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Il principio di proporzione della pena nella giurisprudenza costituzionale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONE DELLA

PENA NELLA GIURISPRUDENZA

COSTITUZIONALE

Il Candidato

Il Relatore

Federica Picchi

Prof. Antonio Vallini

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1

INDICE

INTRODUZIONE………

3

CAPITOLO I

LA PROPORZIONE: EVOLUZIONE E TEORIE

DELLA PENA

1. La proporzione delle pene: da principio arcaico a principio illuminato.. 6

2. La giustificazione della pena: teoria del reato e teorie della pena……... 13

2.1. Retribuzione: malum passionis propter malum actionis…………... 18

2.2. La prevenzione generale……… 21

2.3. La prevenzione speciale……… 24

2.4. La prevenzione integrativa……… 28

3. Una parola, molti significati………. 30

3.1. La proporzione in senso ampio………. 36

3.2. Il ruolo della proporzione nella scelta dell’an e del quantum di pena………. 40

CAPITOLO II

LA PROPORZIONE AL VAGLIO DELLA CORTE

COSTITUZIONALE ITALIANA

1. Il principio di proporzionalità nell’ordinamento italiano………. 48

2. Giudizio di legittimità costituzionale e principio di proporzionalità della pena………. 52

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2

3. Giudizio di eguaglianza-ragionevolezza: l’originaria ed esclusiva

impostazione della Consulta………. 56

4. La proporzionalità della pena nell’ottica del principio di offensività…. 62 4.1. Alcune sentenze in tema di offensività………. 65 5. Il sindacato di legittimità costituzionale sulla misura delle pene:

l’eccessiva ampiezza delle cornici edittali………... 69 5.1. La delicata questione della legittimità delle pene fisse………. 72 5.2. E della legittimità delle pene fisse accessorie (l’art. 216 ult. c. l.

fall.)……… 76

5.3. Il problema dell’applicazione automatica delle pene accessorie…. 79 6. La discontinuità degli spazi edittali………. 82 7. Una virata all’insegna del principio di rieducazione……… 86

7.1. Le pronunce anticipatorie della rieducazione della pena:

l’obiezione di coscienza………. 89

7.2. L’oltraggio a pubblico ufficiale ed il sequestro di persona a scopo

di estorsione……… 92

7.3. La sentenza n. 236 del 2016 sul reato di alterazione di stato……… 99 8. I presupposti per un innovativo intervento della Corte costituzionale…. 104 8.1. L’inaugurazione dell’incostituzionalità prospettata o differita……. 108

CONCLUSIONI………...

114

BIBLIOGRAFIA……….

121

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3

INTRODUZIONE

Il principio di proporzionalità delle pene edittali è ormai pacificamente riconosciuto quale principio fondamentale dell’ordinamento penale, di rango costituzionale.

Si tratta di un principio con radici storiche risalenti nel tempo, connaturato al diritto penale stesso.

La proporzione della pena inizialmente rappresenta un principio esclusivamente retributivo che permette di determinare la pena adeguata al reato commesso secondo la regola del “rendere male al male”. Successivamente, con l’avvento della rivoluzione illuminista e la conseguente nascita della moderna scienza penale, da più approfonditi studi del diritto penale, sorgono ulteriori teorie della pena che si affiancano alla teoria retributiva e, in ognuna di queste teorie, la proporzione continua ad essere un elemento cardine, seppur con caratteristiche distinte. Nella retribuzione, ad esempio, la proporzione individua come giusta la pena equivalente matematico del male subìto con la realizzazione del reato; all’interno della teoria della prevenzione generale la pena proporzionata è quella che permette all’ordinamento penale di diminuire il numero di reati attraverso l’intimidazione della generalità dei consociati.

La proporzione, dunque, rappresenta tradizionalmente un elemento funzionale alla individuazione e alla determinazione della pena adeguata

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e giusta, oltre che un principio di garanzia contro ogni eventuale abuso da parte del potere punitivo statale.

Il tema della proporzione della pena è stato per molto tempo abbandonato.

Da qualche anno a questa parte, però, la proporzione sta conoscendo una rinnovata centralità, grazie al ruolo che la Corte costituzionale italiana sta progressivamente riassegnando a tale principio.

Proprio alla ricostruzione del cammino intrapreso dalla Corte costituzionale italiana nella direzione di questa graduale “riscoperta” del principio di proporzione della pena è dedicata la parte più consistente dell’elaborato.

Come si vedrà, per molti anni la Consulta ha assunto una posizione di astensione decisionale sul tema della proporzione delle pene, motivata sull’assoluto rispetto della riserva di legge che attribuisce al legislatore il potere esclusivo e discrezionale di determinazione delle cornici edittali. Ciononostante, dalla fine degli anni ’70, le perduranti inadempienze del legislatore hanno costretto la Corte ad intervenire di fronte a norme penali manifestamente irragionevoli. La Corte costituzionale ha inizialmente verificato la legittimità costituzionale di queste norme sulla base di un giudizio di eguaglianza-ragionevolezza e sulla presenza di una norma analoga che possa rivestire il ruolo di

tertium comparationis. Questa impostazione è stata mantenuta –

eccezion fatta per alcune sporadiche pronunce rese in tema di obiezione di coscienza, oltraggio a pubblico ufficiale e sequestro di persona – dalla

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Corte costituzionale fino alla nota sentenza n. 236 del 2016 sul reato di alterazione di stato. Da tale momento la Corte ha finalmente adottato, quale canone di riferimento per il giudizio di incostituzionalità, il principio di rieducazione della pena e ha così abbandonato il ricorso obbligato al tertium comparationis, in modo da poter dichiarare l’illegittimità costituzionale di norme irragionevoli anche nelle ipotesi in cui nell’ordinamento non vi sia alcuna norma simile su cui fondare il giudizio.

Oggi, quindi, si è di fronte ad un momento storico della giurisprudenza costituzionale, dato che la Corte ha iniziato a espandere il proprio ruolo anche all’interno di un settore, quello delle scelte incriminatrici, che tradizionalmente costituiva esclusivo appannaggio del potere legislativo. La Corte ha, infatti, assunto un protagonismo inedito in questo contesto, allo scopo di porre un rimedio alle molte e prolungate inadempienze del legislatore. Peraltro, vista l’introduzione di un nuovo tipo di pronuncia di “incostituzionalità differita”, quasi certamente si tratta di un percorso che subirà ancora notevoli e rilevanti sviluppi.

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CAPITOLO I

Sommario: 1. La proporzione delle pene: da principio arcaico a principio illuminato – 2. La giustificazione della pena: teoria del reato e teorie della pena – 2.1. Retribuzione: malum passionis propter malum

actionis – 2.2. La prevenzione generale – 2.3. La prevenzione speciale

– 2.4. La prevenzione integrativa – 3. Una parola, molti significati – 3.1. La proporzione in senso ampio – 3.2. Il ruolo della proporzione nella scelta dell’an e del quantum di pena – 3.3. Conclusioni

1. Le origini storiche del principio di proporzionalità risalgono, in ottica prettamente retributiva1, alla Legge del Taglione contenuta nel codice

di Hammurabi. Il noto principio “occhio per occhio, dente per dente” sanciva il diritto della persona offesa di arrecare all’offensore, o alla famiglia di appartenenza, un danno equivalente a quello subìto. Non si trattava di una reazione di impulso immediatamente conseguente alla realizzazione dell’illecito, ma di un vero e proprio diritto-dovere dell’offeso o della famiglia di ottenere giustizia2. Ciò era dovuto al

1 Cfr. infra par. 2.1.

2 In argomento, L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale.

Prefazione di Norberto Bobbio, Bari, 2011, 240; F. VON LISZT, La teoria dello scopo

nel diritto penale, a cura di ALBERTO CALVI, Milano, 1962, 10, 19 s., 31; G. FILANGIERI, La scienza della legislazione, Firenze, 1872, 269.

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fatto che la vendetta era l’unico mezzo riconosciuto ai privati per ottenere un risarcimento e ricevere soddisfazione, dal momento che, di fronte a reati contro la persona o lesivi di diritti privati, le autorità non intervenivano. In un sistema così delineato, la proporzione fungeva da limite alle vendette private, per evitare che queste si protraessero nel tempo trasformandosi in vere e proprie faide familiari. Si tratta di una proporzione tra reato e pena di tipo strettamente naturale, ‹‹adeguata solo agli istinti e agli impulsi, non determinata dalla rappresentazione di uno scopo››3.

Per quanto ci si trovi di fronte ad una definizione estremamente elementare – il restituire male al male – e risalente nel tempo, la proporzione non è scomparsa con il passare dei secoli, anzi si è insinuata negli animi delle persone come una delle regole fondamentali del vivere civile. Ciò è stato possibile poiché il principio dettato dalla

lex talionis, di cui la proporzione è elemento fondamentale, è entrato a

far parte degli insegnamenti religiosi ed è stato ampiamente diffuso dalle principali religioni come quella ebraica e quella cristiana4. Anche di fronte alla profonda mutazione della struttura societaria del passaggio dai Comuni alle Signorie, a causa della quale la vendetta

3 Cfr. infra par. 2.; M.CATERINI, La proporzione nella dosimetria della pena da

criterio di legiferazione a canone ermeneutico, in Persona, pena, processo. Scritti in memoria di Tommaso Sorrentino raccolti sotto la direzione di Marcello Gallo, a cura

di M.AMISANO E M.CATERINI, Napoli, 2012, 49; F. VON LISZT, La teoria, cit., 10, 15,

29.

4 Uno tra tanti esempi: si legge nella Bibbia, Levitico 24, 19-20 ‹‹Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro.››.

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privata viene sostituita dall’intervento punitivo pubblico5, la

proporzionalità continua ad essere letta come relazione reato-pena sostanzialmente retributiva. È solo grazie al pensiero illuminista settecentesco che il principio di proporzione tra reato e pena inizia ad assumere significati diversi e ulteriori rispetto al semplicistico concetto del “rendere male al male”6. Con il riconoscimento dei nuovi principi

fondamentali caratterizzanti gli Stati moderni, avvenuto con la rivoluzione intellettuale, gli illuministi intraprendono i primi studi penalistici. Uno dei principi illuminati di singolare rilevanza è quello della secolarizzazione del diritto con cui i giuristi prendono coscienza che la relazione tra reato e pena non è di carattere naturale ma di stampo giuridico. La conseguenza logica di tale concetto è l’estromissione dal diritto delle mere credenze religiose e delle consuetudini sociali. La religione, che è stata punto di riferimento degli Stati fino a quel momento, è ridimensionata per lasciare spazio alla ragione, ai diritti ed ai principi fondamentali dei moderni ordinamenti statali7. Dal fondamento della natura giuridica della proporzionalità tra reato e pena sorge conseguentemente il problema della ricerca del criterio oggettivo idoneo di commisurazione della sanzione: è proprio

5 Si veda F. VON LISZT, La teoria, cit., 10, 30.

6 In argomento, L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 395; D.VALITUTTI, Retribuire,

prevenire o riparare? Un particolare sviluppo del concetto moderno di pena, in Mat. st. cult. giur., 2017, 1, 7.

7 Si veda M. SBRICCOLI, Giustizia criminale, in Storia del diritto penale e della

giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Milano, 2009, 27 ss.; G.ALESSI, Economie

del penale nell’età moderna, in La funzione della pena in prospettiva storica e attuale,

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questo il momento storico in cui sorgono le teorie della pena8. Tramite

tali teorie sono attribuite alla pena finalità ulteriori rispetto a quella originariamente ed esclusivamente retributiva. Modificando lo scopo della pena necessariamente consegue la modifica degli elementi strutturali della stessa, di cui la proporzione fa parte.

In secondo luogo, la fortuna della proporzione delle pene è data anche dall’affermarsi degli elementi fondamentali del diritto penale moderno: il principio di legalità, il principio di certezza del diritto, il principio di uguaglianza e gli studi sulla commisurazione della pena9. Il principio di legalità10 può essere considerato il principio basilare da cui erigere il sistema statale il quale permette di garantire che il legislatore preveda norme astratte e generali ma allo stesso tempo certe. Al fine di un efficiente ordinamento statale è indispensabile che i cittadini possano avere conoscenza dei reati e delle pene.

Secondariamente, è necessario che la responsabilità penale sia personale e che la pena, affinché possa raggiungere gli obiettivi prefissati, sia pubblica, celere e proporzionata al fatto commesso11. La proporzione, intesa come quantificazione della pena, si rende possibile soltanto grazie all’introduzione delle nuove sanzioni detentive e pecuniarie le quali, a differenza delle precedenti pene capitali e

8 V. infra par. 2.

9 Cfr. D.VALITUTTI, Retribuire, cit., 7.

10 Si veda C.BECCARIA, Dei delitti e delle pene, a cura di RENATO FABIETTI, Milano, 1973, 10 s., 117.

11 Si veda M.SBRICCOLI, Giustizia criminale, cit., 28; C.BECCARIA, Dei delitti, cit., 117.

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corporali, hanno la caratteristica di essere divisibili in unità di tempo e di denaro12.

Ed infine con il pensiero illuminato, la proporzione assume anche funzione di garanzia13: la pena proporzionata al fatto commesso permette di tutelare il reo contro gli abusi del potere statale. Quest’ultima caratteristica della proporzione fa sì che si cominci a pensare alla pena in funzione prevenzionistica: una sanzione adeguata è ritenuta giusta sia dal colpevole che dalla società, una sanzione giusta aumenta la propria capacità dissuasiva14.

Tutte le teorie proporzionalistiche settecentesche condividono l’idea che dal rapporto tra il reato e la pena derivino due conseguenze. Da un lato i reati devono essere gerarchicamente strutturati per genere e specie e dall’altro è necessaria la previsione di parametri e di criteri che consentano di individuare la sanzione qualitativamente e quantitativamente proporzionata a un determinato fatto illecito. E proprio la ricerca di parametri oggettivi di commisurazione, particolarmente difficile a causa della eterogeneità delle due grandezze in gioco – il reato e la pena –, ha portato all’elaborazione della teoria delle scale di gravità. La maggior parte dei grandi illuministi15 si concentra sul tema della proporzione attraverso l’astratta costruzione

12 Cfr. L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 395. 13 V. infra par. 3.

14 V. infra par. 2.2.; A.MERLO, Considerazioni sul principio di proporzionalità nella

giurisprudenza costituzionale in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1429.

15 Tra i molti possiamo citare come esempio Montesquieu e Beccaria, si legga ad esempio C.BECCARIA, Dei delitti, cit., 17 s.; G.FILANGIERI, La scienza, cit., 310.

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di due scale, una dei reati e l’altra delle pene, gerarchicamente strutturate e sovrapponibili. La struttura delle fattispecie è creata individuando come estremi i reati più gravi16 e quelli di minore gravità,

ed inserendo poi in ordine gerarchico tutte le ipotesi delittuose previste dall’ordinamento. Non esiste una scala dei reati universale perché la struttura gerarchica varia in dipendenza del criterio di valutazione della gravità adottato17. Anche la scala delle pene è costruita secondo uno schema gerarchico che ne consenta la sovrapposizione, seppur imperfetta a causa dell’eterogeneità tra reato e pena, a quella dei reati. La proporzione delle pene però non riguarda solo la fase legislativa, essa si estende anche alla sede giudiziaria. Gli illuministi, in risposta al passato dispotismo esercitato dai giudici nell’applicazione delle pene, sono concordi nel considerare il giudice semplice ‹‹bocca della legge››18. La disomogeneità delle condanne penali demolisce la

16 In modo generico si parla di reati che producono conseguenze negative direttamente sulla società, mentre in D.PULITANÒ, Sulla pena. Tra teoria, principi e politica, in Riv.

it. dir. proc. pen., 2016, 651 si legge che nella costruzione di un sistema, per quanto

possibilmente ‹‹coerente›› nell’individuazione di pene adeguate alla gravità del fatto, si parte dai delitti più gravi – quelli contro la vita degli uomini – per poi decrescere gradualmente.

17 Ad esempio Beccaria si affida ‹‹al danno subito dalla collettività, al vantaggio conseguibile dalla commissione di tale reato e alla tendenza da parte dei consociati di commettere tale azione o omissione›› come si può leggere in F.ZANUSO, I ‹‹fluidi›› e

le ‹‹bestie di servigio››. Utilitarismo ed umanitarismo nella concezione penale di Cesare Beccaria, in Ripensare la pena. Teorie e problemi nella riflessione moderna,

a cura di ZANUSO e FUSELLI, Padova, 2004, 113; secondo Filangieri invece ‹‹se tra tutti i patti sociali ve ne sono alcuni che più direttamente tendono alla conservazione dell’ordine sociale, ed altri che meno direttamente v’influiscono, e se la conservazione di quest’ordine è lo scopo di tutti i sociali rapporti; è chiaro che la gravezza del delitto si dee, prima di ogni altro, valutare dalla maggiore influenza che ha il patto che si viola sulla conservazione di quest’ordine››, v. G.FILANGIERI, La scienza, cit., 205, 304. A

Montesquieu si deve invece l’innovativa classificazione dei reati in crimini contro la religione, contro i costumi, contro la tranquillità e contro la sicurezza della società, così G.TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, 1976, 452. 18 Da alcuni presa fin troppo alla lettera: nel codice penale francese del 1791 furono previste pene fisse e invariabili, in modo da non permettere al giudice nessuna

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struttura dei principi fondamentali dello Stato e di conseguenza mina inevitabilmente il senso di sicurezza che la collettività dovrebbe riporre nella società19. Proprio per questo, tra i principi illuminati della pena

ritroviamo la prontezza20 – la sanzione deve essere inflitta nel minor tempo possibile dalla commissione del fatto – , la certezza21 e la proporzione. Infatti il giudice procede in un primo momento ad individuare la cornice edittale applicabile al caso e, all’interno di essa, provvede a determinare la pena proporzionandola al fatto concretamente commesso22.

In conclusione, con l’Illuminismo nasce la scienza penale moderna e, grazie ad essa, la ricerca delle risposte agli interrogativi su quali condotte debbano essere punite, perché e con quale mezzi. Da tale momento si inizia a parlare di giustificazione della pena23.

possibilità di graduazione. Sul punto, v. L.FERRAJOLI, Diritto e ragione: teoria del

garantismo penale, Roma – Bari, 1990, 401. Scrive Beccaria: ‹‹Lo spirito della legge

sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll’offeso e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell’animo fluttuante dell’uomo…››, in C. BECCARIA, Dei delitti, cit., 13.

19 Cfr. C.BECCARIA, Dei delitti, cit., 14. 20 Cfr. C.BECCARIA, Dei delitti, cit., 50 ss., 117.

21 Cfr. C.BECCARIA, Dei delitti, cit., 66; G.FILANGIERI, La scienza, cit., 206.

22 Osserva Filangieri: ‹‹Se la violazione di un patto può essere accompagnata da alcune circostanze, che mostrano la maggiore o minore disposizione che ha il delinquente di violare qualunque altro patto, o di ricadere di bel nuovo nell’istesso reato; le circostanze che accompagnano il delitto, possono dunque renderlo più o meno grave, più o meno punibile››, così G.FILANGIERI, La scienza, op cit., 205.

23 In argomento, F.GIUNTA, Quale giustificazione, cit., 265; F. VON LISZT, La teoria, cit., 6, 37 ss.

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2. La giustificazione della pena ricomprende in sé due assunti fondamentali, la teoria del reato24 e la teoria della pena25.

È infatti necessario operare una distinzione tra diritto criminale, cui la teoria del reato pertiene, e diritto penale, cui si riferiscono le teorie della pena. Inoltre la distinzione determina l’iter di creazione della norma penale il quale inizia con la teoria del reato e si conclude con la teoria della pena. È però necessario sottolineare che pur trattandosi di parti distinte le due teorie sono strettamente interconnesse e dipendenti vicendevolmente l’una dall’altra26.

La teoria del reato elabora i principi ed i criteri attraverso i quali il legislatore possa individuare i comportamenti da punire27. Una

specifica condotta assume la qualità di reato nel momento in cui il legislatore prevede che essa debba essere sanzionata con una pena, lo strumento di massima incisività sulla libertà dell’individuo presente

24

In argomento, S.MOCCIA, Principi normativi di riferimento per un sistema penale

teleologicamente orientato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1010 ss.; D.PULITANÒ,

Idee per un manifesto sulle politiche del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019,

368.

25 V. F. VON LISZT, La teoria, cit., 29 in cui possiamo leggere ‹‹è proprio l’idea dello scopo che distingue l’azione dominata dall’istinto da quella diretta dalla volontà››, 32; D.PULITANÒ, La giustizia penale alla prova del fuoco, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 35.

26 V. G.FIANDACA, La selezione dei fatti da punire tra criteri teorici e verifiche

empiriche, in Riscrivere il codice penale. I reati, a cura dell’Unione delle Camere

Penali Italiane, Pisa, 2014, 22, dove si legge ‹‹c’è una interazione circolare, ciò che significa reato dipende da ciò che significa pena e viceversa, le due cose non vivono separatamente››. Sul punto anche D. PULITANÒ, Sulla pena, cit., 646; F.GIUNTA,

Quale giustificazione per la pena? Le moderne istanze della politica criminale tra crisi dei paradigmi preventivi e disincanti scientisti, in Pol. dir., 2000, 2, 265; F. VON LISZT,

La teoria, cit., 6, 10 s.

27 Su un ipotetico ricorso a tali principi nell’opera di riduzione delle fattispecie incriminatrici si veda G.FIANDACA, La selezione, cit., 19 ss. In G.FILANGIERI, La

scienza, cit., 292 l’autore sottolinea che per potersi parlare di delitto siano necessari

l’azione e la volontà, o usando altri termini, la condotta e la responsabilità: ‹‹Il delitto consiste dunque nella violazione della legge, accompagnata dalla volontà di violarla››.

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nell’ordinamento28. Data la rilevanza dei beni suscettibili di restrizione

da parte dello Stato, nel diritto penale deve essere garantito il principio di sussidiarietà29. Esso obbliga il ricorso al sistema penale soltanto

come extrema ratio, soltanto nei casi in cui non vi sia altro strumento idoneo a raggiungere lo scopo prefissato.

Vi possono essere svariati motivi, come ad esempio la situazione di emergenza conseguente ad attacchi terroristici o esigenze puramente politiche, che conducono il legislatore a configurare nuove fattispecie di reato. Tuttavia, solitamente, una condotta è qualificata come reato facendo affidamento al principio di offensività30. Attraverso tale principio il legislatore identifica i beni meritevoli di tutela penale31.

28 Cfr. D.PULITANÒ, Sulla pena, cit., 645.

29 V. A.PUGIOTTO, Cambio di stagione nel controllo di costituzionalità sulla misura

della pena, in Riv. it. dir. proc. pen.,2019, 786 s.

30 In argomento, F. PALAZZO, Offensività e ragionevolezza nel controllo di

costituzionalità sul contenuto delle leggi penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 352

ss.; G.MARINUCCI,E.DOLCINI, Costituzione e politica dei beni giuridici, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1994, 336 s.; D.PULITANÒ,Idee, cit., 368.

31 Cfr. D. PULITANÒ, Sulla pena, cit., 642, 649. È al lavoro Bricola che si deve l’attribuzione della qualifica di bene giuridico ai beni di rilevanza costituzionale e alle situazioni di pericolo concreto, in proposito si veda M.DONINI, L’eredità di Bricola e

il costituzionalismo penale come metodo. Radici nazionali e sviluppi sovranazionali,

in Riv. trim. dir. pen. cont., 2012, 2, 53; analogamente si veda G.FIANDACA, Il ‹‹bene

giuridico›› come problema teorico e come criterio di politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 49 ss. Sulla questione che si pone in determinati ambiti, come ad

esempio quello della prostituzione o della poligamia, a causa della non semplice e lineare distinguibilità tra bene giuridico o danno sociale in senso laico da un lato e fatto contrario alla morale dall’altro si veda Id., La selezione, cit., 22 ss.; Id., Il ‹‹bene

giuridico››, cit., 46 s. Si veda anche C. ROXIN, Derecho penal. Parte general.

Fundamentos. La estructura de la teoria del delito, traduzione e note a cura di DIEGO -MANUEL LUZÒN PENA, MIGUEL DIAZ y GARCIA CONLLEDO, JAVIER DE VICENTE

REMESAL, tomo I, Madrid, 1997, 52, 54 ss. l’A. spiega perché le precedenti definizioni di bene giuridico, ossia di tutela di beni individuali o di tutela di beni collettivi derivanti dalla morale, non siano sufficienti come parametro di individuazione della tutela penale. L’unica definizione accettabile di bene giuridico deve far affidamento ai principi costituzionali unica strada giustificatrice di una limitazione alla libertà personale, in conseguenza di ciò l’autore scrive ‹‹los bienes jurídicos son circunstancias dadas o finalidades que son útiles para el individuo y su libre desarollo en el marco de un sistema social global estructurado sobre la base de esa concepción de los fines o para el funcionamiento del proprio sistema››. Sempre in riferimento al

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Nell’attribuzione della qualifica di reato è necessario anche determinarne la responsabilità. Tra i criteri utilizzabili merita menzione il principio di colpevolezza32 tanto come elemento di

concetto di bene giuridico derivante dal principio di offensività: M. DONINI, Il

principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2013, 4, 6 ss., 29. G.MARINUCCI,E.DOLCINI, Costituzione e politica, cit., 334 s., 337, 345 ss. (queste ultime pagine sono dedicate soprattutto alla disamina del tipo di costituzionalità che il bene deve possedere, se esso debba essere espressamente previsto in Costituzione o se sia sufficiente che la relativa tutela sia implicita); S.CORBETTA, La cornice edittale della pena e il sindacato di legittimità

costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 166; A.M.MAUGERI, I reati di sospetto

dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 370 del 1996: alcuni spunti di riflessione sul principio di ragionevolezza, di proporzione e di tassatività, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 469 s.; S.MOCCIA, Principi normativi, cit., 1016 s.; Id., Dalla

tutela di beni alla tutela di funzioni: tra illusioni postmoderne e riflussi illiberali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 344 ss.; M.ROMANO, La legittimazione delle norme

penali: ancora su limiti e validità della teoria del bene giuridico, in Criminalia, 2011,

33 ss.; F. GIUNTA, Quale giustificazione, cit., 268 ss.; L. EUSEBI, La “nuova

retribuzione”: pena retributiva e teorie preventive, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 934

s.; F. VON LISZT, La teoria, cit., 32, 45 ss.; A.PUGIOTTO, Cambio, cit., 787. Sulla crisi del concetto di bene giuridico nell’ordinamento italiano si veda F.PALAZZO, I confini

della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 456 ss.

32 Si veda D.PULITANÒ, Sulla pena, cit., 642; Id.,Idee, cit., 368 s. Secondo W.FRISCH,

Principio di colpevolezza e principio di proporzionalità, in Riv. trim. dir. pen. cont.,

2014, 3-4, 165, i rapporti tra colpevolezza e proporzionalità mancano di delimitazione definitoria netta, provocando un divario. Tra teorie che sostanzialmente fanno coincidere i due principi e quelle che invece vedono nella colpevolezza un contenuto più dettagliato; quest’ultime considerano la proporzione delle pene soltanto come limite al potere punitivo e come criterio di individuazione di sanzioni sproporzionate. Cfr. sul punto L.EUSEBI, La pena in “crisi”. Il recente dibattito sulla funzione della

pena, Brescia, 1990, 145 ss. dove è approfondito il tema della colpevolezza come

criterio di individuazione della sanzione dal punto di vista delle varie teorie della pena: ad esempio nella visione generalpreventiva di Frisch o nella prevenzione integratrice di Roxin. V. anche Id., La “nuova retribuzione”, cit., 922 ss., dove si specifica che la distinzione tra retribuzione del fatto e retribuzione della colpevolezza riguarda soltanto la ‹‹verificabilità empirica del criterio di riferimento che esse offrono››: il danno è un dato oggettivo e concreto, la colpevolezza richiede un giudizio estremamente soggettivo. V. anche Id., Cristianesimo e retribuzione penale, in La funzione della

pena: il commiato da Kant e da Hegel, a cura di LUCIANO EUSEBI, Milano, 1989, 207; S.MOCCIA, Principi normativi, cit., 1020 s., il quale osserva come, secondo Roxin, la colpevolezza non può essere l’elemento di individuazione della punibilità, ma funziona soltanto da limite massimo alla determinazione della pena. Si veda E. DOLCINI,

Appunti sul limite della colpevolezza nella commisurazione della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, 1159 ss. sul ruolo della colpevolezza nella commisurazione della

pena svoltosi in Germania, 832 sulla concezione di Roxin. Sul ruolo della colpevolezza nelle teorie della pena si veda T.PADOVANI, Teoria della colpevolezza e scopi della

pena. Osservazioni e rilievi sui rapporti fra colpevolezza e prevenzione con riferimento al pensiero di Claus Roxin, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 798 ss.; F.

BRICOLA, Rapporti tra dommatica e politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 12; C.ROXIN, Derecho penal, cit., 84, 99 ss.; entrando più nello specifico Roxin ritiene

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attribuzione quanto come limite alla responsabilità penale. Dal principio nulla poena sine culpa deriva innanzitutto l’obbligo per lo Stato di rispettare la dignità dell’uomo, di punirlo soltanto nelle ipotesi in cui sia presente appunto la colpevolezza. Secondariamente la colpevolezza assume anche funzione di limite, infatti una pena giusta non dovrebbe superare il livello posto dalla colpevolezza33.

Come anticipato all’inizio del paragrafo, teoria del reato e teoria della pena dipendono reciprocamente l’una dall’altra. Perciò il legislatore, una volta attribuita la qualifica di reato ad una specifica condotta, nella determinazione della relativa pena dovrebbe considerare altresì lo scopo34 che l’ordinamento statale vuole perseguire, ovvero tenere

presenti quali sono gli effetti che il diritto penale vuole produrre35. Vi sono tante teorie della pena quanti sono gli scopi che un ordinamento statale intenda perseguire36. Perciò si è soliti distinguere

che solo la colpevolezza sia in grado di limitare il potere punitivo dello Stato, emarginando la proporzionalità alle sole misure di sicurezza. In queste ipotesi infatti la colpevolezza viene superata e non esiste un’efficace protezione della società attraverso l’applicazione di sanzioni, 102 s.; H.L. PACKER, I limiti, cit., 145; F.

PALAZZO, Introduzione, cit., 74.

33 In W.FRISCH, Principio di colpevolezza, cit., 166 la colpevolezza è considerata anche limite minimo al di sotto del quale la pena non permette un ‹‹effettiva tutela dei diritti e delle libertà››. Si specifica però che il divieto di imposizione di una pena inferiore alla colpevolezza, a differenza del massimo, non è un divieto assoluto e può essere superato in presenza di determinate esigenze.

34 In argomento, A.PAGLIARO, La riforma delle sanzioni penali tra teoria e prassi, in

Riv. it. dir. proc. pen., 1979, 1189; alcuni esempi chiarificatori della profonda diversità

tra pena retributiva e preventiva si trovano in W. HASSEMER, Perché punire è

necessario, Bologna, 2012, 80 s., uno dei quali è l’ipotesi della moglie che, a seguito

di maltrattamenti ripetuti negli anni, reagisce al marito violento: la teoria retributiva applicherebbe una pena analoga a quella di un delinquente abituale, la teoria preventiva ne infliggerebbe una inferiore dal momento che la donna, una volta espiata la condanna, tornerebbe alla ‹‹stessa vita irreprensibile di sempre››.

35 Si veda C.ROXIN, Derecho penal, cit., 81.

36 V. infra parr. 2.1., 2.2., 2.3., 2.4. per l’analisi delle principali teorie della pena; D. PULITANÒ, Sulla pena, cit., 643; non esiste una teoria della pena giusta in assoluto

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tra teorie pure e teorie eclettiche qualora esse riconoscano alla pena, rispettivamente, un’unica o più finalità. Nell’ambito delle teorie pure vi è un’ulteriore suddivisione in teoria assoluta ed in teorie relative: nella prima, essenzialmente coincidente con la retribuzione37, la pena trova legittimazione in se stessa, alla stregua di un imperativo categorico che impone di rendere male al male arrecato con il reato; nelle teorie relative, invece, la punizione diventa strumento per il raggiungimento di fini ulteriori. In tale gruppo si trovano le teorie di stampo preventivo, ovvero la teoria di prevenzione generale38 e la teoria di prevenzione speciale39.

Invece le teorie eclettiche – come la prevenzione integratrice – sono il risultato della rielaborazione congiunta dei concetti e delle finalità delle teorie pure40.

poiché tutto dipende dal tipo di Stato e dagli scopi che ritiene di dover perseguire, ivi E.DOLCINI, Pena e costituzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 16.

37 Cfr. Infra par. 2.1. 38 Cfr. Infra par. 2.2. 39 Cfr. Infra par. 2.3.

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2.1. La retribuzione – denominata anche teoria della giustizia41 o

dell’espiazione42 – può essere definita come teoria assoluta e pura.

Unico e solo scopo della pena è la punizione: inflizione di un male, la limitazione della libertà personale, in risposta al male provocato con la commissione del reato43. La pena, pertanto, interviene esclusivamente come riparazione del danno provocato dalla realizzazione del fatto illecito. Ci si trova di fronte a una pena che guarda esclusivamente al passato. Questa è una delle caratteristiche che distingue la retribuzione dalle altre teorie relative che si rivolgono al futuro44. Anche se la retribuzione è concepita come teoria espiativa, si deve sottolineare che essa contemporaneamente garantisce l’assoluto rispetto del colpevole; non ammette nessun tipo di strumentalizzazione del reo per scopi diversi dall’espiazione del male provocato45.

41 Il senso di giustizia riguarda in primo luogo le cosiddette vittime del reato, ma indirettamente l’applicazione di una pena giusta si ripercuote con effetti positivi anche sui bisogni di giustizia che nascono nella società, v. L. EUSEBI, La “nuova

retribuzione”, cit., 937.

42 Cfr. C.ROXIN, Derecho penal, cit., 81, 85.

43 In argomento, L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 2011, 239 s., 362; sulla visione retributiva di Frank e di Merkel si veda F.EXNER, La funzione di tutela e la funzione

retributiva della pena (traduzione Mario Zanchetti), in La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, a cura di LUCIANO EUSEBI, Milano, 1989, 12 s.; C.

ROXIN, Derecho penal, cit., 81 s.; L.EUSEBI, La pena in “crisi”, cit., 34 s.; F. VON

LISZT, La teoria, cit., 40; M.A.CATTANEO, Sulla filosofia penale di Kant e di Hegel, in La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, a cura di LUCIANO EUSEBI, Milano, 1989, 131.

44 Si veda L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 2011, 362 ss.; H.L.PACKER, I limiti

della sanzione penale, Milano, 1978, 11; F. VON LISZT, La teoria, cit., 38.

45 V. F.PALAZZO, Introduzione ai principi del diritto penale, Torino, 1999, 74; Id.,

Corso di diritto penale, Torino, 2013, 33; M.A.CATTANEO, Sulla filosofia penale, cit., 122 s.

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Attorno alla teoria retributiva si sono sviluppate due correnti di pensiero le cui origini possono esser fatte risalire a Kant – teorico della retribuzione morale46 – ed a Hegel – per quanto riguarda la

retribuzione giuridica47. La prima teoria concepisce il reato come disconoscimento etico della legge con la conseguenza che la pena non può essere nient’altro che quanto il colpevole moralmente merita48.

Nella retribuzione giuridica, invece, la pena è intesa come riparazione del diritto violato attraverso un’azione uguale e contraria che ne annulli gli effetti dannosi49. In verità il divario tra queste due impostazioni si restringe notevolmente se si guarda alla retribuzione non tanto come fine della pena quanto come elemento costitutivo della stessa50.

46 Si veda U.KLUG, Il commiato da Kant e da Hegel (traduzione a cura di Adriano

Bazzoni), in La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, a cura di

LUCIANO EUSEBI, Milano, 1989, 3 ss.; M.A.CATTANEO, Sulla filosofia, cit., 117 ss.; S.MOCCIA, Il diritto penale, cit., 42 ss.; L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 2011, 240 ss.; P.NOLL, La fondazione etica della pena (traduzione a cura di Luciano

Eusebi), in La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, a cura di LUCIANO

EUSEBI, Milano, 1989, 31; L. EUSEBI, La “nuova retribuzione”, cit., 926 s.; W. HASSEMER, Perché punire, cit., 85 s.

47 Cfr. M.A.CATTANEO, Sulla filosofia, cit., 117, 130 s.; U.KLUG, Il commiato, cit., 5 ss.; P.NOLL, La fondazione, cit., 31; L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 2011, 240 ss.; L.EUSEBI, La “nuova retribuzione”, cit., 926 s., 936; W. HASSEMER, Perché

punire, cit., 85 s.

48 V. L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 2011, 240 ss.; F.PALAZZO, Introduzione, cit., 74; Id., Corso, cit., 33.

49 V. L.FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 2011, 240 ss.

50 Infatti si parla al riguardo di pena senza scopo, in M.DONINI, Il volto attuale

dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Milano,

2004, 234; oppure ‹‹come scrive Hart, esprime non già lo scopo ma precisamente il criterio di distribuzione e di applicazione delle pene›› in L. FERRAJOLI, Diritto e

ragione, cit., 2011, 362 s.; L. EUSEBI, La “nuova retribuzione”, cit., 915; W. HASSEMER, Perché punire, cit., 82; D.PULITANÒ, La giustizia, cit., 34 in cui si legge ‹‹la pena è un bonum in sé, che non necessita pertanto, al di fuori di sé, alcuna giustificazione››.

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Nell’individuazione della pena giusta, la teoria retributiva non fa affidamento soltanto al danno materialmente provocato ma altresì alla colpevolezza, sia come metro di misurazione della pena che come limite all’intervento punitivo statale51. Tuttavia, entità del

danno e colpevolezza da soli non sono elementi sufficienti a garantire che l’attività punitiva non si trasformi in puro arbitrio, a questo scopo interviene il criterio della proporzionalità della pena. Si può ricordare che dalla Legge del Taglione fino all’Illuminismo, la proporzione della pena è elemento esclusivamente retributivo52. Nella teoria retributiva la proporzione richiede che il male da infliggere con la pena sia qualitativamente e quantitativamente corrispondente al male provocato dal reato53, garantendo così il rispetto della persona insito nella retribuzione stessa54. In realtà la

proporzione non permette di adeguare concretamente la pena al reato dal momento che mancano i criteri e i parametri di commisurazione della sanzione; si è pur sempre di fronte a due entità qualitativamente eterogenee dalla cui relazione si deve trarre un’equiparazione quantitativa55. Dalla carenza dei parametri di commisurazione della

51 Cfr. supra par. 2. nota n. 32.

52 Cfr. supra par. 1.; F.PALAZZO, Corso, cit., 29.

53 V. L.EUSEBI, La “nuova retribuzione”, cit., 915 s., 928 s.

54 Si veda F.PALAZZO, Introduzione, cit., 66 s.; S.MOCCIA, Il diritto penale, cit., 88 s. 55 In L.EUSEBI, La “nuova retribuzione”, cit., 919 s. l’Autore conclude la questione sulla qualificazione della retribuzione considerandola si fondamento della struttura della pena, ma proprio per tale motivo la retribuzione necessariamente influisce anche sulla funzione della stessa. È proprio quanto accade nelle teorie relative, 925 s. Invece Palazzo individua l’incapacità della retribuzione di determinare il contenuto della pena nella sua irrilevanza, si legge ‹‹in sostanza, nella prospettiva retributiva il contenuto afflittivo assunto dalla pena rimane tendenzialmente irrilevante purché sia tale, cioè afflittivo››, in F.PALAZZO, Introduzione, cit., 75.

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pena retributiva deriva un eccessivo irrigidimento delle sanzioni, poiché determinabili solo attraverso la proporzione alla gravità del fatto. Questo aspetto, di non secondaria rilevanza, sommato alla comparsa delle prime concezioni preventive settecentesche non poteva che provocare la crisi della teoria retributiva56.

2.2. La prevenzione si distingue tra generale57 e speciale58.

Come visto nel paragrafo precedente, le teorie preventive, al contrario di quelle retributive guardano al futuro59. Sulla base della

teoria della prevenzione generale la pena assume la funzione di strumento attraverso il quale diminuire il tasso percentuale di commissione di un determinato reato60. Per il raggiungimento del

56 V. D.PULITANÒ, Sulla pena, cit., 650.

57 Sulla critica a considerare la prevenzione generale come scopo della pena si veda E. MORSELLI, La prevenzione generale integratrice nella moderna prospettiva

retribuzionistica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 56 ss.; sul dibattito se la prevenzione

operi anche nella fase giudiziale di applicazione della pena si legga A.PAGLIARO,

Commisurazione della pena e prevenzione generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981,

25 ss.

58 V. infra par. 2.3.; S.MOCCIA, Principi normativi, cit., 1012 s.

59 Cfr. F. EXNER, La funzione, cit., 23 s. si riscontra un’ulteriore distinzione tra retribuzione e prevenzione generale. Nella retribuzione qualsiasi fatto illecito deve essere punito, dall’impunità deriva un pregiudizio all’affermazione dell’autorità statale; la prevenzione generale mira alla tutela dei beni, pertanto è possibile rinunciare alla potestà punitiva qualora lo stesso scopo possa essere raggiunto con altri mezzi. Cfr. H.L.PACKER, I limiti, cit., 10 s.

60 In A.PAGLIARO, Verifica empirica dell’effetto di prevenzione generale, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1986, 353, si legge inoltre che in origine la prevenzione era impostata

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suddetto fine oggi si è soliti distinguere la prevenzione generale in

negativa e positiva. Secondo il modello negativo, che ha origine nel

Settecento, la pena è il mezzo con cui lo Stato intimidisce la generalità dei consociati, in modo da circoscrivere la propensione al reato61. Successivamente, in risposta alla crisi della prevenzione generale negativa e della prevenzione speciale, la prevenzione generale si afferma nella sua variante positiva. Essa permette di raggiungere la finalità di riduzione del tasso di futuri reati mediante il rafforzamento della fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato62. Comunque la si intenda, la prevenzione generale esplica la propria efficacia soltanto in un ordinamento che preveda pene severe – ma giuste, – certe e pronte63. Ed è la proporzione64 che permette di

ottenerne delle utilità; per converso la pena deve consistere in una disutilità pari che consenta la non commissione di reati. Ma tale impostazione non racchiude nel raggio d’azione tutti quei reati che sono risultato di fattori emotivi, 355; v. anche H. L. PACKER, I limiti, cit., 10, 39. L.EUSEBI, La pena in “crisi”, cit., 21 s. pone l’attenzione sul fatto che negli ultimi tempi la prevenzione generale sia stata adottata più come criterio di rilevanza penale di un determinato fatto, piuttosto che sull’individuazione dell’entità della pena; ‹‹Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve essere prescelto che, serbata la proporzione, farà un’impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo›› in C.BECCARIA,

Dei delitti, cit., 31, 107; G.FILANGIERI, La scienza, cit., 209 s., 471 s.

61 In argomento C.ROXIN, Derecho penal, cit., 91; S.MOCCIA, Principi normativi, cit., 1013; A. PAGLIARO, La riforma, cit., 1190; M. PAVARINI, La pena, cit., 4; E. MORSELLI, La prevenzione generale, cit., 56; F. VON LISZT, La teoria, cit., 51. 62 Cfr. infra par. 2.4.

63 Si veda A.PAGLIARO, Verifica empirica, cit., 353, 355; Id., La riforma, cit., 1190 s., 1197; Id., Le indagini empiriche sulla prevenzione generale: una interpretazione dei

risultati, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 449; T.PADOVANI, La disintegrazione attuale

del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 419 s.

64 V. A. PAGLIARO, Commisurazione, cit., 30 si parla di adeguatezza e non di proporzione perché, anche se accettato il suo operato al di fuori della retribuzione, non si accetta la sua funzione nelle teorie preventive; F. PALAZZO, Il principio di

proporzione e i vincoli sostanziali del diritto penale, in Principi, regole, interpretazione, contratti e obbligazioni, famiglie e successioni. Scritti in onore di Giovanni Furgiuele, a cura di SARA LANDINI e GIUSEPPE CONTE, Mantova, 2017, 315

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individuare quel certo livello sanzionatorio sentito come giusto, nei limiti imposti dalla colpevolezza. La limitazione si rende necessaria altrimenti si incorrerebbe in una intollerabile strumentalizzazione del colpevole finalizzata a conseguire un marcato effetto deterrente verso la collettività65. Per tale ragione la colpevolezza interviene e detta il limite massimo di responsabilità personale oltre il quale la pena non produce più effetti preventivi66.

Del resto, una pena eccessivamente gravosa ingenererebbe nella collettività un senso di ingiustizia che rischierebbe, paradossalmente, di tradursi in un aumento dei reati67.

Pertanto, nella concezione general-preventiva la proporzione permette di rendere coerente l’ordinamento punitivo e non si limita a operare in funzione di raccordo tra reato e pena, come invece accade nel caso della teoria retributiva. Essa equilibra l’intero

s. sul dibattito della configurabilità della proporzione come elemento strutturale della prevenzione generale.

65 V. M.PAVARINI, La pena ‹‹utile››, la sua crisi e il disincanto: verso una pena senza

scopo, in Rass. pen. e crim., 1983, 1, 7.

66 Cfr. W.FRISCH, Principio, cit., 169 s. questo contributo si sofferma sulla questione del rapporto tra colpevolezza e principio di proporzione nella prevenzione generale, ovvero se il principio di proporzione possa sostituire la colpevolezza nella determinazione della pena; W.HASSEMER, Perché punire, cit., 82 ss., vi si trova la spiegazione dell’importanza della colpevolezza e della proporzione dal momento che la sproporzione della pena, in un sistema prevenzionistico, non è causata da errori ma da esigenze di efficacia. Inoltre individua due modalità con cui la proporzione può operare: all’interno di una cornice edittale creata sui criteri del fatto illecito e della colpevolezza; oppure al di sotto del limite massimo imposto dalla pena individuata come adeguata, quindi permettendo anche la non applicazione di una pena. Quest’ultima ipotesi è quanto accade nelle misure di sicurezza. F.GIUNTA, Quale

giustificazione, cit., 273; T.PADOVANI, La disintegrazione, cit., 447 s.; Id., Teoria, cit.,

832 sulla distinzione secondo Roxin tra colpevolezza fondante e colpevolezza graduante la responsabilità; S. MOCCIA, Principi normativi, cit., 1022 s.; D. VALITUTTI, Retribuire, cit., 11 s.

67 In argomento, A.PAGLIARO, Verifica empirica, cit., 355; F.PALAZZO, Corso, cit., 32.

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sistema penale e non la singola pena al singolo reato, dal momento che il canone di giustizia caratterizzante la prevenzione generale, e di conseguenza la proporzione, necessita che i danni provocati dalle pene non siano maggiori dei danni che le norme penali vogliono prevenire68.

La prevenzione generale non è esente dalla crisi che ha coinvolto le teorie relative della pena: a causarla, al pari della retribuzione, è la mancanza di criteri in grado di determinare il tipo e la misura della pena69.

2.3. Nella prevenzione speciale lo scopo della pena è, come visto per la prevenzione generale, la riduzione del numero di reati commessi. La prevenzione speciale però interviene su una specifica persona, che abbia già tentato o commesso un reato, dissuadendola dal realizzare

68 Si veda D.PULITANÒ, La giustizia penale, cit., 37; A.PAGLIARO, La riforma, cit., 1191; T. PADOVANI, La disintegrazione, cit., 443 s.; G. MARINUCCI,E. DOLCINI,

Costituzione, cit., 362 s. nella valutazione dei costi e dei benefici non si deve guardare

soltanto al valore del bene giuridico da tutelare, ma altresì al ‹‹bisogno di tutela penale››.

69 In argomento, L.EUSEBI, La pena in crisi, cit., 12; W.HASSEMER, Perché punire, cit., 82 ad aggravare la situazione intervengono anche i problemi politici che la prevenzione generale coinvolge. Essa, in quanto volta alla generalità dei consociati, deve coinvolgere ulteriori elementi di valutazione come ‹‹il senso dell’ordine e la paura del crimine››; per un approfondimento storico dell’affermazione della prevenzione speciale si veda M.PAVARINI, La pena ‹‹utile››, cit., 11 ss.

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ulteriori illeciti70. Quindi la sanzione generalpreventiva è diretta alla

totalità dei consociati, quella speciale al singolo individuo. Gli strumenti con cui opera la prevenzione speciale sono la

risocializzazione – aspetto positivo – e la incapacitazione o neutralizzazione – aspetto negativo –71. La prima si preoccupa della rieducazione del reo ai valori condivisi dalla società in modo da permetterne il suo reinserimento, eliminando o riducendo gli aspetti criminogeni che lo hanno indotto al reato72.

La seconda limita, materialmente o giuridicamente, le possibilità di commissione di nuovi reati. L’incapacitazione materiale impedisce fisicamente la commissione di ulteriori reati attraverso la condanna a pena detentiva e conseguente isolamento dalla società73. Quella giuridica sottrae al reo una specifica qualifica, necessaria

70 Si veda A.PAGLIARO, Verifica, cit., 355 s.; C.ROXIN, Derecho penal, cit., 85; E. DOLCINI, Pena, cit., 18 si ritiene che la prevenzione speciale abbia ripercussioni sulla prevenzione generale: la rieducazione del colpevole si proietta verso la società e lo Stato deve offrire la possibilità ai rei di poter riconoscere i valori della società. 71 In argomento, A. PAGLIARO, Verifica, cit., 356; Id., La riforma, cit., 1191; S. MOCCIA, Principi normativi, cit., 1013 s.; F. VON LISZT, La teoria, cit., 51 ss. l’Autore, a prescindere dalla distinzione della prevenzione in generale e speciale, individua tre categorie di effetti della pena. Tra gli effetti di coercizione indiretta la risocializzazione e l’intimidazione, di coercizione diretta la neutralizzazione. Dopo averne definito gli ambiti, attribuisce i tre effetti a ben precise categorie di delinquenti: la neutralizzazione agli irrecuperabili, la risocializzazione a coloro ‹‹bisognosi di essere educati (…) ma non ancora perduti senza speranza di salvezza››, l’intimidazione ai delinquenti occasionali. Catalogazione ripresa anche da C. Roxin, Derecho penal, cit., 85 s. 72 V. E.DOLCINI, Pena, cit., 18; M.PAVARINI, La pena ‹‹utile››, cit., 17 ss. pone particolare attenzione alla distinzione tra le specie rieducative: alla morale, alla legge, all’autodeterminazione. C.ROXIN, Derecho penal, cit., 87.

73 In riferimento alle discussioni sulla compatibilità del principio di risocializzazione con la pena detentiva si vedano: E.DOLCINI, Pena, cit., 25 ss.; L.EUSEBI, La pena in

crisi, cit., 14, 95 ss.; T.PADOVANI, La disintegrazione, cit., 420 s.; M.PAVARINI, La

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all’esercizio di un’attività in cui vi è la probabilità di realizzare nuovi reati74.

Un ordinamento che ricorra alla pena in funzione esclusivamente di prevenzione speciale ammetterebbe la previsione e l’applicazione di pene indeterminate. Non fissare, nella sentenza di condanna, la quantità di pena permetterebbe infatti di adeguare l’esecuzione alle caratteristiche personali e alle esigenze di risocializzazione del singolo colpevole75. Si sarebbe però di fronte ad un sistema punitivo

non accettabile, violatore del principio di certezza del diritto e di eguaglianza del trattamento sanzionatorio. Un ordinamento garantista non può ammettere che la pena abbia soltanto finalità di rieducazione speciale. E a sostegno di un sistema penale rispettoso dei principi costituzionali interviene, quindi, la proporzione. All’interno della fase legislativa la proporzione vincola la comminatoria edittale al criterio della gravità del fatto76. È necessario che vi sia una corrispondenza di valore, per quanto possibile, tra il fatto illecito realizzato e la pena prevista da una determinata norma. Nella successiva fase giudiziale la proporzione limita ulteriormente la determinazione della pena. Infatti, all’interno della cornice edittale prevista dalla norma di riferimento, il giudice

74 Ad esempio l’interdizione dalla potestà genitoriale o dall’esercizio di un pubblico ufficio o esercizio.

75 Cfr. M.PAVARINI, La pena ‹‹utile››, cit., 7; C.ROXIN, Derecho penal, cit., 88; L. EUSEBI, La pena in crisi, cit., 14, 89.

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non può individuare una pena che superi il grado della colpevolezza personale del reo77.

La prevenzione speciale costituisce senz’altro uno dei capisaldi dei sistemi penali contemporanei; nel nostro ordinamento nazionale è l’art. 27 c. 3 Cost. a fare espressa menzione dello scopo rieducativo cui la pena deve tendere. Tuttavia, la prevenzione speciale non riesce ad esplicare i suoi effetti incondizionatamente. Emerge a tal riguardo il difetto nel riuscire ad adeguare la pena sia nel caso dei soggetti in relazione ai quali non emergono esigenze di risocializzazione, ad esempio perché il reato da loro commesso sia dovuto soltanto ad imprudenza, che nelle ipotesi di recidiva, verso i quali la prevenzione speciale non riesce ad ottenere esiti positivi78.

77 È necessario ribadire che i concetti di colpevolezza e di proporzionalità non hanno ambiti definitori ben precisi. Si tratta infatti di termini spesso confusi tra loro nelle varie applicazioni. Tali ambiti incerti hanno dato origine a diverse impostazioni dottrinali, come si può leggere cfr. supra par. 2. nota n. 32 sulla teoria elaborata da Roxin. Egli ritiene infatti che la colpevolezza non è elemento sufficiente a determinare la punibilità, ma consiste esclusivamente in un limite al potere punitivo del legislatore. Analogamente la proporzione non può concorrere con la colpevolezza a limitare il potere punitivo statale generale, il suo ambito deve essere ristretto alla funzione limitativa nella determinazione delle misure di sicurezza. Se invece si punta lo sguardo esclusivamente all’analisi della proporzione, si nota che la colpevolezza è elemento caratterizzante la proporzione soggettiva, potendo quindi distinguerla da quella oggettiva. Per maggiori approfondimenti si veda infra par. 3.; E.DOLCINI, Pena, cit., 18 s.; W.FRISCH, Principio, cit., 168.

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2.4. La crisi delle teorie preventive deriva sia dalla difficoltà di verifica scientifica dell’efficacia delle relative funzioni che dalla problematica individuazione di criteri di determinazione della pena che siano coerenti con un ordinamento democratico e garantista79. Tale crisi ha favorito la nascita delle correnti neoretributive. Esse danno nuova vita tanto alla retribuzione quanto alla prevenzione generale. Si tratta però di una retribuzione relativa e non più assoluta. In tal modo si consente il recupero del concetto di pena giusta, proporzionata al fatto commesso e la si integra con gli elementi costitutivi della prevenzione80. La prevenzione generale acquisisce la nuova formulazione positiva di strumento di ristabilizzazione della fiducia e di consolidamento della fedeltà81 da parte dei cittadini all’ordinamento giuridico. Pertanto la pena

79 In argomento, F.GIUNTA, Quale giustificazione, cit., 273 s.; L.EUSEBI, La pena in

crisi, cit., 13, 83; Id., La nuova, cit., 949 s., 958 ss. con particolare riguardo alla crisi

della prevenzione speciale nei Paesi – scandinavi e USA – di più larga applicazione. 80 V. D.PULITANÒ, La giustizia penale, cit., 36 s.: al di fuori della retribuzione la proporzione si riduce a principio distributivo delle pene ai reati; L.EUSEBI, La nuova, cit., 940 s.

81 Cfr. L.EUSEBI, La pena in crisi, cit., 24 s. in cui si legge che l’effetto intimidatorio della prevenzione generale può essere mantenuto nelle ipotesi di reati di lieve entità commessi da soggetti non pienamente integrati, 36 ss., 52 ss. premessa necessaria all’efficacia della prevenzione generale positiva è che lo Stato garantisca il principio di certezza del diritto e che la determinazione della pena non incida negativamente sulla serietà del precetto. Per una migliore comprensione di quest’ultima, l’autore cita l’esempio della multa di centomila lire prevista nei casi in cui la donna interrompa la gravidanza violando la procedura prevista dalla l. n. 194/1978, una sanzione irrisoria che non dà la giusta importanza alla vita del concepito; Id., Appunti minimi di politica

criminale in rapporto alla riforma delle sanzioni penali, in Criminalia, 2007, 185 s.,

191 s.; Id., Cristianesimo, cit., 200; S.MOCCIA, Principi normativi, cit., 1013 s.; A. PAGLIARO, Verifica, cit., 355 l’Autore individua due vantaggi derivanti dalla prevenzione integratrice rispetto a quella originaria di sola intimidazione. Fidelizzare i cittadini è la strada migliore per far funzionare al meglio l’ordinamento; evitare alla prevenzione generale i più volte citati problemi di terrorismo sanzionatorio in cui incorrerebbe se volta alla sola intimidazione della società; Id., La riforma, cit., 1190.

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assume due funzioni coesistenti: punizione di quanto commesso nel passato ed elemento deflazionistico per il futuro82.

All’interno del sistema delle teorie neoretributive merita menzione la teoria della prevenzione integratrice. In questa concezione la prospettiva retributiva83 vincola la determinazione della pena alla colpevolezza84 così da soddisfare il bisogno di giustizia della vittima

e della società. E proprio grazie al recupero della retribuzione la proporzione riacquisisce il ruolo di criterio adattatore della pena alla gravità del singolo reato, di sanzionare equitativamente quanto commesso nel passato. Una pena retributiva, come detto, non più in senso assoluto, ma che oltre alla punizione del fatto permetta anche la realizzazione di esigenze preventive.

La prevenzione integratrice consente quindi di colmare le lacune lasciate dalle precedenti teorie della pena singolarmente considerate. Invero, grazie ad essa si possono coniugare gli aspetti positivi della retribuzione, della prevenzione generale e speciale, cui si può

82 In argomento, F.GIUNTA, Quale giustificazione, cit., 274 s.; L.EUSEBI, La pena in

crisi, cit., 13, 33 ss. Oltre alla prevenzione integratrice elaborata da Roxin, l’Autore

individua altre due correnti principali. In una la pena è il mezzo con cui si neutralizza il danno psicologico provocato nella società; nell’altra la pena, specificatamente retributiva, riafferma la validità della norma violata e consolida l’autorità dello Stato, 67; Id., La nuova, cit., 914 s., 928, 948 s.; Id., Appunti minimi, cit., 188; Id.,

Cristianesimo, cit., 199; D.PULITANÒ, La giustizia penale, cit., 34 s.; M.PAVARINI,

La pena ‹‹utile››, cit., 8; C.ROXIN, Derecho penal, cit., 93 ss.

83 Cfr. L.EUSEBI, La nuova, cit., 915 ss.: alcuni Autori rifiutano la retribuzione come scopo della pena, ma allo stesso tempo non possono farne a meno in chiave garantistica, come struttura stessa della sanzione. ‹‹I limiti della penalizzazione verrebbero decisi, sul piano legislativo, in base a valutazioni finalisticamente orientate, ma, ove si punisca, l’individuazione concreta della sanzione non potrebbe prescindere dal riferimento retributivo››, 937 ss., 941 ss.; Id., Cristianesimo, cit., 206 s.; E. DOLCINI, La disciplina della commisurazione della pena: spunti per una riforma, in

Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 50.

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ricorrere in base al momento in cui si guarda alla pena85. All’interno

di questa teoria, come si vedrà, la proporzione gioca un ruolo significativo sotto più profili.

3. Oggi il principio di proporzionalità è pacificamente considerato principio generale dell’ordinamento86. La proporzione delle pene è

un principio estremamente cangiante, che può assumere diversi significati e ruoli87.

Proporzionalità della pena significa, in primo luogo, previsione e applicazione di una risposta sanzionatoria corrispondente alla

85 Cfr. D.PULITANÒ, Sulla pena, cit., 648 l’Autore, a sostegno, cita le sentenze della Corte costituzionale n. 264/1974 e n. 306/1993. Esse sostengono che tra dissuasione, prevenzione e difesa sociale non può stabilirsi una gerarchia poiché sarà il legislatore a far prevalere la finalità necessaria al caso.

86 E non soltanto in ambito penale, è considerato infatti uno dei principi della giustizia che è in grado di influenzare tutti gli interventi dei pubblici poteri, come ad esempio il diritto amministrativo. Così si legge in W.HASSEMER, Perché punire, cit., 155. Inoltre

è principio ormai previsto, espressamente o meno, dalla maggior parte degli ordinamenti statali ed applicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte di Giustizia, A.MERLO, Considerazioni, cit., 1435; V.MILITELLO, La proporzione

nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006,

838 che descrive così la proporzione: ‹‹Essa non è altro che il risvolto di quel principio di bilanciamento degli interessi, che innerva l’ordinamento giuridico nelle sue molteplici articolazioni››; S.CORBETTA, La cornice, cit., 151; A.M.MAUGERI, I reati,

cit., 473 ‹‹ il principio di proporzione è un limite generale della funzione legislativa, al quale si devono conformare tutte le leggi ordinarie, sia che riguardino diritti inviolabili sia che disciplinino altre fattispecie di qualsiasi genere››; D.PULITANÒ, La giustizia, cit., 36.

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