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«LES CRIMES DE L’AMOUR» DEL MARCHESE DE SADE: L’IMPLOSIONE DEL SENTIMENTALISMO

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«LES CRIMES DE L’AMOUR» DEL MARCHESE DE SADE: L’IMPLOSIONE DEL SENTIMENTALISMO

Abstract

The aim of the article is to show that Les Crimes de l’amour, a collection of short stories published by Sade in 1800 in his own name, represent an important part of his philosophical reflection on emotion. Sade’s work focuses on a lucid reconstruction of the theory of emotion to the base of sentimentalist philosophy; this reconstruction, however, aims at a refutation of sentimentalism itself. This process of textual and conceptual “perversion” ends by the “implosion” of sentimentalist ethics through his own expressive instruments (the edifying narrative) and his own theoretical assumptions (the pathetic and the doctrine of sympathy).

Keywords:

Sade – Emotion – Sentimentalism – Rousseau – Pathetic – Sympathy

La riflessione filosofica del Marchese de Sade rappresenta una delle più significative ed estreme esaltazioni del ruolo morale delle emozioni negli anni del tournant des Lumières. La comprensione della dimensione passionale, agli occhi di Sade, non è solo l’oggetto di studio privilegiato della filosofia, ma s’identifica con la riflessione filosofica stessa, come ricorda l’ammonimento secondo cui «on déclame contre les passions, sans songer que c’est à leur flambeau que la philosophie allume le sien»1.

Per mettere in luce il lucido processo di metamorfosi concettuale a cui Sade sottopone l’idea settecentesca di emozione – in particolar modo quella elaborata dalla tradizione del sentimentalismo – ci si propone qui di analizzare in chiave filosofica una sua opera trascurata, ossia Les Crimes de

l’amour. Si tratta di una raccolta di undici nouvelles héroïques et tragiques, come recita il

sottotitolo, precedute da un saggio di critica letteraria intitolato Idée sur les romans. Composti tra il 1787 e il 1788, durante l’imprigionamento alla Bastiglia, Les Crimes de l’amour sono pubblicati nell’anno VIII del calendario rivoluzionario (1800) presso Massé, senza riscuotere tuttavia particolare successo né da parte del pubblico, né da parte della critica. L’eccezionalità dello scritto, che fu l’ultima impresa editoriale del “divin Marchese” (arrestato e incarcerato in via definitiva da lì a poco, il 6 marzo del 1801), risiede nel fatto di essere stati pubblicati da Sade con il proprio nome.

Les Crimes de l’amour rappresentano così, assieme ad Aline et Valcour2, un lungo romanzo epistolare dato alle stampe nel 1795, l’unica opera “onesta” all’interno di una produzione interamente clandestina.

Pur essendo incentrata sul tema erotico, come si può intuire già dal titolo, la raccolta di novelle non è sessualmente esplicita: per questa ragione essa è stata considerata a lungo troppo poco sadiana ed esclusa dalla Sade-Renaissance che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento. La 1 D.A.F. DE SADE, Histoire de Juliette, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, a cura di G. LELY, 16 voll., Paris, Cercle du livre précieux 1966-1967, vol. VIII, p. 94.

2 Per una lettura filosofica di Aline et Valcour cfr. M. DELON e C. SETH (a cura di), Sade en toutes lettres:

autour d’«Aline et Valcour», Paris, Desjonquères 2004 e J. FOWLER, «When Opposites Attract: Moral Polarity in

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sfortuna storiografica si è protratta sino ai nostri giorni, in controtendenza al fiorire sempre più rigoglioso degli studi accademici consacrati al Marchese3. A testimonianza di ciò, si può rilevare che Les Crimes de l’amour non hanno trovato spazio nella raccolta di Œuvres pubblicata nella celebre collana della Bibliothèque de la Pléiade, che ha consacrato definitivamente Sade tra i classici della cultura francese4.

Lungi dal poter essere liquidati, come troppo spesso è stato fatto, come un semplice scritto di circostanza, come un tentativo di uniformarsi alla moda corrente per ottenere il tanto agognato successo, Les Crimes de l’amour rappresentano l’espressione più matura della battaglia filosofico-letteraria che Sade intraprende contro il sentimentalismo in generale, e contro qualsiasi morale della reciprocità nello specifico. L’obiettivo del presente saggio è mostrare come i racconti di Sade siano incentrati su una lucida ricostruzione della teoria dell’emozione alla base della filosofia sentimentalista, finalizzata però a una confutazione del sentimentalismo stesso. Questo processo di “perversione” testuale e concettuale finisce con il fare “implodere” la morale sentimentalista servendosi dei suoi stessi strumenti espressivi (il racconto edificante) e dei suoi stessi presupposti teorici (il patetico e la dottrina della simpatia).

1. Sade sentimentalista?

A una lettura superficiale, Les Crimes de l’amour parrebbero inserirsi appieno nel filone della letteratura edificante sviluppatasi in Inghilterra con Richardson e diventata di gran moda in Francia con Prévost e Baculard d’Arnaud prima e con Rousseau poi. Gli undici racconti, pur nella loro eterogeneità (si spazia dalla novella storica alla novella orientale, dal racconto amoroso al

conte moral, sino a giungere alla gothic novel5), sono accomunati da una cifra stilistica e contenutistica molto netta. Per quel che concerne il primo aspetto, si assiste all’abbandono del periodare anarchico e ridondante di descrizioni, tipico degli scritti clandestini, in favore della scarna essenzialità della prosa dei grandi philosophes, Voltaire in primis: tutte le oscenità e le descrizioni erotiche esplicite sono messe al bando, rimpiazzate dal non detto e dall’allusione, tecniche narrative caratteristiche del romanzo sentimentale. A questa coerenza formale, che conferma il grande talento narrativo di Sade, efficacemente definito écrivain polymorphe6, fa da contrappunto una costante contenutistica altrettanto granitica, che risiede nella descrizione della virtù innocente perseguitata suo malgrado dal vizio.

Nella novella storica Juliette et Raunai, che apre la raccolta, i due giovani e virtuosi protagonisti, perdutamente innamorati, sono ostacolati dal Duc de Guise, che s’invaghisce follemente della fanciulla; il tutto sullo sfondo della congiura d’Amboise, simbolo dei mali 3 Sulla letteratura più recente, ci si limita a rinviare a J. PHILLIPS, «Sade. État présent», in French Studies, 68, n. 4 (2014), pp. 526-533. L’unica monografia consacrata – in una prospettiva strettamente letteraria – ai Crimes de

l’amour è, a nostra conoscenza, P. SEMINET, Sade in His Own Name. An Analysis of «Les Crimes de l’amour», New York, Peter Lang 2003.

4 Cfr. D.A.F. DE SADE, Œuvres, a cura di M. DELON e J. DEPRUN, 3 voll., Paris, Gallimard 1990-1995.

5 Cfr. L. BERMAN, «The Marquis de Sade and Courtly Love», in Eighteenth-Century Fiction, 11, n. 3 (1999), pp. 285-300; S. WERNER, «Diderot, Sade and the Gothic Novel», in Studies on Voltaire and the Eighteenth-Century,

114 (1973), pp. 273-290.

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derivanti dall’intolleranza religiosa. La Double épreuve, racconto morale alla Marmontel in cui si intrecciano temi tipici del roman courtois e del racconto di fate, mette in scena una serie di fantasiose tentazioni a cui il Duc de Ceilcour, convinto che le donne fingano di amarlo solo per il suo denaro, sottopone la frivola contessa Nelmours e la virtuosa baronessa Dolsé. Quest’ultima non regge la durezza delle prove imposte, e muore proprio quando Ceilcour si rende conto dell’autenticità dei suoi sentimenti e di esserne a sua volta innamorato. Miss Henriette Stralson ricorda più da vicino i romanzi anonimi di Sade, in quanto la fanciulla protagonista della vicenda – canonica trasposizione della femme sensible – è perseguitata dal ricco e potente Lord Granwel, che la rapisce per ben tre volte nel tentativo di far capitolare la sua virtù. Per conservare l’innocenza la fanciulla uccide lo spregevole libertino, suicidandosi subito dopo. Un destino non dissimile attende, pur nell’illuminata e tollerante Svezia, la giovane Ernestine. Rapita e violata dal crudele Oxtiern, la fanciulla muore nel tentativo di compiere giustizia, uccisa in un duello (organizzato con l’inganno dall’astuto libertino) dal suo stesso padre, che non sopravvive al dolore. La relazione che s’instaura tra vittima e libertino è al centro anche del racconto Faxelange: la giovane e bella eroina finisce infatti con l’innamorarsi del disonesto Franlo – che si fa sposare con l’inganno, fingendosi un ricco possidente – morendo infelice dopo che quest’ultimo è condannato a morte per il suoi crimini. Il protagonista di Dorgeville ou Le Criminel par vertu sposa inconsapevolmente la propria sorella, che per di più è un’efferata assassina e una infanticida. La signora di Farneille, madre di Eugénie de Franval nell’omonimo racconto, è ingiustamente odiata dalla figlia, che arriva addirittura ad avvelenarla per compiacere il padre libertino che l’ha corrotta sin dall’infanzia e nei confronti del quale nutre un amore incestuoso. Il rapporto tra genitori e figli è allo stesso modo la molla narrativa di Laurence et Antonio (la seconda novella storica della raccolta, ambientata nella Firenze cinquecentesca) e della Comtesse de Sancerre. I due racconti sono speculari: nel primo caso è il padre vizioso a contendere la donna amata al figlio, mentre nel secondo caso è la dissoluta contessa a diventare la rivale della sua stessa figlia, sino a farla crudelmente uccidere dall’uomo amato attraverso una serie di raffinati inganni e scambi di persona. Persino in Rodrigue, ou la Tour

enchantée, una novella barocca e visionaria che contiene una chiara allegoria politica, è descritta la

drammatica fine di Florinde, un’innocente sedicenne stuprata dal malvagio re di Spagna, il cui fantasma perseguita e uccide Rodrigue nel prosieguo della vicenda. Il meccanismo della virtù perseguitata si ripropone così in tutti i racconti, sino a trovare la sua esemplificazione più estrema (e per certi aspetti paradossale) nella raffinata macchina narrativa di Florville et Courval, ou le

Fatalisme, unanimemente riconosciuta la novella della raccolta più riuscita da un punto di vista

strettamente letterario7. Qui l’eroina – la cui incrollabile fiducia nella virtù ricorda quella di Justine – apprende con raccapriccio, nel giro di pochi minuti, di essere inconsapevolmente l’amante di suo fratello, la moglie di suo padre, l’assassina di suo figlio e colei che ha fatto condannare a morte sua madre.

7 Anche in questo caso lo sviluppo di tematiche filosofiche, legate in particolar modo alla ripresa della filosofia epicurea, è evidente. Cfr. A. ARLETTE, «Recherches sur l’épicurisme de Sade: Florville et Courval», in Studies on

Voltaire and the Eighteenth-Century, 151 (1976), pp. 119-129. Sulla peculiarità dell’epicureismo di Sade, si rimanda a

M.-F. SILVER, «Un exemple des métamorphoses de l’épicurisme au dix-huitième siècle: l’idée de nature dans les romans du marquis de Sade», in Studies on Voltaire and the Eighteenth-Century, 90 (1972), pp. 523-525 e C. WARMAN,

«Modèles violents et sensations fortes dans la genèse de l’œuvre de Sade», in Dix-huitième Siècle, 35 (2003), pp. 231-239.

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La riproposizione, quasi ossessiva, di questo schema narrativo ha tuttavia un preciso intento teorico, che viene messo in rilievo dallo stesso Sade nell’Idée sur les romans che precede la raccolta di novelle e fornisce al lettore la chiave euristica per la loro comprensione filosofica8. Questo saggio di critica letteraria ribadisce infatti la natura intrinsecamente filosofica e morale della narrazione romanzesca, che riguarda la dimensione normativa di ciò che dev’essere e non quella descrittiva: «L’ouvrage [du romancier] doit nous faire voir l’homme, non pas seulement ce qu’il est, ou ce qu’il se montre, c’est le devoir de l’historien, mais tel qu’il peut être, tel que doivent le rendre les modifications du vice, et toutes les secousses des passions»9.

Riflessione filosofica e narrazione romanzesca condividono così non solo l’oggetto di studio (la natura umana), ma anche il metodo d’indagine, che consiste nell’analisi sistematica della dimensione passionale, vero tratto distintivo dell’essere umano rispetto agli altri animali. Su questo aspetto Sade si rivela discepolo di Rousseau e Diderot: il discorso filosofico sull’emozione non può svilupparsi astrattamente a livello teorico, ma solo in una dimensione pratica, ossia attraverso la messa in scena delle relazioni affettive interpersonali tra gli individui, da cui né i personaggi né i lettori possono uscire indenni.

Questa fiducia nell’effet sensible della creazione letteraria rappresenta uno dei capisaldi dell’estetica e dell’etica della tradizione sentimentalista, a cui Sade afferma di ispirarsi apertamente, adducendo l’esempio di due tra i massimi teorici dell’effetto edificante della letteratura romanzesca: Richardson e Diderot. Costoro si sono serviti con somma maestria di quello stesso meccanismo della virtù perseguitata che è all’opera in maniera manifesta nei Crimes de l’amour:

Ce n’est pas toujours en faisant triompher la vertu qu’on intéresse; […] car lorsque la vertu triomphe, les choses étant ce qu’elles doivent être, nos larmes sont taries avant que de couler; mais si, après les plus rudes épreuves, nous voyons enfin la vertu terrassée par le vice, indispensablement nos âmes se déchirent, et l’ouvrage nous ayant excessivement émus, ayant, comme disait Diderot, ensanglanté nos cœurs au revers, doit indubitablement produire l’intérêt qui seul assure des lauriers10.

Una simile tesi trova conferma proprio nell’analisi dell’opera di Richardson che, assieme alla Nouvelle Héloïse di Rousseau, rappresenta agli occhi di Sade l’espressione più elevata del

roman:

Si, après douze ou quinze volumes, l’immortel Richardson eût vertueusement fini par convertir Lovelace, et par lui faire paisiblement épouser Clarisse, eût-on versé à la lecture de ce roman, pris dans le sens contraire, les larmes délicieuses qu’il obtient de tous les êtres sensibles?11

Sensibilità (del personaggio letterario e del lettore), lacrime, persuasione appassionata, virtù. Sade mostra di aver compreso con estrema lucidità e precisione il modello sentimentalista e afferma 8 Sulla specificità del trattato di Sade, si veda il contributo di C.I. PIVETTA, «Sade y su idea sobre las novelas: estrategias argumentativas de un polemista discreto», in Thélème. Revista Complutense de Estudios Franceses, 32, n. 2 (2014), pp. 271-284.

9 D.A.F. DE SADE, Idée sur les romans, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. X, p. 12. 10 Ivi, pp. 12-13.

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a chiare lettere di averlo applicato alla sua raccolta di novelle, che definisce non a caso – richiamandosi nuovamente a una dottrina tipica della letteratura partecipativa, quella del tableau

vivant12 – un «tableau des mœurs séculaires»13.

Una conferma del “duplice” piano di lettura che innerva l’opera di Sade è offerta inoltre dal tagliente pamphlet intitolato L’Auteur des Crimes de l’Amour a Villeterque, folliculaire, scritto come risposta a una recensione risolutamente negativa dell’opera sadiana pubblicata il 22 ottobre 1800 sul «Journal des arts, des sciences et de littérature». Al di là del tono moraleggiante e pedante del suo resoconto, Alexandre-Louis de Villeterque – a sua volta esponente del sentimentalismo14 aveva giustamente colto il legame tra le opere clandestine di Sade e la sua raccolta di novelle. La volontà di mostrare «la vertu terrassée par le vice» s’inserirebbe infatti all’interno del «plan de l’infâme ouvrage que l’auteur désavoue, […] rédui[t] en principes», sino a contribuire attivamente al trionfo dell’immoralismo: «Quelle peut donc être d’ailleurs l’utilité de ces tableaux du crime triomphant? Ils réveillent dans le méchant ses inclinations malfaisantes, ils arrachent à l’homme vertueux, mais ferme dans ses principes, des cris d’indignation, et à l’homme faible et bon des pleurs de découragement»15.

Sade risponde anche in questo caso, oltre che con duri attacchi ad personam (consiglia all’ignorante recensore di dedicarsi al mestiere di ciabattino), trincerandosi dietro la morale sentimentalista. Dopo aver spergiurato «que je n’avais point fait des livres immoraux, que je n’en ferai jamais» e che «la morale la plus epurée […] forme la base principale» del suo scritto, egli ribadisce inequivocabilmente come l’opera debba essere letta alla luce della dialettica tra virtù perseguitata e pietà:

Car enfin, quels sont les deux principaux ressorts de l’art dramatique? Tous les bons auteurs ne nous ont-ils pas dit que c’était la terreur et la pitié! Or, d’où peut naître la terreur, si ce n’est des tableaux du crime triomphant, et d’où naît la pitié, si ce n’est de ceux de la vertu malheureuse?16

I paratesti che accompagnano Les Crimes de l’amour rivelano pertanto con nettezza la necessità d’inserire l’opera all’interno del paradigma filosofico-letterario del sentimentalismo per penetrarne il messaggio più profondo, sapientemente dissimulato all’interno di una complessa struttura formale, costruita su un raffinato intreccio di verità e finzione, patetico e humour, detto e non detto.

2. Il modello sentimentalista

12 Sull’estetica del tableau nel diciottesimo secolo cfr. P. FRANTZ, L’esthétique du tableau dans le théâtre du

XVIIIe siècle, Paris, Presses universitaires de France 1998.

13 D.A.F. DE SADE, Idée sur les romans, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. X, p. 15.

14 Fervente ammiratore di Rousseau, Villeterque è autore, tra l’altro, di un romanzo intitolato significativamente Zéna ou la jalousie et le bonheur, rêve sentimental (1786).

15 A.-L. DE VILLETERQUE, «Compte rendu des Crimes de l’amour du marquis de Sade», in Journal des arts,

des sciences et de littérature, 1 fructidor an VIII (19 agosto 1800), n. 79, p. 114.

16 D.A.F. DE SADE, L’Auteur des Crimes de l’Amour a Villeterque, folliculaire, in Œuvres complètes du

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Per quanto il modello sentimentalista sia estremamente composito e sia stato declinato in maniera variegata, gli studiosi che si sono cimentati nell’impresa d’individuarne le costanti sono concordi nel ricondurre tale modello a due grandi principi teorici: il patetico e la simpatia17. Il patetico, come ricorda Jaucourt nell’omonima voce dell’Encyclopédie, è «tout ce qui transporte l’auditeur hors de lui-même, tout ce qui captive son entendement, et subjugue sa volonté»18. La possibilità di “uscire fuori di sé” attraverso le emozioni presuppone che esse non siano banalmente un dato biologico, che si esaurisce nella dimensione fisiologica, ma che esse siano sottoposte a un continuo processo di “modulazione” sociale. La comprensione e il bon usage di un simile meccanismo è reso possibile dalla duplicità della sensibilità umana che, implicando relazioni inscindibili tra l’aspetto fisico (la sensazione) e l’aspetto morale (il sentimento), rende possibile l’instaurarsi di una vera e propria economia emotiva tra l’autore, il personaggio letterario e il lettore.

Se l’idea di patetico garantisce la legittimità e l’efficacia del sentimentalismo in ambito estetico-retorico, il suo fondamento più prettamente morale e politico è offerto dalla dottrina della simpatia19. Tale sentimento era stato investito di una funzione morale attiva e propositiva, sino ad assumere un ruolo fondamentale nella formazione di tutte le emozioni umane, come rilevato nel 1740 da David Hume nel Treatise of Human Nature: «No quality of human nature is more remarkable, both in itself and in its consequences, than that propensity we have to sympathize with others»20. Lo stesso concetto è ribadito da Adam Smith nella Theory of Moral Sentiments del 1759: «How selfish soever man may be supposed, there are evidently some principles in his nature, which interest him in the fortune of others, and render their happiness necessary to him […]. Of this kind is pity or compassion»21. La dottrina della simpatia sviluppata dai pensatori britannici ha, com’è noto, profondamente influenzato i philosophes22. Diderot e Rousseau – per limitarsi ai due esempi più significativi – condividono con i moral sense theorists, e in parte riprendono da loro, l’idea

17 Cfr. R.F. BRISSENDEN, Virtue in Distress: Studies in the Novel of Sentiment from Richardson to Sade, London, Macmillan 1964, pp. 11-64; D. DENBY, Sentimental Narrative and the Social Order in France, 1760-1820,

Cambridge, Cambridge University Press 1994, pp. 71-94.

18 L. DE JAUCOURT, voce «Pathétique, le (Eloquence, Poësie, Art orat.)», in Encyclopédie ou dictionnaire

raisonné des sciences, des arts et des métiers…, a cura di D. DIDEROT e J. LE ROND D’ALEMBERT, 17 voll., Paris-Neuchâtel, Briasson, David, Le Breton, Durand-Faulche 1751-1765, vol. XII, pp. 169-170, qui p. 169.

19 Una sintesi della letteratura critica sulla simpatia settecentesca è reperibile in D. MARSHALL, The Surprising

Effects of Sympathy: Marivaux, Diderot, Rousseau, and Mary Shelley, Chicago, University of Chicago Press 1988. Tra

gli studi più recenti segnaliamo T. BELLEGUIC, E. VANDER SCHUEREN e S. VERVACKE (a cura di), Les discours de la

sympathie. Enquête sur une notion de l’âge classique à la modernité, Laval (Québec), Presses de l’Université Laval

2007; J. LAMB, The Evolution of Sympathy in the Long Eighteenth Century, London, Pickering & Chatto 2009; M.

FRAZER, The Enlightenment of Sympathy: Justice and the Moral Sentiments in the Eighteenth Century and Today,

Oxford, Oxford University Press 2010 e E. SCHLIESSER (a cura di), Sympathy: A History, Oxford, Oxford University

Press 2015.

20 D. HUME, A Treatise of Human Nature, a cura di D.F. NORTON e M.J. NORTON, Oxford, Clarendon Press 2007, p. 206.

21 A. SMITH, The Theory of Moral Sentiments, a cura di K. HAAKONSSEN, Cambridge, Cambridge University Press 2002, p. 11.

22 L. TURCO, «Sympathy and Moral Sense, 1725-1740», in British Journal for the History of Philosophy, 7, n. 1 (1999), pp. 79-101.

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secondo cui alla base della moralità umana ci sarebbe proprio una sorta di compassione originaria nei confronti di coloro che soffrono.

Assieme alla riflessione più propriamente filosofica, in questa nuova visione dell’emozione confluì anche la riflessione medica, in particolar modo gli studi dei vitalisti di Montpellier sulla simpatia organica. Secondo questa dottrina, sintetizzata nell’omonima voce dell’Encyclopédie, la simpatia è definibile come «cette convenance d’affection et d’inclination; cette vive intelligence des coeurs, communiquée, répandue, sentie avec une rapidité inexplicable»23. Essa rende pertanto possibile non solo l’armonico funzionamento dell’«economia animale»24, attraverso la mediazione dei nervi, ma altresì l’estensione del meccanismo simpatetico dal livello fisiologico a quello spirituale. Queste ampie risonanze filosofico-morali delle dottrine mediche – che affascinarono con forza Sade sin da giovane25 – furono sicuramente favorite dallo stretto legame tra l’ambiente di Montpellier e quello dei philosophes, che si concretizzò attraverso un significativo contribuito dei massimi esponenti della scuola vitalistica all’Encyclopédie26. Accanto a Ménuret de Chambaud, autore della voce menzionata sull’economia animale, e a Henri Fouquet, devono essere ricordate almeno le figure di Paul-Joseph Barthez e Gabriel François Venel, senza dimenticare naturalmente quella di Théophile de Bordeu, la cui celebre trasposizione letteraria nel Rêve de d’Alembert di Diderot sancisce emblematicamente (al di là di tutte le problematiche e le ambiguità legate al caso specifico) la rilevanza filosofica di questo paradigma medico.

Alla luce di questo carattere intrinsecamente relazionale dell’emozione, la sua analisi filosofica deve così necessariamente calarsi nel funzionamento dell’emozione stessa, adottando nuove forme espressive. Il trattato sulle passioni cede il passo al romanzo (soprattutto epistolare) e alla novella, che soli paiono in grado – da un lato – d’illustrare il funzionamento della sfera emotiva e – dall’altro – di plasmare l’emotività dello stesso lettore, attraverso il meccanismo simpatetico descritto dai teorici del senso morale. In tale prospettiva, la finzione letteraria viene a caratterizzarsi come un’interrelazione tra due sensibilità, morali prima ancora che fisiche: quella del personaggio letterario e quella del lettore. Nonostante la prima sia irreale e immaginaria, essa ha nondimeno effetti tangibili su quella del secondo, a partire dal livello fisiologico per giungere, grazie all’analogia che sussiste tra sensibilità passiva e attiva, a quello morale.

23 L. DE JAUCOURT, voce «Sympathie, (Physiolog.)», in Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences,

des arts et des métiers…, cit., vol. XV, pp. 736-740, qui p. 736.

24 L’espressione indica, secondo la definizione datane da MÉNURETDE CHAMBAUD, «l’ordre, le méchanisme, l’ensemble des fonctions et des mouvemens qui entretiennent la vie des animaux» (voce «Œconomie animale», in

Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers…, cit., vol. XI, pp. 360-366, qui p. 360.

25 La letteratura critica più recente ha insistito sull’influenza delle teorie mediche contemporanee sulla formazione del pensiero filosofico di Sade. Cfr. A. ST-MARTIN, De la médecine chez Sade: disséquer la vie, narrer la

mort, Paris, Honoré Champion 2010; M. KOZUL, «Sade and the Medical Sciences: Pathophysiology of the Novel and

the Rhetoric of Contagion», in K. Parker e N. Sclippa (a cura di), Sade’s Sensibilities, Lewisburg (Pennsylvania), Bucknell University Press 2015, pp. 141-168.

26 Cfr. P. Astruc, «Les sciences médicales et leurs représentations dans l’Encyclopédie», in Revue d’histoire

des sciences, 34, n. 4 (1951), pp. 359-368; M. LAIGNEL-LAVASTINE, «Les médecins collaborateurs de l’Encyclopédie»,

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Questo meccanismo, finemente analizzato da Diderot nell’Éloge de Richardson27, pubblicato nel 1761, trova la sua formulazione più celebre nell’Entretien sur les romans (ossia la seconda prefazione della Nouvelle Héloïse) di Rousseau, che si serve per illustrarla dell’immagine della comunicazione immediata tra i cuori: «Cependant on se sent l’âme attendrie; on se sent ému sans savoir pourquoi. Si la force du sentiment ne nous frappe pas, sa vérité nous touche, et c’est ainsi que le cœur fait parler au cœur»28.

3. Emozione-pietà, emozione amor-proprio

Proprio Rousseau, nei confronti del quale Sade nutrì sempre una smisurata e sincera ammirazione29, è colui che ha formulato con maggior chiarezza l’originario legame tra dimensione passionale e pietà. Per Rousseau, come illustrato nel Discours sur l’origine et les fondements de

l’inégalité parmi les hommes e ribadito nell’Émile, l’emotività discende interamente dalla pietà,

«virtue naturelle […] qui nous inspire une répugnance naturelle à voir périr ou souffrir tout être sensible et principalement nos semblables»30. Essa è dunque un sentimento simpatetico, che instaura una relazione trasparente e immediata tra l’interiorità e l’esteriorità, svelando la verità della prima attraverso la seconda: «[Les émotions] des cœurs ardents et sensibles étant l’ouvrage de la nature, se montrent en dépit de celui qui les a; leur première explosion purement machinale est indépendante de sa volonté»31. Grazie a questa sua capacità di essere autentica, cioè involontaria e spontanea, l’emozione rappresenta non solo uno scarto determinante tra l’homme de la nature (amorale e insensibile) e l’homme de l’homme (morale ed emotivo), ma può essere considerata una vera e propria fonte di normatività32.

Pur ricercando a sua volta l’origine dell’emozione nell’originaria conformazione dell’individuo, Sade contesta con fermezza l’ipotesi di Rousseau. Secondo lui l’emozione affonda infatti le sue radici non nella pietà, ma nell’amor proprio, l’unico principio naturale che caratterizza 27 «Combien j’étais bon! combien j’étais juste! que j’étais satisfait de moi! J’étais, au sortir de ta lecture, ce qu’est un homme à la fin d’une journée qu’il a employée à faire le bien. J’avais parcouru dans l’intervalle de quelques heures un grand nombre de situations, que la vie la plus longue offre à peine dans toute sa durée […]. Je sentais que j’avais acquis de l’expérience». D. DIDEROT, Éloge de Richardson, in Œuvres complètes, 33 voll., a cura di H.

DIECKMANN, J. FABRE (poi J. VARLOOT) e J. PROUST, Paris, Hermann 1975-2004, vol. XIII, pp. 192-193.

28 J.-J. ROUSSEAU, Entretien sur les romans, in Édition du Tricentenaire-Œuvres complètes, a cura di R. TROUSSON e F.S. EIGELDINGER, 24 voll., Genève-Paris, Slatkine-Champion 2012, vol. XV, p. 1221.

29 Cfr. M. DELON, «Sade face à Rousseau», in Europe, 522 (1972), pp. 43-48; PH. ROGER, «Rousseau selon Sade ou Jean-Jacques travesti», in Dix-huithième siècle, 23, n. 1 (1991), pp. 383-405 e M. KOZUL, «Lire Sade avec

Rousseau», in Romance Studies, 32, n. 3 (2014), pp. 171-182.

30 J.-J. ROUSSEAU, Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes, in Édition du

Tricentenaire-Œuvres complètes, cit., vol. V, p. 87.

31 J.-J. ROUSSEAU, Dialogues. Rousseau juge de Jean-Jacques, in Édition du Tricentenaire-Œuvres complètes, cit., vol. III, p. 284.

32 Come studi complessivi sull’emozione in Rousseau cfr. M. GILOT e J. SGARD (a cura di), Le Vocabulaire du

sentiment dans l’œuvre de Jean-Jacques Rousseau, Genève-Paris, Slatkine 1980; L. MALL e B. WELTMAN-ARON (a cura di), De l’émotion chez Rousseau, volume tematico della rivista L’Esprit Créateur, 52, n. 4 (2012) e J. BERCHTOLD

(a cura di), Rousseau, passionnément: «Mes passions m’ont fait vivre, et mes passions m’ont tué», Paris, Éditions Mare et Martin 2013.

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l’essere umano: «L’amour-propre est le sentiment le plus actif dans l’homme; on gagne tout en l’intéressant»33. Mossi da questo egoismo integrale, tutti gli uomini cercano di soddisfare il proprio piacere, che può essere appagato solo nella relazione interpersonale. Il suo raggiungimento coincide pertanto con l’ottenimento di potere, che viene a configurarsi inevitabilmente come una forma di sopraffazione, di tipo emotivo prima ancora che sessuale, sul prossimo. In tale prospettiva, qualsiasi slancio simpatetico è un ostacolo alla piena espressione di sé e «la pitié, loin d’être une vertu, n’est qu’une faiblesse»34. Essa, da fondamento virtuoso dell’emozione, diventa il principale impedimento alla sua autentica manifestazione: «La nature, notre mère à tous, ne nous parle jamais que de nous, rien n’est égoïste comme sa voix»35. Questo ribaltamento dell’antropologia dei teorici del senso morale è messo in bocca, in Aline et Valcour, al Presidente de Blamont, incestuoso libertino che rimprovera alla compassionevole consorte la sua sensibilità: «Quand vous cédez au sentiment de la pitié plutôt qu’aux conseils de la raison, quand vous écoutez le cœur de préférence à l’esprit, vous vous jetez dans un abîme d’erreurs, puisqu’il n’est point de plus faux organes que ceux de la sensibilité, aucuns qui nous entraînent à de plus sots calculs et à de plus ridicules démarches»36.

Da questa differente genesi antropologica dell’emozione discende l’opposta valutazione della sua efficacia morale: mentre la tradizione sentimentalista mette in relazione tale efficacia con l’intento e con la spontaneità dell’emozione stessa, Sade la considera esclusivamente in base ai suoi effetti, ossia in base al controllo razionale che il soggetto riesce a esercitare su di essa37.

Tutta l’opera clandestina di Sade è incentrata sull’aperta contrapposizione tra questi due modelli di emotività: da un lato, l’emozione-pietà, appannaggio dei personaggi buoni e religiosi, che antepongono cristianamente il prossimo a loro stessi; dall’altro lato, l’emozione amor-proprio, tratto distintivo dei libertini o “criminali”, che considerano il prossimo non come un alter ego, ma come un semplice mezzo per il raggiungimento egoistico del piacere personale. La tecnica argomentativa di Sade è nota: essa consiste nel dissociare completamente l’emozione-pietà, alla base della virtù, dalla felicità, che risulta accessibile esclusivamente a colui che ha abbracciato l’emozione amor-proprio, ossia al criminale: «Le vice fait beaucoup plus d’heureux que la vertu; je sers donc bien mieux le bonheur […] en protégeant le vice qu’en récompensant la vertu»38. Sade si spinge tuttavia ancor più lontano. Poiché una dialettica emotiva incentrata sull’egoismo è necessariamente competitiva oltre che comparativa (si tratta di una sorta di gioco a somma zero), tutti coloro che credono nella visione sentimentalista dell’emozione sono destinati a diventare vittime dei libertini. Questa ineliminabile duplicità della dimensione emotiva – sospesa tra le polarità del piacere e della sofferenza – è teorizzata con chiarezza nell’Histoire de Juliette da Noirceuil:

33 D.A.F. DE SADE, Aline et Valcour, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. IV, p. 319. 34 Ivi, p. 271.

35 D.A.F. DE SADE, La Philosophie dans le boudoir, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. III, p. 437.

36 D. A. F. DE SADE, Aline et Valcour, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. V, p. 336.

37 Su questo aspetto mi permetto di rinviare a M. Menin, «Sade e la (im)moralità dell’emozione: una lettura filosofica di Aline et Valcour», in Archivio di storia della cultura, 39, n. 1 (2016), pp. 43-60; ed. inglese «Sade’s Ethics of Emotional Restraint: Aline et Valcour Midway between Sentimentality and Apathy», in Philosophy and Literature, 40, n. 2 (2016), pp. 366-382.

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Toutes les passions ont deux sens, Juliette: l’un très injuste, relativement à la victime; l’autre singulièrement juste, par rapport à celui qui l’exerce. Cet organe des passions, tout injuste qu’il est, eu égard aux victimes de ces passions, n’est pourtant que la voix de la nature; c’est sa main seule qui nous donne ces passions; c’est sa seule énergie qui nous les inspire; cependant elles nous font commettre des injustices. Il y a donc des injustices nécessaires dans la nature39.

Proprio la storia di Juliette e della sorella Justine, oggetto di ben tre riscritture da parte di Sade40, rappresenta l’esemplificazione più netta di tale meccanismo. La prima, religiosa e virtuosa, è condannata a un’esistenza miserabile e dolorosa, disseminata di rapimenti e stupri; la seconda, che ha assecondato vizi e perversioni, fa fortuna prevaricando il prossimo.

Nella produzione romanzesca clandestina l’attacco al sentimentalismo è pertanto frontale, sia a livello formale, sia a livello contenutistico. Per quel che riguarda il primo aspetto, il linguaggio osceno e la descrizione ossessiva di orge e torture ribaltano provocatoriamente l’estetica sentimentalista, secondo cui tutto ciò che riguarda la sessualità si deve intuire e immaginare, senza essere detto. Per quel che concerne il secondo aspetto, qualsiasi morale della reciprocità incentrata sulla compassione si rivela drammaticamente inefficace e dannosa nel corso della narrazione. Su quest’ultimo punto, la critica sadiana sfocia apertamente nel dileggio e nella derisione, come conferma emblematicamente – tra i numerosi esempi che si potrebbero scegliere – la fine di Justine. Neppure quando, vittima di indicibili sevizie dovute alla sua natura compassionevole, viene salvata dalla sorella viziosa, la fanciulla si convince della necessità di abbracciare l’egoismo e il crimine e invoca in suo aiuto il Cielo. Persino la Provvidenza (la cui esistenza è ovviamente messa in dubbio da Sade) sembra irritarsi infine per questa sciocca e cieca fiducia nella visione sentimentalista dell’esistenza e condanna la povera Justine alla morte riservata solitamente ai nemici della religione, incenerendola con un fulmine.

Se nella produzione clandestina Sade oppone apertamente alla morale sentimentalista un diverso modello di emozione, che discende da una opposta visione antropologica, nei Crimes de

l’amour egli adotta una strategia differente, ma a ben vedere complementare. Invece di combattere

il sentimentalismo dall’esterno, egli si propone qui di farne implodere le fondamenta dall’interno, servendosi dei suoi stessi principi stilistici e teorici. Il risultato paradossale di questo détour è che la stessa morale sentimentale fornisce le basi all’immoralismo di Sade, il cui fine ultimo è mostrare l’impossibilità di qualsiasi etica basata sulla reciprocità emotiva, “convertendo” il lettore all’emozione amor-proprio.

Viene a delinearsi pertanto una vera e propria dialettica tra l’opera pubblica e l’opera clandestina di Sade. Nei Crimes de l’amour, non solo il Marchese mette in atto con abilità la tecnica della “doppia verità” tipica della tradizione libertina41, ma offre un esempio particolarmente interessante del complesso tema storiografico della “lettura fra le righe”, teorizzata da Leo Strauss. Questa espressione indica una scrittura che, con sfumature differenti, tende alla dissimulazione dei propri contenuti teorici più profondi, per sfuggire alla censura e alla persecuzione: «Persecution gives rise to a peculiar technique of writing, and therewith to a peculiar type of literature, in which the truth about all crucial things is presented exclusively between the lines. That literature is

39 Ivi, p. 140.

40 Le tre opere in questione sono ovviamente Les Infortunes de la vertu (1787), Justine, ou les Malheurs de la

vertu (1791) e La Nouvelle Justine (1799).

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addressed, not to all readers, but to trustworthy and intelligent readers only»42. In questa prospettiva, le opere “oneste” di Sade, lungi dal rappresentare una forma depotenziata della sua vera riflessione filosofica43 (quella espressa negli scritti clandestini), ne offrono una chiave interpretativa fondmentale, incentrata sulla sinergia tra dimensione pubblica e dimensione esoterica.

La funzione dell’arte della scrittura, nei Crimes de l’amour, si fa pertanto duplice. All’aspetto difensivo (il sentimentalismo manifesto), Sade affianca qui un aspetto offensivo: il “tarlo” anti-sentimentale, nascosto fra le pieghe del testo, favorisce la diffusione del suo pensiero (esoterico e clandestino) presso i lettori più avveduti, i soli che sanno addentrarsi nello strato dimostrativo del testo.

4. Metamorfosi del sentimentalismo

L’idea che Les Crimes de l’amour siano attraversati da una precisa e consapevole dialettica filosofica trova una conferma importante nelle modifiche subite dalla versione manoscritta delle novelle44 in vista della pubblicazione, studiate da Éric Le Grandic45. Oltre a eliminare gli episodi osceni e le riflessioni teoriche troppo facilmente riconducibili agli scritti clandestini, Sade si è sforzato di uniformare il più possibile i suoi testi – almeno al livello più esplicito e manifesto – al paradigma sentimentalista.

Mentre, come si è avuto modo di constatare, tutta la grande produzione romanzesca è incentrata sull’identificazione tra crimine e felicità, da un lato, e tra virtù e infelicità, dall’altro, contraddicendo apertamente il topos sentimentalista della virtue in distress, le novelle eroiche e tragiche raccolte nei Crimes de l’amour si caratterizzano per un sistematico trionfo della virtù (se non su questa terra, nell’al di là, come viene ossessivamente ripetuto) e per una altrettanto sistematica sconfitta del vizio, o sotto forma di punizione del colpevole o sotto forma di un suo pentimento.

Per adeguarsi al modello sentimentalista – e si tratta di un aspetto che sicuramente ha contribuito non poco alla svalutazione dell’opera – la maggior parte dei racconti presenta un finale forzato e inverosimile e molti personaggi non possiedono una coerenza psicologica salda, passando repentinamente dalla malvagità più assoluta al pentimento più sincero. Un esempio eclatante è quello di Eugénie de Franval. La fanciulla, che sin dalla nascita viene cresciuta dal padre nell’immoralismo e nel disprezzo della religione, è presentata per tutta la novella come «l’horreur […] de la nature», come un «monstre», una «infâme créature», una «fille corrompue»46. La sua intera educazione, in altre parole, conferma l’assoluta relatività della morale (ella considera ad esempio del tutto naturale l’incesto) e sancisce il fallimento dell’ideale simpatetico alla base della 42 L. Strauss, «Persecution and the Art of Writing», in Social Research, 8, n. 4 (1941), pp. 488-504; ripubblicato in ivi 82, n. 1 (2015), pp. 79-97, qui p. .

43

44 Cfr. ms. NAF 4010 della Bibliothèque nationale de France.

45 Cfr. E. LE GRANDIC, Postface a D.A.F. DE SADE, Les Crimes de l’amour, a cura di E. LE GRANDIC, Paris, Zulma 1995, pp. 485-544. Dello stesso autore, cfr. inoltre la tesi di dottorato Les «Crimes de l’amour» de Sade: tradition littéraire et travail d’écriture, direttore di tesi M. Delon, Université Paris X, 1997.

46 D.A.F. DE SADE, Les Crimes de l’amour, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. X, pp. 428, 442, 445 e 450.

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filosofia di Rousseau, la cui concezione della legge di natura viene beffardamente ribaltata da Monsieur de Franval: «Or, la loi de la nature la plus intimement gravée dans nos âmes est de nous défaire les premiers, si nous le pouvons, de ceux qui conspirent contre nous […]. D’abord nous, et les autres ensuite, voilà la marche de la nature»47. Nel momento in cui, fedele ai suoi principi, Eugénie avvelena la madre, che ostacola la sua relazione con il padre, si trasforma in una sorta di eroina sentimentale: «Eugénie, rendue à la nature, poussant des cris affreux, s’avouant coupable, invoquant la mort, voulant se la donner, tour à tour aux pieds de ceux qu’elle implore, tour à tour collée sur le sein de sa mère, cherchant à la ranimer de son souffle, à la réchauffer de ses larmes»48. La fine della fanciulla, che «se précipite sur sa mère et meurt en même temps qu’elle»49, è la morte simpatetica per eccellenza: è il dolore fisico della madre a uccidere Eugénie attraverso la sensibilità morale. Il trionfo della pietà sull’immoralismo troverebbe conferma anche nel pentimento, altrettanto inatteso, di Monsieur de Franval, che si suicida sul corpo della sposa ingiustamente tormentata, lasciando spazio alla morale, del tutto convenzionale, di questa “novella tragica”: «Quelle créature en effet plus précieuse, plus intéressante aux regards des hommes que celle qui n’a chéri, respecté, cultivé les vertus de la terre, que pour y trouver à chaque pas, et l’infortune et la douleur?»50.

Se la conclusione di Eugénie de Franval è per certi aspetti la più emblematica – si tratta, non a caso, dello scritto che chiude la raccolta – Les Crimes de l’amour presentano molti altri finali narrativamente deboli, come quelli di Juliette et Raunai e Laurence et Antonio. Nel primo caso, la virtù è salvata da un improvviso e inspiegabile pentimento del Duc de Guise, che non approfitta della fanciulla ormai in suo potere; nel secondo caso dall’arrivo fortuito di salvatori, che costringono il libertino di turno (Charles Strozzi) al suicidio. Ancora più inverosimile, per certi aspetti, è l’esito della vicenda della Comtesse de Sancerre. Qui la spietata e machiavellica protagonista, che si è vendicata della figlia facendola uccidere dal suo stesso innamorato, con una crudeltà degna della Clairwil dell’Histoire de Juliette, si converte alla religione e dedica il resto della sua vita all’espiazione:

La seule comtesse survécut à ces crimes, mais pour les pleurer toute sa vie: elle se jeta dans la plus haute piété, et mourut dix ans après religieuse à Auxerre, laissant la communauté édifiée de sa conversion, et véritablement attendrie de la sincérité de ses remords51.

Sarebbe ingeneroso e ingenuo interpretare queste innegabili debolezze formali dei Crimes

de l’amour come il risultato dell’imperizia del loro autore o come la conseguenza di un lavoro

editoriale abborracciato. L’attenta selezione delle novelle (inizialmente erano ventotto) e la loro minuziosa revisione mostrano, da un lato, l’abbondanza di materiale e la presenza di un chiaro disegno teorico, che si dispiega nella scelta della successione dei racconti, nella loro originaria suddivisione in quattro volumi, ecc. Dall’altro lato, l’abilità narrativa di Sade e la sua capacità di

47 Ivi, p. 479. 48 Ivi, p. 488. 49 Ivi, p. 489. 50 Ivi, p. 492. 51 Ivi, p. 424.

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creare personaggi coerenti e non privi di fascino (si pensi a tutti i grandi “criminali” della produzione romanzesca) è fuori discussione.

Appare molto più convincente considerare questi aspetti parte integrante della strategia, attentamente orchestrata, di “lettura tra le righe” evocata precedentemente52. I Crimes de l’amour rispecchiano perfettamente i due aspetti fondamentali di questa modalità comunicativa, individuati da Strauss. In primo luogo, il testo stesso invita a diffidare di ciò che più apertamente si afferma: sono così da porre in secondo piano le affermazioni fideistiche, le affermazioni meno originali, quelle palesemente dirette ad ammansire l’autorità e, paradossalmente, quelle che con più frequenza trovano ripetizione. La quantità, nei testi soggetti all'“art of writing”, non sta a sottolinearne l’importanza. In secondo luogo, l’ulteriore aspetto guida che permette la comprensione profonda dei testi è fornito proprio dalle contraddizioni palesi che in essi riscontriamo. Allorché un autore – fa notare Strauss – nel giro di poche righe, avanza tesi contrapposte in maniera così evidente che «they would shame an intelligent high school boy»53, bisognerà necessariamente pensare che questo sia un procedimento adottato intenzionalmente. Solo così il lettore avveduto potrà cogliere, per riprendere una poetica immagine adottata dallo stesso Strauss, «a glimpse of the forbidden fruit»54.

Sulla base di queste premesse, sembra pertanto legittimo ipotizzare che le apparenti debolezze formali dei Crimes de l’amour siano in realtà parte integrante e attiva della polemica contro il sentimentalismo e, più nello specifico, di un processo di “perversione testuale” che, attraverso una de-moralizzazione del patetico resa possibile dalla parodia, riorienta concettualmente l’idea di emozione.

5. Perversione testuale, perversione concettuale

La parodia si rivelò storicamente una delle più efficaci forme di confutazione del pathos sentimentalista55, in quanto essa ne rappresenta una sorta di continuazione deformante, portata avanti con i suoi stessi strumenti: un uso iperbolico del linguaggio e, in particolar modo, un’accentuazione di tutte le espressioni corporee delle passioni. Se questi aspetti erano però finalizzati, nella prospettiva sentimentalista, a colpire al massimo grado la sensibilità morale del pubblico, sino a plasmarla, l’obiettivo della sottile parodia di cui si serve Sade nei Crimes de

l’amour – ben diversa dall’ironia dissacrante e a tratti grossolana degli scritti clandestini – risiede

precisamente nel disconoscere qualsiasi valore morale al pathos56. Essa mira così in definitiva a 52

53 54

55 Cfr. L. HUTCHEON, «Ironie et parodie: stratégie et structure», in Poétique, 36, n. 9 (1978), pp. 466-477. Sulla parodia settecentesca ci si limita a rinviare ai classici contributi di G. LANSON, La parodie dramatique au XVIIIe siècle,

in Hommes et livres (Paris 1895), riprod. Genève, Slatkine 1979, pp. 261-293 e V.B. GRANNIS, Dramatic Parody in

Eighteenth Century France, New York, Publications of the Institute of French Studies 1931.

56 Sull’uso dell’ironia nell’opera di Sade si rinvia in particolar modo a J. PHILLIPS, «Laugh? I nearly died!: Humour in Sade’s Fiction», in Eighteenth Century: Theory and Interpretation, 40, n. 1 (1999), pp. 46-67; S. WERNER,

The Comic Philosophes: Montesquieu, Voltaire, Diderot, Sade, Birningham (Alabama), Summa Publications 2002, pp.

99-124 e W.D. REDFERN, French Laughter: Literary Humour from Diderot to Tournier, Oxford, Oxford University

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introdurre un elemento di discordanza tra un dispositivo estetico performante e il sistema di valori su cui tale dispositivo si fonda implicitamente. Oltre che a livello formale57 (i finali forzati e la scarsa credibilità psicologica dei personaggi confutano de facto quello che viene sostenuto de jure, mostrando il sistematico fallimento della concezione sentimentalista dell’emozione), Sade porta avanti la propria offensiva anche a livello contenutistico.

Per confutare il modello della reciprocità emotiva e della benevolenza, Sade modifica sensibilmente la dialettica tra libertino e vittima, sino a rendere non sempre facile l’identificazione tra questi due ruoli e le polarità del vizio e della virtù58. Si tratta di una delle differenze che salta maggiormente agli occhi rispetto alla produzione romanzesca clandestina: se qui la coincidenza tra virtù e vittima, da un lato, e vizio e libertino, dall’altro, è evidente e incontrovertibile (si pensi nuovamente ai personaggi di Justine e Juliette), nei Crimes de l’amour la questione è più complessa. Questo aspetto emerge ad esempio con nettezza nella vicenda di Faxelange. Se è indubbio che la giovane protagonista è vittima di Franlo, che l’inganna con astuzia, è altrettanto vero che la stessa fanciulla, come ricorda il sottotitolo del racconto Les torts de l’ambition, non esita a rinnegare l’amato Goé attratta dalla (apparente) ricchezza di Franlo: «Par un caprice assez ordinaire aux femmes, l’orgueil impose silence à l’amour, flattée du luxe et de la magnificence de Franlo, elle lui donna insensiblement la préférence sur M. de Goé»59. Quando Faxelange scopre che Franlo è in realtà un brigante e viene condotta a vivere nel covo del criminale, diventando suo malgrado una complice, si rende conto che egli non è completamente malvagio, ma (rousseauianamente) è stato corrotto dalla società: «Il est quelques traces d’honnêteté dans l’âme des scélérats, et la vertu est d’un tel prix aux yeux des hommes que les plus corrompus mêmes sont forcés de lui rendre hommage dans mille occasions de leur vie»60. Ancora una volta, si assiste a uno scarto tra il precetto morale (in sé autenticamente sentimentalista) e l’interpretazione (risolutamente anti-sentimentalista) che viene implicitamente suggerita dal prosieguo della vicenda. Quando ormai Faxelange, innamorata di Franlo, ha accettato il proprio destino, «le ciel, qui n’abandone jamais l’innocence, daigna enfin la délivrer de ses maux»61. Goé, che non si era rassegnato alla scelta di Faxelange e nutriva dei sospetti nei confronti del suo sposo, riesce a ritrovare l’amata e, alla guida di un battaglione di soldati, sgomina la banda di criminali e cattura Franlo, condannandolo a morte seduta stante. Faxelange invoca pateticamente la grazia per il marito, e riesce a infine a ottenere per Franlo il privilegio di potersi dare la morte da solo. Costui, tuttavia, non appena impugna la pistola, prova vanamente ad uccidere Goé, venendo massacrato dai soldati. Quanto a Faxelange (vittima certo di Franlo, ma a ben vedere anche di se stessa e di Goé, nonché “aguzzina” di quest’ultimo), «elle mourut de consomption au bout de quatre ans, triste et malheureux exemple de l’avarice des pères et de l’ambition des filles»62.

in Sade, Philadelphia, University of Pennsylvania Press 1996. Nesuno di questi studi, tuttavia, analizza apertamente Les Crimes de l’amour.

57 Un’analisi linguistica dei primi sei racconti dei Crimes de l’amour è reperibile in R.J. Hackel, De Sade’s

Quantitative Moral Universe: Of Irony, Rhetoric, and Boredom, The Hague-Paris, Mouton 1976.

58 Cfr. C. GAMBACORTI, « ‘...ces tableaux du crime triomphant...’ Écriture moralisante et perversion textuelle dans Les Crimes de l’amour du Marquis de Sade», in Dix-huithième siècle, 39, n. 1 (2007), pp. 383-405.

59 D.A.F. DE SADE, Les Crimes de l’amour, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. X, p. 185. 60 Ivi, p. 197.

61 Ivi, p. 204. 62 Ivi, p. 208.

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La medesima ambiguità si ritrova in tutte le novelle, comprese quelle che sembrerebbero ricalcare più fedelmente gli stilemi sentimentalisti, come Dorgeville ou le Criminel par vertu, il cui personaggio principale ricorda da vicino i protagonisti dei Délassements de l’homme sensible di Baculard d’Arnaud63. Dorgeville è infatti l’incarnazione perfetta dell’homme sensible: giovane, colto, generoso e buono. Egli, da buon sentimentalista, trascorre i suoi giorni «dans l’exercice de la charité et de la bienfaisance, les deux plus chères vertus de son âme sensible»64. Mentre si reca a far visita a un amico, il nostro eroe sente i gemiti di una donna e decide d’intervenire immediatamente, mosso da «ce mouvement si naturel à son cœur de soulager tous les individus souffrants»65. La sventurata che si lamenta è una tale Cécile, una fanciulla rimasta incinta al di fuori del matrimonio e, per questo motivo, ripudiata dalla famiglia. Avendo da poco partorito e trovandosi al colmo della disperazione, Cécile è sul punto di uccidere il figlioletto e suicidarsi. Dorgeville, la cui anima «ne devait se rendre à l’amour qu’amollie par la sensibilité, ou préparée par la bienfaisance»66, s’innamora della fanciulla e si propone di redimerla. Per farne una donna onesta, egli decide dunque di sposarla, promettendole inoltre di prendersi cura del figlio di lei. Cécile accetta la generosa proposta con grande commozione ed effusioni sentimentali e, con la celebrazione delle nozze, la vicenda parrebbe chiudersi nel migliore dei modi. La polizia irrompe tuttavia improvvisamente nel palazzo, arrestando la novella sposa e rivelando all’homme sensible come tutto sia ben diverso da ciò che appare. Cécile si chiama in realtà Virginie; è la sorella minore dello stesso Dorgeville (che non l’aveva tuttavia mai conosciuta) e il suo piano era quello di avvelenare il fratello-marito per impossessarsi delle sue ricchezze. Quando viene trascinata via dai gendarmi, senza più nascondere la sua mostruosa natura, Virginie ottiene il permesso di abbracciare per un’ultima volta il figlioletto, ma si serve di questa concessione per soffocarlo con le proprie mani. Quanto al protagonista, morirà poco dopo consumato dal dolore, ma – assicura Sade – «sans avoir pu détruire en lui, malgré d’aussi terribles exemples, […] les sentiments de bienfaisance et de pitié qui formaient sa belle âme»67.

Nonostante la linea di demarcazione che separa vittima e criminale sia apparentemente granitica, Sade insinua con abilità il dubbio nel lettore che le azioni di Dorgeville nascondano, dietro l’ipocrita facciata di motivazioni socialmente riconosciute, un’egoistica volontà di affermazione e di desiderio di possesso, che confermerebbero l’intimo bisogno di dominio che connota la natura umana: «Dorgeville, cantonné dans sa petite terre, soulage des pauvres, console des vieillards, marie des orphelins, encourage l’agriculteur, et devient, en un mot, le dieu du petit canton qu’il habite»68. Il virtuoso homme sensible, a ben vedere, è criminale allo stesso modo di molti altri libertini della raccolta, poiché abusa della sua posizione di forza (sociale ed economica) per sposare una donna che evidentemente non lo ama e che dipende suo malgrado da lui.

Il depotenziamento del patetico sentimentalista passa così attraverso una sua duplice “metamorfosi”. A livello testuale, Sade trasforma il pathos in derisione, non solo descrivendo 63 Cfr. K. ASTBURY, «The Marquis de Sade and the Sentimental Tale: Les Crimes de l’amour as a Subversion of Sensibility», in Australian Journal of French Studies, 39, n. 1 (2002), pp. 47-59.

64 D.A.F. DE SADE, Les Crimes de l’amour, in Œuvres complètes du Marquis de Sade, cit., vol. X, p. 378. 65 Ivi, p. 380.

66 Ivi, p. 386. 67 Ivi, pp. 398-399. 68 Ivi, p. 378.

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manifestazioni emotive così eccessive e reiterate da perdere di significato agli occhi del lettore, ma anche mostrando, attraverso quelle debolezze formali su cui si è avuto modo di soffermarsi, l’utopica irrealizzabilità della concezione sentimentalista dell’emozione. A un secondo livello tuttavia – e si tratta dell’aspetto più interessante – Sade estende tale processo al rapporto che s’instaura tra il personaggio letterario e il lettore.

Egli riconosce la validità del meccanismo simpatetico della circolazione dell’emozione alla base del romanzo edificante (immortalato magistralmente da Diderot nell’Éloge de Richardson) ma, avendo modificato i fondamenti antropologici della genesi dell’emozione, indirizza tale rapporto in maniera completamente inedita. È infatti proprio il pathos, in virtù della stretta relazione che esso intrattiene con l’aspetto attivo della sensibilità, a “convertire” il lettore al libertinismo: la seduzione estetico-erotica esercitata dalla rappresentazione dell’emozione, in particolare dal dolore della vittima, conduce a una sospensione del falso giudizio morale (secondo cui sarebbe un male far soffrire qualcuno), conducendo implicitamente il lettore ad abbracciare i principi ideologici dell’immoralismo.

La novella in cui è possibile vedere con maggior nettezza all’opera questo processo di “implosione” della morale simpatetica è Florville et Courval, vero e proprio esperimento di sovra-stimolazione formale degli stilemi sentimentali, teso a metterne in luce le ripercussioni (im)morali. Si pensi alla descrizione del rapporto che lega Florville alle sue due “mentori”: la libertina Madame de Verquin, che la spinge suo malgrado a cedere alla passione amorosa, e la virtuosa Madame de Lérince, che la guida sulla strada della virtù. La prima è esplicitamente presentata con disprezzo, mentre la seconda è lodata poiché incarna in sé tutti i più alti valori dell’etica della reciprocità: «C’était dans la plus extrême sensibilité que l’on trouvait en elle les principes de sa foi […]. Pleine de tendresse et de sensibilité pour ses semblables, trouvant les hommes intéressants, même dans leurs défauts […]. Étaient-ils malheureux, aucun charme n’égalait, pour elle, celui de les soulager»69. Ciò nonostante, la descrizione della morte di queste due donne così diverse, porta implicitamente il lettore a simpatizzare per la prima a discapito della seconda. Madame de Verquin, venuta a conoscenza di una malattia incurabile, raduna attorno a sé le persone care, per spegnersi serenamente distesa su un giaciglio cosparso di fiori e circondata da tutti gli agi materiali. Per quanto questa scelta sia condannata da Florville come «le dernier égarement du crime»70, il confronto con la dipartita della pia Madame de Lérince implica, a livello meta-letterario, un netto mutamento di prospettiva:

Mais qui l’eût pensé, monsieur? Cette mort ne fut pas aussi tranquille que celle de Mme de Verquin; […] Mme de Verquin, en mourant, ne regrettait que de n’avoir pas fait assez de mal, Mme de Lérince expirait, repentante du bien qu’elle n’avait pas fait. L’une se couvrait de fleurs, en ne déplorant que la perte de ses plaisirs; l’autre voulut mourir sur une croix de cendres, désolée du souvenir des heures qu’elle n’avait pas offertes à la vertu. Ces contrariétés me frappèrent71.

In conclusione, i Crimes de l’amour, capolavoro negletto di Sade, si possono considerare non solo un punto di svolta decisivo all’interno della produzione del loro autore, ma anche una tappa non irrilevante nella storia della filosofia delle emozioni. In quest’opera Sade riesce infatti a

69 Ivi, pp. 223-224. 70 Ivi, p. 244. 71 Ibid.

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confutare il didatticismo morale convenzionalmente associato alla letteratura sentimentale dall’interno – servendosi cioè consapevolmente dei suoi stessi procedimenti formali e stilistici – sino a scardinarne le basi. Egli, da un lato, confuta il pathos inteso nel senso morale del termine – cioè in quanto fondamento dell’emozione-pietà –, ma dall’altro si serve del pathos stesso, inteso nella sua declinazione immorale, ossia come espressione dell’amor proprio, per riscoprire, e far riscoprire simpateticamente al lettore, l’autentica naturalezza.

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