territorio; la via congiungeva l’area di Porta a Lucca con le pendici del monte e da lì, verso Rigoli, Molina di Quosa, Pugnano, Ripafratta e Montuolo e poi all’incirca della strada pro-vinciale odierna fino a Lucca. Non è certo un caso che lungo questo asse viario siano sorte una serie di pievi come la quella di Pugnano67. Lo stesso

tracciato, la Strata Vallis Auseris, è confermato anche dalle fonti medievali. Tra l’altro tale percorso si connetteva con un altro sempre pedemontano che proveniva da est, e anch’esso permane come segno sul territorio.

In generale possiamo constatare che del sistema viario principale di epoca tardo imperiale e medioevale possiamo ancora percorrere i tratti e assumerli come abbastanza simili a quelli che si snodavano nel territorio

66. Per tutta la questione riguardo al legame tra i tracciati romani e quelli medie-vali cfr. Fonti antiche e mediemedie-vali per la viabilità del territorio pisano. di M. L. Ceccarelli Lemut e M. Pasquinucci in Bollettino Storico Pisano, LX, 1991. 67. Fascetti, 2007. p.31

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di interesse nella definizione topografica del periodo in cui sorsero gli insediamenti eremitici.

A fianco alla rete di collegamento privilegiata si snodavano sicuramente una fitta rete di sentieri attraverso le valli del Monte Pisano68: in primis

quello che dalle pendici del Monte Castellare sale fino al passo che oggi è chiamato di Dante, che costituisce per conformazione morfologica uno degli attraversamenti più agili del monte69, ma anche tutti quelli che

do-vevano solcare il massiccio per collegare le “cave, gli insediamenti, i corsi d’acqua spesso percorribili per il trasporto di uomini e cose, le colture70

come del resto “l’uno e l’altro versante del Monte, la zona alta e la zona pedemontana e pianeggiante71”.

68. In Monte Pisano di Ceccarelli Lemut e Garzella in la diocesi di Pisa di Testi Cri-stiani (2011). Anche A. Alberti, in I monasteri medievali del Monte Pisano (secoli X-XIII) in Monasteri e Castelli fra X e XII secolo. Il caso di San Michele alla Verruca e altre ricerche storico-archeologiche nella Tuscia occidentale, 2003. A cura di R. Frankovich.

69. Fascetti, 2007. p. 31

70. In Monte Pisano di Ceccarelli Lemut e Garzella in la diocesi di Pisa di Testi Cristiani (2011). p. 19

71. In Monte Pisano di Ceccarelli Lemut e Garzella in la diocesi di Pisa di Testi Cristiani (2011). p. 20

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Il deserto

diventa metafora,

è in realtà uno

spazio amorfo, è

piuttosto un

deserto

spirituale, una

condizione

esperienziale

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