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Fantasia e movimento in Niccolò Cusano

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA

FANTASIA E MOVIMENTO IN NICCOLÒ CUSANO

RELATORI

Prof.ssa Simonetta Bassi

Dott. Marco Matteoli

CANDIDATO

Silvia Della Ghella

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Indice

Introduzione ... 3

«mathematicis superstitionibus putas verae religionis sacra demonstrare» ... 3

Capitolo I ... 8

Qualche precisazione ... 8

Lo stupore conduce a filosofare ... 13

«Manuductione ad arcana coniecturam» ... 21

L’uomo mediatore attivo ... 40

Capitolo II ... 45

Cusano, la matematica e il “moderno” ... 45

Proclo ovvero «una figura ed un passo» ... 60

Fantasia ... 79

Movimento ... 84

Boezio e la matematica come “via” verso Dio ... 91

Capitolo III ... 101

«I pensieri su cui ha a lungo meditato» ... 101

«Punto è ciò di cui non è alcuna parte» ... 104

«E linea lunghezza senza larghezza. E limiti di una linea punti.» ... 113

«Ciò che abbiamo detto delle linee lo si deve quindi dire di tutto ciò che ha quantità» ... 122

«Dall’infinito geometrico all’infinito reale» ... 128

Conclusioni ... 138

(3)

Introduzione

«mathematicis superstitionibus putas verae religionis sacra

demonstrare»

1

Come afferma Francesco Fiorentino ne Il risorgimento filosofico nel quattrocento, il fine che Cusano si pone di conseguire attraverso la sua ricerca è quello di «intendere ciò che la fede religiosa ci propone di credere»2. Questo nuovo tipo di atteggiamento nei confronti della fede cristiana è ben spiegato nella lettera indirizzata al cardinale Giuliano Cesarini nella chiusa dell’opera De docta ignorantia; il cardinale, infatti, riassumendo gli argomenti trattati nei tre libri che compongono l’opera è consapevole che i suoi insegnamenti vadano aldilà «della via comune percorsa dai filosofi e che a molti sembreranno insoliti»3. Questi ragionamenti risultarono insoliti anche a Gregor Heimburg compagno prima, e successivamente avversario di Cusano, quando, durante il concilio di Basilea (1431-1445), il cardinale passò dalla parte del papa (1437), tanto da spingere Heimburg stesso ad accusare il cardinale di eresia poiché aveva tentato di dimostrare i misteri della fede con superstizioni matematiche4. Come afferma Flasch il rimprovero che Gregor Heimburg muoveva nei confronti di Cusano era «l’intenzione di essere dimostrativo»5; il cardinale quindi «infrangeva le regole del discorso teologico, voleva dimostrare troppo e per di più con mezzi inappropriati, vale a dire con l’abracadabra di una geometria sfigurata»6. L’utilizzo della matematica in Cusano nasce

appunto dalla necessità di dimostrare che la fede nella religione cristiana per essere più universale possibile, e quindi praticata con semplicità da tutti, debba passare dallo studio della matematica stessa. Questo permette non di elevare la matematica come disciplina, poiché Cusano non pone i calcoli sullo stesso piano della fede in Dio, ma di

1 Francesco Fiorentino, Il risorgimento filosofico nel quattrocento, Ristampa anastatica, a cura di Saverio Ricci, Vivarium, Napoli, 1994, nota 117, p.80

2 Cfr. Ivi p.86

3 Cusano Niccolò, De docta ignorantia, in Niccolò Cusano. Opere filosofiche, teologiche e matematiche, a cura di Enrico Peroli, Bompiani, Firenze-Milano, 2017, pp. 2-307 , p. 307

4 Cfr. F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico, cit., p. 59 5

Cfr. Kurt Flasch, Nïkolaus von Kues Geschichte einer Entwicklung. Vorlesungen zur Einführung in

seine Philosophie, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1998, 20012, traduzione italiana di Tomaso Cavallo, Niccolò Cusano. Lezioni introduttive a un’analisi genetica del suo pensiero, Nino Aragno Editore, Torino 2010, p. 605

6 Ibidem

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fornire una via, quella matematica, in grado di elevare la sola azione umana. Alla base di questa idea originale che potrebbe essere adatta anche alla scienza dei giorni nostri, vi è una radicata fede cristiana che circoscrive questo discorso rivoluzionario: Cusano nasce nel 1401 e muore nel 1464, è ben lontano quindi dal concilio di Trento (1545), dalla scoperta del metodo scientifico da parte di Galileo Galilei e dalla progressiva separazione tra scienza e filosofia; è uomo del medioevo1, forse il primo dei moderni2, ma il suo pensiero, anche quello matematico, non può essere compreso senza i precetti della religione cristiana, come la salvezza delle anime e la vita eterna. La creazione della matematica in particolare e la creazione di arti e scienze in generale, per Cusano non sono possibili senza un Dio che, emanando intelligenza e vita3, crea ogni cosa. L’uomo di Cusano una volta capito che Dio ha creato tutte le cose allo stesso modo in cui l’uomo ha creato la matematica e le sue leggi, non può ripercorrere la linea della creazione a ritroso per comprendere Dio: questo concetto serve solo per ampliare la sua conoscenza terrena che, proprio per il fatto di essere “umana” è ignoranza nei confronti dell’Assoluto. Per questo motivo la sua matematica non deve essere interpretata come un surrogato della religione pitagorica, e Cusano stesso non può essere stato annoverato tra i moderni, poiché le sue idee sulla matematica non sono servite né allo sviluppo di particolari teorie scientifiche né alla dimostrazione di qualche peculiare teorema matematico a tal punto che, oggi come allora, le sue intuizioni possono sembrare “insolite”, inefficaci ed inutili. La necessità da parte mia di iniziare questo tipo di indagine nei confronti di Cusano e del suo singolare utilizzo della matematica, nasce proprio dalla ricerca di chiarezza all’interno della storia della matematica stessa che, prima di avere i suoi importanti sviluppi ed intraprendere una ramificazione indipendente dalla filosofia, costituiva, secondo l’istanza teorica della tradizione medievale, una delle sette arti liberali in grado di condurre l’uomo ad una maggior comprensione della speculazione teologica. Questo passaggio non può essere avvenuto

1 Cfr. Infra pp. 44-58

2 Ernst Cassirer si è occupato, all’interno del volume primo di Storia della filosofia moderna, del rapporto di Cusano con la modernità. Cassirer avvicina il cardinale ai pensatori moderni non per il carattere particolare dei problemi indagati nella sua dottrina, ma per il modo in cui trasforma e perfeziona impianti teorici tradizionali; Cusano infatti, distingue due percorsi all’interno del processo della conoscenza umana: il primo, conduce dall’osservazione del mondo alla formulazione, da parte della ragione, di congetture, mentre il secondo conduce dall’individuazione di un principio originario, che si trova alla base della conoscenza, a teorie più complesse. Se Cusano distingue e separa questi due momenti vicendevoli, la modernità li separerà ancora più nettamente, secondo Cassirer infatti, dallo sviluppo del primo percorso nascerà la filosofia della natura, mentre dallo sviluppo della secondo germineranno la matematica e la scienza della natura.

3

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in maniera repentina e non può aver avuto un unico fattore scatenante, ma una serie di eventi che poco hanno a che fare con il calcolo aritmetico e il disegno geometrico in sé. In primo luogo prenderò quindi in esame alcune opere di Cusano come il De docta

ignorantia, il De coniecturis e i dialoghi dell’idiota (De sapientia, De mente e De staticis experimentis) redatti dal cardinale prima di lavorare alle opere matematiche,

mentre in secondo luogo analizzerò il De possest e il De ludo globi scritti dopo queste, per capire se e in quale modo, l’atteggiamento di Cusano muta nei confronti della matematica stessa. Non ho voluto prendere in considerazione le opere che trattano specificamente della matematica, in quanto Cusano abbandona, dalla redazione del De

possest (1460), il tentativo di spiegare l’assoluto risolvendo matematicamente la

quadratura del cerchio mentre, appoggiandomi alle ultime analisi delle opere cusaniane fatte dalla critica, in particolar modo da Aurelien Robert e Jean Marie Nicolle1, cercherò di capire se il De possest e il De ludo globi possono essere rilette in chiave neo platonica e procliana, e cioè capire se l’allontanamento dai calcoli matematici stessi sia dovuto ad una lettura di nuovi testi, di cambiamento di interessi e di criteri da parte di Cusano che lo hanno fatto avvicinare ad una trattazione di ambiti più pratici ed esperibili del reale, in quanto tutte e due queste opere spiegano geometricamente giochi che utilizzano il movimento di un oggetto, come la trottola ed il gioco della palla. All’interno di questo tipo di analisi, una considerazione necessaria è quella sul tempo e sui luoghi in cui Cusano attua la sua riflessione matematica, filosofica e teologica poiché i luoghi che ha frequentato sono stati decisivi per lo sviluppo delle vicende matematiche, filosofiche e teologiche della storia del suo pensiero filosofico. I suoi scritti, quindi, sono fecondati anche da tutti quei movimenti e cambiamenti che scossero il panorama intellettuale nel tardo quattrocento, e del quale il cardinale fu uno dei protagonisti. In generale all’interno della sua vita si succedono e si condizionano vicendevolmente momenti che egli dedica alla scrittura dei suoi numerosi testi, e momenti in cui prende attivamente parte ai conflitti politici, culturali ed ecclesiali del suo tempo. Considerare Cusano solamente come il pensatore della coincidenza degli

1Jean Marie Nicolle nell’introduzione a Nicolas de Cues. Les ècrits mathematiques delinea in generale le principali fonti neoplatoniche, tra i quali Proclo e Boezio, utilizzate da Cusano per scrivere le opere matematiche, mentre Aurelien Robert nel suo articolo “Athomisme pythagoricien et espace géométrique au moyen ȃge” descrive l’introduzione nel medioevo, del pitagorismo matematico di Nicomaco da Gerasa grazie all’opera di Boezio ed Agostino per i latini, e di Proclo e Giamblico per i Greci. David Albertson nell’opera Mathematical Theologies. Nicholas of Cusa and the Legacy of Thierry of Chartres dimostra, invece, l’influenza che il Commento all’aritmetica boeziano di Thierry di Chartes ha avuto su Cusano. Mentre Nicolle e Robert si sono interessati alla recezione del Commento procliano da parte del cardinale, ipotizzando la mediazione linguistica ad opera del cardinale Bessarione, diversamente Albertson ipotizza che questa recezione sia avvenuta per mezzo della lettura di Thierry di Chartes.

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opposti ed il teorico della dotta ignoranza esclude dal campo di ricerca una serie di sfumature che determinano però la maggior parte delle sue scelte stilistiche, mentre considerare Cusano come anticipatore dei moderni per le sue celebri tesi cosmologiche sull’infinità del mondo ed i suoi corollari sul moto sviano l’attenzione da quello che era il suo intento. In Cusano tutto è al servizio della sola fede perché il vero cristiano ricerca, per quanto può, sé stesso in Dio, poiché è ricercando una sola cosa che le troverà tutte1; una volta compreso il fine a cui mira la sua speculazione ed il fatto che il ricercare stesso sia insito nella natura dell’uomo, la matematica accorre in aiuto in quanto tutte le cose sono costituite e vengono conosciute attraverso la forza dei numeri2. Cusano recepisce e rielabora la tendenza umanistica degli intellettuali che frequentava, in questo modo, perfeziona l’obiettivo della sua ricerca: rendere straordinariamente facili le cose che la nostra mente evidenzia come impossibili. Positivo è il sapere di non sapere socratico concepito attraverso la via negativa della mistica tedesca perché Dio, e tutte le cose vengono meglio definite indicando ciò che non sono, piuttosto che ciò che esse sono; ma la scelta di questa via non chiude l’uomo all’interno di un’esperienza intima: è nella numerazione, nella pesatura e nella misurazione del mondo esterno, che l’uomo deve ricercare la rivelazione di Dio. In questo modo la matematica diventa protagonista di questo percorso, in quanto unico grande aiuto per intendere la verità della realtà invisibile all’interno della realtà visibile3

. Approfondendo questo concetto, Cusano afferma

«che le realtà spirituali, che di per sé sono a noi inaccessibili, possano venire indagate in maniera simbolica, ha il suo fondamento […] nel fatto che tutte le cose stanno tra loro in una certa proporzione, per quanto a noi nascosta ed incomprensibile, in modo tale che da tutte scaturisce un unico universo e che tutte nell’uno massimo sono l’uno stesso»4.

La matematica interpretata in maniera simbolica diventa il mezzo necessario all’uomo per iniziare la sua indagine. E se Aristotele considerava il principio di non contraddizione il più saldo di tutti i principi5, mentre escludeva la matematica come disciplina per indagare “l’essere in quanto essere” poiché ne studiava solo una parte6, Cusano ricerca nella filosofia procliana una matematica che possa interpretare l’infinito.

1 Cfr. N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 213 2 Ivi p. 9

3

Ivi p. 39 4 Ibidem

5 Aristotele, I classici del pensiero. Aristotele, Mondadori, Milano, 2008, Metafisica, libro IV, 1005b 17-25

6

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La scoperta dei motivi procliani da parte di Cusano è determinata da tre fattori: lo studio personale del Commentario al Parmenide, il ritrovamento del manoscritto della

Theologia platonica, e la mediazione linguistica dell’amico Bessarione il quale con

molta probabilità ha aiutato il cardinale nella traduzione di alcune parti del Commento

al primo libro degli elementi; questo testo è stato determinante per lui, per stabilire,

cioè, un nuovo ruolo alla matematica. Può la semplice visione della salvezza da parte di un uomo del medioevo essere stata influenzata in maniera originale dalla cerchia di amici studiosi che ha frequentato? Alla luce delle nuove e importanti supposizioni della critica, la mia ricerca si propone di capire meglio che cosa possa aver recepito Cusano del Commento procliano in quanto egli non conosceva il greco. È un dato di fatto che la prima stampa, tradotta in latino da parte di Francesco Barozzi a Padova nel 1560, sia stata fatta sul manoscritto posseduto proprio dal cardinale Bessarione. Occorre successivamente capire se le dimostrazioni che egli applica, ritenute insolite ed eretiche da Gregor Heimburg, siano state considerate tali poiché, di fatto, Cusano è stato stimolato nelle sue teorie, da un impiego della matematica che utilizza alcune formule descritte da Proclo nel suo Commento, opera che, tuttavia, verrà tradotta e resa nota dalla stampa solo il secolo successivo. In questa sede ringrazio Simonetta Bassi e Marco Matteoli i quali, anche loro, hanno influenzato positivamente le mie idee facendomi sconfinare oltre le mie aspettative per questa ricerca di tesi di laurea.

(8)

Capitolo I

Qualche precisazione

In questo primo capitolo cercherò di legare fra loro le prime opere di Cusano utilizzando i campi tematici come guida. Lo studio della matematica è per Cusano non solo uno dei temi ricorrenti nella maggior parte delle sue opere, ma anche una delle materie grazie alla quale riuscirà a condurre una vera e propria ricerca scientifica per indagare nel campo della conoscenza umana. Partirò quindi dall’utilizzo che egli fa della matematica nelle sue opere, come De docta ignorantia, De coniecturis, De mente e De sapientia, e cercherò poi di delineare un nuovo impiego di questa, confrontandola con la teoria della conoscenza del secolo in cui Cusano ha vissuto. Il mio intento è di cercare di compiere un’analisi dei testi senza dover ricorrere a una suddivisione in fasi della sua vita: il pensiero del filosofo, come quello di ogni uomo, cresce e si sviluppa con l’evolversi dell’età anagrafica soprattutto in base alle esperienze vissute. Ma per meglio comprendere l’utilizzo di certe espressioni piuttosto che altre, mi sembra giusto fare una precisazione di carattere teorico. Nel De docta ignorantia «il nostro intelletto non è in grado di andare oltre i contraddittori»1, non si trova quindi in quest’opera una netta distinzione tra il piano della ragione e il piano dell’intelletto. Nel De coniecturis, invece, Cusano, distinguendo tra ragione e intelletto, considera quest’ultimo in grado di andare oltre i contraddittori. Quindi, quando parlerò di intelletto, mi riferirò alla teoria della conoscenza presente nel De coniecturis e cioè considererò questa distinzione assodata. La matematica, al contrario, risulta essere tripartita già a partire dal De docta

ignorantia. È probabile che Cusano abbia esteso questa tripla divisione anche alla

mente, la quale ricopre il ruolo di creatrice della matematica stessa. Nelle prime pagine del De docta ignorantia, Cusano afferma che è lo stupore che ha il compito di avviare l’uomo alla filosofia. Questa caratteristica, unita alla capacità di numerare, è ciò che distingue l’uomo dagli altri animali: «il numero rinvia alla ragione. La ragione, tuttavia deriva dalla mente. Per questo motivo, i bruti, non sono in grado di numerare.»2 e ancora, parlando della computa dell’oro e della misurazione di altri prodotti «gli uomini

1 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 119 2

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sono superiori alle bestie; i bruti, infatti, non sono in grado di contare»1. All’interno di una conoscenza che procede per gradi, la matematica diventa uno strumento per catalogare tutti gli aspetti della vita dell’uomo (numerare, pesare e misurare) perché solo il numero, in quanto prodotto della mente umana, è in grado di fare ciò. L’uomo maturo, quello che, al contrario dell’adolescente, ha sviluppato un pieno uso della ragione, è in grado di compiere l’atto di misurare. Come ho già affermato sopra, il numero rinvia alla ragione umana, che a sua volta rimanda alla mente; i lemmi mens e

mensurare non sono simili soltanto per etimologia, ma Cusano, riaffermando la facoltà

della mens, restringe il campo di coloro che hanno la capacità di mensurare. Oltre a “misurare” in modo pratico le azioni di tutti i giorni, «la mente misura anche in maniera simbolica, secondo il modo della comparazione, come quando si serve del numero e delle figure geometriche e si trasforma in un’immagine di tali cose»2

. Per meglio capire i termini utilizzati da Cusano, Kurt Flasch consiglia di ricercare i significati che avevano le parole nel tempo in cui l’autore ha vissuto. Nel 1400 il termine mensurare indicava, infatti, non solo l’atto pratico che definisce il termine al giorno d’oggi, ma, in senso più teorico, significava anche «determinare concettualmente»3. Oltre a questa precisazione di carattere filologico, Flasch, compie una precisazione anche di carattere temporale. Se nel De docta ignorantia, scritto nel 1440, la nostra mens non era in grado di andare oltre i contraddittori e «l’accento allora ricadeva sul permanere della differenza e sull’insuperabile insufficienza, ora, nel 1450 [anno in cui scrive il De

mente], dal permanere della differenza scaturisce il pathos di un infinito

autoperfezionamento della mens»4, la mente diventa misura di tutte le cose, sia per conoscere le leggi che regolano la natura, sia per conoscere sé stessa «perché i contenuti del mondo sono costruiti in base ai principi che la mente trova complicati in sé»5. In questo senso la mente diventa immagine di Dio: «Come Dio, infatti, è la complicazione delle complicazioni, così la mente, che è un’immagine di Dio, è un’immagine della complicazione delle complicazioni»6. Cusano attraverso il De mente, oltre a rendere chiara ed universale la sua visione, secondo Flasch, «vuole dimostrare che la sua filosofia è in grado di integrare le più diverse teorie sulla mens»7. Infatti, alla domanda

1 N. Cusano, De sapientia, cit., p. 795 2 N. Cusano, De mente, cit., p. 933 3

Cfr. K. Flasch, Niccolò Cusano, cit., p. 315 4 Ivi, p. 325

5 Ivi, p. 331

6 N. Cusano, De mente, cit., p. 875 7

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del filosofo sulla differenza della concezione dell’intelligenza tra Platone ed Aristotele, l’Idiota risponde canalizzando tutte e due le teorie all’interno di un’unica teoria della conoscenza:

«Pertanto , Aristotele pone la ragione come primo elemento per l’ascesa dell’intelletto, mentre Platone pone l’intelligibilità quale primo elemento per la sua discesa. Tra Platone e Aristotele, pertanto, non sembra esserci alcuna differenza, se non nella maniera di considerare le cose.»1.

Per sottolineare l’intento unificatore di tutte le filosofie Cusano utilizza i termini “ascesa” e “discesa”, rispettivamente ascenso e descenso, che saranno il filo conduttore della teoria conoscitiva: dal movimento di ascesa e discesa vengono connesse tutte le cose, e, attraverso questo movimento senza fine, si discende da Dio e a Lui ritorniamo. Se tutta la teoria della conoscenza umana ha come base l’idea di ascenso e di descenso, la struttura della conoscenza razionale, di conseguenza, ha come lessico fondamentale il linguaggio ed il metodo della matematica: «se vogliamo servirci del finito come esempio per ascendere al massimo in quanto tale, dobbiamo in primo luogo considerare le figure matematiche finite con le loro proprietà e i loro rapporti»2. La matematica ci offre un grande aiuto per comprendere le cose divine, nel capitolo XI del primo libro del

De docta ignorantia, Cusano cita i nomi di tutti i filosofi che avevano considerato

questa disciplina una certezza per accedere alla conoscenza divina. Nomina anche Boezio al quale, il metodo della matematica applicato ad ogni disciplina «è parso così utile, che egli ha affermato ripetutamente che ogni vera dottrina risulta compresa nell’ambito della molteplicità e della grandezza»3

. I termini molteplicità e grandezza, ovvero multitudo e magnitudo, ci rinviano ad una maggiore comprensione del ruolo della matematica all’interno del quadrivium: Enrico Peroli afferma infatti che

«Secondo Boezio […] sono i due oggetti delle scienze matematiche […]. La “multitudo” si riferisce infatti alla quantità discreta, mentre la “magnitudo” si riferisce alla quantità continua. La quantità discreta viene studiata dall’aritmetica che è il fondamento di tutte le altre discipline, ed anche dalla musica, la quale si occupa delle cose molteplici considerate non in sé stesse, ma nei rapporti che hanno le une con le

1 N. Cusano, De mente, cit., p. 967

2 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 43 3

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altre. La “magnitudo” o quantità continua, è invece l’oggetto della geometria, che studia le grandezze immobili, e dell’astronomia, che considera le grandezze in movimento.»1.

Anche Cusano utilizza spesso parole all’apparenza in opposizione tra loro proprio come

ascenso e descenso, multitudo e magnitudo, per dimostrare che ogni dottrina e filosofia

che elabora una tesi per comprendere l’assoluto, altro non è che una visione singola e particolare di una figura più grande che è la verità assoluta: per questo motivo, ogni nostra conoscenza è limitata e consiste in una proporzione. «Numerus ergo omnia

proportionabilia includit»2, il numero include in sé tutto ciò che può essere proporzionato. Se questa è la funzione della matematica nel campo di tutta la fisica, oltre al suo utilizzo nell’ambito delle misurazioni, essa è indispensabile anche per la comparazione di queste. Se la matematica viene utilizzata in maniera più ampia e simbolica, si supera la fisica e si arriva alla metafisica per «acquisire, nella nostra ignoranza, una maggiore conoscenza intorno al primo massimo»3. Attraverso la matematica, utilizzata in maniera simbolica, possiamo determinare concettualmente (ancora in maniera simbolica) il Massimo Assoluto, poiché secondo Cusano, «fra realtà nelle quali vi è comparativamente un di più e un di meno non può darsi in atto un progresso all’infinito»4

. Per meglio comprendere questo divario tra finito e infinito, egli utilizza molto spesso la parola praecisio. Flasch precisa che essa non aveva il significato di precisione, ma quello di perfezione e di «corrispondenza idealmente esatta»5, ed è per questo che Cusano se ne serve per l’ambito della metafisica. In questo modo introduce il fondamento della singolarità di ogni ente in quanto non esistono, in tutto l’universo, due cose che possono essere uguali sotto ogni aspetto. Il termine

praecisio appartiene, quindi, solamente a Dio-il Massimo Assoluto. Ogni cosa può

essere conosciuta per com’è in sé stessa, solo ad opera di colui grazie al quale essa esiste, per questo Dio conosce tutte le sue creature in quanto sono suoi prodotti mentre l’uomo conosce gli enti matematici in quanto sono suoi prodotti: questo è uno dei principi cardine all’interno della teoria di Cusano sulla conoscenza. Egli afferma più volte che sono stati gli studi fatti dagli antichi sulle figure geometriche e sui numeri ad indirizzarlo sulla strada per giungere verso la dotta ignoranza: Dio è sempre più avanti dell’uomo, ma esiste la speranza che, attraverso la matematica, il divario possa

1 Enrico Peroli, Niccolò Cusano. Opere filosofiche, teologiche e matematiche, a cura di Enrico Peroli, Bompiani, Firenze-Milano, 2017, p. 2226

2 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 8 3 Ivi, p. 91

4 Ivi, p. 25 5

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diminuire. Egli predilige, quindi, la teoria dei numeri e delle figure di Platone, che considerava i numeri come enti esistenti nel nostro pensiero, piuttosto che quella di Aristotele che vedeva i numeri come acquisiti per “astrazione” dall’esperienza. Poiché tratterò le fonti utilizzate da Cusano per la sua teoria della conoscenza matematica, cercherò, andando a ritroso nel tempo, di capire in che modo si è evoluta la geometria che lo ha portato a preferire alcune definizioni piuttosto che altre. Per questa ragione, durante l’analisi delle opere di Cusano, mi prolungherò anche nella spiegazione dei termini da lui usati.

(13)

Lo stupore conduce a filosofare

Già dalle prime righe del De docta ignorantia, possiamo ritrovare la frase che ho posto a titolo di questo paragrafo. Cusano la utilizza nel prologo, poiché spera che lo stupore induca il dedicatario dell’opera (Giuliano Cesarini) ad intraprendere la lettura del libro, anche se oberato dagli impegni cardinalizi.

«I filosofi della natura sostengono che l’appetito è preceduto da una certa qual sensazione dolorosa all’ingresso dello stomaco, in modo tale che la natura, che tende a conservare sé stessa, attraverso questo stimolo sia spinta a ristorarsi. In modo analogo, ritengo che lo stupore, che conduce a filosofare, preceda il desiderio del sapere, in modo tale che l’intelletto, il cui essere consiste nell’intendere, si perfezioni con lo studio della verità.»1.

Cusano, attraverso un paragone che unisce l’autoconservazione spirituale all’autoconservazione naturale, intende mostrare come lo studio della verità sia un ideale relativo al solo piano dell’intelletto. È l’intelletto infatti che, attraverso lo stupore, spinge l’uomo verso il sapere. L’azione dell’intelletto è possibile solo in quanto questa facoltà ha la caratteristica di essere insaziabile, cioè di non essere mai “sazia” delle proprie conoscenze, ma «può certamente trarre giovamento da queste considerazioni e può servirsi della similitudine della linea infinita per avanzare moltissimo verso il massimo assoluto, al di sopra di ogni sua capacità intellettiva, nella sacra ignoranza.»2. Stimolato in questo modo, l’intelletto dirige la sua insaziabilità verso una ricerca attenta e piacevole di tutto ciò che lo circonda, per cogliere più chiaramente il modo in cui partecipa al Massimo:

«Inoltre, il nostro intelletto insaziabile, stimolato dalle cose che abbiamo già detto, si pone a ricercare attentamente e con il massimo piacere in che modo si possa cogliere più chiaramente questa partecipazione all’uno massimo»3.

Anche quando Cusano si accosta al pensiero di Dionigi l’Areopagita, «il quale dice che l’essenza delle cose è incorruttibile»4

e «la ragion d’essere di tutte le cose, che è Dio

1 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 5 2 Ivi, p.65

3 Ibidem 4

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benedetto, è eterna e immutabile»1, afferma la supremazia dello stupore, poiché anche lo stupore che entra in funzione in noi, per mezzo dell’intelletto, ha un’essenza divina. L’intelletto è immagine della mente infinita di Dio, perciò se Dio è sapienza infinita allora l’intelletto ne ha una pregustazione, un’immagine di questa, in sé:

«Il tema paolino-agostiniano della sapienza interiore, che non è quella di questo mondo per la quale insuperbiamo, ed il tema del sapere tratto dal gran libro della natura, donde l’uomo ricava insegnamenti reali, si congiungono insieme. Ciò che li unisce è che la scienza fisica, nel suo aspetto positivo, è congettura, strumentalmente utile e feconda; ma, quale congettura, può anch’essa convertirsi nel tesoro sapienziale interiore e mistico della dotta ignoranza, senza tuttavia nulla togliere all’impegno scientifico nel calcolo congetturale. Lo strumento dell’impegno scientifico e, a un tempo, della sua conversione da scienza a sapienza è la mente.».2

Questa lunga citazione di Giovanni Santinello, anche se rimanda ad altre nozioni, come il lato scientifico-matematico del pensiero di Cusano, che tratterò nei capitoli successivi, a mio avviso riassume il ruolo della mente come iniziatrice di un percorso che innalza il livello della conoscenza umana da scienza a sapienza. Attraverso lo stupore l’uomo è spinto a ricercare come Dio esista in modo diverso nelle singole cose:

«Noi, tuttavia, vedendo la diversità delle cose, ci chiediamo con stupore come sia possibile che un’unica ragione semplicissima di tutte le cose sia anche la ragion d’essere, rispettivamente diversa, delle singole cose. Che questo sia necessario lo sappiamo tuttavia dalla dotta ignoranza.».3

E ancora nel del De mente: «lo stupore sembra essere uno stimolo per tutti coloro che cercano di conoscere qualcosa»4. Cusano ci fornisce l’indicazione su come mantenere questo stato di stupore avviato dall’intelletto: «Chi si sforzerà di ricavarne un qualche nutrimento spirituale, masticandole accuratamente e ruminandole continuamente [le congetture], ne guadagnerà conforto e sostentamento»5. Partendo dallo stupore, questo processo viene mantenuto dal comportamento del singolo, che, attraverso l’impegno e la forza di volontà, continua a “masticare” cose che all’inizio appaiono «piuttosto rozze ed urtanti a causa della loro novità»6. Così dicendo Cusano sottolinea e valorizza

1 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 61

2 Santinello Giovanni, Introduzione a Niccolò Cusano. Con aggiornamento bibliografico, Laterza, Bari, 20086 , pp. 77-78

3 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 175 4 N. Cusano, De mente, cit., p. 849

5 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 313 6

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l’impegno dell’uomo affinché capisca, per proprio conto, che le cose che sembreranno difficili in un primo momento, si riveleranno facili in un secondo momento. Per meglio comprendere la novità introdotta da Cusano per la sua teoria della conoscenza, possiamo suddividere la spinta conoscitiva in tre momenti che sono necessariamente legati. Il primo momento è caratterizzato dall’intelletto che attraverso lo stupore risveglia la ragione umana. Il secondo momento è dato dalla persistenza dell’uomo nello stupore e cioè nel voler soddisfare l’appetito insaziabile dell’intelletto, quasi come un bisogno di primaria importanza, che spinge alla fame di verità chi desidera incamminarsi nella dotta ignoranza. Il terzo momento è dato dallo stimolo sensoriale che muove la mente alla conoscenza, di conseguenza la natura, percepita attraverso i sensi, viene considerata da Cusano al servizio dell’uomo per condurlo a filosofare:

«In virtù del fatto, pertanto, che l’intelletto è in atto nei sensi, la ragione che si trova in una condizione come di sonno, viene svegliata dallo stupore, in modo tale che essa possa così dirigersi verso il verosimile. Poi, l’intelligenza viene spinta a separarsi ancora di più dal sonno della potenza [in cui si trova] e ad elevarsi più vigile alla conoscenza del vero. L’intelligenza, infatti, si rappresenta nella fantasia ciò che è stato percepito, e mentre ne indaga la forma si volge all’atto dell’intendere e alla conoscenza del vero.»1

Nella nostra mente l’intelletto, luogo in cui vengono intuite le cose nella loro semplicità, sembra trovarsi in un torpore iniziale e viene stimolato successivamente dai sensi per indagare la conoscenza del vero. La compenetrazione tra sensi ed intelletto, e il considerarli un’unica realtà all’interno della mente umana, rendono moderne queste accezioni della teoria conoscitiva cusaniana. Per Platone, Aristotele e tutta la tradizione cristiana l’ideale del saggio e del sapiente tende a coincidere con l’immagine di colui che dedica la propria vita alla contemplazione del mondo, escludendo ogni atto pratico che lo potrebbe fuorviare da questo suo intento, in attesa di raggiungere la beatitudine della contemplazione di Dio o della contemplazione intellettuale2. Cusano invece tende ad unire e far incontrare questi due aspetti necessari della vita dell’uomo:

«Tra la vita nella quale il predominio dell’alterità comporta la corruttibilità o la dissoluzione dell’unità e la vita nella quale il predominio dell’unità produce l’incorruttibilità non può esservi, come abbiamo detto più volte, un grado che sia esattamente intermedio, tale, cioè, che vi sia una vita che non è né corruttibile né

1 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 491 2

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incorruttibile […]. Di conseguenza, affinché la vita inferiore sia unita alla superiore nell’unità dell’universo, sarà necessario che anche la vita superiore si congiunga all’inferiore.»1

.

Non può esistere quindi, secondo Cusano, un uomo che consideri solo la parte contemplativa della sua anima, la vita perfetta risulta essere quella che ben dosa corruttibile e incorruttibile, a questo proposito distingue2 la vita dell’essere umano in un composto di intelletto, ragione e sensi. Se i sensi sono la parte più corruttibile, l’intelletto rappresenta la parte incorruttibile; la ragione invece, attraverso le sue facoltà, unisce le due parti, poiché è formata da una parte più vicina all’intelletto e una più vicina ai sensi. Ma tutto questo va concepito come un insieme, come «un unico composto, formato dalla vita in cui prevale l’unità e da quella in cui prevale l’alterità»3

. Essendo due facce della stessa medaglia, l’unità e l’alterità della vita dell’uomo mostrano sia la particolarità dell’intelletto della ragione e dei sensi, sia l’unità di queste tre caratteristiche umane. In questo capitolo intitolato “la vita”, Cusano, tende a precisare che l’uomo, congetturando, può concepire queste tre facoltà come singole, ma è necessaria la cooperazione tra le tre parti per giungere alla piena realizzazione di «questo tipo di composto»4 ovvero la vita di ognuno. Successivamente, la singolarità di ogni ente, fa sì che ci siano differenze «fra coloro che partecipano di questa connessione»5, poiché «l’unità non la si può in effetti trovare nell’alterità in altro modo che con una caduta della precisione»6 e quindi della corrispondenza idealmente esatta. Anche i sensi partecipano della possibilità che ha l’individuo di elevarsi ad una conoscenza più elevata, l’alterità che introducono serve all’uomo per riconoscere l’unità divina che è insita in tutte le cose, e che l’intelletto, attraverso un procedimento conoscitivo che parte dallo stupore, può ritrovare in ogni ente. Questo procedimento viene suddiviso per gradi, e paragonato a figure geometriche:

«La conoscenza intellettuale, infatti, abbraccia il vero in modo puntuale e, ad un tempo, in maniera sottile e perfetta. La conoscenza della ragione, invece, è più contratta, è abbastanza perfetta come la superficie ed è sottile come la linea; la conoscenza immaginativa, poi, è più contratta ed è perfetta come la linea e grossa come la

1 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 457 2 Cfr. Ivi, cit., pp. 457-459 3 Ivi, p. 457 4 Ibidem 5 Ibidem 6 Ivi, p. 503

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superficie; la conoscenza sensibile, infine, è la più contratta in senso individuale ed è imperfettissima e grossissima come il solido.»1.

Cusano distingue quattro livelli di conoscenza: intellettuale, razionale, immaginativa e sensibile. Ogni uomo può scegliere di quale livello di conoscenza servirsi e di quali facoltà usufruire per raggiungere il suo scopo gnoseologico. Nel De mente2, infatti, l’Idiota sostiene che la mente è l’intelletto ma, essendo l’anima una funzione della mente che esige un rapporto con un corpo, non può esistere in un uomo un rapporto mente-corpo che si possa ritrovare simile in un altro uomo. Cusano, anche per la mente, sostiene il principio della singolarità di ogni ente, ma volendo trovare una particolarità comune a tutti gli organismi, l’intelletto (che egli nel De mente fa coincidere con la mente), è quello che più di ogni altro è simile alla sostanza infinita e alla forma assoluta, poiché ci è stato donato da Dio. Nell’alterità di ogni ente quindi, esiste un’unità, l’intelletto, che deriva dall’Unità, Dio.

L’intelletto

«comprende di essere al di sopra del tempo incorruttibile e di essere immortale per il fatto di possedere un desiderio che nel tempo è insaziabile, e riconosce di non potersi saziare della vita intellettuale desiderata se non nella fruizione del bene massimo e ottimo, che non viene mai meno, la fruizione del quale non cessa mai, perché, nella fruizione, l’appetito non diminuisce.».3

L’oggetto della mente, una volta risvegliata dallo stupore della visione del mondo esterno, è Dio, il quale non può essere intuito completamente, ma può essere godibile in eterno, in quanto incorruttibili sono sia Dio sia l’appetito dell’intelletto. «La mente esercita un giudizio sulle conclusioni della ragione e discerne quale conclusione è buona e quale è sofistica»4, a sua volta la ragione applica un giudizio sulle conclusioni che derivano dai sensi e dalla facoltà immaginativa. L’intelletto si trova ad essere elevato al vertice di tutte le facoltà, in quanto «è un’immagine dell’esemplare di tutte le cose. Dio, infatti, è l’esemplare di tutte le cose»5

ed è Lui, il vertice di tutte le cose stesse. Presentando la struttura della realtà mediante la teoria delle quattro unità6, Cusano afferma che queste sono collegate dalla mente ad un ambito del reale corrispondente e

1 N. Cusano, De coniecturis, cit., pp. 503-505 2

N. Cusano, De mente, cit., pp. 953-955

3 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p.301 4 N. Cusano, De mente, cit., p.887

5 Ibidem 6

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che questa teoria si trova alla base della formulazione delle sue congetture. Affermando lo scambio vicendevole tra sensi ed intelletto, Cusano, assegna alla mente una caratteristica sensibile e cioè la vista in modo tale che

«non vi può essere nulla che sia al di fuori di lei e che sfugga al suo sguardo. In questo modo, la mente contempla la propria unità, che è la sua stessa entità, in quella sua similitudine che è il numero, che la mente ha tratto da sé stessa, e la contempla come

un’immagine che le è naturale e propria.»1 .

La nostra mente è «imago exemplaris omnium»2 (immagine esemplare di tutte le cose) ovvero immagine di Dio, essa vede e comprende che l’unità divina non solo è il principio di ogni cosa fuori da lei, ma anche il fondamento di ogni sua azione. Per meglio comprendere le quattro unità, Cusano ne accosta ognuna ad un numero matematico perché, essendo la matematica una creazione della nostra mente, può aiutarci a meglio comprendere questa teoria. La prima unità è Dio con il numero 1, la seconda unità è l’intelligenza con il numero 10, la terza unità è l’anima razionale con il numero 100, e la quarta unità è rappresentata dal corpo costituito dal numero 1000. Al di là di questa teoria che, come afferma Enrico Peroli, «corrisponde alla teoria dei quattro principi caratteristica della tradizione neoplatonica […], e sulla quale lo stesso Cusano non ritornerà più negli scritti successivi»3, la cosa che ritengo da sottolineare è il fatto che la mente abbraccia e comprende tutte le cose nel modo di essere della cosa stessa, poiché grazie al meccanismo di ascenso e descenso con il quale essa lega tra loro le quattro unità, «distingue e ad un tempo connette tutte le cose»4:

«Ora in Dio tutte le cose sono Dio, nell’intelligenza sono intelletto, nell’anima sono anima, nel corpo sono corpo. Ciò non significa altro che la mente abbraccia tutte le cose o secondo il modo proprio di Dio, o secondo il modo proprio dell’intelletto, o secondo il modo proprio dell’anima, o secondo quello proprio del corpo: nel modo proprio di Dio, nella misura in cui ciò che la mente abbraccia è la verità; nel modo proprio dell’intelletto, in quanto ciò che la mente abbraccia non è la verità stessa, ma è vero; nel modo proprio dell’anima, in quanto ciò che la mente abbraccia è verosimile, nel modo proprio del corpo, invece, quando ciò che la mente abbraccia si allontana anche dall’essere una somiglianza del vero e in essa s’insinua la confusione.»5

1

N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 323 2 N. Cusano, De mente, cit., p. 886 3 E. Peroli, Niccolò Cusano, cit., p. 2353 4 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 327 5

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Attraverso lo stupore l’intelletto ricerca la connessione nelle cose distinte, l’occhio della mente poi «cerca di cogliere intuitivamente la potenza infinita dell’unità»1. La maniera intuitiva con cui possiamo cogliere la potenza infinita dell’unità, ci è data dalle congetture, che sembrano essere l’unica strada da seguire poiché «adatta a tutte le domande»2, le quali non ci potranno dare una risposta precisa e quindi idealmente esatta, ma ci faranno comprendere la chiarezza e la brevità della teologia. Lo straordinario desiderio che ci spinge verso la sapienza eterna, oltre a rendere la nostra vita gioiosa per la facilità con cui comprendiamo le cose difficili, esiste proprio grazie alla stessa sapienza eterna «la quale è il compimento del […] desiderio e di esso è il principio, il mezzo e il fine.»3. Questa affermazione può avere due chiavi di lettura: una cristiano-medievale e una scientifico-moderna. Nella prima il fine ultimo dell’uomo consiste nella visione della verità che è Dio; a Lui l’intelletto dell’uomo aspira da sempre, in Lui troverà la gioia eterna, in Lui lo spirito dell’uomo verrà assorbito nella contemplazione della verità:

«“Fai in modo, dunque, di trovare te stesso in lui”, dice la nostra dotta ignoranza. “E poiché in lui tutte le cose sono lui stesso, non ti potrà mancare nulla. Accedere a colui che è inaccessibile non è tuttavia in nostro potere, ma è in potere di colui che ci ha donato un volto che è orientato verso di lui e che è ricolmo del più grande desiderio di ricercarlo. E non appena lo faremo, egli, nella sua somma benevolenza, non ci abbandonerà, ma, dopo essersi mostrato a noi, ci sazierà in eterno, quando “apparirà la sua gloria”. Sia egli benedetto nei secoli”.»4

.

In questa visione cristiano-medievale viene messo in evidenza il percorso che porterà l’uomo a fare “esperienza” di Dio dopo la morte, poiché «Accedere a colui che è inaccessibile non è tuttavia in nostro potere, ma è in potere di colui che ci ha donato un volto»5. Utilizzando la dotta ignoranza l’uomo deve cercare di vivere il più possibile aderente alla parola di Dio, mentre Dio, per ricompensarlo, «lo sazierà in eterno, quando “apparirà la sua gloria”.»6

.L’altra interpretazione, quella scientifico-moderna, non è del tutto contraria alla concezione cristiano-medievale, ma piuttosto la precede, perché considera l’intero arco della vita dell’uomo anziché focalizzarsi sulla parte che mira alla salvezza eterna. L’uomo, utilizzando le tre facoltà che ha in sé, ovvero intelletto,

1 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 325 2

Ivi, p.333

3 N. Cusano, De sapientia, cit., p.807 4 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 213 5 Ibidem

6 Ibidem

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ragione e sensi, ricerca nella natura un unico principio. Attraverso le facoltà che tutti abbiamo, quindi, l’uomo sviluppa un metodo universale, la dotta ignoranza, che viene impiegato in tutti gli ambiti del sapere. Essendo la mente dell’uomo immagine di Dio noi possiamo conoscere il mondo perché come «nel creare il mondo, Dio ha impiegato l’aritmetica, la geometria, la musica e insieme l’astronomia, […] [così anche noi impieghiamo queste arti] quando indaghiamo le proporzioni che vi sono fra le cose, fra gli elementi e fra i movimenti»1. L’arte umana diventa immagine dell’«artifex»2 di tutte le cose, cioè Dio, poiché si rivolge all’indagine della natura e si esplica attraverso le arti del quadrivium:

«la natura è unità, l’arte è alterità, perché l’arte è una similitudine della natura. Dio, secondo il linguaggio proprio dell’intelletto è al tempo stesso natura assoluta e arte assoluta, sebbene in verità egli non sia né arte né natura né entrambe»3.

Per Cusano Dio può essere compreso in quanto la mente rappresenta un’immagine viva, lo stupore umano conduce a filosofare anche nell’ambito dell’infinito, perché tutto ciò è reso possibile dalla dotta ignoranza che, attraverso esempi ed immagini, ci può far meglio comprendere «l’arte infinita»4. «Non c’è nessuna difficoltà che sia più facile di quella che s’incontra nell’indagine sulle cose divine, dove il diletto coincide con la difficoltà.»5. La semplicità di questo tipo di indagine sta nel fatto che il principio di cui si occupa, e cioè il principio divino, è il presupposto di ogni cosa, la connessione uomo-natura-Dio diventa così l’esplicazione di Dio come principio, mezzo e fine di tutte le cose. Questo perché l’uomo, attraverso la conoscenza della natura, ripercorre i gradi della propria mente che corrispondono ai diversi gradi del sapere: è in questo modo che egli cerca di colmare il divario che lo separa da Dio.

1

N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 207, parentesi mie 2 E. Peroli, Niccolò Cusano , cit., p.2434

3 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 459 4 N. Cusano, De Mente, cit., p. 963 5

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«Manuductione ad arcana coniecturam»

1

«Chi tuttavia vuole giungere a cogliere il senso profondo delle cose deve elevare il suo intelletto al di sopra del significato letterale delle parole, piuttosto che restare fisso al significato dei singoli termini, in quanto non è possibile rendere le parole pienamente adeguate ai misteri intelligibili così grandi»2.

Secondo Jean-Miche Counet, Cusano aveva già utilizzato, almeno tre volte, il termine

manuductio nei suoi sermoni3. Nelle prime pagine del De docta ignorantia scrive il paragrafo che ho riportato sopra per introdurre questa parola per la prima volta all’interno di un’opera, e per giustificarsi dell’inefficacia del linguaggio umano per spiegare il senso profondo delle cose. Se da una parte è vero «che la precisione della verità è inconoscibile»4 perché la corrispondenza idealmente esatta non può esistere nel mondo fisico, e ancora che siamo tanto più dotti quanto più sappiamo di essere ignoranti5, dall’altra il termine manuductio spiega precisamente il modo in cui noi possiamo accedere alla sapienza, e cioè guidati per mano. Questo termine oltre a spiegare bene il significato stesso dell’azione che esprime, è anche inerente all’idea pedagogica di Cusano: il cammino verso i misteri intelligibili ha bisogno sia di un movimento intellettuale che di un atto pratico. Per poterci avvicinare alla verità abbiamo bisogno di entrambi questi movimenti. Il verbo manoducere, composto dai due termini,

mano e ducere, spiega l’intento di Cusano di condurci nel cammino della conoscenza

attraverso «Exemplaribus etiam manoductionibus»6, ovvero esempi intesi come una manoduzione, poiché:

«Nella ricerca di questa via, mi sono sforzato di spiegare le cose per le persone dotate di un’intelligenza comune, e ho cercato di farlo nel modo più chiaro che ho potuto, evitando ogni asprezza e durezza di stile e mostrando subito quale sia la radice della

1 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 354 2 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p.13 3

Cfr. Jean-Michel Counet, “Le sermon comme manuductio chez Nicolas de Cues”, Revue des sciences

philosophiques et théologiques, 2014, 2 (Tome 98), p. 551

4 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p.13 5 Cfr. ivi, p. 9

6

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dotta ignoranza, la quale consiste nel fatto che la precisione della verità è inconoscibile»1

Possiamo subito notare la volontà didattica di Cusano ed il suo impegno affinché questo nuovo modo di capire le cose sia trasposto nella forma più semplice possibile, in modo da divulgare la dotta ignoranza a tutti coloro che sono dotati «di un’ intelligenza comune»2, anche con l’aiuto della manoduzione. Se il De docta ignorantia e il De

coniecturis sono scritti come manuali che spiegano teoricamente, attraverso figure ed

esempi, l’utilizzo della manuductione, il De sapientia e il De mente sono la spiegazione pratica di questa. Nel primo libro del De docta ignorantia, precisamente dal capitolo undicesimo al capitolo ventunesimo, Cusano desidera mostrare come la sola conoscenza matematica possa manodurci, attraverso un suo uso “simbolico”, ad una comprensione parziale della natura infinita del Massimo assoluto che altrimenti ci sarebbe negata completamente3. Introducendo al cardinale Giuliano Cesarini, i principi della dotta ignoranza, Cusano ha intenzione di rendere pubbliche quelle che lui sminuisce denominando le sue cose4. Non si sa a chi volesse rivolgere i suoi scritti ma sicuramente il suo intento era quello di renderli universali, poiché universale è la sua teoria. Ritengo che egli abbia scelto di spiegare nella maniera più semplice il suo pensiero in modo tale che potesse essere fruibile dal maggior numero di persone:

«Vediamo che in tutti gli esseri è presente, per dono di Dio, un certo desiderio naturale di esistere nel modo migliore consentito […]. E vediamo che tutti gli esseri agiscono a questo fine e hanno i mezzi a ciò adatti; essi hanno una capacità innata di giudizio […] in modo tale che […] ciascuno di essi possa raggiungere la sua quiete in quel centro di gravità della propria natura che ogni essere ama. […] e non abbiamo alcun dubbio sul fatto che la verità più sicura sia quella da cui ogni mente sana non può dissentire.»5.

I riferimenti e gli strumenti necessari per intraprendere il cammino all’interno della conoscenza si trovano in tutti gli uomini. Cusano, come se applicasse l’arte della maieutica, si propone di manuducere all’interno di questo cammino tutti gli esseri dotati di intelletto perché, anche con le differenze che li caratterizzano, hanno tutti le qualità per comprendere la dotta ignoranza. L’idea di manuducere qualcuno, in particolare nel

1 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p.13 2 Ivi, p.13

3

Cfr. E. Peroli, Niccolò Cusano, cit., pp. 2220

4 N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p.5: «Ti chiederai giustamente con stupore, tu che hai uno spirito vastissimo e di provata eccellenza, per quale motivo, nel momento in cui tento, con molta imprudenza, di rendere pubbliche queste mie cose di poco valore scritte da uno straniero, io scelga te come giudice[…]» 5

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cammino della «vera conoscenza»1, si può ritrovare all’interno del De sapientia e del

De mente, poiché queste opere sono strutturate come un dialogo a tre in cui l’Idiota,

attraverso l’utilizzo di esempi, guida per mano l’Oratore ed il Filosofo verso la verità. In prima persona l’Idiota si cimenta nella spiegazione all’Oratore: «Mi hai ascoltato altre volte su questo argomento, ora te lo espongo di nuovo ricorrendo ad un altro esempio.»2. Secondo Jean-Michel Counet3 è probabile che Cusano abbia tratto il termine “manuductio” soprattutto dalle traduzioni latine degli scritti di Dionigi Areopagita in cui si trova la parola χειραγωγία (cheiragogia) tradotta alla lettera sia dai traduttori che da Cusano. All’interno delle opere dionisiane evidenziate da Counet4, ho preso in considerazione i passi della Gerarchia celeste, della Gerarchia ecclesiastica e dei Nomi divini5 in cui possiamo leggere:

«non è affatto possibile che la nostra mente ci elevi verso quell’immateriale contemplazione e imitazione delle gerarchie celesti senza l’uso di una guida materiale alla sua portata»6

«i sacri riti sensibili sono immagini delle cose intelligibili e guida e strada verso queste»7 «la guida che ci conduceva verso la luce divina»8

«Il moto dell’anima è circolare quando essa dall’esterno rientra in sé, ed è il raccoglimento uniforme delle sue facoltà intellettuali, che […] la guida verso il Bello e il Buono che è situato oltre tutti gli esseri e rimane uno e medesimo senza principio e senza fine »9

Dionigi evidenzia l’impossibilità della nostra mente di elevarsi alle gerarchie celesti, affidando questa eventualità ad una guida materiale e ad un moto dell’anima che, attraverso l’intelletto, sia in grado di guidarci verso il «Bello ed il Buono»10

. Per quanto riguarda l’influenza di Dionigi su Cusano non solo per l’utilizzo del termine

manuductio ma, in generale, per la stesura delle sue opere, è necessario che esponga due

considerazioni: per prima cosa, secondo Jean-Marie Nicolle, sicuramente Cusano aveva

1 N. Cusano, De sapientia, cit., p.791 2 N. Cusano, De mente, cit., p. 963 3

Jean-Michel Counet, “Le sermon comme manuductio chez Nicolas de Cues”, Revue des sciences

philosophiques et théologiques, 2014, 2 (Tome 98), pp. 543-561

4 Ivi, p. 552

5 Dionigi Areopagita, Dionigi Areopagita. Tutte le opere, a cura di Piero Scazzoso- Enzo Bellini, Bompiani, Milano, 2009

6

Dionigi Areopagita, Gerarchia celeste, in Dionigi Areopagita. Tutte le opere, cit., p. 85 7 Dionigi Areopagita, Nomi divini, in Dionigi Areopagita. Tutte le opere, cit., p. 393 8 Ivi, p. 417

9 Dionigi Areopagita, Gerarchia ecclesiastica, in Dionigi Areopagita. Tutte le opere, cit., pp. 213-215 10

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nella sua biblioteca di Kues il testo I nomi divini, dell’Areopagita, tradotto in latino da Ambrogio Traversari1, egli lo ha apprezzato e se ne è sicuramente servito, poiché viene spesso o semplicemente citato, o riportato con l’appellativo di «grande»2. Secondariamente, per avvicinarsi allo studio di Dionigi, Cusano si serve del commento di Alberto Magno a I nomi divini dell’Areopagita3, Flasch afferma che «Cusano l’ha utilizzato non solo rispetto a Dionigi: ha tratto da lui indicazioni anche per altri filosofi»4, quindi la comprensione di Dionigi da parte di Cusano è passata anche attraverso la mediazione di Alberto Magno. In generale, quando si possono notare delle similitudini rispetto ad altri autori secondo Jean-Marie Nicolle «si può parlare di un bricolage, nel senso positivo del termine, per comprendere che Cusano sa prendere in prestito concetti da questo e da quello e maneggiarli abilmente»5. Il termine manuductio è stato poi utilizzato dalla patristica per delineare l’itinerario spirituale che l’uomo deve compiere se vuole elevarsi dalle realtà sensibili alle realtà intelligibili, successivamente gli autori medievali hanno ripreso e rielaborato questo concetto che ricorre frequentemente nei loro scritti6. Oltre a Dionigi, Cusano può essersi servito maggiormente di san Bonaventura da Bagnoregio, il quale si è servito di questo termine e lo ha inserito nelle sue opere. Infatti, ricorrendo all’utilizzo di immagini e simboli, secondo Graziella Federici Vescovini7, San Bonaventura rappresenta una teologia fondata sulla promessa di Dio, questa giustifica la salvezza su un piano che va oltre la filosofia stessa, secondo una visione neoplatonica quasi mistica, per cercare di innalzarsi verso la realtà assoluta di Dio grazie a strumenti, come immagini e simboli, che sono in possesso dell’uomo. San Bonaventura distingue diversi gradi di manuductio che corrispondono alle diverse tappe dell’ascesa dell’anima a Dio e che egli raggruppa in cinque tappe. Nella prima tappa sono i nostri sensi che ci manoducono a conoscere Dio per mezzo delle sue creature, «manuduci ad contemplandum Deum in cunctis

creaturis»8, secondariamente sempre i nostri sensi ci manoducono a percepirlo all’interno di queste. Questo avanzamento si perfeziona all’interno della nostra mente

1 Cfr. Jean-Marie Nicolle, “Introdution”, in Les écrits mathematiques, a cura di Jean-Marie Nicolle, Honoré champion éditeur, Paris, 2007, pp. 9-11, traduzione mia

2 N. Cusano, De beryllo, cit., p.1157 (tutta questa opera è piena di riferimenti a Dionigi) 3 Cfr. K. Flasch, Niccolò Cusano, cit., pp. 535-536

4 Ivi, p.535

5 J. Nicolle, “Introdution”, in Les écrits mathematiques, cit., p. 10 6

Cfr. E. Peroli, Niccolò Cusano, cit., pp. 2386-2387

7 Cfr. Graziella Federici Vescovini, “La «Dotta ignoranza» di Cusano e san Bonaventura”, Doctor

Seraphicus, 1993, 40-41, pp. 52-53

8 Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio, a cura di Massimo Parodi e Marco Rossini, biblioteca universale Rizzoli, Milano, 1994, p. 102

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poiché lì si trovano i principi di tutte le scienze ricevuti dalla luce divina. Anche Bonaventura sottolinea l’importanza di avere una mente vigile e non «cieca [che sia] in grado di incamminarsi da sola verso la contemplazione della luce eterna»1

«Omnes autem hae scientiae habent regulas certas et infallibiles tanquam lumina et

radios descendentes a lege aeterna in mentem nostram. Et ideo mens nostra tantis splendoribus irradiata et supefusa, nisi sit caeca, manuduci potest per semetipsam ad contemplandam illam lucem aeternam.»2

La terza tappa è resa possibile proprio da questo dono divino, grazie al quale le facoltà dell’anima razionale, con le loro operazioni, manoducono sé stessa alle realtà celesti, mentre la grazia purifica, illumina e perfeziona le menti umane:

«intelligere possumus, quod in divina manuducimur per ipsius animae rationales

potentias naturaliter insitas quantum ad earum operationes, habitudines et habitus scientiales; secundum quod apparet ex tertio gradu. Manuducimur etiam per ipsius animae potentias reformatas, et hoc gratuitis virtutibus, sensibus spiritualibus et mentalibus excessibus;»3

Anche se contempliamo Dio dentro di noi attraverso le scienze, questa possibilità di

manuductione è da considerarsi più un’illuminazione che viene dall’alto dal momento

che la mente può accoglierla o meno: questa rende pieni di ammirazione i sapienti, e confonde gli insipienti.

«sicut patet ex quarto. Manuducimur nihilominus per hierarchicas operationes, scilicet purgationis, illuminationis et perfectionis mentium humanarum, per hierarchicas revelationes sacrarum.»4

Anche la quarta tappa è resa possibile dalla grazia poiché rinnova, purifica e perfeziona le facoltà dell’anima.

«Et tandem manuducimur per hierarchias et hierarchicos ordines, qui in mente nostra

disponi habent ad instar supernae Jerusalem.»5

Nella quinta ed ultima tappa, le facoltà dell’anima ci conducono per mano alle realtà divine per mezzo delle virtù infuse dalla grazia, questo è reso possibile per mezzo dei sensi spirituali e dei rapimenti estatici. In questo itinerario, che accompagna la nostra

1

Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio, cit., p. 129 2 Ivi, p. 128

3 Ivi, p. 140 4 Ibidem 5

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mente a Dio, Bonaventura ben distingue i due piani: quello imperfetto della mente umana che nulla può se non esperire Dio attraverso i sensi e quello perfetto dell’Altissimo il quale, attraverso la grazia, quasi per magia rende perfette le facoltà mentali di chi è predisposto alla sapienza, attuando così nella mente il processo di automanoduzione che potrà portare l’uomo a Dio: l’uomo sarà così in grado di trasformare l’esperienza sensoriale in esperienza divina. Anche in Cusano è presente l’idea di auto-manoduzione, ma la filosofia e la teologia non sono più in contrasto tra loro, in Cusano rimane solamente la subordinazione della filosofia alla teologia1 poiché «la precisione dell’arte infinita resta sempre inaccessibile»2. Secondo Graziella Federici Vescovini, infatti,

«la riflessione teologica è il fulcro del suo diverso modo di intendere la filosofia, per cui la sua dottrina filosofica, tutta tesa a cogliere la Verità di Dio si può anche definire come una teologia delle rappresentazioni filosofiche di Dio, tutte più o meno insufficienti a cogliere la Verità di fede, assoluta, divina. […] La sapienza che è Dio, si rivela e, così, si può scoprire nei vari e diversi modi, che sono i ‘campi’ della sua […] [ricerca] tra cui importante è il campo della ‘dotta ignoranza’, anche se la nostra caccia è sempre inadeguata, insufficiente e approssimata»3.

Per quanto riguarda la spiegazione teorica del termine manuductio attraverso esempi matematici e figure geometriche, Cusano può essere stato maggiormente ispirato da Raimondo Lullo. Egli, infatti, ricorre frequentemente all’utilizzo di simboli e figure per spiegare la sua arte poiché Lullo, come afferma Marta M. M. Romano, «elabora strutture logico matematiche, alla ricerca del mezzo espressivo adeguato ad assicurare la correttezza e la completezza metodiche per l’enunciazione chiara ed esatta della verità»4

Ma è necessario fare una considerazione di carattere più generale per meglio comprendere questo parallelismo. Cusano possedeva numerosi scritti lulliani e aveva copiato molti estratti di questi, egli ha ripreso dalle sue letture principi base sulla teoria della conoscenza, l’utilizzo delle figure per estrarre concetti e mettere a punto un’arte da utilizzare nella ricerca del vero5. Per quanto riguarda l’utilizzo delle figure secondo Jean-Marie Nicolle6 Cusano potrebbe aver ripreso qualche triade di concetti introdotti

1 Cfr. G. Federici Vescovini, “La «Dotta ignoranza» di Cusano e san Bonaventura”, cit., pp. 49-68 2 N. Cusano, De mente, cit., p. 963

3

G. Federici Vescovini, “La «Dotta ignoranza» di Cusano e san Bonaventura”, cit., pp. 52-53

4 Marta M.M. Romano, “introduzione”, in Raimondo Lullo, Arte breve, a cura di Marta M. M. Romano, Bompiani, Milano, 2010, p. 29

5 Cfr. J. Nicolle, “Introdution”, in Les ècrits mathematiques, cit., p. 23 6

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da Lullo attraverso la figura T, contenuta all’interno dell’Ars brevis, che rappresenta un triangolo in rotazione, inscritto all’interno di un cerchio.

1

Come per Cusano anche per Lullo attraverso questa figura «l’intelletto acquista la scienza»2, poiché il movimento dell’intelletto si esplica in base al movimento di ascenso e descenso tra i diversi accostamenti dei termini3. Ogni posizione del triangolo in rotazione genera una triade di parole come differenza-uguaglianza-concordanza oppure principio-mezzo-fine. Questi termini verranno utilizzati anche da Cusano per descrivere la sua «generalem coniecturandi artem»4. Il termine ars è volutamente utilizzato anche da Lullo poiché ha una doppia valenza di significato, indica infatti sia metodo, poiché utilizza la logica, sia scienza poiché ha una valenza universale5. Allo stesso modo, Flasch evidenzia anche che il termine ars «era un’espressione di Lullo, e il Cusano l’intende come una dottrina del metodo del sapere empirico, come motore del progresso nella crescente misurazione del mondo sensibile»6, ma, sottolinea Flasch, se da una parte è vero che «di nessun altro autore, al pari di Raimondo Lullo, la biblioteca

1 R. Lullo, Arte breve, cit., p. 90 2

Ivi p. 97

3 Cfr. Ivi, pp. 42-43

4 N. Cusano, De coniecturis, cit., p. 312

5 M.M.M. Romano, “Introduzione”, in R. Lullo, Arte breve, cit., p. 32 6

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possiede un numero maggiore di manoscritti»1 e che la «presenza di Lullo nel pensiero cusaniano cominciò sicuramente presto e fu una presenza destinata a durare»2, è anche vero che Lullo non viene mai citato da Cusano. Questo forse perché secondo Flasch,

«si era reso perfettamente conto che non era possibile imporre alla Chiesa gli autori che più lo avevano stimolato […] ritenne più opportuno tacerne del tutto e appoggiarsi, anziché su essi, sul più incontestabile tra tutti i teologi, vale a dire Dionigi.»3.

Cusano allora può sicuramente aver tratto il termine manuductio anche da Dionigi come ho prima mostrato, ma il processo ed il linguaggio utilizzato da Dionigi sono serviti a Cusano anche e soprattutto per nascondere rimandi ad autori scomodi per il tempo, tra i quali, e ripropongo l’aggettivo utilizzato da Flasch, «un controverso outsider come Lullo»4. Raimondo Lullo concepisce la sua arte e le figure che essa contiene come una

manuductio verso la conoscenza della verità5, l’ars lulliana, come afferma Marta M. M.

Romano, è «come una “scienza in acquisizione”, una scorciatoia per la conoscenza universale della verità»6 e ancora «è una scienza con un contenuto universale»7. Tutte affermazioni che potrebbero valere anche per Cusano perché all’interno del termine

manuductio si cela l’intento pedagogico per rendere universale la sua scienza. Come le

figure riportate da Lullo servono da manuductione alla sua ars così anche le figure di Cusano avranno lo stesso ruolo concreto nella spiegazione delle congetture. Counet8 afferma che Raimondo Lullo utilizza questo termine all’interno della settima parte dell’Ars generalis ultima che descrive i cinque modi per trattare la quarta figura.

1 Ivi, p. 17

2 K. Flasch, Niccolò Cusano, cit., p. 140 3 Ivi, p. 640

4

Ivi, p. 128

5 Cfr. E. Peroli, Niccolò Cusano, cit., p. 2387

6 M.M.M. Romano, “introduzione”, in R. Lullo, Arte breve, cit., p. 27 7 Ivi, p. 32

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