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Academic year: 2021

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Materiali di Estetica, N. 5.2, 2018. Pagina 304

Filosofia e sapere della città

di Fulvio Papi

Il titolo della mia comunicazione riprende quello del libro di Mario Vegetti che l’editore Hoepli ha avuto l’intelligenza e l’accortezza di ripubblicare quasi mezzo secolo dopo l’originaria scrittura di quelle pagine. Il libro riproduce infatti il testo che Mario scrisse nei primissimi anni Settanta per l’opera collettiva (Vegetti, Alessio, Fabietti, Papi) dal titolo “Filosofie e società” che fu un manuale per le scuole medie superiori, e che rappresentò, come anche rileva Ferrari nella sua introduzione, una rivoluzione nelle opere filosofiche dedicate ai licei. Racconterò questa storia. L’opera nacque come progetto nei discorsi di natura collaborativa che avevamo abbastanza spesso all’Università di Pavia. Un tema saliente era questo: gli studenti dei licei erano costretti a studiare la filosofia in una maniera anti-filosofica. Nel loro sapere scolastico riproducevano nozioni astratte e non erano mai di fronte a un testo che potesse impegnare in modo filosofico il loro apprendimento. Il problema consisteva nel rovesciamento di questa situazione: con l’aiuto di un libro idoneo la didattica della filosofia doveva diventare una esperienza filosofica, al contrario della ripetizione di nozioni che non potevano avere alcun rilievo dal punto di vista della formazione di un giovane. L’editoria scolastica e la didattica erano degenerate (questo va detto) rispetto al progetto che Gentile aveva assegnato al progetto della sua riforma.

Il nostro sguardo sulla situazione esistente (sto parlando di più di 50 anni fa) era questo: i manuali esistenti si potevano dividere in quattro tipi. Forse dominante era ancora un’opera di appartenenza idealistica: tutta la storia della filosofia appariva come un seguito di dottrine che, nel loro percorso storico, avrebbero infine condotto alla verità della filosofia contemporanea.

Era uno schema dialettico che riduceva il significato della filosofia alla verità del capitolo finale. Scomparivano del tutto le ragioni immanenti alla formazione degli universi filosofici. C’erano poi manuali che davano nozioni filosofiche in modo simile alla classificazione degli insetti. Una deformazione

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peggiore non si poteva inventare: era lo specchio di una didattica insensata. Contro questo degrado vi fu una reazione comprensibile e positiva. Il libro di filosofia deve riferire in maniera rigorosa il pensiero filosofico di ogni autore per il quale valeva una comprensibile testualizzazione. Veniva così restaurata sul principio dell’autore l’oggettività delle costruzioni filosofiche senza l’intervento di alcuna concezione di finalità. Tuttavia a nostro giudizio mancava il perché le filosofie fossero costruite nel modo in cui si rendevano note. Mancava quel processo di elaborazione del pensiero che viene alla luce solo se una filosofia viene considerata come una relazione simbolica che nasce nel contesto materiale di una vita dell’intelligenza sociale, nella sua relativa specificità culturale rispetto ad altre discipline o pratiche sociali.

Bisognava scrivere un’opera per la scuola che tenesse conto di questi aspetti e quindi mettesse gli studenti in condizione di capire che cosa fosse un pensiero filosofico e nella varietà delle dottrine e nelle forme della loro verità e nei rapporti sociali in cui si affermava.

Intuitivamente su questi temi un accordo era facile e totale. Il difficile consisteva nel trovare le radici della nascita e dello sviluppo di un pensiero, e su questo tema ognuno cercò il suo compito. Filosofie e società fu un successo e una piccola piccola rivoluzione scolastica. Siamo ai primi anni Settanta e il decennio successivo e il clima culturale e politico del paese favoriva questa accoglienza.

Ora ho in mano le pagine che allora Vegetti scrisse per il primo volume dell’opera. Ho una più che modesta cognizione della filosofia greca, ma la lettura di quelle pagine di Vegetti mi rende certo, come lo ero allora, che il suo lavoro fosse il più maturo che si potesse trovare in quella nostra opera collettiva. Mario affrontava con sicurezza interpretativa e con ordine concettuale le tracce simboliche del mondo greco da Omero all’età ellenistica. L’informazione era molto ampia, ma l’esposizione sicura e limpida. Il suo testo dava l’impressione di una padronanza intellettuale di un orizzonte di civiltà culturale compreso nelle sue varianti teoriche e nelle sue relazioni civili e politiche.

Una maturità di giudizio sorprendente in un giovane studioso. Certo in 50 anni si evolvono le interpretazioni e anche le conoscenze, e tutta l’opera di

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Mario, nella sua ampiezza, mostra questo processo; tuttavia, imitatore dell’editore Hoepli, ho la sicurezza di essere in una buona prospettiva, se consiglio di leggere questo libro non con lo spirito della riconoscenza storica, ma con quello del desiderio di conoscenza. Allora erano le pagine più mature del nostro lavoro collettivo, oggi restano nel loro valore nella tradizione della cultura filosofica. Fu un tempo per tutti, ma ormai così lontano nel mondo del sapere che mi pare solo quasi un racconto.

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