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Le donne nell'antica società genovese

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G I O R N A L E LIGUSTICO 2 7 5

d i F o c e a p e r la \^alida e costante cooperazione prestata alla b u o n a c a u s a ; sdegna in vece più volte e con particolari forse e s a g e r a t i , m a in te re ssa n ti, la condotta di Segurano Saivago e d e lla s u a fa m ig lia , tutti dediti al Sultano d’ Egitto, di cui fa n n o s v e n t o la r e la bandiera nelle loro navi, ed a cui portano

s c h ia v i e s c h ia v e per nu trirne l’ armata mamalucca e gli harem, e c h e lo ra p p re se n ta n o nelle ambasciate a Principi 0 Imperatori. D i q u e s to scritto re nulla era conosciuto finora, non poten­ d o s i a lu i assegn are un’ altra Memoria sull’ État du Grand C h a a n c h e alcu n i gli attribu ivan o, ma che deve essere stata c o m p o s t a d a l successore di lui nell’ arcivescovato, Giovanni d i C o r e .

X I I I . X IV . X V . Se z io n e di Sto ria. T o rn a te del 1 0 , 24 c 31 Maggio 1878. P resid en z a del Preside cav. avv. Co r n e l i o Desim o n i.

N e lla p r im a di queste tornate il cav. Luigi Cambiaso, con­ s o le d ’ I t a lia a San D o m in g o , espone i fatti che si connet­ t o n o a lla recen te scoperta delle sepolture dei Colombo in q u e lla c a t te d r a le , e le indagini che concernono i resti mortali d e ll’ in s ig n e Scop ritore d ell’ America.

N e lla se d u ta del 2 4 il socio Staglieno legge la seconda parte d e lla s u a m e m o r ia : L e donne nell’ antica società genovese; e in q u e lla d e l 3 1 dà lettura della terza ed ultima parte.

E c c o l ’ in te ra m em oria.

I.

D e lle fa n c m lle , degli sponsali e dei matrimoni.

L a n a s c it a d’ una fem m ina non era generalmente presso i n o stri a n t i c h i , com e non è fra n o i, motivo di alcuna alle­

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grezza in famiglia. Le fanciulle in essa consideravano come piante parassite da allevarsi per andar fuori, onde ai maschi tutte le preferenze; e mentre al nascere di uno di costoro, in ispecie se primogenito, usavansi solennità ed allegrie, conviti, e talora danze e festini, quasi mai ciò avveniva per una bambina, a meno che qualche circostanza straordinaria, quale per esempio la già avuta prole maschile od una lunga sterilità, la facessero desiderata e ben veduta.

Qualche venti o trent’ anni f a , e meglio ancora più addietro, a quasi tutte le fanciulle si imponeva il nom e di M aria, od almeno questo era il primo dei diversi nom i che si davano ad esse battezzandole; donde il proverbio, che a G enova tutte le donne fossero Marie come gli uomini B attisti. M a antica­ mente non era così : negli atti anteriori al secolo X I I questo nome non trovasi affatto.

La prima volta che appaja è del 1 1 6 2 ; e se in appresso qualche volta si legge, fino al secolo X V è poco comune. Nè ciò deve far meraviglia, ove si consideri che l ’imposizione di tal nome si collega col culto della M ad o n n a, e che questo cominciò ad estendersi fra noi con qualche particolarità sol­ tanto nel secolo X V , dopo che venne innalzato un altare alla Vergine nella Cattedrale di S. Lorenzo. M a quel che più vi contribuiva era la solenne dedicazione della R epubblica fatta nel 1637 a Maria Santissima, la quale era p roclam ata regina e sovrana di Genova e di tutto il dominio.

Comuni invece erano a quei tem pi, e specialm ente sino al secolo X III, le Adelasie, le Agnesi, le A nne, le A id e , le Drude, le Giulie, le Richelde, le Sibille, le Oficie, e cento altri nomi derivati dai Rom ani 0 dai Barbari, o cagio n ati da qualche particolare circostanza, come B ianca, B ru n a , Beneincasa, Bo- nanata, Cesarea, Cara, Careta, Carabona, e sim ili.

Sembra però che intorno a questi tempi le donne non con­ tinuassero sempre ad essere chiamate col n o m e lo ro dato da

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G IO R N A L E LIGUSTICO 277 b a m b in e ; c h è quelli di Altadonna, Altafoja, Beaqua, Bonadonna, D o m n a C a p r in a , Dom nesella, Donina da ben, Superbia, Bonafilia, M a d r o n a , L e t a , ed altri allu sivi a qualità fìsiche 0 morali che n o n s i p o t e v a n o m anifestare nella infanzia, come i sopran­ n o m i , s o n o certam en te stati imposti in appresso.

A n c h e n e i seco li seguenti le donne talora cambiavano di n o m e . D i c iò abbiam o non pochi esempi negli atti dei notari, o v e si n o m in a n o spesso col nome vecchio e col nuovo. A t a c e r m i d i o g n i a ltra , accenerò ad una del casato Dall’ Orto, m o g lie n e l 1 4 7 7 di un m io ascendente in linea retta, il David de S t a lia n o n o taro e nel 15 0 0 cancelliere del Comune; la q u a le in m o lt i atti è indicata come in prima chiamavasi A g n e s e e q u in d i P ellegrin a : Agnesia nunc vocata Pellegrina.

D i q u e s t i te m p i e per qualche secolo appresso i nomi femmi­ n ili p iù u s it a t i, e che facevansi si può dir concorrenza l’uno c o ll’ a l t r o , e r a n quelli di Franceschetta, Brigidino,, Pellegrina, B a ttis fin a , M a rg a ritin a ,, Bénedittina , Sobranetta, Caterina, M a r i o la , e d alcuni ne appaiono piuttosto strani quali Bel- la flo s , L i n o , A lterisι α , Speciosa, Novellina. Nè posso tacermi d a ll’ o s s e r v a r e , che n eg li atti dei notari i nomi delle donne s o n o q u a s i se m p re scritti nei loto diminutivi o vezzeggiativi; p e r c u i a n c h e quelli che m ale suonerebbero all orecchio si p r e s e n ta n o b e lli e graziosi.

P r e s s o i n o stri antenati i bambini passavano gli anni del- Γ in fa n z ia n e lla casa paterna. Nè a quei tempi, per quanto a n g u s t e fo s s e r o le vie della città, le abitazioni mancavano di a r ia e d i l u c e ; tanto più che non erano nè così spesse ed a m m u c c h ia t e , nè p oggiavan o ad una straoidinaiia altezza c o m e o r a a v v ie n e ; e tutte poi erano provviste 0 di giardini, o d i c o r t ili, o di lo g g e , o di terrazzi. Le donne generalmente u s c iv a n o m o lt o più di rado che non adesso, e dei bambini n e s s u n o , fin c h é non avessero almeno sette anni per andate a lla m e s s a , fa tta eccezione per le straordinarie circostanze di

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processioni o sim ili, e per quei del popolo che vivevano nelle piazze e nelle strade, la più parte delle quali non erano decorate da tante bo ttegh e, nè frequentate da tanto popolo come oggigiorno.

Verso i sette anni pertanto, le fanciulle uscivano di casa per andare alla chiesa o colle loro madri od accompagnate da servitrici e pedisseque.' A questa età si com inciava ad im­ partire loro qualche istruzione di lavoro d’ ag o , ed anco di leggere e scrivere; ciò s ’ intende per quelle di civile condi­ zione, che le altre, non appena erano in grado di farlo , aiutavano le madri nei lavori procurando guadagnare anch’ esse qualche cosa.

L e istruzioni pei lavori e pel leggere e scrivere le riceve­ vano nelle case dalle madri o dai parenti, oppure in qual­ che monastero di fem m ine, ai quali nei secoli scorsi era r i­ stretto , si può d ir e , il privilegio della educazione femminile. Pochissima però era la parte che si assegnava alla cultura letteraria; chè mentre le nostre fanciulle si curavano moltis­ simo onde riuscissero valen ti, come infatti riu scivan o , nei lavori d’ ag o , nei ricam i, nei merletti e nelle trin e, in quella erano invece trascuratissime. Sino alla fine del secolo scorso era cosa rara che una donzella, anche delle più ragguarde­ voli della città, fosse in grado di scrivere correttamente una

lettera, in omaggio alla massima generale che bastava alle donne di saper tanto da poter tenere la lista del bucato.

N è a questo era estraneo il timore, che il m aggiore sviluppo nell’ educazione delle fanciulle potesse porgere il destro di annodar relazioni capaci di osteggiare quanto a riguardo del loro collocamento avevano stabilito i genitori; chè essendo la sorte dei figli fissata, si può d ire , irrevocabilm ente da questi a ll’ epoca del nascimento, difficilmente gli stessi ed in ispecie le figlie vi si poteano sottrarre.

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GIOR NALE LIGUSTICO 279 a d iv e rsi m a s c h i, questa poteva benissimo nutrire speranza di e sse re con dotta a m arito ; ma se ve n’ erano più, quasi tu tte v e n iv a n o destinate al chiostro ne avessero 0 no la vo­ ca z io n e . P e r ciò non appena uscivano dalla prima infanzia o si c o llo c a v a n o colà in educazione, onde abituarle a quella vita per p o i rin ch iu d ervele , o vi si mandavano a scuola, non tra la sc ia n d o in fa m ig lia , ne’ discorsi e nel trattamento, di c o n s id e ra rle com e altrettante monachelle della stabilita reli­ g io n e e d el designato convento.

T u t t i , specialm ente negli ultimi tre secoli della Repubblica, a v e v a n o d elle relazioni di parentela e di interesse con qualche m o n a ste ro fem m inile. Di questi ve ne erano per qualsiasi cla sse s o c ia le ; per la nobiltà, per la borghesia, per il popolo, ed o g n u n o v i aveva delle zie, delle sorelle, delle cugine. Onde n e i p a rla to ri de’ m onasteri era un continuo andate e venire di p e rso n e , e le fanciulle vi erano manda te come a divertimento per v is ita r e le loro parenti colà rinchiuse; le quali poi con tu tti i m e z zi, cercavano di allettar le giovani alla vita monastica o p er p ro p ria co n vin zio n e , o perchè indettate dai parenti, o se n o n a ltro per procurarsi il piacere dei dannati di essere tanti in com p agn ia. Onde le poverette, quando anche non \i si s e n tisse ro inclinate, a poco a poco si lasciavano indurre, ed u n a v o lta varcata quella soglia fatale la ferrea porta si chiu­ d e v a p er sem pre dietro le loro spalle.

E n tr o le pareti dom estiche le fanciulle passavano la loro v ita in donneschi la v o r i, e nelle faccende di casa secondo la lo ro con d izion e, e ne’ momenti d’ o zio , alla finestra 0 sulle lo g g ie e sulle terrazze. Raram ente intervenivano a spettacoli, a fe s tin i, a d ivertim en ti, eccetto quelli che si proponevano p ra tic h e di religio n e, com e le processioni, 1 presepi, le simi­ litu d in i ; e ciò può anche spiegare in parte perchè tanto ap­ p aian o devote le donne di quei tempi.

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modificate negli anni su ccessivi, che pretendevano frenare le spese immoderate e regolare gli abbigliamenti donneschi, pei mettevano alle donne dai sette ai dodici anni Γ adornarsi d oii e di gemme vietate alle donne ed alle piccole bambine. Ed una disposizione emanata nel 1 5 7 r , lorse riferentesi ad antiche consuetudini, considerava come un privilegio delle fanciulle, di qualunque età si fossero, lo intrecciar nei capegli quei sottilissimi fili di argento che dal loro brillante lucicare chiamiamo in dialetto brille; donde io credo sia derivata la costumanza di cospargere di esse brille, a modo di ru giada, i iioii destinati ad ornamento delle vergini defunte, ed il mazzo funerale che si pone ancora adesso sul feretro delle medesime.

L età nubile per le donne, secondo il dritto rom ano, era stabilita a dodici anni; e le citate leggi suntuarie del 1440 stabilivano che le fanciulle giunte a detta età, per ciò che ìiguarda i vestiti, fossero come donne considerate. Q uesta era 1 età valida per maritarsi anche a tenore delle leggi ecclesia­ stiche; e da allo ra, a quelle che erano destinate allo stato coniugale si concedeva un po’ più di svago, non certo quanto adesso, ma oltre l’ usato e secondo il comportavano le con­ dizioni dei tempi.

Le fanciulle di civile ed anche di ben modesta condizione, andando fuori, erano sempre accompagnate dalle madri o da alti e parenti o donne di età matura che invigilavano sopra di loro. Alle schiave, alle fantesche, a quelle del più basso stato sociale soltanto era permesso andar sole. Ciò facendo, le donne tutte, e specialmente le giovani e le fanciulle, erano esposte a mille pericoli. I giovanotti galanti di quei tempi erano meno educati del di d’ o g gi; chè rapire una donna a solo scopo di abusarne era cosa comune anche fra i più ragguardevoli della città.

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GIORNALE LIGUSTICO

per ricch ezze erano minacciate talora anche da un altro guaio; q u ello cioè di essere abbracciate e baciate di sorpresa in pubblica v ia , o di sentirsi metter le mani sul seno da giovani di in ferio re condizione, che cercavano in questo modo di compro­ m etterle , per obbligare i parenti a concederle loro in ispose ; onde le le g g i dovettero sancire pene a frenare il malo costume.

P e r ciò se in quanto all’ uscir fu o ri, all’ andare a passeggio o ad altri divertim enti, piuttosto rare erano le volte in cui in terv en isse ro le ragazze , queste se ne compensavano larga­ m ente ad ogni occasione che loro si presentasse, e giornal­ m ente poi stando alla finestra ed alle loggie, ed intrecciando in trig h e tti am orosi e pettegolezzi donneschi, cosi comuni a chi v iv e una vita priva di occupazioni dello spirito.

M a d o ve aveano agio di divertirsi a loro talento era nelle v ille g g ia tu re . Ivi campagnate, merende, cene, danze, festini; ai q u ali con tanta più di ansietà partecipavano le donne, e particolarm en te le fanciulle, quanto maggiore la vita ritirata che eran o costrette a vivere in città.

N e i se co li X V I I e X V I I I , nei quali era grande la corru­ zione dei costum i ed artificiale di molto la vita che le signore d o ve v a n o condurre in città, legate come erano da mille conven- n ie n z e , e sorvegliate dalle leggi suntuarie, è nelle ridenti collin e di A lb a ro , di Sampierdarena, della Polcevera, delle due r iv ie r e , ed anco d’ oltre l’ Apennino, ove le donne im­ m ensam en te si divertivano, godendo allora una libertà e sfog­ gian do un lusso che anche al dì d’ oggi sembrerebbero ec­ ce ssivi.

P ro fittan d o delle favorevoli circostanze, spesso le fanciulle in cam pagn a si inoltravano con relazioni amorose non sempre coron ate da esito felice; chè la più parte, contratte con inconsideratezza giovanile, erano cagione di tardo pentimento e di la g rim e am are. Imperciocché avendo i genitori altri­ m enti disposto di e sse , non appena se ne accorgevano, o le

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chiudevano in m onastero, o ad altre nozze, poco im porta se riluttanti, le costringevano.

In questa materia l’ jus romano delle X I I tavole era in tutta la sua crudezza u sato, chè il padre disponeva a suo ar­ bitrio della prole sia vivo che m o rto , avendosi dei testamenti ove è stabilito quale de'’ figli e delle figlie debba m aritarsi, quale farsi monaca 0 frate; nè questi atti mancano talorà di costituire dei procuratori incaricati della esecuzione delle paterne volontà.

Sino da tempi antichissimi occorrono atti di sponsali fatti da genitori di figli in età infantile; nè rari sono quelli dove è promessa la fanciulla bambina ed ancora lattante, com e fece il 24 marzo del 14 8 5, con atto del notaro Cristoforo R o llero , un Giovambattista De Ghirardi per sua figlia G inevrina di appena un a n n o , con un Paolo Berardo giovanotto che avea già oltrepassato i venticinque anni, e che perciò all’ epoca del matrimonio doveva essere relativamente già vecchio.

In mancanza del padre gli ascendenti od i fratelli disponevano delle sorelle, assegnando, ben s’ intende, alle stesse la minor dote possibile; chè le leggi essendo tutte a favore dei m aschi, nessun diritto avevano esse di legittima su ll’ asse paterno.

Quanto si dava per dote ad una fanciulla consideravasi in certo modo come sottratto alla fam iglia; e quando in progresso di tempo più equi principii, vincendo gli inveterati pregiu­ dizi, fecero si che nella pratica le doti si accrescessero, le leggi informate alle antiche consuetudini venivano a mode­ rarle, considerando questa tendenza come un abuso donde potea derivare la rovina delle famiglie. N el 15 4 2 al prim o di ottobre era fatto un decreto appunto contro le doti eccessive, e si stabiliva che da chicchessia non potessero costituirsi in somma maggiore di tre mila scudi d’ oro del sole da sessan- tanove soldi per scudo.

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generai-GIORNALE LIGUSTICO 283 m ente si facevano in modo privato. Se di queste trovansene nei ro g iti n o tarili, ciò è per quelle ove il lungo intervallo che d o v e v a correre fra essi ed il matrimonio, o qualche altra p artico la re circostanza, richiedeva ne constasse per atto pub­ blico. Q u ando erano contratti in tal modo vi si stabilivano pure le doti e si fissavano le arre o pene per i mancanti

alla data parola.

A b b iam o però esempi ove per questi si fecero due atti sep arati, com e per la Giovannina figlia del Conte di Carm a­ g n o la qui fidanzata mentre egli era governatore di Genova pel D u ca di Milano. Di essa, con atto del 24 luglio 1424 suo padre faceva promessa a Riccardino de Angosciolis figlio di G iu lia n o , piacentino, presente all’ atto, e che l’ accettava pro m etten d o di sposarla. Poi con atto successivo del 14 agosto 10 spettabile Isnardo G u arco , che fu il combinatore di questo

m a tr im o n io , e che si dice amico comune delle parti al quale en tram be si rim isero, dichiara le doti della fanciulla in due m ila cinquecento ducati d’ o ro , oltre le vesti, le gemme ed 11 co rre d o com e le parti convennero. Piacemi di citare questi atti, p erch è ci danno il nome di una figlia del Carmagnola e ci offro n o contezza degli sponsali di lei: nome e sponsali rim asti ign oti finora a tutti i genealogisti.

P e r le prom esse fatte individualmente dagli sposi bastava, secon do il diritto canonico, che essi avessero compita l’ età di ann i sette; ed alcune ne abbiamo registrate negli atti dei nostri n o tari contratte poco dopo di questa età.

F r a le altre accenerò a quelle di Giorgio D Oria del quondam G h e ra rd o e Pellegrina D cria del quondam Domenico, latte n el 1 4 7 8 , ove lo sposo avea tredici anni e la sposa nove com­ p iti, celebrate con Γ intervento dei rispettivi parenti, essendosi con ven u to che si sarebbe effettuato il matrimonio giunti che fossero all’ età legale, e fissante le arre in lire due m ila, il tutto con l’ approvazione del Governo.

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Ma la più parte, come sopra dissi, si contraevano p riva­ tamente; e così pure quasi sempre privatamente si prom ette­ vano le doti, delle quali poi solo constava per Tatto di ricevuta fattane dallo sposo compite le nozze. Oppure, fatti gli sponsali in modo privato, si redigeva dal notaro l’ atto di promessa o costituzione della dote. Di questi atti abbiamo un’ infinità nei nostri archivi. A modo di curiosità, fra molti accennerò ad alcuni perchè riguardano illustri personaggi e ci possono somministrare qualche notizia finora sconosciuta sopra i me­ desimi.

Primo sarà quello della nostra S. C aterina, sotto la data del 13 gennaio 1463 in rogito di Oberto F o glietta, concluso nelle vicinanze di S. Lorenzo e precisamente in una casa dei Fieschi posta nel vicoletto del Filo. Intervennero all’ atto lo sposo Giovanni A dorno, la madre della sposa, Francesca Di N egro vedova di Giacomo F iesco , e Giacom o e G iovanni Fieschi fratelli di Caterina, oltre due mereiai vicini chiamati per testimoni.

La dote è di un migliaio di lire, di cui l’ Adorno promette far istrumento celebrato il matrimonio, assicurandola sopra una sua casa nella contrada di S. Agnese. In essa dote però sono comprese lire ottocento promesse dalla m adre della sposa, quattrocento in luoghi di S. G iorgio ed abbigliamenti da soddisfarsi a richiesta, e le altre entro due an n i, restando intanto assicurate sopra una casa in detto vico del F ilo , dove essa Di Negro ha investito le proprie doti, e dove intanto Giuliano colla moglie e la famiglia potranno recarsi ad abitare per detto tempo.

Com e si vede la circonlocuzione dell’ atto è abbastanza intricata e confusa; ma chiaro appare che la dote data dalla madre e dai Fieschi era di sole lire ottocento e che 1’ Adorno prometteva accrescerla di altre dugento.

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del-GIORNALE LIGUSTICO 285

1’ infelice Paolo da N o v i, e si legge ne’ rogiti di Lorenzo D e C o sta sotto la data del 26 di marzo 1468, al suo banco notarile posto nel Palazzo del Comune.

D a questo apprendiamo che i tre fratelli L u ca, Marco e G iaco m o T errile del fu Marino assegnavano alla promessa sposa del doge futuro, allora tintore in seta, lire trecento n o van ta, computatevi duecento di un legato paterno, delle quali si obbligavano a pagar subito centosettanta in danari con tan ti, e centoventi in vesti ed ornamenti della fanciulla, e le rim anenti entro di un anno.

L ’ ultim o atto che citerò è della moglie del rinomato pit­ tore pavese Francesco Sacchi, della quale finora fu scono­ sciuto il nome ed il casato. Questo era dei Masenna ; ed essa chiam avasi Moisola 0 Moisetta, figlia di un Giacomo che alla data del contratto, 6 novembre 15 10 in notaro Vincenzo de R e g g io , già figura come morto, mentre ancor vivo appare il G io va n n i Antonio padre del pittore. Ambrogio Masenna, fratello della M oisetta, a suo nome ed a nome di Agostino e di G eron im a suoi fratello e sorella ancora minori, assegna le doti in lire seicento formate da una casa nella contrada di S. A m b ro gio e da tanto corredo per lire cento. L ’ atto è conchiuso nella contrada degli Squarciafico, nello studio dello spettabile Giacomo Spinola il quale pure interviene come testim onio.

In nessuno degli atti succitati è notato 1 intervento di_lla sposa. L o stesso era affatto inutile, trattandosi di interessi nei quali essa non poteva interloquire. E per le obbligazioni che contraeva verso di lei il futuro marito accettavano il padie od i con giu nti, ed a cautela il notaio come pubblica persona. E così è in tutte le assegnazioni 0 promesse di dote, eccetto quelle dove è costituita dalla sposa medesima o già maggiore di età e priva di genitori e con patrimonio a s e , od in posi­ zione insom m a legale per poterlo fare.

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Oltre la dote spesso nel contratto si stabiliva anche, come vedem m o, l’ ammontare del corredo, delle gioie e dei gin­ g illi, jocaìium, secondo la condizione degli sp osi; nè qualche volta si ommette una cassettina ornata e pulita corredata più o meno di ori e d’ altri adornamenti donneschi.

In atto del notaro Parisola del 26 febbraio 15 0 2 , T eo d o - rina vedova De V ia promette di dare alla figlia sua capsietam unam a sponsis fulcitam condecenter secundum gradum ipsorum

jugalium. L o stesso è in altro del 1505, nello stesso notaro,

pel contratto della figlia di un coltellinaio con un barbiere, ove nonostante la modesta condizione dei contraenti e la esiguità delle doti, lire 200 fra vesti robbe e denari, non si oblia capsietam unam sponsalem fulcitam.

Oltre a questo poi vi si stabilivano tutti i patti e le condi­ zioni che erano stati combinati, dei quali non farò cenno perchè poco differenziano da quelli dei nostri giorni.

Di uno però, registrato in atti di Cristoforo Rollero sotto la data 10 aprile 14 8 8 , non posso tacermi perchè abba­ stanza stravagante ed in opposizione agli attuali costumi.

Ivi un Domenico Deferrari, fabbro, promette a Giovanni Genzano, fabbro anch’ esso, sposo di Teodorina sua figlia, le doti di costei in lire 4 0 0 , compreso il corredo, le argenterie ed i gingilli da pagarsi dopo quattro an n i, intervallo frapposto alla celebrazione del matrimonio. Fin qui nulla di strano; ma dove questo appare si è che il buon genitore si obbliga a tenere insieme con sè sotto lo stesso tetto ed alla stessa mensa i fidanzati per tutti i quattro anni, provvedendo la fanciulla dei necessari abbigliamenti, ed accogliendo anche in bottega il futuro genero, col patto espresso che questi non possa sposare definitivamente la Teodorina prima del termine convenuto, ma debba comportarsi con essa castamente ed one­ stamente, chè altrimenti, cioè traducendola a nozze od abu­ sando di le i, poteva mandarli via entrambi di casa e bottega,

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GIOR NALE LIGUSTICO 28 7 ed e sse re lib ero da ogni obbligo, meno la dote dopo gli ann i citati.

F o r s e la m olto giovane età degli sposi, 0 qualche altro m o t iv o , a noi ign oto, avrà consigliato quel padre ad una sim ile con ven zion e. È certo però che al dì d’ oggi difficil­ m en te tro v ereb b e dei sottoscrittori.

N e lla com binazione dei maritaggi avevano gran parte gli am ici co m u n i, e talora anche i sensali. Dei primi vedemmo un e se m p io nel contratto nuziale della figlia del Carmagnola, e m o ltissim i se ne trovano indicati o individualmente o in g e n e re in a ltri atti. I sensali poi erano in Genova, perchè città co m m e rc ia le , professione da tempi antichi estesa ad o g n i g e n e re di contrattazioni e lucrosissima ; onde non è da far m e r a v ig lia che ve ne fossero anche occupati particolarmente in co m b in a re m atrim oni, a fine di ricavarne la mediazione. E d i n o stri antenati, che in materia di tasse non la cedono a noi ta rd i nepoti, iscrivevano sui registri delle avarie questi s e n s a li, p erch è pagassero le contribuzioni sopra i loro gua­ d ag n i. C om pulsan do le antiche carte si trovano i nomi di p arecch i. A me basti accennare un Bartolomeo Lomellino, in d icato n el 7 febbraio 13 8 0 come sensale del matrimonio di un M atteo C icogna colla figlia del fu Antonio Fiesco, e tassato per questo nella somma di lire quattro di quei te m p i.

In ep och e a noi più vicine anche i preti ed i frati si occu­ p avan o grandem ente dei matrimoni. Il lucchese Francesco M a ria F io re n tin i, che verso la metà del secolo scorso visi­ ta v a G e n o v a , segnala nei suoi scritti quali incaricati di tal faccen d a i C h ierici della M adre di D io, e specialmente ancora i G e su iti. E dalle stampe fatte in R om a, pure verso quell’ e­ p o c a , p e r lo scioglim ento del matrimonio celebratosi nel 1.726 fra il P rin cip e G iovan ni Andrea D ’ O ria, allora Conte di L o a n o , con G iovanna M aria Teresa D ’ Oria figlia del Duca di

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T u rsi, si conosce che appunto un sacerdote si era adoperato grandemente in concludere quell’ infelice m aritaggio.

Vittorio Alfieri p o i, in altra delle sue poco note com m edie, intitolata il Divorzio, dove intende stimmatizzare i costumi ita­ liani ed in ispecie genovesi, essendone 1’ azione figurata in G e ­ nova sulla fine del secolo scorso, pone un prete a trattare il matrimonio della figlia del suo padrone, presso cui trovasi come precettore. N è questo carattere ha alcun che di esa­ gerato, chè negli ultimi due o tre secoli della Repubblica i membri del c le r o , come appare anche dai citati atti p e r lo scioglimento del matrimonio D ’ O ria , avevano una grandis­ sima parte negli intimi avvenimenti delle nostre famiglie ; e tanto più quanto erano ragguardevoli e d o vizio se, imitando costum i, certo non lod evoli, derivati dalla Spagna.

Dal momento che una fanciulla era fidanzata, le leggi sun­ tuarie le accordavano una m aggiore larghezza ne’ suoi abbi­ gliam enti, Un decreto della Signoria del 6 febbraio 14 4 0 in­ giungeva alla commissione preposta a dette leggi di stabilire che fosse permesso alle fanciulle fatte spose e non ancora condotte a m arito, l’ usar generi di vesti e gioielli proibiti alle altre donne. E questo diverso trattamento si vede ac­ cennato in tutte le disposizioni che si seguirono sopra detta materia.

Dopo gli sponsali viene naturalmente il matrimonio. Parlando di questo, noi che generalmente siamo avvezzi ai ragionari dei moderni scrittori di cose religiose, i quali in questo atto solenne della vita riguardano soltanto il sacra­ m ento, e ce lo descrivono come circondato in ogni tempo da sacre cerim onie, difficilmente possiamo concepirlo valido e legale anche in faccia alla Chiesa, fatta astrazione da quelle e senza l’ intervento di un sacerdote.

Eppure la cosa è ben diversa. Presso i nostri avoli il ma­ trimonio era privo affatto di cerimonie religiose, non vi

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as-GIORNALE LIGUSTICO 2 8 9 sistevano i sacerdoti, e ciò nonostante primeggiava il suo ca­ rattere di sacramento.

L o stesso compievasi generalmente in casa della sposa, alla presenza di amici e di parenti, ed in tale occasione avean luogo banchetti, festini ed altre allegrezze secondo la mag­ g iore o m inore agiatezza delle famiglie.

G li sposi erano vestiti di abiti nuovi, che quindi indossavano durante lor vita nelle più solenni circostanze. In molti bandi dei secoli X I V e X V , fatti per convocare i principali citta­ dini a processioni 0 ad altri pubblici festeggiamenti, è prescritto che debbano indossare le vesti nuziali, allo stesso modo che al dì d’ o g gi vediamo indicato Γ abito nero e la cravatta bianca.

T a lo ra quando qualche particolare interesse richiedeva che del m atrim onio constasse per atto pubblico, vi interveniva un n o taro, che lo registrava ne’ suoi rogiti. Ma di ciò non era bisogno alcuno per la validità del medesimo. In fatti, se m oltissim i contratti colla presenza notarile si trovano nei fo- g liazzi, relativam ente al numero dei matrimonii che devono essere stati fatti si vede però sempre che sono una minima m inoranza.

Il C a v . Belgrano nella sua Vita privata dei genovesi, sulla fede di uno di questi atti colla data del 30 dicembre 13 0 4 , em etteva il dubbio che fosse già allora fra noi conosciuto il m atrim onio civile; e lo stesso pure dicono altri scrittori, essendosi di consimili atti trovati anche in diverse parti d’ Italia.

M a il matrimonio civile, nel senso in cui lo ammettiamo noi di contratto dinanzi alla laica autorità, nulla ha che fare con questi atti; e se qualche somiglianza vi si trova, è solo dall’ esser dessi privi dell’ apparato religioso e della presenza del sacerdote. Invece nella loro essenza ne differenziano, non essendo l’ attuale dalla Chiesa riconosciuto come sacramento,

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mentre Γ altro lo era presso i nostri antenati. Ben inteso prima della pubblicazione del Concilio di T ren to .

Il matrimonio si contraeva esprimendo gli sposi la loro volontà o consenso. Quantunque non in tutti gli atti di matri­ monio per verba de presenti redatti dai notari siano indicate le formalità che erano in u so , limitandosi i più ad accennarle in genere, pure alcune essendo ora in uno ora in un altro segnate, colla scorta dei medesimi si può stabilire quanto segue.

Avanti tutto gli sposi erano interrogati da altro degli in­ tervenuti, che pare non fosse mai il padre od altro parente da cui avessero immediata dipendenza. Se eravi un no taro, un qualche magistrato-, un sacerdote, un ragguardevole perso­ naggio insom m a, era compito suo. Prima ad interpellarsi era la fanciulla, la quale, come ancora adesso si costuma nelle cam pagne, per far pompa di pudore si faceva ripetere la do­ manda due o tre v o lte , pronunciando un timido sì. L e vedove

che si rim aritavano, e quelle per le quali il matrimonio veniva a sanare una illegale posizione di stato, rispondevano alla prim a, senza aspettare la seconda e la terza interrogazione. L o stesso faceva lo sposo, più o meno francamente secondo la voglia che ne aveva.

Espresso il consenso , gli sposi si davano la m an o , si ab­ bracciavano e si baciavano ; indi lo sposo poneva Γ anello in dito alla sposa, e Γ atto era compito secundum ritum San­ cta Romana Ecclesia et consuetudinem civitatis Ja n u a .

Verso il principio del 1 4 7 1, due giovani spagnuoli innamo­ rati cotti l’ uno dell’ altro e contrariati dai parenti fuggirono dalla loro patria e fermarono stanza fra noi. Q u i, passata la prima foga dell’ amore, pensarono seriamente ai casi loro, e considerando che se e umana cosa peccare 'e angelica Vemendarsi, a tranquillar la coscienza risolsero di regolare la loro posizione e di diventare legittimi marito e m oglie, secundum quod insti­

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GIORNALE LIGUSTICO 291 C red ete v o i che perciò ricorressero al vescovo, al par­ ro co , ad un sacerdote, ad alcuno insomma rivestito di reli­ gio sa au to rità? T u tt’ altro. Chiamati a convegno alcuni amici che erano dei principali della città, in casa loro posta nella contrada del Campo contrassero il matrimonio secondo il sopra accennato form olario, interrogandoli Paride Fiesco ed essendo testim oni Borruele Saivago e Giovanni Pinelli.

P erch è p o i del fatto potesse in ogni tempo constare da pubblico do cu m en to, vollero presente il notaro Lorenzo Co­ sta, che lo registrò ne suoi fogliazzi colla data del 7 marzo 1 4 7 x , g io rn o in cui fu celebrato.

U n altro esempio. Certo Giovanni di Val di Stura con­ v iv e v a con una Caterina, già schiava presso distinte famiglie, la quale lo regalava di parecchi figliuoli. Egli le aveva pro­ m esso di sp o sarla, e tenevasi vincolato in coscienza, anzi in certo m odo con lei segretamente ammogliato. Ma vero e legittim o m atrim onio non aveva mai con essa contratto Cosi trascorsero parecchi a n n i, finché volendo mettersi in regola et matrimonium in faciem Ecclesia palam et publice contrahere, fece ven ire in sua casa in via da S. Siro il notaro Dome­ nico C o n fo rto , ed alla di lui presenza, sulle interogazioni di certo Picem bono speziale loro vicino, chiamati per testi due sa rti, anch’ essi loro vicini, addì 4 settembre del 1546 com pivano 1’ atto secundum morem et consuetudinem Sancta Ro­

m an is E cclesia con tutte le richieste formalità.

P o tre i m oltiplicare gli esempi, chè molti di tali atti abbiamo nei r o g it i; m a me ne astengo essendo più che bastanti i due succitati.

P re sso il volgo poi vigeva la consuetudine che espresso il consenso g li sposi fossero aspersi di vino, del quale, ben in teso , facevan si ampie libagioni: uso derivato da vecchi riti, che p rescrivevan o gli sposi bevessero alla stessa coppa, e dei quali resta ancor traccia nel contado ove ogni negozio o

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contratto si suole sanzionare con tracannare di m olti bicchieri. E la benedizione degli sponsali fatta col vino insiem e alla credenza di considerarli per questo come validi m atrim onii, si mantenne ancora fra il popolo per molto tem po, nono­ stante le prescrizioni del Concilio di Trento pubblicato fra noi nel 15 67 dal Sinodo P allavicin i, come lo prova quello di monsignor Sauli del settembre 15 8 8 , ove si accenna a tale abuso e si insiste perchè venga estirpato.

Anche il matrimonio contraevasi talora per procura, special- mente da parte dello sposo. Di questo doveva però constare per atto pubblico o per lettera, che si inseriva n e li’ istrumento notarile. L e formalità erano le stesse come se fatto di presenza: ugualmente avevan luogo le interrogazioni p tr due o tre volte alla fanciulla ed al delegato dello sp oso, ugualmente ■si stringevano le destre, come pure costui le poneva in dito l’ anello, e talora anche l’ abbracciava, ma certo non la baciava come il vero sposo faceva.

Non rari poi sono i casi in cui lo sposo incaricava più d’ uno di questa faccenda, come avvenne nelle nozze di T eo d o­ rina figlia di Simone Negrone con Giorgio dei V ivald i, il quale per trovarsi a Palerm o, faceva procura in due suoi am ici, Oberto Spinola del fu Luciano ed Agostino Cattaneo pure del fu Luciano. Costoro addì 28 febbraio del 1 5 2 2 , in atto del notaro Giovanni Costa, sposavano a nome del commi- tente la fanciulla, le davano l’ anello e l’ abbracciavano ac se dicti contrahentes mutuo amplexi sunt.

A ltro caso di due procuratori, vediamo nello stesso notaro sotto la data del 12 maggio 15 2 2 . Ivi Geronima figlia del fu A^incenzo Fiesco si marita con Gerolamo Grimaldi rappre­ sentato da Giovanni Battista ed Ambrogio suoi fratelli, i quali abbracciarono la ragazza per di lui conto : in signum etiam con­

tracti matrimonii se mutuo amplexi sunt.

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GIORNALE LIGUSTICO 293 riconosciu to ed ammesso dalle leggi canoniche, agli occhi dei nostri antichi non aveva tutto il desiderabile g/ado di vali­ dità e di legalità; chè in quanti furono da me trovati, vedesi segnato in calce l ’ atto di ratifica, od a meglio dire la rinno­ vazione del matrimonio coll’ istesso e completo formulario d’ uso. T a lo ra anche il procuratore air atto prometteva a nom e dello sposo che questi lo avrebbe ratificato o rinno­ vato, com e se si trattasse di semplici sponsali e non di vero

» m atrim onio per verbo, de presenti.

C o m e esempio di matrimonio per procura, rinnovato perso­ nalm ente dallo sp o so , indicherò quello del 16 luglio 1579 in atto del notaro Andrea Rossano, di due fratelli De Castello con due sorelle De Vivaldi. N el quale per 1’ assenza del G ia c o m o , altro degli sposi, supplì come procuratore il Giovan Battista suo fratello, che prima sposò la Maddalena per c o stu i, e poscia Γ Annetta per sè. Ma venuto in Genova il v ero sposo dopo poco tem po, ai 5 del mese seguente ratifi- cavasi il m atrim onio, procedendosi a nuove interrogazioni ed espressioni di reciproco consenso. Ed è a notarsi che chi fece le interrogazioni in entrambi gli atti fu il reverendo Matteo De F a b r is , del quale si tace la qualità, se cioè le facesse come amico di casa 0 parroco. Eppure era da dodici anni dacché il Sinodo Pallavicini aveva dichiarato in vigore il Concilio di T re n to .

C om pito il matrimonio, dopo i conviti, le feste e gli altri divertim enti aveva luogo la traductio, cioè l’ andata della sposa alla casa del marito. Solennità importantissima che dava sanzione al m atrim o n io , non sembrando questo inappuntabile finche la sposa non era entrata sotto il tetto coniugale.

D ’ altronde contraendosi privatamente le nozze in casa della sp o sa , era solo per mezzo della traductio che la cittadinanza ven iva ad esserne fatta partecipe, e così in grado di potere in ogni tem po testimoniare delle medesime. Onde, come già

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avvertivo poco innanzi, a quei matrimoni nei q u ali, per essere gli sposi già assieme conviventi o per altro m otivo, la traductio non poteva aver luogo od era differita, interveniva il notaro per constatare il fatto con atto pubblico, ed occorrendo darne la prova.

L a traductio pertanto compendiava in sè tutta la solennità delle nozze, ed il matrimonio istesso; ed è ai festeggiamenti di essa che si volle alludere nella proibizione di nozze solenni fatta dal Concilio di Trento per alcuni tempi dell’ anno.

Nella circostanza della traductio, specialmente se trattavasi di famiglie illustri e doviziose, il popolo faceva calca per ammi­ rare la sposa, il vicinato accorreva alle finestre; ed essa si partiva in mezzo agli addii, agli augurii di felicità ed alle acclam a­ zioni, ed a concerti di musicali strumenti dai quali spesso era accompagnata la comitiva. A tutto questo naturalmente si univa l’ inconsiderato e gaio brulicare dei fanciulli, pronti a cogliere ogni occasione di far gazzarra e confusione. E ad essi nei tempi antichi, seguendo un vecchio costume rom ano, distribuivansi nocciole, onde ancora adesso la locuzione quando mi darai le. nocciole, detta ad una fanciulla, equivale a chie­ derle: quando sarai sposa? Di che pure è nato il p roverbio: pane e noci, mangiar da sposi.

L ’ uso di distribuir nocciole nelle nozze vige ancora in qualche luogo del contado; ma fra noi a poco a poco fu sostituito dalle nocciole confetturate e quindi da ogni genere di confetti, che attualmente si mandano ai parenti ed amici in eleganti cartocci ed in ricche bomboniere.

Prima dell’ uso delle lettighe e delle portantine, cioè ante­ riormente al secolo X V I I , la sposa andava a casa del m arito a piedi od a cavallo, con grande accompagnamento di parenti e d’ am ici, e col corteo di paggi e servitori. Di questo le leggi suntuarie del secolo X V I si occuparono; chè del 1 5 7 1 trovo vietato che le spose fossero accompagnate da più di dodici cittadini, e da quattro servi compreso il paggetto.

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GIORNALE LIGUSTICO 2 9 5 C o sì pure intorno a questi tempi costumava che le vesti che d o v e v a portare la sposa in detta occasione si mandassero alla di lei casa qualche giorno prima , non già in una cesta piegate e co p erte, ma con grande apparato di nastri ed altri adorn am en ti sostenute da certe assicelle , onde apparissero di­ ritte e distese come se fossero indossate, presso a poco quali le ved iam o ora nelle vetrine dei magazzini di mode, ed affatto scoperte perchè ognuno potesse ammirarne la bellezza e lo sfarzo.

C iò pure fu vietato dalle leggi nel 1 5 7 1 ; ma queste come le p reced en ti dell’ accompagnamento e moltissime altre proibi­ zioni di sim il genere vediamo pubblicate replicatamente per d iv e rsi anni successivi ; segno evidente che non erano mai o sse rv a te.

In m olte parti d’ Italia era costume che nell’ andata della sp osa a casa del marito, da amici e parenti di essa si fingesse im pedirla facendo il così detto serraglio, ridottosi in u ltim o alla formalità di far cerchio intorno alla stessa; dal quale so lo poteva liberarsi dando in pegno uno sm aniglio, un an ello od altro g in g illo , che poscia portato a casa del m arito v en iv a da questi riscattato con una somma che la brigata spendeva in una cena od in altra allegria. Rifiutandosi la sp osa di dare il p egn o, o cercando il corteggio di sforzare il passo, nasceva una collutazione nella quale la persona della

fan ciu lla era presa di m ira, allo scopo di portarla v u e d’ o b b ligare lo sposo ad andarla a riprendere per così venire a patti.

C o m ’ è facile immaginare, talora da questa usanza nascevano in con ven ien ti grandissim i; onde le leggi vennero a frenare siffatti g iu o ch i, i quali a poco a poco andarono m disuso o

lim itaro n si a. simboliche formalità.

D i questa costumanza del serraglio non trovansi notizie p o sitive fra di n o i; ma l’ essere nelle più volte citate leggi

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del 1440 proibito a chicchessia, uomo o donna, da serio o per g io co , di nascosto 0 palesemente, il condur via la nuova sposa dalla casa del m arito, mi fa sospettare che anche in Genova qualche cosa di consimile si usasse anteriom ente al secolo X V .

Generalmete la traductio si faceva il giorno stesso del ma­ trimonio , o dopo due o tre giorni. Qualche rara volta si differiva ancora di più per particolari ragioni.

In tali casi però se urgeva che il matrimonio non offrisse alcun appiglio per essere disfatto, era costume nei secoli X V e X V I che immediatamente dopo la celebrazione gli sposi si ìitirasseio e rinchiudessero da soli in qualche cam era, ritornando dopo un po’ di tempo ; e con ciò il m atrim onio si considerava come consumato.

Nè mancano esempi di matrimonio della cui contrattazione si fece rogito da notaio, ove dopo la redazione dell’ atto è notata la circostanza che gli sposi si ritirarono o furono lasciati soli per qualche tem po, e quindi tornarono alla presenza del notaro e de’ testimonii che tramandarono ai , posteri la notizia del fatto.

Che questo poi fosse una semplice.formalità od un’ allegoria come l’ abbracciarsi degli sposi, il por l’ anello in dito alla fidanzata, che si ritengono quali simboli d ell’atto materiale di piesa di possesso, non puossi ammettere; almeno in tutti i casi, che da qualche occorso risulta chiaro che era o poteva essere una vera consumazione di matrimonio. N e citerò uno in appoggio.

N el 1 5 1 0 i parenti allontanarono dalla casa di G eronim a \ edova di Antonio de’ Sale (forse della famiglia che in tempi a noi più vicini si estinse in quella dei Brignole) una costei %Ha a nome Minetta, di non ancora tredici anni, collocan­

dola coll’ autorità del Senato presso Battista dei G ro p allo ; e ciò perchè la madre passata a seconde nozze con Lodisio

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GIORNALE LIGUSTICO 2 9 7 dei M agnasco aveva in animo di sposarla, contrariamente ai lo ro d e sid e ri, con un giovane di diciotto anni figlio del suo secondo marito. Mentre la fanciulla era nella villeggiatura del G ro p allo in Castelletto, al dopo pranzo del 14 settembre la m adre con un’ altra donna andò a trovarla, e trattenendola con discorsi bel bello la fece allontanare di colà, conducen­ dola nella strada del Campo in casa sua e di suo m arito, ove alla presenza del notaro Cristoforo Rollero le lece contrarre il m atrim onio col giovine prescelto. E perchè il tutto fosse com pito in modo che non ammettesse scioglimento, chiuse i due giovani assieme in una camera lasciandoveli soli un buon quarto d’ ora, il tutto come appare dall’ atto notarile che fu redatto.

Se restassero sorpresi i parenti saputa la cosa ognuno lo può im m aginare. Ma o perchè l i fanciulla non era creduta libera nel suo consenso presa così di sorpresa, 0 perchè l’ atto por­ geva qualche appiglio da essere dichiarato nullo, come tale si volle im pugnato. Quel che però ad essi cuoceva per l’ onore della M inetta, era l’ essersi trattenuta chiusa nella camera collo sposo quel quarticello d’ o ra , onde prima di andare oltre volevano conoscere positivamente come era andata la cosa.

In affare di tanta delicatezza ricorsero al confessore di essa, e gli si diede incarico di destramente interrogarla e di rica­ varne la verità.

A ddì 20 settembre pertanto costui, che era il Padre Urbano da Savona dei Predicatori di S. Maria di Castello, andò co- lassù dove pure trovossi il notaio Vincenzo De Franchi-Reggio, e dopo aver interrogata per bene da solo a so la la Minetta, faceva in atto di detto notaro il suo rapporto corroborato dalla di lei attestazione.

Da questo i parenti, e certo con loro soddisfazione, pote­ rono conoscere come ad eccezione di qualche piccola liberta presasi dallo sposo, nuli’ altro era avvenuto. In qual modo

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sia poi andata a finir la facenda finora non ho trovato. M a quanto già si conosce è bastante a provare come la indicata circostanza non poteva essere sempre una semplice form alità.

II.

Delle maritate, delle vedove e delle seconde no%%e.

Entrata la novella sposa nella casa del m arito, altri ban­ chetti si apprestavano a festeggiare la di lei venuta. E ra la volta dello sposo e della costui fam iglia, i quali dovevano far grata accoglienza a lei che entrava allora a farne parte.

E questa costumanza dei banchetti in occasione di n o zze, che noi vediamo usata in ogni tempo e presso tutti i popoli, doveva aver preso presso di noi, nel secolo X V , proprio il carattere di un eccesso, sia pel replicarsi dei medesimi, sia pel gran numero dei convitati, vedendo le leggi affaticarsi in moderarla.

Colle stesse infatti si stabiliva che non più di due conviti avessero luogo in casa del padre della fanciulla, nel primo dei quali lo sposo potesse condurre sino a due amici, e nel secondo non più di otto. Per quelli poi in casa del m arito, era vietato che avessero luogo fuorché ne’ primi tre giorni, cioè domenica, lunedi e martedì: la qual cosa conferma quanto si conosce da diversi altri riscontri, che cioè la traductio ge­ neralmente si facesse di sabato o di domenica; dopo aves­ sero da cessare, assieme ad ogni altro festeggiamento nuziale. Dalle stesse leggi poi conosciamo che in occasione dei ma*· ritaggi era uso regalarsi la sposa dai parenti e dagli am ici, e contraccambiarsi costoro di gingilli, di manicaretti o di vini e d’ altre bevande: usanza che nonostante le leggi fatte a fre­ narla, sopravvisse sino ai dì nostri.

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GIORNALE LIGUSTICO 299 delle n o z z e , chè qualche volta trovansene di quelle delibe­ rate apposta in senso contrario.

Infatti a’ 15 maggio del 1408 la Signoria concedeva che per le feste nuziali del nobil uomo Lorenzo De Albertis di F ire n z e , da farsi nei successivi giorni di domenica, lunedì e m a rte d ì, 20, 2 1 e 22 di m aggio, fosse permesso alle donne adorn arsi di perle a loro talento, ed a tutti, uomini e donne, portar vesti di panni e stoffe d’ ogni qualità e taglio, senza essere m olestati dai collettori delle gabelle. Oltre a ciò, concedevasi che potessero esser chiusi da appositi tavolati i vicoli conducenti alla piazza dei Banchi, dovendosi dare in questa non so quale spettacolo di giuochi e solazzi; con che però il tutto fosse rimesso nello stato primitivo a spese degli ordin atori della festa, liberando per detti giorni i banchieri dall’ obbligo di tenere aperti i loro banchi.

C o te sti festeggiamenti fatti in maggio, mi rammentano un p roverbio che sconsiglierebbe gli sposalizi in tal mese di­ cendo : d i maggio si maritano gli asinij dettato certo derivato da antichissim i pregiudizi, leggendosi in O vidio:

Mense majo, malas nuhere vulgus ait.

A l quale però non si bada oggidì più m olto, sembrando alle nostre fanciulle ancor pochi per maritarsi i dodici mesi che abbiam o. N è pare che diversamente la intendessero le a n tic h e , chè oltre i precitati esempi del matrimonio del D e A lb e r tis , e della Geronima Fieschi con Gerolamo G ri­ m aldi fatto per procu ra, altri ne abbiamo contrattatisi in m a g g io , fra i quali pur quello del già nominato Paolo da N o v i , com e dirò fra breve.

L a prim a notte che la sposa doveva passare assieme col m arito fu sempre oggetto di particolari cerimonie presso tutte le nazioni. Tralascerò di parlare di ciò che altrove p raticarsi, quantunque vi siano delle costumanze abbastanza cuiiose, ne

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talora prive dell’ intervento religioso come si può vedere in qualche antico rituale ; e per quel che praticavasi da n o i, dirò soltanto che nel secolo X V era uso che lo sposo non giacesse colla sposa finché non fossero compiti i festeggiam enti ed eseguita la traduzione, e che spesso, come sopra ho ac­ cennato, usavasi anche sottrarre la stessa alle ricerche del marito facendola uscire e dormir fuori del tetto coniugale. La qual cosa forse è reliquia di più antica costum anza, che le leggi vietarono, e di cui non hassi più memoria in appresso.

N el secolo ΧΛλΙ poi e nei seguenti a cura di am ici e di parenti usavasi ad alta notte fare la serenata, suonando con­ certi di musicali instrumenti sotto alle finestre degli sposi, o più comunemente ancora la mattinata, cioè eseguendo gli stessi concerti nelle prime ore del mattino, accompagnati ta­ lora da salve di archibugi e moschetti, le quali se hanno che fare colla musica e col diletto, G iovanni Andrea Spinola scrit­ tore di quei tempi, se ne rimetteva al ridere di Dem ocrito.

N on mi tratterrò perciò sulla costumanza la quale voleva che la suocera od altra vecchia parente andasse al mattino per tempo, e prima che gli sposi fossero alzati, a bussare alla porta della loro camera, portando ad essi non so che brodo o cordiale; come tacerommi di altre bizzarre e spesso indecenti usanze, delle quali trovasi ancora qualche traccia presso i nostri contadini e nella parte più bassa della popo­ lazione.

A l domani della traductio, cominciavano le visite che le amiche e le parenti si affrettavano a fare alla sposa : visite per cui fuggivano di casa, come dice il citato Spinola, i suo­ ceri ed i mariti, e così continuavasi per parecchi giorni finché essa usciva per restituirle.

Questa prima uscita della sposa era anch’ essa aspettata con particolare curiosità dal vicinato e dai conoscenti, sia per ammirare la donna negli abiti da maritata, come per altre

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GIORNALE LIGUSTICO 3 0 1 fem m inili indagini; per cui i primi passi che muoveva fuori

di casa costituivano un’ altra specie di solennità.

T a li noiose costumanze e formalità si mantennero fra noi si può dire sino a dì nostri, non avendo cominciato a ces­ sare che nei primordi del presente secolo, in cui gli sposi che erano in grado di farlo, per liberarsene, cominciarono dall’ e- spediente di passare i primi giorni della loro unione in cam­ pagna, e quindi, come si costuma adesso, facendo un viaggetto di diporto.

O ggid ì, da tutti coloro un po’ agiati che contraggono ma­ ritaggio se ne spedisce la partecipazione stampata ai parenti ed agli amici delle due famiglie. Questa usanza fra noi è re­ centissim a , nè risale di molto oltre la fine del secolo scorso, e sino alla metà del presente era, si può dire, esclusiva della nobiltà e delle altre famiglie che le andavano di paro.

A poco a poco si diffuse a tutte le classi, ed attualmente prese un estensione, specialmente relativa alle persone alle quali si distribuisce, che quasi diventa üna ridicolezza.

N e i tempi antichi la solenne andata della sposa alla casa del m arito suppliva alla partecipazione. Poscia si faceva a v o c e ; e nel secolo X V I I i novelli mariti appartenenti alle fam iglie che si volevano distinguere e sulle altre primeggiare, andavano di persona a dar parte del contratto matrimonio al D oge, all’ Arcivescovo, all’ Ambasciatore di Spagna e ad altri p erson aggi ; e dalla importanza che annettevano alcuni a questi atti, lo Spinola già citato prende occasione di dar loro la baia.

C o lla traductio spesso lo sposo portava seco a casa anche la dote. T a lo ra invece gli veniva pagata effettuata la solen­ nità ; ed il marito ne faceva la debita ricevuta, che negli ul­ tim i tem pi chiamavasi controcarta.

Innum erevoli sono questi atti di ricevute di doti che si trovano nei rogiti notarili, ed in molto maggior numero che quelli delle costituzioni dotali. La ragione ne è o v via; chè

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mentre per le promesse di dote spesso suppliva la semplice parola o la scritta p riv ata, appodixia, dovendo in regola ge­ nerale passare poco tempo dalle promesse al m atrim onio, nella ricevuta si preferiva Γ atto pubblico, per tutte le possi­ bili conseguenze, che spesso non potevano verificarsi prim a della morte di altro dei coniugi, e perciò in epoca presum i­ bilmente remota. D ’ altronde pagandosi la dote, quasi sem pre, quando il matrimonio era completo, e colla traduzione della sposa non poteva più patire eccezione, l’ atto di ricevuta ser­ viva in ogni tempo, in mancanza di altro docum ento, a far fede del contratto matrimonio.

Nemmeno a quest’ atto era necessario che fossero pre­ senti la sposa o i di lei parenti. Il marito faceva la dichia­ razione della dote ricevuta, e per la moglie e gli altri aventi diritto accettava il notaro.

C o ll’ atto istesso, quando non era stato fatto in quello degli sponsali od in altro precedente, lo sposo dichiarava pure 1’ am­ montare dell’ antefatto o donazione che era stata pattuita, o che voleva largire alla moglie.

Circa questo nome di antefatto (,antefactum) , osserverò che il P. Spotorno fu d’ opinione doversi leggere piuttosto ante­ fatum , cioè avanti la m orte, quasi fosse una donazione fra

vivi, e non antefactum che nulla secondo lui vorrebbe signi­ ficare ; e questa interpetrazione da molti fu adottata.

Ma dessa a me non soddisfa, sembrandomi impossibile che in tutti gli atti dove è scritta, dal 1 1 3 0 sino agli ultimi tempi della Repubblica, quanti notari e legulei che si successero, abbiano potuto commetter 1’ errore di scriver antefactum in­ vece di antefatum. Per cui sarei d’ avviso che almeno fra noi questo donativo, che in certo modo potevasi considerare come una donatio propter nuptias, si chiamasse antefactum, perchè come questa, in regola generale non poteva farsi che prima del contratto matrimonio.

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GIORNALE LIGUSTICO SOS

N e i rogiti di Giovanni Scriba stampati fra i Monumenta Historice P a tria , si possono leggere moltissimi atti di ricevuta di doti ed altri o v’ è stabilito Γ antefatto sia prima come dopo delle nozze, e così formarsi un'idea della loro varietà. 10 ne citerò solo due più recenti, cioè del secolo X V .

Il prim o è nei fogliazzi del notaro Lorenzo Di C o sta , e con questo il già citato Paolo da N o vi, al quale nel marzo del 14 6 8 fu , come vedemmo, promessa la dote della sposa Bianca T e r r ile , dichiara di averla ricevuta da’ suoi cognati il dì 13 m aggio successivo, per cui è a ritenersi che il matri­ m on io siasi effettuato a’ primi di maggio. Ed egli era già, com e dichiara nell’ atto, maggiore di 25 anni e separato di interessi da Giacomo suo padre.

L ’ altro è del pittore Francesco Deferrari di Pavia, per le doti di T obietta figlia del fu Urbano da Tortona, moglie sua iarn traducta, le quali ebbe da un Giovanni Maria fratello della sposa, in lire 200, facendo alla stessa antefactim seu donationem propter nuptias de libris centum januinorum secundum consuetu­

dinem seu formam ordinamentorum civitatis Januœ.

A n ch e il pittore è maggiore di venticinque anni, e faciente i fatti suoi indipendentemente dal proprio padre Bartolomeo, 11 tutto com e appare dall’ istrumento del 18 aprile 1 4 7 1 ne* rogiti del citato Lorenzo Di Costa.

C o m e ognuno può aver rimarcato, nel primo di questi atti non si parla di antéfatto, mentre nell ultimo e stabilito se­ condo le leggi. Il risultato però era il medesimo, come ve­ drem o più avanti parlando dei diritti delle vedove sui beni del m arito.

Secon do l ’ antico diritto romano la donna, maiitandosi, ca­ deva tanto nella podestà maritale che più non consei va\ a alcuna personalità: conveniebat in inanimi viri. In progresso questo principio cosi assoluto ebbe qualche maggioie laighezza nella sua applicazione, ma non tanto che la donna non

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fosse sem pre, durante tutta la sua v it a , sotto una continua tutela.

A questa massima erano informate le nostre leggi, le quali se permettevano che la donna potesse obbligarsi e contrat­ tare , richiedevano per la validità dell’ atto l’ intervento del padre o degli ascendenti e tutori se fanciulla, del m arito se maritata, de’ congiunti se vedova, ed in mancanza di essi dei vicini, i quali dovevano giurare come erano nella convinzione che 1’ atto era fatto a di lei vantaggio e non ne avrebbe po­ tuto aver danno.

Le donne per le loro doti godevano di ipoteca privilegiata sopra i beni del marito, per cui erano pagate prim a degli altri creditori. Siccome però se da tempo antico, conoscevasi la ipoteca che obbligava i beni, era ignota la pubblica regi­ strazione della stessa, mediante la quale resta in modo certo stabilito 1’ ordine progressivo dei creditori sopra gli stabili ipotecati, allorquando il marito era sulla via di andare in ro­ vina, le donne dovevano ricorrere alla Signoria per avere il permesso di conseguir 1’ estimo sopra i di lui beni, cioè di averne assegnata una parte per le loro doti ed antefatto ; la qual cosa facilmente ottenevano.

E queste disposizioni tutte si mantennero sino alla fine del secolo, e caddero col cadere della Repubblica.

Nei tempi antichi quando la società era di costumi più semplici e patriarcali, l’ aver molti figliuoli costituiva una ric­ chezza per i genitori. Ma cresciuti il lusso e le sociali esi­ genze, il gran numero di essi si andò considerando come causa di depauperamento delle famiglie. E ciò tanto più fra noi, quando collo stabilimento delle primogeniture si voleva far ricco un solo a perpetuare il nome del casato, e gli altri erano destinati a miseramente vegetare. O n d e , come dice chiaramente lo Spinola già citato, che viveva nel secolo X V I I , alle grandi famiglie rincresceva l’ aver molti figliuoli.

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GIORNALE LIGUSTICO 3 0 5 A so llievo però de’ genitori ricchi di figliolanza, le leggi accordavano franchigie dalle gabelle; e questo privilegio ri­ dotto n egli ultimi tempi ad una sovvenzione pecuniaria, si m antenne sino a’ principii del secolo corrente.

Il cu rio so poi si è che ne’ secoli X IV e X V nel computo de’ figli per essere esenti dalle gabelle, i padri annoveravano anche quelli che potevano aver procreati fuori del matri­ m onio. Su questo riguardo i tempi trascorsi erano meno schifiltosi dei presenti, ne’ quali spesso genitori agiati, per un m ale inteso decoro, abbandonano alla sorte la prole illegit­ tim a, aiutati in ciò dalle leggi che sembrano fatte per favo­ rire sim ili atti. Ben sovente accadeva allora, che assieme ai figli legittim i il padre allevasse i naturali ; nè era cosa strana che a costoro pubblicamente provvedesse e li chiamasse del suo cognom e.

I privilegi poi onde erano dotati dagli imperatori e dai pontefici i numerosi conti palatini o del sacro romano im­ p e ro , aprivano facile via alla legittimazione di ogni figlio , nato dal più dannato congiungimento; e numerosissimi sono gli atti dove persone di ogni ceto sociale, dall’ infimo alle più alte dignità civili ed ecclesiastiche, riconoscono e fanno legittim are i loro bastardi.

A ltra particolarità di quei tempi era che le donne quando si avvicinavano al tempo di partorire, e specialmente se per la prim a volta, facevano il loro testamento. E ciò spiega perchè siano molto più numerosi i testamenti fatti dalle donne che quelli degli uomini.

II m otivo di questo atto era per disporre delle loro so­ stanze a favore delle proprie famiglie pel caso che esse mo­ rissero, e che ai loro parti toccasse pure tal sorte, prima di superare l ’ età infantile, 0 senza avei discendenza.

Difatti in tali testamenti, dopo le consuete disposizióni per i funerali ed i legati per opere pie 0 per ricorùo ai parenti,

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υ di benemerenza alle persone di servizio, disposto spesso dell’ usufrutto a .favore del marito, sono chiamati eredi o in genere il ventre pregnante, o i figli nascituri m aschi e fem­ mine, in quella proporzione che la donna m eglio desiderava. Ma eravi sempre la condizione che morendo costoro in età infantile, o prima di accasarsi, o senza figli, dovesse l’ ere­ dità passare a qualche parente della testatrice.

Spesso accadeva che non pensando la giovane sposa in istato di gravidanza a far testamento, e per m otivi di delica­ tezza o pel timore che si spaventasse ed avesse ad inco­ glierne male, non volendo alcuno sollecitarla a tale atto, fra i parenti della moglie ed il marito si concordavano speciali convegni relativamente alle doti ed ai beni di essa, verifican­ dosi le sopra dette circostanze della morte di lei e de’ suoi figli. Ben inteso che tali testamenti e convenzioni non avevano più effetto, od erano rivocati in progresso di tempo, vivendo la donna nel consorzio maritale ed avendo figliolanza già inoltrata in età.

Una delle principali cure dei nostri antenati fu mai sempre quella di farsi ricchi, ed al più presto possibile.

Appassionatissimi perciò furon sempre di tentar la fortuna, giuocando ad ogni genere di giuoco d’ azzardo; e se non an­ davano in Borsa era per la sola ragione che la Borsa antica­ mente non esisteva.

Usavano invece le scommesse, le quali ne’ secoli X V I I e X V I I I si facevano sopra gli avvenimenti politici, sulla morte dei papi, imperatori, re , ed altri illustri personaggi, sull’ esito delle guerre e d’ ogni impresa guerresca, per cui giornalmente ognuno andava a far la sua passeggiatola a Banchi e per i ponti del mare, onde raccogliere le notizie e così regolarsi.

Più specialmente davano motivo a , scommesse le elezioni dei nostri dogi e degli altri magistrati della Repubblica. Anzi da queste ripete origine il giuoco del lotto, cagione di tante

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GIORNALE LIGUSTICO 3 ° 7 diatribe de’ moderni economisti, ma che intanto è una tassa bella e buona pagata da volontari contribuenti : invenzione tutta n ostra, nata all’ ombra della torre di Palazzo e del cam­ panile di S . Lorenzo, d’ onde poi si sparse in altri luoghi.

O g g e tto poi di scommesse generali, alle quali potevano prender parte anche coloro che non sì occupavano di poli­ tica, eran o le donne , sia per i matrimonii che avrebbero po­ tuto con trarre più con uno che con un altro, e dentro un term ine fissato, come per la loro fecondità, scommettendosi se avrebbe la tale fatto o no figli in un dato tempo, o se, essendo g ra v id e , il parto si sarebbe verificato più maschio che fem m ina.

A n zi le scommesse fatte sulle donne gravide, chiamate col nom e particolare di redoglio, erano, specialmente nel secolo X V I , diffuse presso ogni classe di persone, e causa di ripro­ v ev o li in con ven ien ti, tanto che la religiosa autorità venne colla sua sanzione a riprovarle.

U n editto infatti del Vicario Arcivescovile stampato in data del 7 gennaio 1588, dichiarandole cagione di morti e di r o v in e , le proibisce sotto pena di peccato mortale. Quale in trom ission e del Vicario in simil faccenda, non puossi altri­ m enti spiegare che come una lodevole condiscendenza del—

1’ A rc iv e sc o v o alla richiesta del G overno, per frenare gli eccessi di un giuoco, che invero dovevano essere deplorabili.

M a nonstante queste ed altre proibizioni, e 1 essere espi es­ sam ente vietate dagli statuti, consimili scommesse si manten­ nero per m olto tempo, cessando a poco a poco, col diffon­ dersi del giuoco del lotto, che divenne la passione generale del popolo e delle donne, di quelle del volgo in ispecie.

L e nobili però in giuocare non erano da meno delle altre, chè le relazioni dei viaggiatori, che furono in Genova, e m olti biglietti di calice conservati nelle filze Secretorum e dei C o lle g i, ed altri documenti accennano a questa passione delle

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