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Iniezione diretta alta pressione: studio di correlazione tra parametri di design della sede e proprieta' dello spray dell'iniettore in relazione alle prestazioni di emissione motore

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Veicoli

Tesi di Laurea Magistrale

Iniezione diretta alta pressione:

studio di correlazione tra parametri di

design della sede e proprietà dello spray

dell'iniettore in relazione alle prestazioni

di emissione motore

Candidato: Francesco Biasci

Relatore: Ing. Marco Antonelli

Tutor: Ing. Daniel Marc

Sessione di Laurea del 29/09/2017 Anno Accademico 2016/2017

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Questa Tesi è frutto di un lavoro svolto presso la sede Continental di San Piero a Grado.

Essendo un lavoro compiuto a sostegno di una grossa azienda come la Continental Automotive, i risultati conseguiti e le conclusioni dello studio sono soggette a segreto aziendale.

Per questo motivo in tutto il documento non sono state volutamente inserite dove richiesto dall'azienda le scale dei grafici e le misure numeriche di determinate grandezze.

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Abstract

Il raggiungimento dei nuovi limiti di legge internazionali in materia di emissioni di particolato per i motori a combustione interna, necessita di una conoscenza sempre migliore delle prestazioni dei sistemi di iniezione diretta benzina ed in particolare del suo cuore: l'iniettore ad alta pressione.

In questo contesto Continental Automotive ha intrapreso un'attività di studio indirizzata a capire i legami tra prestazioni motore, proprietà dello spray dell'iniettore e parametri di design della sede.

Questo lavoro di Tesi contribuisce a questo studio e si sviluppa a partire da un'attività sperimentale basata su un approccio DOE.

Esso mira a fornire una base di dati che legano dimensioni geometriche della sede iniettore, misure avanzate dello spray e risultati di prove motore.

I dati così raccolti sono stati analizzati tramite uno studio di correlazione e sono stati proposti modelli che collegano i parametri di design della sede alle grandezze fluidodinamiche dello spray e infine alle emissioni di PN e al flow loss quando l'iniettore viene montato sul motore.

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Abstract

The achievement of the new international law limits on particulate emissions for internal combustion engines, requires a better knowledge of the performance of fuel direct injection systems and in particular of its heart: the high pressure injector.

In this context, Continental Automotive has undertaken a study aimed at understanding the links between engine performance, injector spray properties and seat design parameters.

This Thesis work contributes to this study and develops from experimental activity based on a DOE approach.

It aims to provide a database that links geometric dimensions of the injector seat, advanced spray measurements and engine test results.

The collected data were analyzed through a correlation study and models were proposed that link the seat's design to the fluid dynamics features of the spray and finally to the PN emissions and to the flow loss when the injector is assembled on the engine.

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Indice

1. Introduzione ... 7

2. L'iniettore ... 12

2.1. L'iniezione diretta di benzina ... 12

2.2. Geometria e funzionamento ... 14 2.3. La sede ... 17 3. Le caratteristiche di un iniettore ... 19 3.1. Calibrazione... 22 3.2. Portata statica ... 24 3.3. Pressione massima ... 24 3.4. Linearità ... 25 3.5. Leak ... 28 3.6. Penetrazione ... 28

3.7. High speed video ... 29

3.8. Spray pattern ... 30

4. Schema di lavoro ... 32

4.1. Definizione del DOE ... 35

4.2. Gli output delle funzioni di trasferimento ... 37

4.2.1. Particulate Number (PN) ... 38

4.2.2. Flow loss ... 42

4.3. Le caratteristiche fluidodinamiche dell’iniettore ... 44

4.3.1. Spray penetration ... 44

4.3.2. ETI (Empty Time Index) ... 44

4.3.3. Tip wetting... 46

4.3.4. Spray Collapse ... 47

4.3.5. CCP (Critical Cavitation Point) ... 50

4.3.6. Qs ... 53

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5 4.4.1. L/D ... 54 4.4.2. CF ... 54 4.4.3. ShD ... 55 4.4.4. FhD ... 56 4.4.5. %HG ... 57 4.4.6. Altri parametri ... 59

5. Analisi dei gruppi ... 61

5.1. Gruppo D1 ... 62 5.2. Gruppo D2 ... 63 5.3. Gruppo E1 ... 64 5.4. Gruppo E2 ... 64 5.5. Gruppo F1 ... 65 5.6. Gruppo F2 ... 66 5.7. Gruppo G1 ... 67

6. Le funzioni di trasferimento lato iniettore ... 69

6.1. La penetrazione ... 74

6.1.1. Gruppo D1 ... 74

6.1.2. Gruppo D2 ... 89

6.1.3. Gruppo E1 ... 95

6.1.4. Gruppo E2 ... 103

6.1.5. Gruppo E (E1 + E2)... 108

6.1.5. Gruppo F ... 114

6.1.6. Gruppo G1 ... 115

6.1.7. Tutti i gruppi ... 121

6.1.8. Gruppo a cinque fori ... 124

6.1.9. Gruppo a sei fori ... 127

6.1.10. Jet Wise Penetration: conclusioni ... 130

6.2. L'Empty Time Index ... 131

6.2.1. Gruppo D1 ... 132

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6

6.3. Il Critical Cavitation Point ... 135

6.3.1. Gruppo E1 ... 135

6.3.2. Gruppo E2 ... 138

6.3.3. Gruppo E (E1 + E2)... 142

6.3.4. Critical Cavitation Point: Conclusioni ... 145

6.4. Lo Spray Collapse ... 146

6.4.1. Spray Collapse: Conclusioni ... 150

7. Relazioni tra grandezze caratteristiche dello spray e performance motore ... 151

7.1. La penetrazione ... 152

7.1.1. PN vs JWP ... 152

7.1.2. Flow Loss vs JWP ... 157

7.1.3. FdT motore vs JWP: Conclusioni ... 160

7.2. L'Empty Time Index ... 160

7.3. Il Critical Cavitation Point ... 161

7.3.1. PN vs CCP ... 161 7.3.2. Flow Loss vs CCP ... 163 7.3.3. FdT motore vs CCP: Conclusioni ... 165 7.4. Lo Spray Collapse ... 165 7.4.1. PN vs SC ... 165 7.4.2. Flow Loss vs SC ... 168 7.4.3. FdT motore vs SC: Conclusioni ... 170 7.5. Tip wetting ... 170 8. Conclusioni ... 172

8.1. Sintesi del lavoro svolto ... 172

8.2. Conclusioni principali ottenute ... 173

8.3. Sviluppi futuri ... 174

Bibliografia ... 175

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1. Introduzione

Con il continuo incremento della domanda di energia negli anni abbiamo assistito ad un aumento esponenziale delle emissioni di combustibile derivate dall’utilizzo di fonti fossili.

Per tentare di limitare il danno ambientale vengono emanate continuamente nuove norme che impongono delle restrizioni sempre più stringenti alle emissioni dei motori.

Per far fronte a questo problema vengono utilizzati approcci diversi che vanno dal miglioramento della tecnologia esistente alla ricerca di nuove soluzioni.

Per quanto riguarda il motore benzina è aumentato negli ultimi anni l’interesse per il sistema ad iniezione diretta, denominato Direct Injection Spark Ignition (DISI) o Gasoline Direct Injection (GDI), in parte per le migliori prestazioni e i minori consumi specifici (fino al 25% di carburante utilizzato in meno [1]) rispetto ai sistemi a iniezione indiretta (Port Fuel Injection o PFI), e in parte per le minori emissioni di incombusti e CO rispetto agli stessi [2].

E’ interessante notare che nel 2012 negli Stati Uniti metà delle certificazioni per i veicoli leggeri includevano motori benzina a iniezioni diretta, per un valore di circa il 24% del mercato, a fronte di un virtuale 0% nel 2007.

Questo trend di crescita è destinato a salire ed è stato previsto che nel 2025 fino al 93% dei veicoli benzina utilizzeranno la tecnologia DISI [3].

Un grande problema che penalizza i motori GDI rispetto ai PFI è però l’emissione del particolato. Il particolato è una sostanza che, oltre ad apportare gravi danni alla salute umana, produce effetti indesiderati anche all’ambiente riducendo la visibilità, incrementando l’acidità dei laghi e fiumi, riducendo il livello di nutrienti del terreno e la diversità dell’ecosistema e danneggiando edifici e monumenti [4].

I motori GDI presentano una emissione di particolato sensibilmente minore rispetto ai motori Diesel, ma le dimensioni delle particelle emesse

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risultano essere molto inferiori con un aumento della pericolosità per la salute dell’uomo.

Un metodo per classificare il particolato è suddividendolo in base al Diametro Equivalente Aerodinamico (AED) delle particelle, in modo da definire in quale parte del corpo umano si potrebbero depositare.

I tre AED maggiormente usati sono PM10 (diametro inferiore ai 10 µm), PM2,5 (diametro inferiore ai 2,5 µm) e PM0,1 (diametro inferiore ai 0,1 µm).

L’Organizzazione Mondiale per la Salute ha stimato che la concentrazione del PM2,5 contribuisce a circa 800.000 morti premature all’anno ed è classificata al 13° posto tra le maggiori cause di mortalità al mondo [5].

Per questo motivo nella normativa Euro VI entrata in vigore nel 2014 e nelle sue successive revisioni EU6b e EU6c, oltre a limitare la massa del particolato (PM < 5mg/km), è stata posta una soglia anche al numero di particelle emesse dal motore (PN < 6 x 1011 particelle/km) [6], poiché chiaramente a parità di massa un numero di particelle maggiore implica una dimensione inferiore delle stesse.

Da un’indagine sulle pubblicazioni disponibili riguardo alle emissioni del particolato dei motori a combustione interna si evince che c’è un piccolo numero di report sui motori GDI rispetto ai Diesel.

In aggiunta, la natura delle emissioni di particolato dei motori GDI che risulta essere più volatile e con particelle più piccole, complica maggiormente il confronto tra le due tecnologie.

Da un analisi condotta tra un motore GDI e un motore PFI con diversi combustibili risulta che i primi hanno un’emissione di PM di un ordine di grandezza superiore [7], mentre il valore di PN arriva ad essere superiore fino a 2 ordini di grandezza [8].

Un’analisi quantitativa delle emissioni di particolato in numero e massa (PN e PM) utilizzando come combustibile la benzina è stata condotta in [2], dove sono stati confrontati i due motori GDI e PFI con funzionamento in ambiente “caldo” (30 °C) e “freddo” (-7 °C).

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I veicoli su cui sono stati montati i motori, le cui specifiche sono riportate in

Tabella 1.1, sono stati testati secondo il ciclo WLTC (Worldwide harmonized

Light vehicles Test Cycles) versione 5.3 che comprende quattro fasi, descritte brevemente in Tabella 1.2.

Il ciclo WLTC ha una lunghezza complessiva di circa 23,3 km ed è stato sviluppato per uniformare le norme di omologazione a livello mondiale.

Tutti i paesi dovranno adottarlo a partire dal 2017. Rispetto ai cicli precedenti come il NEDC (New European Driving Cycle) si hanno accelerazioni maggiori, distanze percorse più grandi e velocità massima raggiunta più elevata, tutto questo per cercare di riprodurre durante il collaudo una situazione più simile a quella di guida reale su strada [9].

I risultati ottenuti per il motore GDI sono abbastanza significativi in quanto, come vedremo, per il nostro studio è stato utilizzato un motore simile (1,8 L, turbo-charged, 4 cilindri).

Tabella 1.1: Specifiche dei veicoli GDI e PFI usati in [1]

Tabella 1.2: Descrizione del ciclo WLTC

I risultati riscontrati durante il test indicano che i veicoli GDI generano più PM rispetto ai PFI a 30°C (valori medi rispettivamente 2,75 mg/km e 2,29 mg/km),

GDI PFI

Fuel system Direct injection Multi-port injection

Intake method Turbo-charged Normally aspirated

Displacement (L) 1,8 2,0 Number of cylinders 4 4 Engine power (kW) 118 108 Compression ratio 9,6 9,8 After-treatment TWC TWC Odometer (km) 4828 9539

Manufacturing Country China China

Model year 2015 2015

low-speed medium-speed high-speed extra high-speed

duration (s) 589 433 455 323

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mentre a -7°C le emissioni aumentano e la situazione si capovolge con i PFI che emettono più dei GDI (valori medi di 5,86 mg/km per i GDI e 11,89 mg/km per i PFI), risultato che viene confermato anche in altre letterature [10].

Da questo risultato si evince che i motori GDI risentono meno dei PFI delle condizioni ambientali rispetto alle emissioni di PM.

Si evidenzia inoltre che i motori GDI emettono maggiormente durante la prima fase del ciclo sia a -7°C che a 30°C, mentre nelle altre fasi, a causa anche del riscaldamento degli stessi, l’emissione di PM decresce notevolmente. Per quanto riguarda le emissioni di PN a 30°C si ha che i motori GDI hanno un valore medio che è circa 7 volte superiore a quello dei motori PFI (maggiore di 2 x 1012 particelle/km i GDI mentre i PFI non raggiungono le 4 x 1011 particelle/km), mentre a -7°C sono molto simili tra loro (circa 4 x 1012 particelle/km in entrambi i casi).

Come per i PM anche le emissioni di PN aumentano quando la temperatura diminuisce da 30°C a -7°C e sono concentrate maggiormente durante la prima fase del ciclo.

Si comprende quindi come sia fondamentale riuscire a diminuire l’emissione di PN in un motore GDI in modo da poter rientrare nei limiti imposti dalla legge.

Nel tentativo di trovare una soluzione a questo problema Continental Automotive ha avviato un’attività di ricerca di cui tratta questa Tesi, con lo scopo di definire quale sia l’incidenza della geometria della sede di un iniettore sull’emissione di PN, ed eventualmente su quali fattori intervenire per poter diminuire tali emissioni.

La sede di un iniettore è la parte terminale da cui fuoriesce il combustibile, la geometria e la disposizione dei suoi fori è quindi un parametro che governa la forma e la penetrazione dello spray.

Sedi diverse generano spray diversi, i quali producono determinate quantità di particolato sul motore.

Durante il lavoro svolto sono state prodotti e testati iniettori con configurazioni di sedi diverse.

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Misurando il particolato emesso in funzione della geometria della sede è stato possibile determinare le incidenze di alcuni parametri dei fori con l’emissione di particolato stessa.

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2. L'iniettore

Lo studio di questa Tesi si basa sull'iniezione diretta di benzina.

Prima di andare ad analizzare il problema affrontato è necessario fare un passo indietro per comprendere che cosa significa iniezione diretta per un motore benzina e quale è il funzionamento suo e dell'iniettore.

2.1. L'iniezione diretta di benzina

Gli studi sull'iniezione diretta di benzina iniziano già nei primi del '900 con il motore Antoinette, un V8 destinato ad aerei e piccole imbarcazioni, progettato da Leon Levavasseur dal 1904 e prodotto dal 1906 al 1910 [11].

Questo restò però un caso isolato poiché in quegli anni i motori a carburatore erano predominanti e l'iniezione diretta veniva studiata solo per i motori diesel.

La prima vera produzione di serie per i motori a iniezione diretta di benzina risale agli anni 1936-37, quando in Germania si iniziò a studiare questi sistemi per l'impiego nell'ambito aviatorio (Junkers Jumo 210 e Daimler-Benz DB 601).

Per far arrivare questa soluzione costruttiva anche alle vetture automobilistiche si dovette aspettare fino alla fine della seconda guerra mondiale quando nacquero la Gutbrod Superior e la Goliath GP-900 E, due auto tedesche i cui motori sono stati sviluppati rispettivamente nel 1952 e nel 1955.

In quegli anni l'iniezione diretta di benzina fu impiegata anche per le Mercedes Benz di Formula 1 e per la 300 SLR che collezionarono diversi successi sportivi.

Da quel momento in poi però cadde quasi totalmente in disuso, a favore dell'iniezione indiretta che risultava una soluzione costruttiva più semplice ed economica.

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L'avvento del controllo elettronico rappresentò la svolta per i sistemi ad iniezione diretta, che poterono così superare alcuni problemi che ne avevano limitato lo sviluppo.

Nella seconda metà degli anni Novanta infatti si iniziò a studiare l'iniezione diretta per tentare di ridurre i consumi di combustibile e le emissioni di CO2.

Da quel punto in poi, grazie anche alle norme emanate per limitare le emissioni, i motori a benzina ad iniezione diretta hanno iniziato ad avere una parte di mercato sempre più importante.

L'iniezione diretta consiste nell'immettere carburante direttamente in camera di combustione, a differenza di quella indiretta che lo immetteva nel condotto di aspirazione.

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Affinché il combustibile possa essere iniettato in camera di combustione è necessario utilizzare una pompa ad alta pressione che lo comprimi ad una pressione sufficiente (generalmente 100-250 bar anche se ad oggi si arriva anche a pressioni di 350-500 bar).

Gli iniettori ricevono le benzina alla pressione di iniezione e il loro compito è di dosarla e polverizzarla istantaneamente in modo da ottenere la migliore miscela possibile direttamente nella camera di combustione [12].

Attraverso i comandi elettrici è possibile regolare accuratamente l'istante di inizio e fine iniettata e suddividere l'iniezione in più fasi, in modo da ottenere una iniezione multipla. Tutti questi fattori, se ben progettati, permettono di ridurre i consumi e le emissioni del motore.

A questi vantaggi si aggiungono quelli dovuti alla formazione della miscela aria-combustibile che, formandosi direttamente in camera di combustione, permette di avere una carica stratificata e di far evaporare tutto il combustibile direttamente nel cilindro, con un aumento del rendimento volumetrico.

Gli svantaggi principali invece riguardano, oltre al maggior costo e complessità rispetto all'iniezione indiretta, la possibilità di avere il bagnamento del combustibile sulle pareti del cilindro o sulla testa del pistone, soprattutto in condizioni di partenza a freddo (fattore negativo per diluzione d'olio o formazione di particolato).

2.2. Geometria e funzionamento

Un iniettore è un dispositivo che deve erogare una determinata quantità di combustibile messo in pressione dalla pompa in un tempo brevissimo.

Al contrario degli iniettori meccanici utilizzati in passato, al giorno d'oggi si usano quasi esclusivamente iniettori comandati mediante dei segnali elettrici con una serie di vantaggi come la flessibilità di controllo, una maggior libertà di variare i tempi e le durate di iniezione e il numero di iniezioni che si possono effettuare ad ogni ciclo.

Un iniettore di questo tipo è chiamato anche elettroiniettore ed è costituito da tre diversi tipi di circuito: uno magnetico, uno elettrico e uno idraulico [13].

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La struttura di un iniettore è raffigurata in Figura 2.2 mentre gli schemi dei tre circuiti sono riportati in Figura 2.3 (circuito magnetico), in Figura 2.4 (circuito elettrico) e in Figura 2.5 (circuito idraulico).

Figura 2.2: Struttura di un elettroiniettore per motore GDI

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Il circuito magnetico è formato da una catena di elementi ferromagnetici ad alta permeabilità magnetica che sono un'ancorina magnetica (composta dall'armature e da un'asta chiamata needle o pin su cui è saldata la ball, il cui movimento apre e chiude l'iniettore), un pole piece (core), una bobina o solenoide (coil), un corpo valvola (valve body) e un involucro (housing).

Il circuito elettrico è schematizzabile come una resistenza in serie ad un'induttanza, collegate ad un generatore di tensione continua.

Figura 2.4: Schema del circuito elettrico di un elettroiniettore

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Infine il circuito idraulico è schematizzabile come un condotto nel cui corso viene interposta una valvola composta da una parte mobile, che è la stessa ancorina del circuito magnetico, e da una parte fissa denominata sede.

Nella parte a valle del condotto negli iniettori a bassa pressione è posto un ugello, mentre quelli ad alta pressione ne sono sprovvisti e presentano solamente la sede come parte terminale.

In condizioni di riposo l'ancorina, grazie all'azione di una molla e della forza idraulica del fluido, impedisce la fuoriuscita del carburante che, in pressione, giace all'interno del condotto a monte dell'iniettore.

La forza elettromagnetica si viene a formare quando la bobina viene percorsa dalla corrente generata dal circuito elettrico.

Dato che la pressione del combustibile può superare i 250 bar è necessaria una grande corrente di picco per staccare l'ancorina dalla sede.

Quando la forza elettromagnetica assume un valore tale da superare la somma della forza data dal precarico della molla, dalla forza idraulica del carburante in pressione e dalla forza dovuta ai vari attriti interni, il gruppo armature needle e ball (chiamato anche APB), che sono tra loro solidali, vengono attratti dal pole piece verso l'alto aprendo l'iniettore.

Quando poi il solenoide non riceve più la corrente elettrica allora la forza elettromagnetica scompare e l'APB si stacca dal pole piece e si richiude sotto l'effetto delle forze idrauliche e del carico molla facendo cessare il flusso di combustibile.

2.3. La sede

Come abbiamo visto un iniettore deve riuscire a far pervenire una certa quantità di combustibile in un tempo opportuno.

Questa però non è l'unica caratteristica importante di un iniettore, ma un'altra cosa fondamentale è come il combustibile viene immesso in camera di combustione, ovvero con quale forma, dimensione e penetrazione dello spray.

Inoltre è necessario garantire la tenuta dell'iniettore quando esso è chiuso, in modo da evitare che il combustibile fuoriesca quando non dovrebbe.

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Tenuta, dosaggio del combustibile, atomizzazione e forma dello spray vengono definite tramite la progettazione della sede, ovvero della parte terminale dell'iniettore provvista di fori dai quali fuoriesce il combustibile.

La sede viene infatti forata a partire dallo spray pattern, ossia dal target bidimensionale collocato su un piano perpendicolare all'asse dell'iniettore (a distanza nota) che indica la posizione relativa del centro di massa del singolo getto rispetto all'asse dell'iniettore.

Conoscendo come il combustibile deve diffondersi in camera di combustione si passa a definire le varie caratteristiche della sede per far si che il target richiesto venga soddisfatto.

Per un'analisi dettagliata delle varie caratteristiche geometriche della sede si rimanda al capitolo 4.

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3. Le caratteristiche di un iniettore

L'assemblaggio e la validazione di un iniettore è un processo suddiviso in più fasi, ognuna delle quali richiede delle misure specifiche di un determinato laboratorio.

Dopo una prima fase di progetto in cui vengono stabilite le caratteristiche che una data serie di iniettori deve avere, (con serie si definisce una "famiglia" di iniettori aventi le stesse caratteristiche ed è indicata con un numero a cinque cifre), si passa a ordinare il materiale necessario a realizzare tali iniettori tramite una riunione di Kick-off con il responsabile della sala campioni (laboratorio adibito alla foratura delle sedi e all'assemblaggio degli iniettori).

Anche le sedi vengono ordinate, ma la foratura viene effettuata a Pisa nello stabilimento di San Piero a Grado tramite due macchine differenti, una EDM (la quale pratica i fori per elettroerosione) o una laser. Nel nostro studio sono state utilizzate sedi forate esclusivamente dalla macchina EDM.

Successivamente, prima di assemblare l'iniettore, è necessario misurare la geometria delle sedi, sia per quanto riguarda i fori che i profili esterni e interni.

Solitamente questo procedimento non viene realizzato su tutte le sedi ma solo su pochi campioni in fase di set up della macchina per validare una serie di iniettori ma, nel nostro studio, data la ricerca di una correlazione con la geometria delle sedi, sono state misurate il maggior numero possibile compatibilmente con gli altri lavori che i vari laboratori dovevano svolgere.

La misura delle sedi richiede l'utilizzo di tre laboratori differenti.

In sala campioni viene misurata la geometria dei fori tramite una macchina chiamata Werth e vengono flussate le sedi in modo da avere una misura della loro portata in g/s con un fluido denominato Exxsol (nei laboratori è vietato l'utilizzo di fluidi volatili facilmente infiammabili, per questo viene utilizzato un fluido di produzione derivato da un'acquaragia dearomatizzata).

Il profilo esterno di una sede viene misurato nel laboratorio di Metrologia della sede di San Piero a Grado tramite una macchina chiamata PGI munita di un tastatore che ne segue la sagoma.

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In Figura 3.1 è rappresentato un esempio di profilo esterno realizzato tramite il PGI e da cui si può ricavare l'altezza e il raggio della protrusione esterna oltre alla rugosità della superficie.

Figura 3.1: Analisi elaborata del profilo esterno di una sede

L'ultimo sistema di misura è il CCI presente nella sede Continental di Fauglia dove si misurano le grandezze geometriche relative al profilo interno delle sedi e quindi del pozzetto.

Oltre al profilo interno il CCI ci permette mediante un post processing particolare di misurare anche gli OFF-H di una sede, ovvero le minime distanze radiali tra lo spigolo del foro da cui fuoriesce la benzina e il diametro del pozzetto all'interno della sede

.

In Figura 3.2 è rappresentato un esempio di elaborazione del profilo interno da cui si risale a tutte le grandezze misurabili: i diametri, l'angolo del cono di apertura e la profondità del SAC e l'altezza H.

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Figura 3.2: Analisi elaborata di un profilo interno di una sede

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Come si vede dalla Figura 3.3 è molto importante numerare i fori in modo da avere per ognuno di essi la tracciabilità sulle dimensioni e sulle misure fluidodinamiche (in particolare vedremo che sarà importante per le regressioni relative alla penetrazione).

Prima di forare le sedi e procedere con tutte le misure è necessario marcare tramite un laser le stesse, in modo da poter mantenere la tracciabilità.

Una volta che sulle sedi siano state effettuate tutte queste misure si può procedere all'assemblaggio dell'iniettore che, come è già stato detto, viene effettuato in sala campioni.

Quando un iniettore è pronto per essere testato occorre controllare alcune sue caratteristiche prima di renderlo disponibile alla spedizione per i vari clienti.

Nel nostro caso gli iniettori erano destinati alle prove motore ed è stato necessario realizzare dei test aggiuntivi per misurare delle grandezze fluidodinamiche particolari.

Nel seguito andremo ad analizzare nel dettaglio le varie caratteristiche fluidodinamiche che sono state misurate o che sono servite a definire il comportamento degli iniettori.

3.1. Calibrazione

La calibrazione (chiamata anche taratura) è in generale un'operazione dinamica che ha lo scopo di azzerare (o quantomeno limitare) le dispersione di portata erogata pezzo - pezzo su un punto di lavoro particolare dell'iniettore (chiamato punto di calibrazione).

Tali dispersioni sono dovute al normale range di variazione dei componenti e dei processi di assemblaggio.

La calibrazione avviene agendo sul precarico della molla "di calibrazione" che applica una forza di chiusura sull'ancorina, cambiando in questo modo i transitori di chiusura e di apertura dell'iniettore e quindi il flusso erogato, fino al raggiungimento della portata dinamica di target.

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Questo metodo implica di avere alla fine della calibrazione un range di variazione del carico molla che può essere importante.

In ottica di produzione questo non è un problema perché viene richiesto un target di flusso, e quindi è il metodo giusto.

Per il nostro studio, dove siamo interessati alla misura della penetrazione e al confronto tra diversi iniettori o configurazioni, è fondamentale che tutti i pezzi aprono allo stesso momento (hanno lo stesso delay idraulico), per non introdurre biais nella misura (piuttosto che di avere una bassa dispersione sul punto di calibrazione dinamica).

Per questo motivo abbiamo calibrato i nostri iniettori in forza e non in dinamica (applicando lo stesso precarico a tutti gli iniettori da confrontare).

Avere un carico molla poco disperso significa minimizzare la dispersione dei ritardi idraulici di apertura rispetto al trigger elettrico della centralina (nel caso contrario una variazione di penetrazione potrebbe essere dovuta a un ritardo o anticipo di apertura rispetto al trigger elettrico e non a un effetto legato ai CDP studiati).

Per calibrare in forza occorre determinare mediante opportuni programmi e file generati durante l'assemblaggio dell'iniettore la posizione del filtro che garantisce il carico molla voluto.

Il filtro del combustibile infatti è posto all'ingresso dell'iniettore sopra la molla (in giallo in Figura 2.2) ed ha il compito di evitare che particelle estranee al combustibile possano entrare nell'iniettore danneggiandolo.

Questo tipo di calibrazione viene chiamato in forza poiché si provvede manualmente a portare il filtro all'altezza voluta mediante un tastatore che, entrando nell'iniettore, preme sul filtro fino ad abbassarlo con una conseguente compressione delle molla.

Il filtro ha una conformazione tale da poter essere inserito a varie profondità nell'iniettore ma senza poter tornare verso l'alto; la calibrazione è quindi un'operazione irreversibile.

Il metodo utilizzato comporta quindi che si inizi a calibrare con carichi molla bassi e che si incrementino passo passo fino ad ottenere il flusso o la forza desiderata.

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3.2. Portata statica

La portata statica, chiamata anche Qs, è la quantità di combustibile che fluisce con l'iniettore completamente aperto per un tempo ipoteticamente infinito ed è misurata in g/s.

Il suo valore non dipende quindi dalla calibrazione o dalla legge di apertura e chiusura dell'iniettore.

Si tratta di uno dei parametri funzionali cardine per un elettroiniettore poiché è un valore che lega l'attuatore al motore al quale è destinato ed è quindi uno dei presupposti principali su cui si basa lo sviluppo progettuale di un iniettore.

3.3. Pressione massima

La pressione massima raggiungibile (Pmax in breve) è la massima pressione oltre la quale la legge teorica di flusso dell'iniettore non

viene più rispettata.

All'aumentare della pressione la portata del combustibile aumenta fino ad un punto in cui il trend si inverte e la portata decresce drasticamente fino ad annullarsi (l'iniettore non apre più)

. Quel punto di inversione del trend è la pressione massima raggiungibile dall'iniettore.

Una pressione troppo alta può infatti influire sul funzionamento di un iniettore impedendo o rendendo più difficoltosa la sua apertura con gli evidenti problemi annessi.

Per ricavare questo valore si misura la portata dinamica di un iniettore partendo da una pressione iniziale, dopodiché viene aumentata la pressione di un valore stabilito (solitamente 10 bar) prima di ripetere la misura.

Questo procedimento viene eseguito più volte fintanto che la lettura della portata non risulta essere inferiore del 10% rispetto alla portata allo step precedente che risulterà essere la pressione massima.

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25

La Pmax, così come la Qs, è un parametro fondamentale per il funzionamento di un iniettore perché indica se può essere adoperato o meno su un motore di cui si conoscono le pressioni operative.

3.4. Linearità

La linearità è una curva che descrive la portata di un iniettore in mg/iniettata al variare del PW.

Si tratta della grandezza che più di tutte descrive il comportamento fluidodinamico di un iniettore perché rappresenta la sua curva di erogazione.

Come si vede dalla Figura 3.4 la curva di erogazione è praticamente una linea retta, eccetto che per un breve tratto iniziale evidenziato in Figura 3.5 dove l'iniettore funziona in balistica.

Figura 3.4: Curva di erogazione di una serie di iniettori

Più precisamente la portata dinamica è approssimabile ad una funzione lineare dell'impulso e questa caratteristica è fondamentale in quanto la "missione" di un

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26

iniettore è proprio quella di erogare una quantità di carburante proporzionale alla lunghezza di un segnale di comando.

Per questo motivo la caratteristica viene chiamata linearità.

Figura 3.5: Analisi della zona balistica e di linearità di una serie di iniettori

La parte iniziale evidenziata in Figura 3.5 mette in evidenza la presenza di due zone distinte: la prima è il transitorio di apertura dell'iniettore, chiamata zona balistica, in cui l'energia fornita dalla bobina non consente all'ancorina di compiere l'integralità della sua corsa e si richiude prima di toccare l'impact face del pole piece, mentre la seconda segue l'andamento lineare già introdotto in precedenza ed è chiamata zona di linearità.

La balistica è caratterizzata da una parte in cui la portata cresce con la durata dell'impulso fino ad un punto massimo raggiunto il quale, per effetto della presenza delle due molle, la portata decresce di poco fino ad arrivare al'apertura completa dell'iniettore.

Per poter valutare la bontà della curva di erogazione di un iniettore occorre confrontarla con quella di altri iniettori della stessa serie.

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27

Le curve tratteggiate in rosso rappresentano i limiti superiore e inferiore che vengono calcolati come le curve di portata rispettivamente maggiore e minore del 10% rispetto alla curva media.

Le curve di erogazione dei vari iniettori dovrebbero rientrare all'interno di tali limiti, per questo motivo non si può analizzare una curva da sola ma occorre disporre di un certo numero di iniettori per avere un comportamento medio.

Un altro metodo per verificare la validità del comportamento di un iniettore all'interno di una famiglia di curve è quello di verificare il Timin e il Qdmin, ovvero il

minimo PW al di sotto del quale la famiglia di iniettori non garantisce una portata uniforme e la portata relativa.

In altre parole il Timin è l'ultimo PW in cui almeno un iniettore esce dalla

tolleranza del ±10% di portata rispetto alla media (evidenziato da un cerchio rosso in Figura 3.6).

Figura 3.6: Deviazione dalla media delle curve di erogazione di una serie di iniettori

Il significato fisico è che per PW uguali o minori al Timin gli iniettori presentano

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28

montati sul motore dato che i cilindri riceverebbero quantità di carburante notevolmente differenti.

La Qdmin rappresenta quindi la minima quantità di carburante che gli

iniettori riescono a garantire con una certa omogeneità (ovvero con una differenza massima del ±10% rispetto alla media) ed è il requisito del motore a cui verrà associato il Timin.

Anche questa caratteristica può essere richiesta dal cliente come valore di progetto, tipicamente per evitare problemi di roughness del motore a bassa coppia e velocità.

Per il nostro scopo la Qdmin non sarà considerata perché andremo a

lavorare su punti di misura motore molto lontani dal regime di Qdmin iniettore.

3.5. Leak

Il leak, o trafilamento, è la quantità di combustibile che fuoriesce ad iniettore chiuso misurata in mm3/min.

Si tratta quindi di una perdita ed è una delle caratteristiche più importanti di un iniettore in quanto in presenza di leak esso non può essere utilizzato.

Il leak infatti comporta l'affluenza di carburante in camera di combustione anche ad iniettore chiuso con dei conseguenti problemi di creazione di depositi sul tip dell'iniettore e di aumento delle emissioni.

3.6. Penetrazione

La penetrazione è la lunghezza dello spray misurata a partire dal tip dell'iniettore e la sua analisi prevede l'acquisizione di più immagini ad intervalli di tempo stabiliti in modo da poter visualizzare lo sviluppo del cono durante l'iniezione del combustibile.

Esistono due tipi di penetrazione: la vertical penetration e la jet wise penetration (JWP in breve).

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29

Nel primo caso viene misurata la profondità dello spray lungo un'asse verticale parallelo all'asse dell'iniettore, mentre nel secondo caso si misura la lunghezza effettiva di ogni getto.

In Figura 3.7 si può capire meglio la differenza tra le due penetrazioni:

Figura 3.7: Differenza tra vertical penetration (a sinistra) e JWP (a destra)

La vertical penetration ha quindi un valore unico per tutto lo spray mentre la JWP deve essere calcolata per ogni getto (in Figura 3.7 è riportato solamente l'esempio del getto più a sinistra).

3.7. High speed video

L'high speed video è un test che fornisce una ripresa ad alta frequenza dell'andamento dello spray focalizzata sulla zona del tip.

L'andamento nel tempo dello spray ripreso dalla telecamera viene convertito in una serie di immagini le quali vengono processate per fornire un grafico che riporta l'andamento dell'area occupata dalla frazione liquida, dal momento dell'apertura dell'iniettore al momento della sua chiusura.

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Tramite l'high speed video si riesce a riconoscere la presenza o meno di Bounce ovvero di riaperture inattese dell'iniettore dovuto al rimbalzo della ball sulla sede o dell'armature sull'hydrodisc in fase di chiusura dell'iniettore.

I post processing di queste immagini ci consente di costruire una metrica definita ETI (Empty Time Index) il quale scopo è di quantificare l'ampiezza delle potenziali riaperture.

Questi concetti saranno spiegati dettagliatamente nel capitolo 4.

3.8. Spray pattern

Lo spray pattern fornisce la posizione del centro di massa dei getti dello spray mediante la raccolta del fluido relativo a n iniettate in una rete di celle di sezione quadrata poste in un piano perpendicolare all'asse dell'iniettore a distanza nota dal tip della sede (generalmente 30 mm).

Questa caratteristica è molto importante in quanto definisce come i vari getti diffondono in camera di combustione.

Si tratta di un parametro di progetto iniziale da cui occorre realizzare i fori della sede in modo da garantire la posizione dei getti.

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31

I centri di massa dei getti vanno confrontati con la specifica di spray targeting dell'iniettore, ovvero la posizione target di ognuno di essi, per valutare che non ci siano evidenti differenze.

In Figura 3.8 è riportata l'immagine di un'analisi di spray pattern. In alto a sinistra è evidenziato l'orientamento dell'iniettore rispetto al connettore, ovvero come deve essere montato l'iniettore per avere lo spray pattern nell'orientamento corretto.

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4. Schema di lavoro

Lo studio trattato in questa Tesi è stato condotto nelle sedi Continental di Pisa (San Piero a Grado e Fauglia) e in quella di Regensburg, con la collaborazione della sede di Limbach-Oberfrohna e dell’Università di Perugia.

Lo scopo dello studio è di capire i legami tra prestazioni del motore, proprietà dello spray dell'iniettore e parametri di design della sede, in modo da identificare come questi ultimi (Critical Design Parameters o CDPs nel linguaggio del Design Of Experiment (DOE)) influiscano sull’emissione di particolato PN del motore e sulla diminuzione di portata dovuta all’occlusione parziale dei fori (flow loss).

La conoscenza di tali legami permetterà di ottimizzare le prestazioni della coppia iniettore/sede senza passare tramite costose ore di sala prova motore.

Tra la geometria della sede (componente) e le grandezze misurate sul motore (sistema) è utile considerare il sottosistema rappresentato dall’iniettore.

Componente e sistema possono infatti essere legate passando dalle grandezze che definiscono la fluidodinamica del sottosistema iniettore, che sono di più facile caratterizzazione.

Questo significa che occorre trovare delle funzioni di trasferimento che spieghino come le grandezze fluidodinamiche dell’iniettore influiscono sull’emissione di particolato e sul flow loss e di come le stesse variano in funzione della geometria della sede.

Il primo passo che è stato compiuto nella definizione del lavoro è stato quello di capire quali grandezze fluidodinamiche potessero avere un’importante rilevanza sull’emissione del particolato e quali sul flow loss.

Dopodiché sono state scelte alcune grandezze geometriche della sede le quali, attraverso una loro variazione, caratterizzassero il comportamento fluidodinamico dell’iniettore.

Lo schema di riferimento dello studio, in cui sono riportate le grandezze del motore (PN e flow loss), le grandezze fluidodinamiche dell’iniettore e quelle

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geometriche della sede, oltre alle funzioni di trasferimento che legano i vari parametri, è riportato in Figura 4.1.

Figura 4.1: Schema di riferimento dello studio

La parte relativa ai legami tra performance motore e caratteristica fluidodinamica dell'iniettore (TF engine) sono al di fuori del quadro di questo lavoro. Questo aspetto è stato curato da colleghi della sede di Regensburg dove si sono svolte le prove motore, con il nostro supporto per l'interpretazione dei risultati.

Il nostro lavoro mira a fornire i dati di input necessari alla definizione delle TF engine e alla determinazione delle funzioni di trasferimento degli iniettori (TF injector) tra questi dati e le varie caratteristiche geometriche delle sedi considerate.

In questo modo sarà possibile stabilire per ogni caratteristica fluidodinamica il target da raggiungere o, più in generale, se occorrerà progettare la sede in modo sa massimizzare o minimizzare tale caratteristica.

Per ogni grandezza fluidodinamica dell’iniettore sarà invece studiata una funzione di trasferimento che la leghi direttamente a uno o più parametri geometrici della sede.

Y injector

X seat

Y engine

X injector

V1: Spray penetration L/D

V2: ETI (bounce index) CF

PN (particulate number) V3:Tip wetting ShD

V4: Spray collapse FhD

V5: CCP (critical cavitation point) HG%

V2: ETI (bounce index) L/D

V3: Tip wetting CF

Flow loss (in %) V4: Spray collapse ShD

V5: CCP (critical cavitation point) FhD

V6: Qs HG% TF1engine TF2engine TF1injector TF3injector TF2injector TF4injector TF5injector TF1injector TF3injector TF2injector TF4injector TF5injector TF engine TF injector

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Per caratterizzare al meglio come ogni grandezza fluidodinamica è legata ai vari parametri di design della sede, abbiamo utilizzato un approccio Design of Experiment (DOE).

Visto l'alto numero di parametri considerati non è stato possibile economicamente e logisticamente fare un full DOE, ma sono state esplorate solo alcune zone.

Sulla base dello schema DOE sono state create varie serie di iniettori, ciascuna con delle variazioni importanti di alcuni parametri geometrici, così da ricoprire un vasto campo di casistiche.

Una volta stabilite le caratteristiche che le sedi delle varie serie di iniettori dovessero avere, il lavoro è stato organizzato secondo il seguente flusso:

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Queste misure servono sia per ricavare le grandezze fluidodinamiche scelte come output per le funzioni di trasferimento che per verificare il corretto funzionamento degli iniettori.

Per avere delle funzioni di trasferimento valide è infatti necessario che gli iniettori presi in considerazione abbiano le caratteristiche fluidodinamiche nel target delle serie di riferimento, sia in termini di spray targeting che di portate (Qs e linearità) e pressione massima raggiungibile (pmax).

E’ inoltre fondamentale che gli iniettori non presentino Leak.

Raccolti tutti i dati di sede, iniettore e motore sono state svolte delle regressioni per stabilire delle funzioni di trasferimento che legassero i parametri geometrici della sede alle caratteristiche fluidodinamiche dell’iniettore, e come tali caratteristiche influiscono sull’emissione di particolato PN e sul flow loss.

4.1. Definizione del DOE

Per poter identificare come ogni parametro di ingresso delle funzioni di trasferimento possa influire sull’uscita è stato effettuato uno studio DOE (Design of Experiment).

Il metodo DOE è una tecnica statistica per la progettazione che è nata per massimizzare le informazioni derivanti da dati sperimentali e consiste nell’individuare quali sono i fattori significativi e la loro correlazione attraverso il seguente procedimento [14]:

1. Identificare la risposta che qualifica il prodotto/processo; 2. Identificare i fattori che potrebbero influire sulla risposta;

3. Per ogni fattore stimare il campo di variabilità ragionevole in relazione al prodotto/processo di interesse (individuare un valore alto e un valore basso per ogni fattore);

4. Predisporre il piano di prova; 5. Eseguire le prove;

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36

6. Analizzare i risultati per valutare quali siano i fattori che, singolarmente, influenzano il prodotto/processo.

Nel nostro caso le risposte che qualificano il nostro prodotto sono le grandezze fluidodinamiche dell’iniettore e i fattori sono le caratteristiche geometriche della sede.

Affinché quest’ultime possano far parte del DOE occorre che varino in un intervallo di valori piuttosto ampio, in modo da osservare la risposta della funzione su tutto il campo di esistenza del fattore.

Le grandezze fluidodinamiche che sono state scelte e che serviranno come parametri di input per le TF engine sono le seguenti:

 Spray penetration;  ETI (Empty Time Index);  Tip wetting;

 Spray Collapse;

 CCP (Critical Cavitation Point);  Qs

Considerando che occorre definire almeno due livelli di cui uno “alto” e uno “basso” di ogni fattore e che occorre effettuare tante prove quante sono le combinazioni tra i fattori, ovvero 2n, con cinque parametri di input dovremmo testare almeno trentadue combinazioni.

Non è stato possibile creare tante serie di iniettori quante erano le combinazioni possibili, considerando soprattutto il fatto che scendendo al livello delle TF injectors il numero di parametri va crescendo. Sono state quindi scelte quelle combinazioni di parametri che potessero garantire un maggior interesse applicativo basandosi sull’esperienze pregresse.

Le grandezze considerate sono le seguenti:

 L/D (rapporto tra lunghezza e diametro dei fori);  CF (conicity factor);

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37

 ShD (diametro step hole);  FhD (diametro flow hole);

 %HG (percentuale Hydrogrinding).

Le varie serie sono state raggruppate in base alle combinazioni di fattori geometrici considerati.

I gruppi identificati sono riassunti brevemente nella seguente tabella di overview e verranno spiegati nel dettaglio nel capitolo 5.

Figura 4.3: Breve descrizione delle caratteristiche principali dei gruppi

4.2. Gli output delle funzioni di trasferimento

Lo studio su cui si basa questa Tesi è iniziato per verificare come ottimizzare due grandezze molto importanti di un iniettore montato sul motore: l'emissione di Particulate Number (PN) e il Flow Loss.

Nel seguito queste due grandezze verranno descritte in modo da poter comprendere cosa comportano e come si formano.

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4.2.1. Particulate Number (PN)

Il Particulate Number (PN) è un indicatore dell’emissione di particolato che è stato introdotto come normativa nell’Euro 6.

Questa limitazione era già presente per i motori diesel anche nelle normative precedenti, ma l’avvento dell’iniezione diretta anche per i motori a benzina ha portato le emissioni di particolato su una scala simile.

Il particolato è un prodotto indesiderato che si viene a formare per una scorretta combustione. Lo studio della sua formazione è stato effettuato su motori diesel e, grazie ai valori simili di Particulate Number e ad una comparabile morfologia tra i due motori con carichi crescenti e arricchimento del combustibile, è stato esteso ai motori benzina [15].

Il particolato si viene a formare come sottoprodotto della combustione incompleta di una qualsiasi sostanza organica quando si hanno zone ad elevate temperature in assenza di sufficiente ossigeno [16].

Esso è la combinazione di fuliggine (soot) e di altri materiali allo stato liquido e solido e può essere separato in una frazione organica solubile e in una insolubile.

Il processo di formazione del particolato in camera di combustione è dovuto a sei fasi: pirolisi, nucleazione, crescita superficiale, coalescenza, agglomerazione e ossidazione. L'insieme del processo è illustrato in Figura 4.4.

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39

4.2.1.1. Pirolisi

La pirolisi è il processo in cui i composti organici come i combustibili subiscono un cambiamento nella struttura molecolare ad alta temperatura senza una sufficiente concentrazione di ossigeno.

In queste condizioni si ha il cracking, ovvero la scissione delle molecole del combustibile, in cui l'idrogeno brucia con l'ossigeno mentre le molecole di carbonio formano il particolato combinandosi fra loro.

Queste reazioni sono fortemente dipendenti dalla temperatura e dalla concentrazione del combustibile e sono generalmente endotermiche [17].

4.2.1.2. Nucleazione

La nucleazione è il processo in cui il particolato viene formato dai reagenti gassosi. In particolare si ha la combinazione tra idrocarburi di piccola taglia presenti in forma gassosa che condensano in modo da formare delle molecole aromatiche di grandi dimensioni, chiamati nuclei, con diametri di circa 1.5-2 nm.

Il processo di nucleazione del particolato è composto fondamentalmente da tre fasi principali. Inizialmente si ha la conversione delle catene di molecole in strutture ad anello, in cui le molecole di acetilene si combinano per formare degli anelli di benzene. La seconda fase consiste nella deidrogenazione a bassa temperatura degli anelli aromatici e nella conseguente formazione di composti policiclici. Infine si ha il Breakup degli anelli aromatici ad alta temperatura [18].

4.2.1.3. Crescita superficiale

Il processo di nucleazioni porta alla produzione di un grande numero di particelle molto piccole. La taglia del particolato viene notevolmente incrementata nel processo di crescita superficiale.

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40

La crescita superficiale è considerata un fattore fondamentale per l'aumento della massa del particolato [19].

Nella fase gas si ha la deposizione di idrocarburi, in maggior parte acetileni, sulla superficie esterna dei nuclei, che portano ad un aumento della massa degli stessi, mentre il numero di particelle resta invariato.

Questo processo continua anche quando le particelle si spostano da una zona di reazione primaria ad una meno reattiva e più fredda [20].

Il tasso di formazione del particolato durante la crescita superficiale dipende principalmente dal numero di nuclei presenti [17].

Questo processo dura generalmente pochi ps, e inizia circa 0.05 ms dopo la formazione dei nuclei.

Il tempo di permanenza di questo processo ha una grande influenza sulla massa del particolato e sulla sua frazione di volume.

Il tasso di crescita superficiale è minore per le particelle più grandi rispetto a quelle più piccole poiché le particelle di piccola taglia hanno dei radicali maggiormente reattivi [21].

4.2.1.4. Coalescenza e agglomerazione

La coalescenza e l'agglomerazione sono i processi in cui le particelle si combinano tra loro.

Una volta che le particelle si sono formate, le collisioni tra loro possono portare all'agglomerazione, con una conseguente diminuzione del loro numero e un aumento delle loro dimensioni.

In questi due processi le particelle sferiche si scontrano tra loro con una risultante coagulazione in un unico sferoide le cui dimensioni dipendono dalle condizioni di funzionamento del motore, come il tipo di iniettore e le condizioni di iniezione.

Le dimensioni delle particelle primarie hanno un diametro che varia tra i 30 e i 70 nm [18].

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41

Alla fine della combustione le nuove particelle così formate si agglomerano tra loro in una struttura a catena di dimensioni variabili da 100 nm a 2 μm.

4.2.1.5. Ossidazione

L'ossidazione è il processo in cui, durante la formazione del particolato, le molecole di carbonio o di idrocarburi si ossidano in prodotti di combustione.

Il carbonio non partecipa al processo di formazione del particolato una volta che esso è parzialmente ossidato in CO, neanche se raggiunge una zona ricca di combustibile.

Questo processo può avvenire in un qualsiasi momento durante il processo di formazione del particolato, dalla pirolisi all'agglomerazione.

Il tasso di reazione dipende principalmente dal processo e dalla formazione della miscela aria-combustibile in quel dato momento.

Le reazioni di ossidazione non sembrano svolgere un ruolo importante durante la crescita superficiale e le reazioni di coagulazione.

I radicali come OH, O− e O sono considerati come le principali specie ossidanti coinvolte nelle reazioni [17].

Le reazioni di ossidazione delle particelle solitamente hanno luogo quando la temperatura oltrepassa i 1300 K.

Dopo tutti i processi di ossidazione i gas esausti che si trovano allo scarico si raffreddano e gli idrocarburi con una pressione di vapore relativamente bassa si condensano con solfati, acido solforico e acqua formando il particolato.

Per evitare o quantomeno ridurre la formazione del particolato è quindi importante che lo spray dell'iniettore si diffonda nella camera di combustione e che il combustibile non vada a impattare sulle sue superfici o sul pistone dando così luogo a bagnamento. E' quindi importante che lo spray abbia determinate caratteristiche di forma (spray pattern) e penetrazione.

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4.2.2. Flow loss

Il flow loss, o riduzione di portata, è un fenomeno che avviene negli iniettori in cui si viene a formare un accumulo di depositi che occludono parzialmente o totalmente i fori della sede.

Questo può distorcere il design dello spray pattern con una conseguente peggiore combustione ed un incremento delle emissioni.

La situazione è peggiore per i motori GDI rispetto ai PFI in quanto in questi ultimi la riduzione della portata per effetto dei depositi può essere compensato dal sistema di controllo del motore; la distorsione dello spray non è un elemento critico poiché solitamente essi operano con una carica omogenea e il processo di miscela aria-combustibile è completato nel condotto di aspirazione [22].

Per i motori GDI invece le caratteristiche dello spray sono molto più critiche per garantire un funzionamento regolare e stabile. Una piccola quantità di depositi può essere sufficiente a causare una distorsione dello spray pattern e ad aumentare i consumi di combustibile, le emissioni e a produrre problemi di funzionamento come il misfire [1].

Anche nei motori GDI il flow loss viene compensato dalla centralina per regolare la quantità di combustibile da iniettare, ma oltre un certo livello di deriva non riesce ad andare (finestra di iniezione più corta).

Un vantaggio dei motori GDI rispetto ai PFI è che è possibile azzerare il flow loss pulendo di fatto l'iniettore lavorando ad alte pressioni, generalmente superiori ai 350 bar.

La distorsione dello spray può causare il bagnamento della candela, delle valvole o delle pareti con conseguenti tip sooting o tip wetting e aumento delle emissioni di PN.

Per questo motivo nello studio effettuato in questa Tesi al flow loss è stata data la solita importanza dell'emissione di particolato.

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Le principali case automobilistiche considerano che un flow loss del 10% rappresenta una soglia limite per evitare che le emissioni di PN aumentino considerevolmente.

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44

4.3. Le caratteristiche fluidodinamiche dell’iniettore

Un iniettore è caratterizzato da numerosi parametri fluidodinamici che ne descrivono il funzionamento.

Per poter analizzare come la fluidodinamica di un iniettore possa impattare sull’emissione di PN e sul flow loss è stato necessario effettuare una scelta su quali fossero i parametri più rappresentativi per tali fenomeni.

La scelta è ricaduta sui parametri elencati precedentemente che andremo di seguito a descrivere nel dettaglio.

4.3.1. Spray penetration

La penetrazione dello spray è la lunghezza effettiva di ogni singolo getto di carburante che fuoriesce dalla sede di un iniettore.

Si tratta di un parametro fondamentale, in quanto fornisce informazioni su un’adeguata diffusione della carica all’interno della camera di combustione e sulla possibilità di avere impingement (bagnamento) sulle pareti del cilindro o sulla testa del pistone.

Con il termine spray penetration in genere ci si riferisce alla massima penetrazione tra i vari getti, ma nella nostra analisi andremo a valutare la lunghezza effettiva di ogni getto e la loro dipendenza dai fattori geometrici della sede.

4.3.2. ETI (Empty Time Index)

L'ETI è una grandezza derivata dal post processing delle immagini di HSV. Essa qualifica la chiusura e quantifica lo svuotamento dell'iniettore, ovvero la quantità di fluido ch fuoriesce dall'inizio della parzializzazione di flusso dovuto alla chiusura dell'ancorina.

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Questo parametro è molto importante in quanto uno svuotamento lento o micro riapertura (bounce) comportano l'aumento del film liquido sul tip della sede, associabile ad un aumento di PN da tip sooting.

In Figura 4.5 è riportato un grafico che mostra la probabilità di presenza di liquido in un volume di controllo definito sotto il tip.

L'ETI viene calcolata come l'integrale sotto la curva di probabilità di presenza del liquido per una durata di 1 ms dopo l'inizio della parzializzazione (t1).

Figura 4.5: Probabilità di presenza del liquido in funzione del tempo

L'analisi dell'ETI può anche rivelare un altro importante fenomeno indesiderato che è la post iniezione.

Può infatti capitare che la ball durante la sua corsa discendente non riesca a chiudere istantaneamente sulla superficie di tenuta, ma venga richiamata verso l'alto provocando la riapertura parziale dell'iniettore.

Questo effetto, chiamato Bounce, è altamente dannoso poiché provoca un indesiderato bagnamento del tip dell'iniettore con un potenziale aumento di tip sooting.

Questo carburante, non trovando le giuste condizioni per evaporare del tutto, provoca la formazione di depositi e di particolato sul tip.

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In Figura 4.6 viene mostrato l'esempio di un iniettore che presenta Bounce, che è chiaramente visibile dalla risalita dell'ancorina dopo la chiusura dell'iniettore.

Figura 4.6: Probabilità di presenza del liquido in funzione del tempo in presenza di

Bounce

La rimozione del Bounce è tuttora oggetto di studio.

In questo lavoro ci limiteremo a stabilirne la presenza e a quantificarne l'entità tramite l'indice ETI.

4.3.3. Tip wetting

Nei motori GDI si ha la formazione di depositi carboniosi sulle superfici bagnate dalla benzina.

Oltre al fenomeno dell'impingement che riguarda le pareti del cilindro e la testa del pistone si può avere anche il bagnamento della punta dell'iniettore, denominato tip wetting, con un conseguente aumento delle emissioni di particolato [23].

Un parametro essenziale per l'accumulo dei depositi è l'essiccazione (o evaporazione del film liquido) della punta dell'iniettore.

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Oltre ad un aumento delle emissioni il tip wetting può provocare anche un'otturazione dei fori della sede, con una conseguente perdita di potenza del motore.

La formazione dei depositi sulla punta dell'iniettore è un fenomeno che dipende da molti fattori come la temperatura del tip, il suo rivestimento, la posizione dell'iniettore all'interno della camera di combustione, la composizione del combustibile.

Figura 4.7: Differenza tra il tip asciutto (a sinistra) e bagnato (a destra)

4.3.4. Spray Collapse

In un motore GDI si possono avere molte combinazioni di pressione e temperatura all'interno della camera di combustione al momento dell'iniezione.

Gli effetti di queste condizioni sullo sviluppo dei getti di combustibile possono essere tali da provocare il collasso tra i getti stessi, modificando di fatto il comportamento e la forma dello spray.

Lo spray collapse è un fenomeno che può verificarsi a causa di molti fattori diversi, che siano essi termodinamici (come le condizioni in camera di combustione, la pressione e la temperatura), o geometrici (come il numero e la posizione dei fori o l'ampiezza dello spray) [24] .

Gli effetti dello spray collapse sono principalmente due; in primo luogo modifica la forma dello spray da getti separati a una nuvola di combustibile concentrandola [25], inoltre incrementa la penetrazione del getto [26].

Il cambiamento della morfologia e della penetrazione dello spray implica un grande cambiamento della dinamica con cui il getto si diffonde nel cilindro.

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48

E' dimostrato che per alte densità e temperature il collasso dei getti è più marcato.

In Figura 4.8 e in Figura 4.9 sono riportati due esempi in cui si comparano gli sviluppi dello spray al variare rispettivamente della densità e della temperatura in funzione del tempo successivo all'iniezione (After Start Of Injection) [27].

Figura 4.8: Confronto tra condizioni a bassa densità del gas (sinistra) e condizioni ad

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49

Figura 4.9: Confronto tra condizioni a bassa temperatura (sinistra) e condizioni ad alta

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50

4.3.5. CCP (Critical Cavitation Point)

La cavitazione è un fenomeno caratteristico nei fluidi che presentano dei gradienti di pressione al loro interno.

Essa consiste in una rapida vaporizzazione, localizzata in una zona della corrente a bassa pressione assoluta, seguita da una rapida ricondensazione e si manifesta con la formazione di piccole bolle di vapore il cui collasso istantaneo genera microgetti ad altissima pressione.

La cavitazione influenza notevolmente il comportamento fluidodinamico di un getto liquido che fuoriesce da un ugello [28].

Una sua presenza favorisce infatti l’atomizzazione del getto e alcuni studi sono stati fatti per controllare e utilizzare la cavitazione al fine di produrre delle fini goccioline di combustibile.

E’ stato dimostrato che vicino alla zona di cavitazione si produce una forte turbolenza, la quale contribuisce all’atomizzazione del getto.

L’esperienza dimostra inoltre che il fenomeno della cavitazione contribuisce a mantenere pulito l’ugello della sede [29], rimuovendo eventuali residui che si vengono ad accumulare all’interno di esso e favorendo la prevenzione dal flow loss.

Si cerca quindi di operare in condizioni tali da favorire la presenza di cavitazione, tenendo conto però che un’estremizzazione del fenomeno può portare ai tipici problemi di usura delle superfici.

Dato un ugello attraverso il quale passa un fluido, all’aumentare della differenza di pressione tra monte e valle dell’ugello si ha un aumento della portata del fluido.

Questo fenomeno si ha fino a una certa differenza di pressione, oltre la quale la portata si assesta attorno ad un asintoto raggiungendo il valore massimo e non cresce più.

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Figura 4.10: Portata in funzione della differenza di pressione tra monte e valle di un

ugello

Il valore della differenza di pressione al quale si ha una saturazione della portata viene chiamato Critical Cavitation Point e viene identificato tramite l’intersezione tra la tangente alla curva nella zona di massima pendenza e l’asintoto della portata.

Esso rappresenta il punto di funzionamento in termini di pressione oltre cui si tende a lavorare per garantire un adeguato valore di cavitazione che non sia troppo elevato da causare usura delle superfici ma che al contempo sia sufficiente a garantire una buona atomizzazione del getto oltre che alla possibilità di avere la pulizia dell’ugello.

Come si vede dalla Figura 4.10 non si ha un passaggio netto tra aumento della portata con la differenza di pressione e saturazione della portata, ma si ha una zona in cui la pendenza della curva inizia a decrescere fino a che non si assesta sull’asintoto rappresentato dalla massima portata.

Il punto in cui si ha variazione di pendenza è il punto in cui si ha l’inizio del fenomeno della cavitazione.

Per capire come si sviluppa la cavitazione e come influenza il comportamento fluidodinamico del getto all’uscita dall’ugello occorre utilizzare due grandezze che sono il numero di cavitazione σ e il numero di Reynolds Re definite dalle seguenti equazioni [30]:

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dove è la pressione atmosferica, la pressione di saturazione del vapore, la densità del liquido, la velocità media del liquido nell’ugello, la viscosità

cinematica del liquido e il diametro dell’ugello.

Nella Figura 4.11 è riportato uno schema riassuntivo dove si nota lo sviluppo della cavitazione in funzione di σ e Re (i valori per cui si ha un passaggio da uno stato ad un altro dipendono dal fluido di utilizzo che, nel caso in figura, è acqua a temperatura ambiente) [30].

Figura 4.11: Regime di cavitazione e sviluppo del flusso relativo

In condizioni di sviluppo di cavitazione (developing cavitation), delle bolle appaiono nella metà superiore dell’ugello e il getto liquido è detto ondulato.

All’aumentare del numero di Reynolds si forma uno strato di vapore che ricopre la maggior parte delle pareti dell’ugello entrando così nello stato di supercavitazione.

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