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La politica dell'Unione Europea di cooperazione allo sviluppo neI paesi A.C.P.

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

“Lo scopo dell’associazione è di promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi associati” ,queste parole si prestano a molte letture:possono essere interpretate come la dichiarazione di intenti contenuta nell’art. 15 della prima Convenzione di Yaoundè ma , possono essere considerate anche come l’inizio ed allo stesso tempo il perno intorno al quale ruota tutto l’apparato della cooperazione internazionale dell’Unione Europea.

Questo lavoro riguarda i rapporti di cooperazione internazionale dell’Unione Europea verso i Paesi ACP,i suoi fondamenti giuridici e storici,presentando brevemente le varie tesi in merito che si sono susseguite in dottrina ed in giurisprudenza.

L’Unione Europea si è modificata seguendo i cambiamenti sociali e politici; così come ci appare oggi risulta molto diversa rispetto all’idea originaria che si era fatta spazio,all’inizio solo nelle menti,di uno sparuto gruppo di persone durante l’ultima parte del secondo conflitto mondiale.

Quell’idea si è concretizzata seguendo percorsi lentissimi che prevedono procedure, per usare un termine che spesso si riscontra nei regolamenti o nei testi dei comunicati comunitari ,che sfuggono alla maggioranza dei cittadini degli Stati membri.

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Molti aspetti della vita quotidiana di ognuno di noi vengono regolamentati in ambito comunitario;l’Europa è presente nella nostra vita di ogni giorno nei campi più svariati ma con una forma nebulosa,inconsistente e che per questo motivo sfugge all’attenzione dei più,fatta eccezione che per i tecnici,gli esperti,quel gruppo di persone che generalmente viene racchiuso sotto la dicitura generalizzata ed impersonale degli “addetti ai lavori”.

Tuttavia se si ponesse la domanda ,ad un campione di cittadini europei, in quale aspetto il peso dell’Unione si fa sentire minore,senza dubbio al primo posto si porrebbe la politica estera;è opinione largamente diffusa che proprio per il modo in cui è organizzata, l’Unione Europea sia quasi totalmente sprovvista di una politica estera comune e condivisa.

Ogni Stato membro procede autonomamente,difendendo i propri interessi individuali,svincolato da decisioni comuni e condivise,che probabilmente porterebbero a soluzioni più oculate in un’ottica di cooperazione e di lungo respiro.

Alla maggioranza dell’opinione pubblica l’ Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di sicurezza dell’Unione,risulta essere un ruolo secondario in relazione alle situazioni di estrema complessità di cui si dovrebbe occupare ; il rappresentante della politica estera dell’Unione è spesso solo un mero esecutore di accordi e trattati internazionali,una carica prestigiosa sulla carta ma che in concreto si svuota di ogni importanza.

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Purtroppo questo concetto, spesso veicolato dai mezzi di informazione , si radica erroneamente nei convincimenti delle persone;ciò che non trapela dagli uffici delle Istituzioni europee o che non si riesce a trasmettere attraverso impersonali e “freddi” documenti comunitari è l’impegno che l’Unione porta avanti, fin dalla sua nascita, nel sostenere i paesi in via di sviluppo.

E’ innovativo il meccanismo con il quale gli organi comunitari, fin dalla loro costituzione, hanno legato una sfera di competenza importante quanto risulta essere quella degli Affari Esteri con la cooperazione internazionale.

Il presente lavoro si pone l’obbiettivo di mettere in evidenza come far coincidere l’azione di politica estera con l’aiuto tecnico e finanziario fornito ai paesi in via sviluppo: ciò è da considerarsi una vera e propria rivoluzione che non aveva precedenti e che si rivelerà essere un esempio seguito da altre istituzioni ed organismi che operano in campo internazionale.

Fino a questo momento c’era stata una marcata divisione: da un lato la politica estera che ogni Stato autonomamente portava avanti ;dall’altro tutti quegli aiuti portati nei paesi in via di sviluppo da molte istituzioni di carattere religioso :scuole,orfanotrofi,ospedali ognuna di loro gestita e finanziata da istituzioni benefiche.

La politica estera delle principali nazioni industrializzate europee si occupava principalmente di accordi commerciali:stringere nuove alleanze e mantenere quelle già esistenti.

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La politica estera era un passaggio forzato, il più delle volte inutile, che tentava di risolvere delle controversie internazionali e, se non si trovava una soluzione pacifica ovvero un accordo fra le parti, si proseguiva al” passaggio successivo” ossia il conflitto bellico.

Nel trattato istitutivo della CEE si dà seguito alla volontà dei Paesi contraenti di essere presenti in ambito internazionale, di avere un proprio peso nel procedimento decisionale degli organismi che all’indomani del secondo conflitto mondiale si erano dati il compito di ricostruire le relazioni internazionali seguendo nuovi principi di uguaglianza e di non sopraffazione,di risoluzione pacifica delle controversie e di riaffermare quei valori democratici che si stavano istaurando di nuovo dopo l’interruzione bellica.

Nel corso del tempo si è assistito ad una evoluzione delle politiche di cooperazione internazionale: all’inizio c’era solo un accordo di associazione con un ambito di applicazione estremamente limitato che si è espanso nelle convenzioni che si sono succedute: Yaoundè 1963, Yaoundè 1969, le quattro Convenzioni di Lomè che coprono l’arco temporale dal 1975 al 2000.

Studiando i contenuti di questi protocolli si nota che ad un numero sempre maggiore di associati corrisponde un più ampio ambito di competenze.

Inizialmente l’oggetto principale dei vari trattati con i paesi in via di sviluppo era la facilitazione degli scambi commerciali e l’industrializzazione resa possibile stanziando

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fondi e fornendo il personale specializzato che gestisse i vari passaggi del processo produttivo.

Oggi vi è nella società una diversa sensibilità nei confronti di molti temi ambientali,sociali e culturali e questi stessi argomenti sono permeati anche nelle sfere di pertinenza dei vari trattati internazionali che si sono succeduti.

Dopo aver trattato l'aspetto storico e le varie Convenzioni, fino all'ultima del 2000 di Cotonou, verranno tracciate le linee guida del documento successivo a Cotonou, mettendo in evidenza i risultati raggiunti e le eventuali modifiche utili per migliorare il processo in corso.

Particolare attenzione è stata rivolta a due argomenti: l'istruzione e la tutela dell'ambiente.

Il primo perchè potenziando la formazione si migliorano le capacità critiche e si creano i presupposti per una società più consapevole ed autonoma.

Gli ultimi decenni ci hanno insegnato, purtroppo a spese di tutti, che il rispetto per il pianeta non deve essere un optional ma un atteggiamento continuo e quotidiano che ispiri e condizioni le scelte di ogni giorno.

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LA NASCITA DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE PORTATA AVANTI DALLA COMUNITA’ CON I PAESI AFRICANI

1. CENNI STORICI SULLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

La cooperazione internazionale inizialmente non aveva gli scopi che siamo abituati ad attribuirgli oggi ; addirittura non aveva nemmeno questo nome, si poneva come diretta conseguenza della necessità di certe nazioni , all’ indomani del secondo conflitto mondiale, di porre rimedio al problema dei possedimenti d’oltremare , di quei territori vale a dire che sebbene non fossero geograficamente compresi entro i loro confini, facevano parte a pieno titolo dello Stato.

Dei sei paesi che originariamente dettero vita alla CEE il Belgio,l’Olanda e soprattutto la Francia mantenevano dei “ possedimenti o territori d’oltremare” che altro non erano che la derivazione diretta delle proprie colonie; questi paesi, appendici dei loro territori, erano tanto importanti da un punto di vista economico e geopolitico, quanto anacronistici da un punto di vista storico e sociale nel contesto della seconda parte del ventesimo secolo.

Non erano nazioni in quanto non erano paesi autonomi, dipendevano quasi del tutto dalla madrepatria per quanto

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riguardava approvvigionamenti, infrastrutture ed amministrazione statale: la madrepatria era quella nazione che, nel corso dei due secoli precedenti , aveva preso possesso di queste terre , urbanizzandole, industrializzandole e facendone dei prolungamenti del proprio territorio.

In molti trattati di diritto internazionale fino alla metà del ‘900 si faceva riferimento a queste nazioni come nazioni metropolitane; con il termine metropolitane con cui oggi si designa la città , la metropoli, intesa nella sua accezione cittadina contrapposta all’ambito provinciale , all’ora si identificava la nazione dominante, che esercitava un controllo su tutte le competenze statali dei territori sottoposti.

La politica di cooperazione affonda le sue radici nella fase di negoziazione del Trattato istitutivo della CEE e quindi precedente al 1957; nasce come completamento degli stessi accordi preliminari ed è una conseguenza diretta della volontà manifestata dagli stessi Stati europei di proseguire le relazioni economiche e commerciali con i Paesi ed i Territori d’oltremare (PTOM).

Buona parte della dottrina indica nell’accordo di associazione istituito fra la CECA ed il Regno Unito,dicembre 1954, il precedente storico che ha dato origine alla disciplina in cui si inserisce ed opera la cooperazione internazionale.

In questo documento il Consiglio d’Europa,facendo propria una raccomandazione votata dall’assemblea consultiva dichiarava che “la politica di integrazione europea ha come

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corollario,nell’interesse della comune prosperità,la cooperazione delle potenze metropolitane, dei paesi d’oltre mare che hanno con esse legami costituzionali e degli altri paesi membri del Consiglio d’Europa”.

Tale politica era dettata dalla necessità di far fronte alle conseguenze della dissoluzione dei vecchi imperi coloniali e di attrarre e conservare nella sfera di influenza dell’Occidente quei paesi che si erano resi indipendenti . I paesi in via di sviluppo potevano esportare verso i Paesi membri della Comunità la maggior parte dei lori prodotti sia finiti che semifiniti,beneficiando dell’esenzione o della riduzione dei dazi doganali.

Queste agevolazioni prendono il nome di “preferenze generalizzate”:preferenze in quanto questi prodotti sono preferiti e quindi avvantaggiati rispetto ai prodotti dei Paesi europei; generalizzate perché comprendono gran parte dei manufatti industriali finiti o semifiniti nonché numerosi prodotti agricoli trasformati.

Le preferenze generalizzate hanno la caratteristica di essere non discriminanti in quanto vengono accordate indistintamente a tutte le nazioni ACP a prescindere dalle forme di governo presenti in questi Paesi.

Lo schema comunitario delle preferenze generalizzate costituisce il punto di incontro della politica commerciale con l’estero con la politica di aiuto allo sviluppo; rientrano in un’ ampia gamma di misure comunitarie di agevolazioni e completano i vantaggi tariffari accordati dalla Comunità ai Paesi dell’Africa, dei Carabi e del Pacifico.

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A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 la Comunità ha accordato il beneficio delle preferenze generalizzate a tutti i paesi appartenenti al “Gruppo dei 77” ovvero a tutti quei Paesi definiti in via di sviluppo secondo i criteri proposti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite ed inoltre a tutti i territori dipendenti da Stati membri come Hong Kong, Macao e l’Oceania australiana.

Le preferenze come abbiamo detto si applicano ai prodotti industriali, tuttavia la loro applicazione non opera in virtù di un automatismo:la sospensione totale o parziale dei dazi avviene entro limiti previsti , aggiornati di anno in anno in modo particolare in relazione alle congiunture economiche internazionali.

Fino al 1980 il sistema delle preferenze generalizzate comprendeva una serie di prodotti industriali che presentavano un indice di “sensibilità” diviso in categorie sulla base dei problemi che la loro importazione poneva al mercato comunitario.

Questo sistema prevedeva che una parte di questi prodotti fosse suddivisa fra i Paesi membri con obbligo perentorio di ristabilire i dazi doganali una volta raggiunta la quota nazionale basata su diversi parametri (popolazione, estensione del territorio…).

Nel 1980 la Comunità ha deciso di apportare sostanziali modifiche che rispondono a tre criteri fondamentali :

-la semplificazione ovvero le categorie dei prodotti cosiddetti “sensibili “ vengono ridotte a due soltanto, prima

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avevamo prodotti industriali ,tessili ed agricoli ora i prodotti tessili vengono compresi in quelli industriali;

-l’individualizzazione prevede che vengano fissati paese per paese le quantità possibili da esportare su circa 130 prodotti;

-la differenziazione precisa che l’applicazione di una politica diversificata fra i Paesi beneficiari sia in relazione al grado di sviluppo raggiunto.

Gli accordi, a partire da quello di Yaoundè del 1963, hanno avuto una portata più vasta rispetto al campo d’azione delle preferenze generalizzate che era essenzialmente commerciale: si consente ai Paesi associati di esportare senza limiti quantitativi e si ampia l’azione di aiuto in molti altri ambiti: dall’istruzione alla profilassi sanitaria, dalla salvaguardia ambientale alla tutela di alcuni diritti politici e sociali ai quali l’opinione pubblica diventava sempre più attenta e sensibile col passare degli anni e che quindi finivano col rientrare anche nei trattati internazionali.

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Con il Trattato di Roma i sei Stati membri assunsero l’impegno di contribuire agli investimenti necessari per il processo di sviluppo dei paesi e territori d’oltremare.

Con questo impegno la Comunità avrebbe provveduto per l’avvenire ad integrare l’assistenza finanziaria e tecnica fornita fino a quel momento dalle singole potenze metropolitane ai rispettivi possedimenti coloniali nell’area in cui ora si trovava ad operare l’associazione.

Era prevista la ripartizione delle risorse suddivise per zone,ognuna delle quali raggruppava i paesi ed i territori che,al momento della firma del Trattato di Roma, avevano rapporti particolari rispettivamente con Francia, Belgio, Paesi Bassi ed Italia.

La Francia era la più interessata in questo settore della cooperazione comunitaria in quanto si assicurava il concorso finanziario degli altri Stati membri per far fronte ai crescenti oneri delle spese e degli investimenti nei territori africani;le fu assegnata in favore dei suoi tredici possedimenti la percentuale dell’87,96% contro lo 0,86 % accordato all’Italia per la Somalia posta sotto la sua amministrazione fiduciaria.

Il primo periodo di funzionamento del Fondo Europeo di Sviluppo (FES) copre l’arco temporale dal 1958 al 1963. Il Fondo è alimentato dai contributi di tutti gli Stati membri del MEC(mercato economico comune) e le risorse in questa prima fase sono modeste rispetto ai compiti attribuiti al Fondo e ai bisogni dei paesi associati; non stupisce quindi che sia stato considerevole il divario tra il numero di progetti

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presentati ed il numero delle proposte conseguentemente approvate.

Vi è poi da considerare che la Commissione impiegava circa due anni dalla presentazione di un progetto alla decisione di finanziamento e quindi alla conseguente aggiudicazione dei lavori e delle forniture.

L’istruttoria della domanda comportava un termine medio di sei,otto mesi, il che era dovuto non soltanto ad un’eccessiva rigidità delle norme procedurali, ma anche all’assenza di piani di sviluppo che avrebbero reso più agevole il valutare la fattibilità dei progetti presentati per stabilire le necessarie scelte di priorità.

Il Fondo Europeo di Sviluppo nel 1962 disponeva soltanto di 111 dipendenti fra funzionari e tecnici di tutte le categorie; basti pensare che la Banca Mondiale, che operava su un giro contabile appena tre volte maggiore a quello del Fondo, aveva però alle proprie dipendenze uno staff otto volte superiore.

Le istituzioni comunitarie dovevano far fronte alle difficoltà che i paesi associati incontravano nel presentare programmi compiutamente elaborati e nell’ accompagnarli con la documentazione prevista.

C’era poi la conseguente necessità , da parte degli organismi tecnici comunitari, di richiedere informazioni e studi supplementari, che richiedevano per la loro acquisizione una proroga ai tempi previsti.

Le amministrazioni dei paesi africani e malgascio erano pienamente consapevoli degli inevitabili problemi inerenti

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ad ogni realizzazione ma i loro quadri erano impreparati a far fronte a compiti di elevato livello tecnico; la ragione era da ricercarsi nel fatto che, fino a quel momento, erano le autorità responsabili dei PTOM a presentare i progetti da finanziare;solo dopo aver acquisito l’indipendenza il potere di iniziativa passò ai rappresentanti degli stati associati, i quali però non erano stati preparati adeguatamente a questo cambio di gestione e non sarebbero stati più solo coinvolti marginalmente nel processo decisionale ma da ora in poi ne facevano parte loro stessi in piena autonomia. Il Trattato prevedeva due categorie di progetti da finanziare: -programmi sociali che comprendevano ospedali, rifornimenti idrici, scuole, istituti di ricerca e di formazione professionale di ogni ordine e grado;

-programmi economici riguardanti l’apparato industriale e delle infrastrutture.

Va precisato che in questo primo periodo, gli interventi sono stati soprattutto diretti verso quest’ultima categoria perché le infrastrutture sono la prima condizione affinché l’economia di un paese arretrato si possa sviluppare in modo organico e si creino le premesse per la produzione primaria e secondaria.

Con la Convenzione di Yaoundè del 1963, viene effettuata un’ampia diversificazione della sfera di intervento del Fondo e la Comunità può considerarsi il primo organismo internazionale che concede sovvenzioni sottoforma di prestiti speciali senza obbligo di restituzione o senza prevedere tassi di interesse.

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In tal modo gli Stati associati vengono posti nella condizione di sostenere la concorrenza degli altri paesi; i paesi ACP sono esportatori principalmente di prodotti agricoli ed una delle direttrici fondamentali del FES in questa seconda fase,successiva a Yaoundè, è stata quella di attribuire importanza al sostegno della politica agricola dei paesi coinvolti, che costituisce la prima tappa dello sviluppo di questi Stati.

La Comunità individuava un primo stadio di sviluppo rappresentato dall’economia di sussistenza; un secondo passaggio consisteva nell’introdurre altre colture più facilmente esportabili aumentando così il reddito nazionale; la terza fase prevedeva di aumentare il flusso di esportazioni per incrementare l’espansione industriale creando i presupposti per un miglioramento economico. Questi programmi seguiti dai paesi industrializzati nei loro piani di cooperazione internazionale non hanno trovato convalida nelle nazioni di recente indipendenza.

La seconda Convenzione di Yaoundè del 1969 ha dato al Fondo degli strumenti nuovi, sia per compensare le flessioni troppo accentuate delle esportazioni, che queste economie ancora troppo fragili non avrebbero sostenuto, sia per promuovere la commercializzazione di un insieme sempre più ampio di prodotti.

Si è dovuto procedere ad una scelta fra impresa commerciale ed azienda contadina; qui il FES si è dedicato a questo secondo tipo di impresa, tenendo conto della natura dei

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prodotti, della loro immediata disponibilità e della facilità delle operazioni di produzione.

Questa scelta presentava inoltre il vantaggio di contribuire alla formazione di una classe contadina responsabile.

Fino dai primi anni dell’associazione, il Parlamento Europeo insisteva perché la Comunità, nonostante il fatto che il Trattato non ne facesse espressamente riferimento, estendesse la sua attività anche al settore della cooperazione tecnica.

Questo genere di intervento riesce a rispondere con maggiore efficacia ad uno degli scopi perseguiti dalla Comunità ovvero di non limitarsi ad un’ opera di finanziamento ma di estendere la propria cooperazione verso una nuova ottica, cercando di fornire risoluzioni pratiche a problemi concreti.

La Commissione ha cercato, spesso andando oltre i vincoli previsti dalle stesse norme della Convenzione, assai rigide in materia di attribuzione delle rispettive competenze, di provvedere ed incrementare il reclutamento del personale necessario per gestire i progetti finanziati.

Sono stati istituiti dei programmi di borse di studio, specializzazione professionale e perfezionamento post-universitario, il tutto esclusivamente indirizzato ai cittadini degli stati africani e dei territori d’oltre mare.

La cooperazione tecnica è ormai riconosciuta come uno strumento essenziale per lo sviluppo delle aree meno progredite economicamente, le quali difettano non solo di

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risorse finanziare ma anche di quadri amministrativi e tecnici.

Il termine cooperazione tecnica è apparso nella prima Convenzione di Yaoundè, ha trovato piena applicazione ampliando sempre più il proprio quadro di competenze nelle successive Convenzioni ed attualmente è uno dei principali settori di intervento del Fondo Europeo di Sviluppo.

L’assistenza tecnica connessa agli investimenti, secondo la Convenzione di Yahoundè, può essere: preparatoria, contemporanea e successiva.

Gli interventi sono di varia natura e sono tesi a seguire in ogni fase il paese associato destinatario del programma di aiuti;dalla preparazione dei fascicoli richiesti per la presentazione della domanda,agli studi speciali tecnici ed economici fino all’esecuzione ed al controllo dei lavori; la Convenzione prevede che il paese associato venga accompagnato in ognuna di queste fasi.

Una parte notevole di queste operazioni rientra nell’assistenza preparatoria, che è venuta acquistando sempre maggior rilievo nell’ambito delle attività del Fondo in quanto si è dimostrata di valido aiuto per snellire ed accelerare la procedura d’istruzione dei progetti abbreviandone i tempi.

Non sempre le amministrazioni degli stati associati sono da sole in grado di far fronte alle problematiche derivanti

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dall’esecuzione dei progetti; in questi casi interviene l’assistenza tecnica cosiddetta contemporanea; la quale si incarica dell’elaborazione dei capitolati di appalto, dei bandi di gara ma può estendere la sua competenza anche alla sorveglianza ed alla direzione dei lavori se le circostanze lo richiedano oppure se il paese associato ne fa richiesta.

Il terzo tipo di assistenza tecnica, quella successiva agli investimenti, riveste carattere eccezionale ed è limitata nel tempo.

La convenzione stabilisce che gli aiuti finanziari della Comunità non possono essere impiegati per coprire le spese correnti di amministrazione, di manutenzione e di funzionamento di un’opera nelle fasi successive al suo collaudo.

Le spese di funzionamento di un qualunque tipo di infrastruttura non possono essere assunte dal Fondo; con la realizzazione del progetto finanziato il Fondo cessa il proprio servizio, avendo raggiunto lo scopo a cui è designato.

A causa del loro numero esiguo i funzionari del Fondo non possono svolgere autonomamente tutti i compiti che rientrano a vario titolo nell’assistenza tecnica; la Commissione pertanto si è dovuta avvalere di esperti di diversa nazionalità reclutati individualmente e dei servizi di società ed organismi di vario genere specializzati in questo genere di attività.

Questa esperienza non ha dato risultati positivi: si è verificata in questo modo l’interferenza di interessi privati.

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Per porre rimedio a questa situazione la Commissione, con la seconda Convenzione di Lomè, nel 1979 ha creato un apposito organismo con il compito di individuare e selezionare, a seconda delle varie necessità, il personale tecnico da assumere,che nello svolgimento delle proprie mansioni dipende direttamente dalla Commissione.

Osservando il bilancio del Fondo si constata che per quanto riguarda le operazioni di assistenza tecnica, i paesi associati meno sviluppati o meno dotati di quadri tecnici ed amministrativi efficienti, tendono a beneficiare di una percentuale più elevata di fondi rispetto a quei paesi in cui si riscontra un livello di reddito maggiore e che presentano un’amministrazione pubblica più strutturata e più solida; questa prassi convalida il fatto che la Commissione tende ad aiutare maggiormente quei paesi che vivono una situazione di disagio più accentuato.

I programmi di cooperazione tecnica si articolano in vari tipi di interventi che hanno tutti la caratteristica comune di apportare personale qualificato all’interno del processo di sviluppo .

E’ parte integrante di questi programmi l’invio dall’Europa di tecnici, esperti e studiosi di varie discipline utilizzati per periodi più o meno lunghi, con lo scopo di affiancare nei gruppi di lavoro i colleghi originari degli stati associati. Un’altra importante forma d’intervento è costituita dall’elaborazione di studi sulle prospettive di diversificazione delle varie economie e sulle prospettive di sviluppo; le iniziative intraprese in tal senso riguardano

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problemi specifici degli investimenti e dei movimenti di capitale, la promozione commerciale dei prodotti di base e le aspettative di industrializzazione dei diciotto paesi africani e malgascio, particolarmente nel settore della produzione di beni di consumo.

Con la seconda Convenzione di Yaoundè, nel 1969, la Commissione ha dotato il FES di fondi per istituire borse di studio per la formazione di personale dirigente; fin dal 1960 la Commissione aveva elaborato un programma di borse di studio il quale però non poteva contare su sovvenzioni adeguate e costanti nel tempo.

Nel periodo dal 1960 al 1963 furono assegnate 70 borse di studio; dal 1964 al 1966 furono 312; dal 1969 al 1972 furono ben 1775; ogni anno si è riscontrato un incremento che trova spiegazione nella ferma volontà delle classi dirigenti dei paesi associati di essere autonomi e di affrancarsi definitivamente dalla supervisione, dal controllo più o meno serrato, in alcuni casi paternalistico, delle nazioni europee. Le borse avevano la durata di un anno accademico e potevano essere rinnovate se il percorso di formazione lo richiedeva: comprendevano le spese di viaggio,il mantenimento all’estero dello studente e le varie tasse scolastiche previste per ogni corso di studio.

Si nota la tendenza ad una equilibrata ripartizione delle borse di studio tra le sei nazioni europee: Francia 36%, Belgio 25% , Germania occidentale 15% , Italia 17% , Paesi Bassi 6%1.

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La ripartizione delle borse di studio fra i principali settori di formazione dimostra che il settore tecnico (ingegneri,periti chimici…) è al primo posto con una percentuale del 43% che tende ancora ad aumentare.

Nonostante il grande sforzo compiuto dalla CEE in questi anni per far comprendere, soprattutto alle fasce più umili della popolazione, un nuovo modo di fare agricoltura non più legato solo alla fatica fisica ma agevolato dal progresso tecnico, nonostante l’importanza di questo settore nelle economie africane, risulta modesta la percentuale di studenti delle discipline agrarie, zootecniche, veterinarie ed affini. Rilevante è il numero di borse di studio assegnato nelle professioni prettamente femminili come la puericultura, l’insegnamento con particolare riferimento a quello in contesto rurale ed i servizi sanitari e sociali; il dato in continua crescita in questo settore, rivela che anche negli stati associati si assiste ad una rapida evoluzione della condizione della donna, agevolata in questo caso anche dalla cooperazione internazionale della CEE.

Altro fondamentale genere di aiuti è quello finalizzato alla produzione ed alla diversificazione, che costituisce una delle più importanti innovazioni del Fondo istituito con la seconda Convenzione di Lomè nel 1979.

I finanziamenti sono destinati a promuovere la commercializzazione dei prodotti degli Stati associati a prezzi di concorrenza nell’area della Comunità, in cambio dell’aumento del livello di produttività, della

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razionalizzazione delle colture, dei metodi di vendita e degli altri opportuni adattamenti.

Entrambi gli aiuti sopra citati costituiscono una sorta di contropartita della CEE per la graduale scomparsa dei sovrapprezzi che la maggior parte dei prodotti originari dei paesi associati ha sempre subìto sui mercati europei.

E’ necessario ricordare che le colture dei prodotti tropicali da esportare sono state per lo più imposte durante l’epoca coloniale esclusivamente in funzione dei bisogni e delle richieste del mercato metropolitano, senza alcun riguardo per le tradizioni e le esigenze delle popolazioni autoctone.

Le nazioni metropolitane non hanno esitato ad introdurre e poi ad estendere questo tipo di agricoltura ricorrendo anche a metodi violenti come le colture forzate, il lavoro servile e l’obbligo di destinare gran parte del raccolto al proprietario del terreno; pratiche ormai abbandonate in Europa, trovavano un utilizzo ancora diffusissimo in Africa durante la prima parte del ventesimo secolo.

Le esportazioni di prodotti tropicali da parte degli stati associati risultavano già notevoli agli inizi del 1900: è il caso dell’arachide del Senegal o dell’olio di palma oggi giorno vituperato ma nel periodo compreso fra le due guerre considerato di grande valore.

Il cacao ed il caffè dalla Costa d’Avorio; il cotone dalla Repubblica Centroafricana; altre colture ed esportazioni sono invece più recenti: le produzioni dell’Alto Volta che attualmente è un’entità statale che non esiste più, si è disciolta in seguito al verificarsi di annessioni ad altri

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territori ed ancora le produzioni di caffè e tè del Gabon, del Togo e del Ciad.

Gli aiuti alla produzione previsti nelle varie convenzioni che si sono susseguite, hanno lo scopo di facilitare i paesi associati nel processo di adeguamento tecnologico, allineandoli alle condizioni del mercato mondiale.

Sono stanziamenti corrisposti a fondo perduto e vengono utilizzati in parte per il sostegno dei prezzi ed in parte per il miglioramento delle strutture; a questo titolo gli aiuti sono utilizzati per l’acquisto di macchinari, costruzione di infrastrutture primarie come strade e linee ferrate che raggiungano anche le zone più disagiate.

Gran parte delle risorse vengono assorbite dalle ricerche agronomiche atte a valorizzare le colture più adatte a quel particolare tipo di terreno o di clima: potenziando le tecniche utilizzate a seguito delle scoperte scientifiche che, proprio negli anni in cui si scrivevano le convenzioni che stiamo trattando, si susseguivano numerose in vari ambiti.

Da rilevare è il particolare procedimento secondo il quale l’ammontare degli aiuti decresce a partire dalla data in cui per ogni prodotto inizia il processo che deve consentire l’allineamento del suo prezzo di vendita alle quotazioni internazionali. Entro il termine di scadenza di ciascuna Convenzione le sovvenzioni verranno totalmente soppresse. Con questo criterio la Commissione vuole avviare le produzioni in questi paesi nell’ottica però che diventino autosufficienti e che siano posti in condizione di poter

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competere “alla pari” con gli altri soggetti economici coinvolti nella commercializzazione di questi prodotti.

Gli stati beneficiari hanno l’obbligo di presentare ogni anno un rapporto sull’impiego delle somme ricevute.

Per quanto concerne gli aiuti alla diversificazione, essi mirano a promuovere la graduale modifica delle strutture economiche degli stati africani e malgascio per eliminare la pratica delle monocoltura nella produzione agricola;normalmente le sovvenzioni vengono rilasciate direttamente ai ministeri o dipartimenti competenti dei vari stati associati o ad imprese locali, il più delle volte nazionalizzate negli stati di recente indipendenza.

E comunque possibile, anche se si sono verificati solo casi sporadici, che la Commissione, con una decisione speciale, abbia concesso fondi anche ad imprese private.

Tra le operazioni di competenza del Fondo vanno incluse quelle dirette ad attenuare le fluttuazioni dei prezzi dei prodotti agricoli, fondamentali nelle economie di questi paesi ma soggetti per la loro stessa natura ad andamenti discontinui della produttività; il Fondo cerca di porre rimedio a questa situazione fissando i prezzi e bloccandone le oscillazioni in programmi pluriennali.

Il Fondo infine è autorizzato ad intervenire nei casi in cui, a seguito di calamità naturali, lo stato colpito da questi eventi necessiti di soccorsi urgenti.

Dopo aver parlato, seppur sinteticamente, dei pregi che caratterizzano il Fondo di Sviluppo Europeo e dei punti di forza che lo distinguono da altri simili organismi

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internazionali rendendolo “sui generis”, è necessario per rispondere a criteri di correttezza e di obbiettività, dare conto anche di un aspetto negativo attinente al funzionamento del Fondo che ha richiamato l’attenzione delle sei nazioni fondatrici della Comunità.

Il problema è quello relativo alla partecipazione delle imprese dei paesi membri alla attuazione dei progetti approvati:l’art. 132 paragrafo 4 del Trattato di Roma stabiliva che per gli investimenti finanziati dal Fondo la partecipazione alle aggiudicazioni ed alle forniture è aperta a parità di condizioni, a tutte le persone fisiche e giuridiche appartenenti alle nazioni del MEC ed ai paesi e territori d’oltre mare.

Le cose però, nella realtà, sono andate assai diversamente poiché le imprese francesi e quelle con sede nei territori amministrati dalla Francia si sono aggiudicate 80% degli appalti, beneficiando così in modo massiccio degli interventi finanziari della Comunità a discapito delle imprese delle altre cinque nazioni europee.

Vari fattori in netto contrasto con il disposto del Trattato e con le stesse decisioni della Commissione, hanno contribuito a privilegiare le imprese francesi.

In primo luogo va ricordato il ruolo dominante della Francia in ogni campo di attività nell’area del franco, dove le imprese della ex metropoli sono installate da molto tempo; c’è poi la dispersione dei finanziamenti, il frazionamento dei lavori, le difficoltà reali o presunte connesse con il trasferimento di valuta.

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Nel settore degli appalti per forniture la Francia distanziava nel decennio compreso fra il 1960 e il 1970 le altre cinque nazioni; mentre più equilibrata appariva la situazione in rapporto ai contratti di assistenza tecnica che comprendeva studi, direzione e sorveglianza dei lavori ed il controllo tecnico.

Nel 1966 nel settore più attraente, quello dei contratti di appalto per l’esecuzione dei lavori, la ripartizione delle aggiudicazioni vede la Francia al primo posto con 50% ;i paesi e territori associati raggruppati per semplicità in un unico assembramento al secondo posto con il 26%, l’Italia col 13%, a seguire la Germania (parte occidentale), i Paesi Bassi, il Belgio e chiude il Lussemburgo con lo 0,25%2.

La Commissione rileva che in tutti quei casi in cui si era avuta la partecipazione di imprese non solo francesi ma anche degli altri stati della Comunità, i prezzi di aggiudicazione erano stati inferiori, con un risparmio in alcuni casi arrivato a sfiorare il 20%.

Numeri e statistiche a parte, nei casi dove si riscontra un’offerta diversificata c’è un prezzo minore, che comporta un risparmio di fondi che restano disponibili per altri aiuti. L’esigenza di una maggior concorrenza e soprattutto le rimostranze dei governi e delle imprese dei paesi interessati ad una più equa ripartizione dei benefici derivanti dalle forniture e dai lavori commissionati dal Fondo, indussero la Commissione della CEE ad attuare una serie di provvedimenti studiati per migliorare questa situazione.

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Il passo decisivo per risolvere questo problema che rappresentava l’ostacolo maggiore al buon funzionamento del Fondo, è il provvedimento inserito nel testo della seconda Convenzione di Lomè, dove si prevede di organizzare a Bruxelles e nelle altre capitali degli stati membri delle commissioni temporanee o permanenti, come nel caso della capitale belga, dove poter riunire i rappresentanti delle imprese dei paesi europei interessati all’esecuzione dei progetti finanziati dal Fondo.

Era fatto obbligo nella composizione di queste commissioni di tenere conto delle varie nazionalità.3

La Commissione infine è chiamata ad esercitare un controllo sui bandi di gara in modo da evitare l’insidia di clausole o condizioni in qualunque modo discriminatorie ai danni di imprese o di paesi;questa previsione era già inserita nel testo della seconda Convenzione di Yaoundè ma nella pratica reale aveva incontrato scarsissimo riscontro fino alla metà degli anni ’70.

Per concludere è opportuno ricordare che il Fondo ha stanziato sovvenzioni a fondo perduto nella maggior parte dei progetti finanziati.

Fino a questo momento il FES era finanziato con dotazioni degli Stati membri, era un ente al di fuori del bilancio: erano gli stessi Stati firmatari delle varie convenzioni che devolvevano ciascuno una determinata somma, calcolata in percentuale secondo vari criteri, ai fini del funzionamento del Fondo.

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Nel ‘73 la Commissione dava parere favorevole all’iscrizione nel bilancio comunitario della voce Fondo Europeo di Sviluppo ed il suo conseguente finanziamento attraverso le risorse proprie della Comunità.

L’apparato della cooperazione internazionale è stato strutturato dalla Comunità come un “edificio istituzionale” complesso, vale a dire che per rispondere a tutti i vari compiti e le mansioni a cui era chiamato era costruito come una specie di sistema di scatole cinese le une contenute nelle altre.

Ho adottato questo paragone solo al fine esemplificativo, per chiarire l’esposizione di una così ampia e variegata materia: all’esterno il primo involucro che troviamo è costituito dalla Politica estera dell’Unione, la quale al suo interno contiene, fra le varie altre cose, la cooperazione internazionale che si esplica concretamente nelle varie convenzioni che la Comunità ha sottoscritto nel corso del tempo.

Le varie convenzioni, a partire dalla più datata, quella del 1963, fino a quelle più recenti firmate nel 2000, prevedevano una sorta di “motore” che faceva muovere tutto l’ingranaggio di questa macchina complessa che aveva degli scopi tanto ambiziosi.

Questo motore, il cuore del sistema degli aiuti ai paesi ACP è il (FES) Fondo Europeo di Sviluppo; ho analizzato le sue mansioni, gli scopi che si era posto inizialmente e che poi sono cambiati nell’evolversi delle situazioni politiche, economiche e culturali dei paesi in cui operava.

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Inizialmente ho tracciato sinteticamente il percorso storico che ha portato i paesi associati all’indipendenza;ora è necessario trattare in maniera più analitica i testi delle convenzioni che si sono susseguite in quasi sessanta anni di cooperazione internazionale fra l’Unione Europea e i paesi ACP.

Le convenzioni, come ogni altro documento, rispondono alle esigenze dei soggetti coinvolti nel redigerne i testi e sono come degli specchi della società.

Sebbene l’oggetto originario delle varie convenzioni, ovvero l’aspetto prettamente commerciale rimanga predominante, si riscontrano dei cambi di impostazione a seconda di una diversa sensibilità che si andava formando all’interno della società europea che condizionava le politiche dei rispettivi governi i quali trasferivano questi nuovi ambiti ed aspetti nei testi giuridici fra i quali anche le convenzioni di cui stiamo parlando.4

Così studiare analiticamente i testi di queste norme ci permette di comprendere quali erano gli scopi iniziali e quali mezzi che le istituzioni comunitarie avevano predisposto per raggiungere questi scopi; l’analisi evidenzierà l’evoluzione che ha portato gli aiuti ai possedimenti e territori d’oltre mare a divenire la cooperazione internazionale in favore dei paesi ACP.

Fino a questo punto ho fatto riferimento agli Stati associati denominandoli Stati africani e malgascio.

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Con l’adesione del Regno Unito alla CEE,nel 1972, la sigla che veniva ad identificare gli Stati associati diveniva paesi ACP, poiché comprendeva tutti gli Stati del Commonwealth situati nei Carabi e nel Pacifico.

Si porrà ora l’attenzione sulle varie Convenzioni che si sono succedute dal 1963 sino ai giorni nostri.

3. LA CONVENZIONE DI ASSOCIAZIONE TRA LA COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA E GLI STATI AFRICANI E MALGASCIO FIRMATA

A YAOUNDE’ IL 20 LUGLIO 1963

La Convenzione si compone di sessantaquattro articoli e di un preambolo nel quale vengono elencati tutti gli Stati firmatari e le rappresentanze delle massime autorità nazionali siano queste Repubbliche o Monarchie.

Sono elencati, per quanto riguarda gli Stati membri, i monarchi del Belgio, del Lussemburgo e dei Paesi Bassi ed i Presidenti della Repubblica Francese, Italiana e della Repubblica Federale di Germania, ognuno dei quali rappresenta nel proprio ordinamento il vertice dello Stato;

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mentre per gli Stati associati sono presenti il Presidente della Repubblica dell’Alto Volta, del Camerun, del Centroafrica, del Ciad, del Congo (francese),del Congo (belga), della Costa d’Avorio, del Dahomey, del Gabon, del Madagascar, del Mali, della Mauritania, del Niger, del Ruanda, del Senegal, della Somalia, del Togo ed il Re del Burundi.

Si manifesta la volontà di cooperare su un piano di completa eguaglianza e di relazioni amichevoli nel rispetto dei principi del Trattato di Roma e della Carta delle Nazioni Unite; le parti contraenti sono decise a sviluppare le relazioni economiche fra gli Stati associati e la Comunità; sono risolute a proseguire in comune gli sforzi volti al progresso economico, sociale e culturale dei loro Paesi e solleciti nell’ agevolare la diversificazione e l’industrializzazione per far sì che agli Stati associati di rafforzino l’equilibrio delle loro economie, consapevoli dell’importanza dello sviluppo della cooperazione, degli scambi interafricani e delle relazioni economiche internazionali.

 Art.1 Ribadisce gli impegni già menzionati nel preambolo sottolineando l’impegno a rafforzare le loro relazioni economiche e di contribuire in tal modo allo sviluppo del commercio internazionale; le parti hanno convenuto di adottare le disposizioni seguenti intese a regolare le reciproche relazioni commerciali.

 Art.2 Prevede l’eliminazione progressiva, per i prodotti originari degli Stati associati, dei dazi

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doganali e delle tasse di effetto equivalente, estendendo anche a questi Paesi la disciplina prevista dagli art. 12,13,14,15 e 17 del Trattato di Roma e tutte le norme attuative già in vigore o che ancora dovranno intervenire; sono previste alcune eccezioni: il caffè verde importato nel Benelux e le banane per la Repubblica federale di Germania, in questi casi sono conclusi particolari protocolli allegati alla presente Convenzione.

 Art.3 Viene previsto lo stesso trattamento per tutti i prodotti originari degli Stati membri che vengono importati negli Stati associati e vengono concessi sei mesi per conformarsi a questa disciplina.Ciascuno Stato associato può mantenere od istituire dazi doganali se rispondono alle necessità del suo sviluppo e ai bisogni della sua industrializzazione o che abbiano lo scopo di alimentare il suo bilancio, purchè non creino una discriminazione diretta o indiretta fra gli Stati membri.

 Art.4 Prevede che qualora uno Stato associato riscuota dei dazi sui prodotti esportati verso la CEE, questi dazi devono essere uguali per tutti gli Stati membri, non devono produrre discriminazioni e non

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possono essere superiori a quelli applicati ai prodotti destinati allo Stato terzo più favorito.

 Art.5 E’ prevista l’eliminazione delle restrizioni quantitative sui prodotti originari degli Stati associati, applicando in materia le disposizioni previste dal Trattato di Roma.5

 Art.6 Vengono concessi quattro anni per abolire le restrizioni quantitative per l’importazione dei prodotti originari degli Stati membri; sono previste delle deroghe per i Paesi associati che abbiano difficoltà nella loro bilancia dei pagamenti o per esigenze dettate dal loro sviluppo o dalla loro industrializzazione; per quanto riguarda quei paesi che dopo l’indipendenza si sono dati un’ impostazione socialista e che quindi le importazioni sono di competenza di un monopolio nazionale o di un organismo mediante il quale le importazioni sono limitate, controllate, dirette o influenzate questi stati si impegnano a dare disposizioni per conseguire gli obbiettivi definiti nella presente Convenzione e per eliminare qualsiasi discriminazione per quanto riguarda le condizioni dell’approvvigionamento e del commercio dei prodotti di origine degli Stati membri.

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 Art.7 Fatte salve le disposizioni riguardanti il commercio frontaliero il regime che gli Stati associati applicano ai prodotti originari degli Stati membri non può in nessun caso essere meno favorevole di quello applicato nei confronti dei prodotti originari dello Stato terzo più favorito.

 Art.8 La Convenzione non ostacola la creazione di unioni doganali o il mantenimento di zone di libero scambio già esistenti fra gli Stati associati.

 Art.10 Agli Stati associati viene lasciato un ampio margine di discrezionalità dalle disposizioni degli articoli 3, 4 e 6; tuttavia la Convenzione non impedisce le restrizioni all’importazione, all’esportazione ed al transito se sono giustificate da motivi di ordine pubblico, di sicurezza, di tutela della salute.

 Art.11 La Comunità consapevole che la politica agricola comune rivesta un ruolo fondamentale, soprattutto in questo primo periodo di associazione fra gli Stati membri, prende in considerazione gli interessi

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degli Stati associati per quanto concerne i prodotti omologhi e concorrenti dei prodotti europei. Le disposizioni applicabili all’importazione su suolo comunitario di questi prodotti sono adottate solo dopo consultazione svolta fra il Consiglio di Associazione e la Comunità a mano a mano che quest’ultima definisce la propria politica agricola comune.6

 Art.12 Prevede l’informazione e la cooperazione fra le parti contraenti in materia di dazi doganali, concessione di contingenti tariffari, restrizioni quantitative ed obblighi derivanti, per alcune parti contraenti, da precedenti accordi internazionali e regionali.

 Art.13 Occupa completamente il capitolo quattro da cui prende il nome, prevede la clausola di salvaguardia, che consente le deroghe alle restrizioni previste all’art.3 paragrafo 2 e all’art. 6 paragrafo 1, 2, e 4 per quegli Stati associati che vedano compromessa la propria stabilità finanziaria a seguito di gravi perturbazioni in un settore dell’attività economica. Nell’applicazione di queste misure straordinarie si devono preferire quelle che turbino il meno possibile il funzionamento della Associazione.

6Giuseppe Pennisi,Dal piano di Strasburgo alla Convenzione di Yaoundè,in Rivista di

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 Art.15 Nelle quattro righe che lo compongono è racchiusa la motivazione, la ragione d’essere dell’intera struttura della Convenzione, è situato al quindicesimo posto ma avrebbe dovuto occupare la prima posizione per la sua importanza: “la Comunità partecipa alle misure atte a promuovere lo sviluppo economico e sociale degli Stati associati mediante uno sforzo complementare a quello compiuto da tali Stati”.

 Art.16 Si menzionano le sovvenzioni stanziate dal Fondo Europeo di Sviluppo: fra la somma elargita e quella che si prevede di recuperare c’è una differenza di oltre sessantaquattro milioni che corrisponde al tasso di interesse che gli Stati membri intendono abbonare.

 Art.17 Vengono presentati tutte le varie tipologie di interventi previste dalla Convenzione ed i vari settori coinvolti; al comma 1 punto 4 si menziona l’assistenza tecnica che può precedere, accompagnare o seguire gli investimenti.

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 Art.23 Prevede la possibilità di finanziare alcuni progetti con Stati terzi o organizzazioni internazionali.

 Art.24 E’ fatto divieto agli Stati associati di utilizzare i fondi per spese correnti o di amministrazione, di manutenzione o di funzionamento delle opere finanziate.

 Art.27 Si attribuisce al Consiglio di Associazione il potere di orientare la cooperazione finanziaria e tecnica, coadiuvato in questo dalla Commissione della Comunità che annualmente gli presenta una relazione riguardante gli aiuti finanziari e tecnici.

 Art.29 Fissa in favore dei cittadini e delle società di tutti gli Stati membri il diritto di stabilimento in ogni Stato associato; determina inoltre il principio di reciprocità secondo il quale uno Stato associato concede i vantaggi sanciti nel primo comma nella stessa misura in cui vengono riconosciuti ai suoi cittadini ed alle sue attività sul territorio comunitario.

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 Art.30 Estensione, sul territorio di uno Stato associato, del trattamento più favorevole previsto per uno Stato terzo, ai cittadini ed alle attività di tutti gli Stati membri.

 Art.31 Elenca i benefici scaturiti dal diritto di stabilimento sul territorio di uno Stato associato; mensiona poi tutte le tipologie di attività consentite, ad accezione di quelle salariate dove con il termine salariate si intende tutte quelle mansioni che a vario titolo sono inquadrate nella struttura amministrativa e governativa dello Stato associato (dipendenti pubblici).

 Art.32 Definizione dei servizi che comprendono in particolare le attività a carattere industriale, commerciale, artigianale e libere professioni con esclusione delle attività salariate.

 Art.33 Definizione di società che rientrano nel diritto civile o commerciale comprese anche le società cooperative, le persone giuridiche contemplate nel diritto pubblico e privato ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro che oggi vengono denominate ONLUS e che sono un attore

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importante nella cooperazione internazionale ma che nel 1963 non avevano ancora acquistato questo ruolo determinante.

 Art.35 Gli Stati firmatari della Convenzione, ognuno in relazione al proprio territorio, si fanno garanti per i pagamenti relativi agli scambi delle merci, dei servizi e dei capitali e di tutte quelle attività comprese nei programmi di cooperazione.

 Art. 37 Gli Stati associati si impegnano a non introdurre nuove norme in materia di investimenti stranieri e ad offrire lo stesso trattamento a tutti gli Stati membri.

 Art. 39 L’Associazione è costituita da: Consiglio di Associazione coadiuvato dal Comitato di Associazione, la Conferenza parlamentare dell’Associazione e la Corte arbitrale dell’Associazione.

 Art.40 Il Consiglio di Associazione è formato dai membri del Consiglio della Comunità Economica Europea, dai membri della Commissione della

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Comunità Economica Europea e da un membro del Governo di ciascun Stato associato.7

 Art.41 La presidenza del Consiglio è esercitata a turno da un membro del Consiglio della CEE e da un membro del Governo di uno Stato associato.

 Art.43 Modalità di formazione delle pronunce del Consiglio: la Comunità e gli Stati associati determinano le loro decisioni con un protocollo interno.

 Art. 44 Il Consiglio dispone di potere decisionale e le scelte intraprese sono vincolanti per le parti firmatarie della Convenzione che hanno l’obbligo di adottare le misure necessarie per la loro esecuzione; il Consiglio può formulare risoluzioni, raccomandazioni e pareri che ritenga opportuni in relazione agli obbiettivi comuni per il buon funzionamento dell’Associazione; il Consiglio esamina periodicamente i risultati raggiunti dall’Associazione. In particolari circostanze il Consiglio può delegare al

7Romain Rainero,Il vertice panafricano di Addis Abeba,in Relazioni

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Comitato di Associazione l’esercizio di alcuni poteri che gli competono.

 Art.45 Il Consiglio è assistito nelle proprie mansioni da un Comitato di Associazione composto da un rappresentante di ogni Stato membro, da un membro della Commissione Europea e da un rappresentante di ogni Stato associato; la carica di presidente del Comitato è ricoperta dallo Stato che ha la presidenza del Consiglio di Associazione; il Comitato riferisce al Consiglio sulle attività svolte.

 Art.50 La Conferenza parlamentare dell’Associazione si riunisce una volta l’anno ed è composta in ugual misura da membri del parlamento Europeo e da membri dei Parlamenti degli Stati associati; può votare risoluzioni sulle materie concernenti l’Associazione e presenta annualmente al Consiglio una relazione sullo stato delle attività svolte.

 Art.51 Nel caso che insorgano delle controversie sull’interpretazione o l’applicazione della Convenzione fra Stati membri o fra Stati associati oppure fra uno Stato membro ed uno Stato associato,

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la questione è presentata nella prima sessione del Consiglio; qualora non si riesca a dirimere la vertenza, la soluzione è affidata alla Corte arbitrale, la quale è composta da cinque membri: un presidente nominato dal Consiglio di Associazione e quattro giudici scelti fra personalità che offrano garanzia di competenza e di imparzialità. Due sono presentati dal Consiglio della CEE e due sono proposti dagli Stati associati; i giudici sono designati entro tre mesi dall’entrata in vigore della Convenzione e rimangono in carica per la durata della stessa.

 Art.54 Le convenzioni, gli accordi e le intese di qualsiasi natura già in essere o futuri fra Stati membri o fra Stati associati non devono pregiudicare l’applicazione delle disposizioni della presente Convenzione.

 Art.56 Il Consiglio della CEE dichiara conclusi i lavori della Convenzione con una decisione e la notifica agli Stati membri i quali provvedono a ratificarla secondo le rispettive procedure costituzionali.

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 Art.57 Agli Stati associati viene concesso un ampio margine di libertà nel fissare i termini entro i quali devono ratificare la Convenzione e sono previste varie scadenze dilazionate nel tempo per permettere a tutti gli Stati associati di potersi adeguare alle richieste previste; è contemplata la possibilità, per i rappresentanti di quegli Stati che ancora non abbiano ratificato la Convenzione, di poter partecipare alle sedute in qualità di osservatori.

 Art.58 Il Consiglio di associazione viene informato di ogni nuova domanda di adesione alla CEE avanzata da parte di uno Stato che presenta una struttura economica ed una produzione paragonabili a quelle degli Stati associati; l’accordo di adesione di uno Stato alla CEE prevede l’accettazione di quest’ultimo alla presente Convenzione ed il conseguente rispetto dei diritti e degli obblighi previsti ed, in tal caso, è possibile prorogare la data in cui alcune di queste norme diventino applicabili.

 Art.59 La Convenzione ha una durata di cinque anni a decorrere dal momento in cui entra in vigore che coincide con il primo giorno del mese successivo alla data in cui sono stati depositati gli strumenti di

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ratifica degli Stati membri e di almeno quindici degli Stati associati.

 Art.60 Un anno prima della scadenza della Convenzione, alla luce dei risultati raggiunti, gli organi dell’Associazione esaminano le disposizioni che potrebbero essere inserite in un nuovo analogo documento; il Consiglio di associazione dispone le misure transitorie necessarie fino all’entrata in vigore della nuova Convenzione.

4.LA SECONDA CONVENZIONE DI ASSOCIAZIONE FRA LA COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA E GLI STATI AFRICANI E MALGASCIO

FIRMATA A YAOUNDE’ IL 29 LUGLIO 1969

A cinque anni di distanza viene firmata una nuova Convenzione: le parti contraenti, giudicando positivamente il lavoro svolto, riprendono in parte il testo del documento precedente estendendolo e perfezionandolo in alcuni passaggi e apportando dei miglioramenti sulla base dell’esperienza a seguito della prima Convenzione.

Anche in questa seconda Convenzione ritroviamo il preambolo dove vengono elencate le parti contraenti

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rimaste invariate sia per quanto riguarda gli Stati membri sia per quanto concerne gli Stati associati.

Sono menzionati gli stessi intenti che hanno animato l’attività svolta in questi cinque anni (1963-1969).

Il documento stavolta si esplica in sessantasei articoli molti dei quali riprendono non solo nel contenuto ma anche nella struttura testuale la stessa identica forma delle norme precedenti cambiando solamente il numero di riferimento: osserviamo così ad esempio che la normativa prevista dall’ art.13 della prima Convenzione è la stessa di quella dettata dall’art.16 della seconda Convenzione e di questi casi se ne riscontrano moltissimi.

Una fra le principali modifiche riguarda la nozione di “prodotto originario”, questa espressione veniva utilizzata frequentemente nel testo delle disposizioni contenute nella prima Convenzione di Yaoundè.

Il concetto di prodotto originario sollevò fin da subito, in ambito accademico, discordanti interpretazioni:non tanto se riferito ad un prodotto originario dei Paesi membri quanto piuttosto se proveniente da uno Stato associato. La questione verteva intorno al fatto se alcune fasi del processo industriale di un prodotto semilavorato avvenivano sul territorio di uno Stato terzo, oppure se il prodotto era lavorato in parte in uno Stato associato ed in parte sul territorio di uno Stato membro o ancora se due Stati associati si dividevano le fasi di lavorazione di un prodotto esportato nella CEE.

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A questo problema si è cercato di porre rimedio prevedendo per questo termine più significati, ciascuno riferito ad una particolare tipologia di prodotto originario: la sua provenienza, il mercato a cui era destinato.

Si è inoltre data delega alle normative nazionali di regolare in maniera più dettagliata questa materia.

Questa impostazione si riscontra nelle disposizioni previste dall’art.10 della seconda Convenzione di Yaoundè, dove si stabilisce che il Consiglio di Associazione può decidere le necessarie modifiche da apportare ai testi già in vigore e che qualora per un prodotto determinato non sia stata ancora definita la nozione di prodotto originario, ciascuna parte continua ad applicare la propria regolamentazione.

Alcune norme regolano i rapporti di uno Stato associato con un paese terzo, come nel caso dell’art.14.

In conclusione ciò che appare evidente, anche solo ad una semplice lettura del testo della Convenzione del 1969, è il contenuto delle norme che rimane pressoché invariato; le disposizioni della Convenzione del 1963 e quelle del 1969 sono le stesse: per quanto riguarda il diritto di stabilimento, la cooperazione finanziaria e tecnica, la clausola di salvaguardia, le regole relative alla politica commerciale e le istituzioni dell’Associazione.

Si presenta invece più articolato il testo delle disposizioni poiché include il maggior numero di casistica possibile per rispondere alle molteplici esigenze sorte nel quinquennio di attività della cooperazione.

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CAPITOLO SECONDO

LE CONVENZIONI DI LOME’

1.LA CONVENZIONE DI LOME’ ACP-CEE DEL 28 FEBBRAIO 1975

Sono trascorsi dodici anni dalla data in cui fu firmata la prima Convenzione di Yaoundè e sotto molti aspetti i

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risultati raggiunti dalla cooperazione internazionale della CEE sono migliori delle aspettative.

Inizialmente si era partiti da una collaborazione esclusivamente commerciale fra sei nazioni industrializzate dell’Europa ed un cospicuo gruppo di paesi africani, geograficamente distanti e sprovvisti delle più elementari infrastrutture; questi non erano di certo i presupposti su cui fondare un’associazione stabile e duratura, tuttavia la Comunità Economica Europea ha saputo dar vita ad un efficiente partenariato.8

Il sistema delle Convenzioni che si sono susseguite ha saputo adattarsi ai cambiamenti politici e sociali che hanno coinvolto sia i paesi membri della CEE che gli Stati associati.

Uno dei cambiamenti che la Convenzione ha recepito al suo interno è stata l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea, avvenuta nel 1972.

Questa data rappresenta uno spartiacque poiché l’entrata del Regno Unito nella famiglia europea ha implicato tutta una serie di conseguenze ed un cambio di prospettive;l’ampliamento oltremanica della Comunità aveva incontrato già in passato una ferma opposizione da parte della Francia che non voleva spartire il ruolo di guida nei rapporti dei paesi europei con l’Africa.

Questa posizione predominante,quasi egemonica nei confronti degli altri cinque Stati membri era l’eredità storica del periodo coloniale, una superiorità che si faceva sentire

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per il numero di Stati associati che erano legati alla Francia da vincoli di varia natura; inoltre il franco francese era stato scelto quale valuta comune nella quasi totalità degli Stati associati.

Tutti questi aspetti formano una specie di antefatto che ha avuto una sua valenza nel contesto storico nel quale si è formata la Convenzione.

Fino dalla prima metà degli anni ’60 si era paventata la possibilità che il Regno Unito entrasse a far parte della CEE e di conseguenza anche il Commonwealth sarebbe stato coinvolto in tutti gli accordi ed i trattati stipulati dalla Comunità.

Già nella parte iniziale la prima Convenzione di Lomè presenta delle differenze rispetto ai documenti che l’hanno preceduta.

Nel preambolo la lista delle parti contraenti appare più estesa per quanto riguarda gli Stati membri a cui si sono aggiunti,oltre al già citato Regno Unito,

la Danimarca e l’Irlanda.

Anche il numero dei Paesi associati è notevolmente cresciuto poiché comprende tutte le nazioni facenti parte del Commonwealth: Bahamas, Barbados,Botswana, Figi, Gambia, Grenada, Guinea Equatoriale, Giamaica,Kenia, Lesotho, Liberia, Malawi,Mauritius, Nigeria, Sierra Leone, Sudan, Swaziland, Tanzania, Tonga, Trinidad e Tobago, Uganda, Samoa Occidentali, Zaire, Zambia.

Il Burundi già facente parte degli Stati associati ha cambiato l’ordinamento dello Stato divenendo una

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Repubblica: di conseguenza il proprio rappresentante durante i lavori preparatori della Convenzione era il Presidente della Repubblica e non più il Re.

La Guinea Bissau, insieme con l’Angola ed il Mozambico, era sotto l’amministrazione portoghese ma avanzò un’autonoma richiesta al Consiglio di Associazione per poter partecipare anche solo come osservatore alle attività dell’Associazione.

Questo incremento porta il numero degli Stati associati a quarantasei;l’aspetto che assume particolare rilievo è che ci stiamo riferendo a paesi che coprono un’area geografica vastissima, dislocati ai quattro angoli del pianeta.

Un così folto assembramento, presentava al suo interno esigenze eterogenee per rispondere alle quali fu ampliato il testo della Convenzione e si giunse così ad annoverare novantaquattro articoli.9

I paesi di nuova adesione all’Associazione si fecero portavoce di necessità che corrispondevano a situazioni giuridiche o a circostanze contingenti che prima la normativa non contemplava.

Uno fra i nuovi aspetti che si riscontrano nel testo e nel contenuto della Convenzione di Lomè del ’75 è quello riferito alla denominazione degli Stati associati che diventano paesi ACP (Africa ,Carabi e Pacifico), sigla apparsa qui per la prima volta ed utilizzata poi in tutte le convenzioni successive.

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E’ opportuno ricordare nell’ambito della prima Convenzione di Lomè le due importanti risoluzioni del Consiglio di Associazione, approvate durante le riunioni di Suva (isole Figi) nel 1977 e quella di Nairobi dell’anno successivo, riguardanti entrambe le procedure di attuazione della cooperazione finanziaria e tecnica. Le disposizioni regolavano la partecipazione degli Stati ACP alla determinazione ed all’attuazione dei vari aiuti nonché alla realizzazione dei contratti.

Venivano previsti interventi specifici a favore dei paesi meno sviluppati e veniva condotta una minuziosa revisione delle azioni intraprese fino a quel momento. Si assiste durante questi incontri ad una presa di coscienza da parte degli Stati membri della necessità di dover diversificare le modalità di intervento, non potendo adoperare dei protocolli uniformi per tutti i paesi ACP che presentavano fra loro notevoli differenze.

Vengono così concepite le microrealizzazioni che possono essere definite le antesignane del microcredito diffuso oggi in tutte le aree disagiate del mondo.

2.LA SECONDA E TERZA CONVENZIONE DI LOME’ DEL 1979 E DEL 1984

Nella stesura del presente lavoro le Convenzioni di Lomè del 1979 e del 1984 possono essere trattate congiuntamente, non per volerne sminuire la portata che anzi, come si vedrà in seguito, fu tutt’altro che modesta, quanto perché sono una diretta conseguenza della prima

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