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ARISTOTELE - POLITICA

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Academic year: 2021

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ARISTOTELE: Politica (Libro primo, par. 1-4, inizio par. 7)

1. Come si può vedere, ogni polis è una comunità e ogni comunità si

costituisce in vista di un qualche bene (tutto quello che si fa, lo si fa infatti in vista di qualcosa che appare essere un bene); è evidente dunque che tutte le comunità tendono a un bene e che, in particolare, al bene più importante tende la comunità più importante, che include in sé tutte le altre: e questa è appunto ciò che chiamiamo “polis”,

ovvero la comunità politica.

Ora, quanti credono che l’uomo politico, il re, l’amministratore e il padrone siano la stessa cosa, non dicono una cosa giusta (pensano infatti che la differenza tra ciascuna di queste figure sia di tipo

quantitativo e non di specie, come a dire che se le persone sottoposte sono poche si ha il padrone, se sono un po’ di più l’amministratore, se ancora di più il politico o il re, quasi che non ci fosse differenza tra una grande casa o azienda familiare e un piccolo stato; e, riguardo al

politico e al re, pensano che se uno esercita l’autorità da se stesso, allora è re, se invece la esercita secondo le norme della scienza

politica, essendo allo stesso tempo governante e governato, allora è un politico. Ma tutto questo, in realtà, non è vero).

Quanto stiamo dicendo sarà chiaro se consideriamo la questione

seguendo il nostro consueto metodo di ricerca. Come negli altri campi, è necessario analizzare ciò che è complesso fino agli elementi semplici (e cioè fino alle parti più piccole di tutte); così, esaminando di quali elementi è composta la polis, si capirà meglio, anche delle figure che ho appena nominato, quali siano le effettive differenze e se ci sia modo di trattare ciascuna di queste nozioni come un termine tecnico coerente.

2. Se si studiano le cose risalendo alla loro origine, in questa come in

ogni altra cosa, se ne avrà una visione quanto mai chiara. La prima necessità dunque è che si uniscano quanti non possono esistere separati uno dall’altro: come il maschio e la femmina in vista della riproduzione (e questo non per un qualche progetto intenzionale ma, come negli altri animali e nelle piante, per l’impulso naturale di

lasciare dopo di sé un altro simile a sé) o come chi per natura guida e chi è guidato, in vista della loro sopravvivenza e conservazione. Chi infatti è in grado di guardare avanti con l’intelligenza è per natura

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guida e padrone, chi può invece faticare con il corpo è guidato e per natura è servo. Padrone e servo hanno dunque un obiettivo comune. E per natura la donna e il servo sono cose diverse (infatti la natura non fa nulla con ristrettezza, come i fabbri col coltello delfico, ma fa una cosa sola per un solo fine; in questo modo ciascun suo strumento sarà davvero un prodotto perfetto, perché non è rivolto a diverse funzioni ma a una sola). Tra i barbari invece la donna e il servo sono sullo

stesso piano. E il motivo è che il principio che fa da guida i barbari non lo possiedono affatto, perciò la loro è una comunità di servi e serve. Perciò i poeti dicono: “Comandare sui barbari agli Elleni ben s’addice”, come se per natura barbaro e servo fossero la stessa cosa.

Da queste due forme di comunanza <quella tra maschio e femmina e quella tra chi guida e chi è guidato> prende forma il primo nucleo di tipo domestico, e giustamente Esiodo dice nel suo poema: “casa è prima di tutto la moglie e il bove che ara”, perché per chi è povero è il bove a fungere da servo.

La comunità che, per natura, si costituisce per riprodurre la vita giorno per giorno è dunque l’oikos, il complesso familiare <o casa>, i cui membri Caronda chiama “compagni di tavola” ed Epimenide di Creta “commensali”. La prima comunità fatta di più famiglie, con finalità che non siano di pura sussistenza quotidiana, è invece il villaggio. Nella sua forma più naturale, il villaggio si presenta come una famiglia allargata, formato da quelli che alcuni chiamano “fratelli di latte” o “figli” e “figli di figli”. Perciò in un primo tempo anche le città-stato erano rette da re, come lo sono ancora adesso i gruppi etnici e tribali. Erano tutti sottoposti a un re come ogni complesso familiare è sottoposto al più anziano, e così quindi anche ogni clan familiare allargato, basato sulla consanguineità. È questo che

intendono anche le parole di Omero: “E ciascuno governa i suoi figli e la moglie”, perché vivevano in gruppi separati uno dall’altro ed era questo il sistema di vivere antico. E il motivo per cui tutti dicono che anche gli dei sono soggetti a un re è appunto questo, che sono loro, gli uomini, a essere soggetti a un re - alcuni ancora adesso e altri lo sono stati un tempo – e, come immaginano le forme degli dei simili alle loro, così anche la vita.

La comunità formata da molti villaggi è infine la polis, comunità

perfetta, che raggiunge quello che possiamo considerare il livello della completa autosufficienza (autarchia): nata per la necessità della vita, si

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mantiene in vista di una vita felice. Quindi ogni città-stato (polis) esiste per natura, visto che per natura esistono le prime comunità; essa ne costituisce infatti il fine e il fine di una cosa è la sua natura: così, ad esempio, ciò che ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, quella diciamo che è la sua natura, che si tratti di un uomo, un cavallo o una casa. Del resto, ciò verso cui una cosa tende e che ne è lo scopo è l’ottimo e, in questo caso, l’autosufficienza (o autarchia) è appunto lo scopo e l’ottimo. Da queste considerazioni è evidente che la polis fa parte delle cose naturali e che l’uomo è per natura un animale politico. Chi quindi è privo di una comunità politica per sua natura, e non per un caso fortuito, o è un bruto o è qualcuno di sovra-umano, come quello che Omero apostrofa come “privo di famiglia, di leggi, di

focolare”. E chi è tale per natura è anche sempre in cerca di conflitto, perché è isolato come una pedina nel gioco dei dadi.

È chiaro dunque che l’uomo è un animale politico in un senso ben più alto di un’ape o di un animale da gregge. La natura infatti, come si suole dire, non fa niente che non abbia scopo e l’uomo è l’unico, tra i viventi, ad avere il linguaggio verbale (logos). La voce segnala infatti la gioia o il dolore, e perciò la possiedono anche gli altri animali (e fin qui arriva, in effetti, la loro natura: provare la sensazione del dolore e del piacere e segnalarselo l’un l’altro), il linguaggio è fatto invece per esprimere cosa sia utile e cosa nocivo e, quindi, cosa giusto e cosa ingiusto. Questo infatti è un requisito specifico dell’uomo rispetto a tutti gli altri esseri viventi: di avere lui solo la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e così via. Ed è la

condivisione/comunità di queste cose a costituire la comunità familiare e la polis. E secondo natura la polis precede la famiglia e anche ciascuno di noi, perché necessariamente l’intero precede le parti: se infatti si sopprime l’intero <ad esempio il corpo>, non ci saranno più né piede né mano se non di nome, come quando chiamiamo “mano” una mano di pietra (tale diventa, una volta

distrutta). Tutte le cose sono definite infatti dalla loro azione e dalla loro potenzialità: se queste cambiano, anche le cose non sono più le stesse se non di nome. È chiaro perciò che la polis esiste per natura e precede ogni individuo singolo: se non è autosufficiente una volta separato dalla comunità, anche per l’individuo varrà ciò che vale per le singole parti in rapporto all’intero; chi quindi è impossibilitato a

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comunicare/condividere o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, evidentemente non è parte della comunità politica ed è quindi o una specie di bestia o un dio.

Insomma, la spinta verso una comunità di questo genere è per natura in tutti. Chi dunque per primo la costituì fu causa di grandissimi beni. Perché l’uomo, quando è compiutamente realizzato, è il migliore tra i viventi, mentre quando si stacca dalla legge e dalla giustizia è il

peggiore di tutti. Niente è infatti più pericoloso dell’ingiustizia dotata di armi, e l’uomo viene al mondo dotato di armi che dovrebbero

servire all’intelligenza e all’eccellenza morale, ma che possono a maggior ragione essere adoperate per il loro opposto. Senza

eccellenza morale o virtù, è l’essere più sfrontato e selvaggio, portato solo al godimento e alla gozzoviglia. E la giustizia (dikaiosyne)

appartiene alla dimensione politica, perché è il diritto (dike) a dare ordine alla comunità politica ed è la giustizia a stabilire quale sia il diritto.

3. Poiché ora è chiaro di quali parti sia composta la polis, sarà

necessario per prima cosa parlare dell’amministrazione familiare o domestica (oikonomia), visto che ogni polis è composta di complessi familiari. Elementi dell’amministrazione familiare (oiko-nomia)

saranno le parti di cui è composto il complesso familiare (oikia) e un tale complesso, quando è completo, è formato di servi e uomini liberi. Ogni cosa va studiata in primo luogo nelle sue strutture elementari, e le strutture elementari e prime di cui è composto il complesso

familiare sono i rapporti tra padrone e servi, marito e moglie e padre e figli. Perciò, dati questi tre tipi di rapporto, occorre indagare la natura e le proprietà di ciascuno dei tre. Tali sono il rapporto padronale, quello coniugale (per la verità manca un termine preciso per indicare la relazione tra uomo e donna) e quello parentale, che deriva dalla procreazione (perché anche questo non è designato da un termine specifico). Siano dunque questi i tre rapporti di cui abbiamo parlato. C’è poi un aspetto specifico che per alcuni costituisce l’oikonomia come tale, per altri la sua parte principale, e che sarà il caso di

approfondire in seguito. Mi riferisco alla cosiddetta “crematistica” <la produzione di beni destinati allo scambio>.

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Parliamo dunque in primo luogo del rapporto tra padrone e servo per coglierne gli aspetti necessari e vedere se, a riguardo, riusciamo a ottenerne una comprensione maggiore di quella corrente finora. Ad alcuni sembra che il governo padronale sia una vera e propria scienza e che l’amministrazione familiare, il governo padronale, quello del politico e quello del re siano la stessa cosa, come abbiamo detto all’inizio. Per altri invece la condizione del padrone è estranea alla natura e artificiale (giacché la condizione di padrone o di servo è fissata per legge, mentre in natura una differenza del genere non esiste affatto), perciò essa non sarebbe affatto giusta, ma basata semplicemente sulla forza.

4. Ogni oggetto di proprietà è parte del complesso

domestico/familiare (oikia) e occuparsi delle proprietà è parte dell’amministrazione domestica (oikonomia) (senza disporre del necessario, infatti, non si può né vivere né tanto meno condurre una buona vita). Ora, come in tutte le tecniche determinate è necessario disporre degli strumenti adatti per poter portare a compimento l’opera, così dovrà disporne anche chi governa un complesso

domestico. E di questi strumenti (organa) alcuni sono inanimati, altri animati (per chi governa una nave ad esempio il timone è inanimato mentre l’ufficiale in seconda è animato. In ambito tecnico, infatti, chi è subordinato è una specie di strumento). Ora, anche un oggetto di

proprietà è uno strumento per la vita, e le proprietà di una casa costituiscono un insieme di strumenti. E il servo è a sua volta una specie di proprietà animata, per cui è come uno strumento che ha la precedenza su tutti gli altri strumenti.

In effetti, se ogni strumento potesse compiere la sua opera dietro un semplice comando o prevedendolo in anticipo – come si dice che facciano le statue di Dedalo o i tripodi di Efesto, che stando al poeta “entrano di proprio impulso nel consesso divino” – e se quindi le spole potessero tessere da sole e i plettri da soli suonare la cetra, allora i maestri artigiani non avrebbero sicuramente bisogno di subordinati, né i padroni di servi. Quelli che di solito chiamiamo strumenti sono però strumenti finalizzati alla produzione di un oggetto o di un’opera determinata, mentre le proprietà sono strumenti pratici, finalizzati all’azione in senso lato (praxis). Per intenderci: dalla spola si ottiene

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qualcosa d’altro, a parte il suo uso, mentre dall’abito e dal letto solo l’uso. Poiché dunque produzione e azione differiscono l’una dall’altra, ma hanno entrambe bisogno di strumenti, anche tra questi strumenti ci sarà necessariamente la stessa differenza. La vita, infatti, è azione, non produzione. Il servo perciò è un subordinato nell’ambito degli strumenti finalizzati all’azione in senso lato. Il termine “proprietà” si usa come il termine “parte”. La parte non è infatti solo parte di

qualcos’altro, ma appartiene in tutto e per tutto a questo qualcos’altro, e così pure la proprietà. Perciò, mentre il padrone è solo padrone del servo, ma non appartiene a lui, il servo non solo è servo del padrone, ma appartiene anche in tutto e per tutto a lui.

Da queste considerazioni è dunque chiaro quale sia la natura del servo e quale ne sia la potenzialità. Chi, pur essendo uomo, per natura non appartenga a se stesso ma a un altro, quello sarà servo per natura. E appartiene ad un altro chi, essendo uomo, è una proprietà, essendo una proprietà uno strumento a sé stante, finalizzato all’azione.

(…)

7. È chiaro da queste considerazioni che il ruolo del padrone e quello

dell’uomo politico non sono affatto la stessa cosa, e così pure tutte le altre forme di comando non sono la stessa cosa, come alcuni

pretendono. L’una si esercita infatti su uomini liberi, l’altra su servi; e l’amministrazione domestico/familiare prevede il comando di uno solo (tutti i complessi domestico/familiari sono infatti governati da una sola persona), mentre l’attività politica si esercita tra uomini liberi e uguali. Il padrone poi non è definito tale perché possieda una

qualche scienza particolare, ma per la sua semplice condizione, e così pure i servi e gli uomini liberi.

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