• Non ci sono risultati.

La leva multidimensionale nei gruppi quotati italiani

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La leva multidimensionale nei gruppi quotati italiani"

Copied!
37
0
0

Testo completo

(1)

La leva

multidimensionale

nei gruppi quotati

italiani

Massimo Cecchi Professore Associato di Economia Aziendale UNIVERSITÀ DI FIRENZE

Many important studies of groups emphasize the use of pyramidal structures to separate ownership and control. This separation is interpreted as the relationship between cash flow rights and control rights. The conclusion is that such structures permit predatory strategies harming minority shareholders. Our study broadens the enquiry to the separation between ownership and control of resources invested, thereby developing the leverage model. We find that controlling shareholders, by using debt leverage, can gain interesting advantages from capital invested by minority shareholders, if properly calculated and sufficiently remunerated. The model is then used to study a sample of 111 Italian listed groups.

1. Introduzione

S

toricamente la letteratura sulla governance delle grandi im-prese, incentrata sui classici studi di Berle e Means (1932), ha assunto che nelle corporations americane vi sia una preva-lenza di situazioni in cui la proprietà è dispersa, e il manage-ment, in assenza di grandi azionisti di riferimento, ha di fatto il controllo (Galbraith 1967).

Nonostante tale immagine sia rimasta fonte di indubbia sug-gestione per i successivi studi, una serie di riscontri empirici evidenziano però una realtà più complessa.

In molti casi, si sono riscontrate modeste, ma significative, con-centrazioni di proprietà (Eisemberg, 1976; Demsetz, 1983; Mar-ris, 1964; Morck et al., 1988), che talvolta raggiungono la mag-gioranza dei diritti di voto (Holderness e Sheehaan, 1988). Gli stessi manager sembrano inoltre sempre più spesso coinvolti qua-li azionisti delle aziende che gestiscono (Friend e Lang, 1988; Lar-ner, 1966; Holderness et al., 1999; Himmelber et al., 1999).

Quindi la tradizionale contrapposizione tra azionisti-proprie-tari e manager-controllori si è spostata progressivamente a quel-la tra due altre categorie di soggetti:

– gli azionisti di maggioranza (talvolta gli stessi manager), che detengono partecipazioni in misura tale da avere il controllo sull’insieme delle risorse aziendali;

– gli azionisti di minoranza, i quali a fronte del loro investi-mento ottengono il diritto a partecipare agli utili, ma non so-no in grado di decidere in merito alla gestione della società.

(2)

Tale situazione di separazione tra proprietà e controllo ha vi-sto una crescente attenzione da parte dei ricercatori, con parti-colare riguardo ai cosiddetti “gruppi con struttura piramidale”, do-ve la capogruppo possiede direttamente partecipazioni di control-lo in un’altra impresa, la quale – a sua volta – possiede parteci-pazioni di controllo in un’impresa sottostante. Questi gruppi at-traverso il meccanismo della “leva azionaria” tendono a enfatizza-re la separazione tra il capitale di controllo, detenuto all’apice, e il capitale delle minoranze, che viene disperso e frazionato in una miriade di società (tra gli altri si vedano: Brioschi et al., 1990; Zattoni, 2006a; Zattoni, 2006b; Zattoni e Cuomo 2010).

Molteplici indagini, che identificando la separazione tra pro-prietà e controllo come rapporto fra propro-prietà dei diritti sui di-videndi e controllo dei diritti di voto, rilevano che l’Italia è uno tra i paesi dove il fenomeno delle strutture piramidali è mag-giormente diffuso (Airoldi et al., 2010; Bianchi e Bianco, 2006; Brioschi et al., 1990; Mengoli, 2005; Rossi, 2004; Rapporto Commissione Europea-Sherman & Sterling 2007).

Lo studio che segue trae origine dalla constatazione che i bi-lanci dei principali gruppi italiani quotati non inducono a rite-nere che tali strutture portino comunque a una grande amplifi-cazione delle risorse investite dalla capogruppo attraverso il con-trollo del capitale investito dagli azionisti di minoranza.

Utilizzando il concetto di leva azionaria (Brunetti, 1985), il nostro studio rileva, infatti, che mediamente le minoranze ap-portano non oltre il 12% del capitale dell’aggregato. I rappor-ti che rileviamo tra le controllate e la holding sembrano peral-tro molto diversi rispetto a quelli rilevati tra la stessa holding e i propri azionisti di riferimento.

Se, infatti, come rileva Zingales (1995), questi ultimi sono disposti a pagare elevati prezzi per ottenere benefici privati da società possedute limitatamente (Coronella, 2010; Dyck e Zin-gales, 2004; Veneziani, 2003), all’interno del gruppo, invece, il fenomeno non sembra sussistere. Il limitato ricorso alla leva azionaria, implica che le holding a loro volta acquisiscono qua-si per intero le società sottostanti e, con esse, i benefici deri-vanti dal loro controllo. Tutto ciò indica l’importanza di distin-guere nettamente l’economia del gruppo da quella degli strati sovrastanti.

Il contributo si propone così di individuare un modello ca-pace di catturare le peculiarità di questo modo di fare

(3)

impre-sa, esplicitando e correlando tra loro le variabili che lo contrad-distinguono, quali la leva azionaria, la leva finanziaria, la remu-nerazione del capitale della maggioranza, della minoranza e di terzi, nonché l’effetto della fiscalità.

Arriveremo a un modello di “leva multidimensionale” che, muovendo dal concetto di leverage multiplo (Dematté, 1995; Zattoni, 2010), si sviluppa secondo il noto teorema di “Modi-gliani-Miller” (1958).

Questo modello evidenzierà in primo luogo, sul piano con-cettuale, la possibilità che gli azionisti di maggioranza possono trarre grandi vantaggi dal capitale investito dalle minoranze, se correttamente dosato e adeguatamente remunerato. Il modello sarà inoltre utilizzato per indagare un campione di 111 gruppi quotati italiani, al fine di ottenere un primo riscontro empiri-co. Rileveremo come il campione esprima una estrema varietà di equilibri in termini di risorse gestite e loro remunerazione.

Valideremo anche l’ipotesi di partenza, ovvero che all’inter-no dei gruppi esaminati le maggioranze utilizzaall’inter-no effettivamen-te poco la struttura di gruppo per fare leva sul capitale delle minoranze. In termini di remunerazione delle minoranze, osser-veremo poi che:

– se vi sono fenomeni di sotto-remunerazione rispetto al ren-dimento medio del capitale del gruppo, questo fenomeno non sembrerebbe inquadrabile come un depredamento degli inte-ressi di minoranza, in quanto non appare di rilevanza tale da spostare in modo apprezzabile la ricchezza tra società dell’area di consolidamento;

– se vi sono fenomeni di sovra-remunerazione, anch’essi risul-tano marginali rispetto all’economia del gruppo e sembrano identificare piccole imprese dinamiche e marginali che opera-no in contesti più rischiosi e/o inopera-novativi rispetto alla strut-tura più consolidata dell’aggregato.

Lo studio, per sua natura, si pone quindi in modo trasversale rispetto ai molteplici contributi inerenti la corporate

governan-ce, la finanza, l’accounting, che esplicitamente o implicitamente abbiamo preso a riferimento.

Il paragrafo 2 esamina la principale letteratura, rilevando co-me questa si muova entro due visioni limite: una “predatoria” che vede il gruppo sostanzialmente come strumento utilizzato

(4)

dalla maggioranza ai danni della minoranza, l’altra “sinergica”, dove i vari centri d’interesse collaborano al fine del successo dell’aggregato nel suo insieme.

Il paragrafo 3 muoverà dalle due dimensioni del leverage mul-tiplo che agiscono sulla struttura finanziaria dei gruppi, ampli-ficando le risorse investite dalla maggioranza: la leva azionaria e la leva finanziaria. Espliciteremo però che le due leve non ope-rano indipendentemente, ma che vi è un effetto congiunto, ov-vero una leva finanziaria sulla leva azionaria che può amplifica-re ulteriormente le risorse controllate.

Svilupperemo quindi la nota relazione di Modigliani-Miller, costruendo un modello capace di mettere in relazione in modo esplicito la struttura finanziaria del gruppo e la sua redditività, rispetto ai diversi soggetti che apportano risorse: maggioranze, minoranze, creditori.

Nel paragrafo 5 trarremo le prime considerazioni analitiche dal modello, utilizzandolo per indagare il bilancio di 111 grup-pi italiani quotati, secondo i dati contabili estratti dalla banca dati AIDA al febbraio 2012.

Il paragrafo 6 conclude il lavoro riassumendo le principali im-plicazioni empiriche e proponendo alcuni spunti per ulteriori in-dagini.

I passaggi matematici utilizzati per la definizione del model-lo sono esposti nell’appendice.

2. Quadro Teorico Di Riferimento

G

li studi solitamente assumono che il gruppo rappresenti una forma intermedia tra gerarchia e mercato (Rossi, 2004; Wil-liamson, 1964) dove i diversi attori si muovono seguendo inte-ressi contrapposti (agency theory), oppure attraverso inteinte-ressi convergenti (stewardship theory).

Al fine di organizzarli entro un modello descrittivo integra-to, di seguiintegra-to, sono quindi presentati entro due direttrici: quel-li che conducono a una visione del gruppo secondo una logica sostanzialmente “predatoria” e quelli che, invece, conducono a una visione del gruppo secondo una logica sostanzialmente “si-nergica”.

Secondo la logica predatoria, poiché gli azionisti di controllo perseguono propri interessi, questi cercano di espropriare gli al-tri investitori (Dyck e Zingales, 2004) trasferendo risorse e

(5)

pro-fitti al di fuori delle imprese o impiegandole verso progetti non redditizi da cui però derivano benefici privati (tra gli altri, si veda, Shleifer e Vishny, 1997; La Porta, 1999; Claessens, 2000, Faccio, 2002; Claessen et al., 2002 ; Lemmon e Lins, 2003).

Nei gruppi il trasferimento della ricchezza tra le imprese del-la piramide a vantaggio del vertice è conosciuto come “tunne-ling” (tra gli altri, si veda, Johnson et al., 1998; La Porta et al., 1999; La Porta et al., 2000; Lopez-de-Silanes e Shles, 2000; Cheung et al., 2006; Cheung et al., 2009).

Molti autori correlano il tunneling a un incremento del rischio d’impresa (Dyck e Zingales, 2004). Infatti, poiché la separazio-ne tra proprietà e controllo in parte isola il vertice dalle con-seguenze del fallimento di società controllate economicamente ma indipendenti sotto il profilo giuridico, chi controlla non si farebbe scrupoli ad avventurarsi in investimenti rischiosi usan-do le attività delle imprese localizzate agli strati più bassi della piramide (Morck et al., 2004). In sintesi, le strutture piramida-li consentirebbero di gestire il rischio e la redditività addossan-do alle minoranze il primo ed esproprianaddossan-dole del seconaddossan-do (Gu-gler e Yurtoglu, 2003).

Tale atteggiamento predatorio può essere identificato anche nella gestione del debito. Chi controlla avrebbe infatti tutto l’in-teresse ad aumentare il rapporto tra indebitamento e capitale proprio investito. Ciò gli consentirebbe:

– se il debito è concentrato nelle imprese localizzate negli stra-ti più bassi della piramide - di controllare maggiori risorse evitando al contempo nuovi esborsi di capitale o l’indeboli-mento della propria posizione di controllo (qualora si rivol-gesse ad un aumento di capitale sottoscritto da altri soci); l’utilizzo dell’indebitamento inoltre comporta anche un mi-nor coinvolgimento del controllore in caso di fallimento in-centivando una maggiore propensione al rischio (Du e Dai, 2004; Shleifer e Visny, 1997);

– se il debito è concentrato nella stessa holding o in sue con-trollate - di finanziare l’acquisto dei pacchetti necessari per il controllo dei livelli successivi (come ad esempio avviene nel

leverage by-out); in tal caso la necessità di ripagare il debito contratto per acquisire i pacchetti di controllo potrebbe an-che incentivare l’espropriazione delle minoranze aumentando il passaggio di risorse, sotto forma dividendi, dalle

(6)

controlla-te alle holding (la cosiddetta “Debt Service Hypothesis”; si ve-da Banny et al., 2010; Bertrand et al., 2002).

Il maggior rischio è oltretutto anche incorporato in termini di più elevati costi finanziari. È plausibile infatti ritenere, come no-tano Chen e Sterken (1999), che l’eccesivo uso dell’indebita-mento, incrementando le possibilità di default della singola im-presa, influenzi negativamente il costo dei finanziamenti con conseguenze negative anche sul valore della stessa (Myers 1977; Nandelstadh e Rosenberg, 2003; Margaritis e Psillaki, 2010; Driffield et al., 2001; Purnanandam, 2008; Gilson e Villalonga, 2007).

Secondo la logica sinergica, il gruppo rappresenta una struttu-ra utilizzata per ottimizzare i costi di agenzia, aggiungendo co-sì valore alle proprie imprese (Almeida e Wolfenzon, 2004; Baumol, 1959, Leff, 1978). In particolare, il gruppo sostituisce i mercati quando questi sono inefficienti (Kanna e Palepu, 1999 e 2000) attuando anche meccanismi di ripartizione del rischio (Aoki, 2001). Tale logica è indubbiamente supportata da una certa contraddittorietà nei risultati in merito all’utilizzo del gruppo piramidale come mezzo di separare la proprietà dal con-trollo.

Da un lato le piramidi risultano molto diffuse anche in quei paesi dove vi sono modalità alternative per ottenere la separa-zione tra proprietà e controllo (come ad esempio nel nostro paese, attraverso la possibilità l’emissione di azioni con differen-ti diritdifferen-ti di voto; si veda tra gli altri, La Porta et al.); dall’al-tro, le stesse strutture piramidali risultano spesso legate attra-verso catene di controllo che non lasciano spazio a significative separazioni tra proprietà e controllo. Molti studi, che prendo-no in esame contesti socio-ecoprendo-nomici anche geograficamente di-stanti, concordano su tale aspetto (tra gli altri si vedano Franks e Mayer, 2002; Lefort e Walker, 1999; Faccio e Lang, 2002; Lee et al., 2000; Valadares e Leal, 2000; Bianchi e Bianchi, 2006).

L’evidenza empirica suggerisce, dunque, che ci devono esse-re ragioni per l’esistenza di piramidi che vanno oltesse-re la separa-zione tra proprietà e controllo.

Anche in merito all’idea di sistematica espropriazione delle minoranze esistono prove contraddittorie. Secondo Faccio et al. (2001), mediamente, le imprese affiliate ad un gruppo

(7)

nell’Eu-ropa occidentale pagano dividendi significativamente più alti di quelle asiatiche. Ciò non contraddice la teoria dell’espropriazio-ne, ma la contestualizza: mentre in Asia i grandi azionisti sem-brano colludere per l’espropriazione (tanto che imputano il fal-limento delle imprese asiatiche non alla struttura piramidale in se, ma al suo utilizzo nell’ambito di un “capitalismo cronico”) in Europa questi hanno molta cura del valore di mercato delle azioni e costruiscono la loro reputazione proprio pagando am-pi dividendi alle minoranze.

In merito al rapporto che esiste fra la struttura di gruppo e la gestione del debito, molti studi si concentrano sulla capacità del gruppo di creare un mercato interno dei capitali con mino-ri costi di agenzia mino-rispetto a quello esterno (Barclay e Smith, 1995; Easterwood e Kadapakkam, 1991; Verschueren I. Delo-of M; Stein, 1997; Hoshi et al., 1990; Faccio et al., 2001; Bian-co e NiBian-codano, 2006; Dewaelheyns e Van Hulle, 2010)

In tale ottica, si ritiene che la gestione dell’indebitamento a livello di gruppo dovrebbe in generale ridurre i costi finanziari superando, specie in mercati finanziari poco sviluppati, asimme-trie informative e rapporti di agenzia svantaggiosi (Dewaelheyns e Van Hulle, 2010; Schiantarelli e Sembenelli, 2000; Bianco e Nicodano, 2006).

Le imprese del gruppo con migliore accesso all’indebitamen-to esterno possono così optare per la raccolta di maggiori ri-sorse esterne rispetto ai propri singoli fabbisogni, le quali ver-ranno poi girate, all’interno del gruppo stesso, verso quelle so-cietà che riescono a garantire delle redditività operative più al-te (Ghatak e Kali, 2001).

3. Il Modello di analisi

L

a lettura dei gruppi piramidali basata sulla sola separazione dei diritti di voto controllati e posseduti, benché diffusamen-te impiegata, risulta parziale e non consendiffusamen-te a nostro avviso di cogliere aspetti fondamentali inerenti la struttura finanziaria e le dinamiche reddituali. Come vedremo, infatti, una stessa strut-tura piramidale può sostenere strutture finanziarie molto diffe-renti tra loro, non rendendo conto di una variabile fondamen-tale: il rapporto esistente tra le risorse investite dalla capogrup-po e quelle controllate (Brunetti, 1985; Zattoni ,2000).

(8)

A tale scopo, iniziamo con il considerare la struttura finan-ziaria di un gruppo, dove il capitale posseduto da una società capogruppo si amplifica attraverso due forme di finanziamento: quello delle minoranze (leva azionaria, o “equity leverage”, "EL") e quello dei creditori che, a diverso titolo, apportano ri-sorse al gruppo (leva finanziaria, o “debt leverage”, "DL") . Lo strumento più idoneo per procedere nella nostra analisi è sen-za dubbio il bilancio consolidato dei gruppi (Tersen-zani, 1992). Questo infatti conferisce innumerevoli benefici alla ricerca, sia in termini di accuratezza delle informazioni, sia di omogeneità di rilevazione.

In primo luogo, i bilanci consolidati, se redatti secondo prin-cipi contabili generalmente accettati, garantiscono uniformità di trattamento delle poste contabili (si pensi agli IAS, ITA GAAP o agli US GAAP). Inoltre, la crescente convergenza dei princi-pi verso una uniformità a livello internazionale, vede la possi-bilità di effettuare attendibili comparazioni tra differenti paesi (Prencipe, 2004).

In secondo luogo i principi contabili che presiedono alla reda-zione del bilancio consolidato prevedono che vi sia una ben de-finita certezza nel controllo delle società inserite nel documen-to, il quale deve presentare il gruppo come se fosse un'unica entità economica, cioè un’unica impresa (si veda ad esempio lo IAS 27 – IFRS 10). Ciò implica che tale “entità” venga presen-tata nei suoi soli rapporti con l’esterno: saldi, operazioni, rica-vi e costi infragruppo che possono falsare tale rica-visione, devono essere integralmente eliminati.

Nell'ambito del patrimonio netto del gruppo (che indichere-mo con EG), devono peraltro essere presentate separatamente: • la quota delle partecipazioni di minoranza, cioè la parte di pa-trimonio netto di una controllata non attribuibile direttamen-te o indirettamendirettamen-te ad una controllandirettamen-te (che indicheremo con Em),

• la quota delle partecipazioni di maggioranza, cioè il patrimo-nio netto dei soci della controllante (che indicheremo con EM).

***

Come dicevamo, gli studi tradizionalmente misurano l“equity wedge”, ovvero la separazione tra proprietà e controllo, con-frontando i diritti di voto controllati (i cd “control right”, o

(9)

bre-vemente “CR”) rispetto ai diritti sui dividendi (i cd. “cash flow right”, o brevemente “CFR”) (tra gli altri, Claessens et al., 2000). Infatti, a causa dell’effetto della struttura piramidale, do-ve la proprietà della maggioranza di un’impresa a sua volta de-tiene la maggioranza nel capitale di un’altra impresa, CFR e CR possono differire (Morck, Wolfenzon & Yeung, 2004), crean-do un cuneo tra capitale posseduto e capitale controllato.

Ipotizziamo quindi di avere un gruppo piramidale composto da quattro società A, B, C e D dove la società A capogruppo controlla le successive, a cascata, con una percentuale costante del 60% e azioni non differenziate sotto il profilo dei diritti di voto e/o dei diritti sui dividendi (Bany et al., 2010).

Quindi (tabella 1 colonna “a”):

– A possiede il 60% di B (ha quindi “diritto” al 60% dei divi-dendi, cioè CFRA.B) ma, avendo la maggioranza assoluta,

con-trolla“di diritto”, cioè domina il 100% dei diritti di voto (cioè

CRA.B.) (colonna “f”);

– B possiede il 60% di C e ne controlla il 100% (abbiamo quin-di CFRB.C pari al 60% e CRB.C pari al 100%);

– C possiede il 60% di D e ne controlla il 100% (abbiamo quin-di CFRC.D pari al 60 e CRC.D pari al 100%).

Tabella 1. Relazione tra proprietà e controllo, cash flow right (CFR) e control right (CR) Catena di controllo a Posseduto da A Controllato da A Quota posseduta dalle minoranze e controllato da A (CFRm) e Quota complessiva controllata da A (CRA) f Quota di maggioranza posseduta da A (CFRA) b Quota di maggioranza posseduta da B (CFRB) c Quota di maggioranza posseduta da C (CFRC) d A 100% 100% 0% 100% B 60% 60% 40% 100% C 60% (60%*60%)= 36% (40%*60%)= 24% 40% 100% D 60% (60%*60%*60%) =21,6% (40%*60%*60%) =14.4% (40%*60%)= 24% 40% 100%

(10)

Attraverso la sola partecipazione in B, la struttura piramida-le consente ad A di controllare, cioè di dominare l’intero grup-po al 100% (colonna “f”), mentre grup-possiede solo il 60% di B (CFRA.B), il 36% di C (CFRA.C )e il 21,6% di D (CFRA.D) (co-lonna “b”)(1).

Come affermato, molti studi propongono quale misura della differenza tra proprietà e controllo il rapporto esistente tra CR e CFR (tra gli altri si vedano Bianchi et al., 2001; Bany et al., 2010; Barca e Becht, 2001; Bebchuk et al., 2000; Claessens et

al., 2000; Francis et al., 2005; López de Silanes et al., 1999; La Porta et al., 2000; Zattoni e Cuomo, 2010, Zingales, 1995). Quindi, nel caso di A su D la struttura piramidale porta ad una leva di 100/21,6 (cioè 4,63), da cui si deduce una eleva-ta separazione tra i diritti sui dividendi (CFR) e il controllo dei diritti di voto (CR).

Come premesso però, poiché noi siamo interessati alla strut-tura finanziaria del gruppo, dobbiamo in primo luogo mettere in luce i legami tra struttura piramidale e leva tra risorse pos-sedute e risorse controllate dalla maggioranza.

In altri termini, prendendo a riferimento l’intero patrimonio di gruppo ci domandiamo qual è la parte di capitale investita dalla maggioranza e quella che, investita dalle minoranze, è co-munque controllata dalla maggioranza (Brunetti, 1985).

Se quindi, come detto, indichiamo con EGil capitale del grup-po controllato dalla maggioranza, con EM il capitale posseduto dalla maggioranza e con Em il capitale posseduto dalla minoran-za (dove, dato un gruppo di n imprese Em = ∑ Emn) avremo che:

EG = EM + Em. Quindi: EG EM = EM+Em EM =1+ Em EM

(1) Se prendiamo a riferimento il possesso e quindi i cash flow right (CFR), con riferimento alla società D (linea D della tabella 1) abbiamo che: D è posseduta direttamente da C per il 60% del capitale. Il 21,6% di questo «possesso» è di proprietà di A (cioè, il 60% del 60% del 60%% del capitale di D - colonna “b” - CFRA”); il 14,4% è di proprietà delle minoranze di B

(cioè, il 40% del 60% del 60% - colonna “c” - CFRB); il 24% è di proprietà delle

minoran-ze di C (cioè, il 40% del 60% - colonna “d” - CFRC); infine il restante 40% è di proprietà

(11)

T ab el la 2 . L ev a az io n ar ia , ca sh f lo w r ig h t (C F R ) e co n tr o l ri gh t (C R ) Q u o ta p o ss ed u ta d al le m in o ra n ze Q u o ta co m p le ss iv a co n tr o ll at a d a A (C R ) ca so 1 a ca so 1 b ca so 1 c T o ta le ri so rs e si n go la so ci et à (e = a ) N et to to ta le si n go la so ci et à (a ) N et to in te rn o gr u p p o (b ) N et to es te rn o gr u p p o (c = a – b ) T o ta le ri so rs e si n go la so ci et à (e = a ) N et to to ta le si n go la so ci et à (a ) N et to in te rn o gr u p p o (b ) N et to es te rn o gr u p p o (c = a – b ) T o ta le ri so rs e si n go la so ci et à (e = a ) N et to to ta le si n go la so ci et à (a ) N et to in te rn o gr u p p o (b ) N et to es te rn o gr u p p o (c = a – b ) A 0 % 1 0 0 % 2 1 ,6 2 1 ,6 2 1 ,6 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 B 4 0 % 1 0 0 % 3 6 3 6 2 1 ,6 1 4 ,4 1 0 1 0 6 4 1 0 0 1 0 0 6 0 4 0 C 4 0 % 1 0 0 % 6 0 6 0 3 6 2 4 1 0 1 0 6 4 1 0 0 1 0 0 6 0 4 0 D 4 0 % 1 0 0 % 1 0 0 1 0 0 6 0 4 0 1 0 1 0 6 4 1 0 0 1 0 0 6 0 4 0 A + B + C + D 2 1 7 ,6 2 1 7 ,6 1 1 7 ,6 1 0 0 1 3 0 1 3 0 1 8 1 1 2 4 0 0 4 0 0 1 8 0 2 2 0 N et to g ru p p o EG 1 0 0 EG 1 1 2 EG 2 2 0 N et to m ag gi o ra n za EM 2 1 ,6 EM 1 0 0 EM 1 0 0 N et to m in o ra n za Em 7 8 ,4 Em 1 2 Em 1 2 0 E q u it y L ev er ag e (E L ) Em / EM 3 ,6 3 Em / EM 0 ,1 2 Em / EM 1 ,2 0 L ev a az io n ar ia EG / EM 4 ,6 3 EG / EM 1 ,1 2 EG / EM 2 ,2 0

(12)

Torniamo al precedente esempio e ipotizziamo che D abbia un capitale di 100 e i livelli superiori siano delle scatole vuote (c.d. “scatole cinesi”) aventi quale unico obiettivo la separazio-ne tra proprietà e controllo. Possiamo in questo caso conclude-re che ad A basteconclude-rebbe un investimento di 21,6 (tabella 2 ca-so 1a, colonna “e”) per implementare la suddetta catena di con-trollo su D.

Questo è possibile in quanto:

– D, con capitale di 100 (riga “D” colonna “a”), solo per il 40%, cioè 40, è finanziato da azionisti esterni al gruppo, cioè dal-le minoranze di D (colonna “c”), per il 60%, cioè 60, è fi-nanziato con il capitale di C (colonna “b”);

– C, con capitale di 60 (riga “C” colonna “a”), solo per il 40%, cioè 24, è finanziato da azionisti esterni al gruppo, cioè dal-le minoranze di C (colonna “c”), per il 60%, cioè 36, è fi-nanziato con il capitale di B (colonna “b”);

– B, con capitale di 36 (riga “B” colonna “a”), solo per il 40%, cioè 14,4, è finanziato da azionisti esterni al gruppo, cioè dal-le minoranze di B (colonna “c”), per il 60%, cioè 21,6, è fi-nanziato con il capitale di A (colonna “b”);

– A, con capitale di 21,6 (riga “A”, colonna “a”), lo investe uni-camente per possedere il 60% di B e controllarla integral-mente.

Come possiamo osservare, il capitale effettivamente investito è di 100 contro un netto complessivo apparente di 217,6 (colon-na “e”). Questo perché abbiamo investimenti in partecipazioni, cioè capitale del gruppo posseduto da altre imprese dell’aggre-gato, che costituisce solo apparentemente risorse finanziarie per 117,6 (colonna “b”); investimenti che però, come visto, devo-no essere eliminati per determinare la reale consistenza del ca-pitale di gruppo.

Possiamo osservare (colonna “c”) come complessivamente il ca-pitale apportato dalle minoranze nel gruppo sia pari a 78,4 (cioè, 14,4 + 24 + 40), mentre il capitale apportato dalla maggioran-za sia solo 21,6. Ne deduciamo che la minoranmaggioran-za apporta la mag-gioranza del capitale. La leva azionaria sarà la seguente:

100 21.6= 21.6+78.4 21.6 =1+ 78.4 21.6=4.63

(13)

Questo è possibile poiché la minoranza Em è frazionata in tan-te assemblee (delle società B, C e D) dove la maggioranza del capitale e dei diritti di voto appartiene alla società di livello superiore, fino ad arrivare alla capogruppo A.

In altri termini, il controllo di una società con percentuali inferiori al 100% consente di “far leva” sulle minoranze, cioè di utilizzare anche il capitale controllato ma non posseduto per controllare integralmente gli investimenti di quella società (CR).

La tradizionale valutazione della separazione tra CFR e CR non consenta tuttavia approfondire tale analisi. A titolo mera-mente esemplificativo, si riportano altre due differenti struttu-re di gruppo (caso 1b e caso 1c), tutte derivanti dalla pstruttu-rece- prece-dente catena di controllo (legame tra A, B, C ,D pari al 60%); quindi tutte con lo stesso rapporto tra CR e CFR, ma con le-ve sul capitale profondamente dile-verse (nel caso 1b la società D è 10 volte più piccola rispetto al caso 1a; nel caso 1c le so-cietà intermedie anziché scatole cinesi, sono soso-cietà operative, ciascuna con propri asset). Possiamo peraltro verificare come, a parità di altre condizioni, “EL”, cioè la leva della maggioran-za sulle risorse del gruppo, aumenti qualora gli investimenti vengano fatti dalle società alla base della piramide muovendo-si da una muovendo-situazione del tipo 1b (asset operativi concentrati al vertice), verso un gruppo del tipo 1c.

Il fenomeno si amplifica ulteriormente prendendo in esame l’intera struttura finanziaria di un gruppo: è infatti evidente che gli investimenti che cadono sotto il controllo dell’apice della piramide non sono costituiti solo dal capitale delle minoranza, ma anche dal capitale finanziato attraverso l’indebitamento. Un loro inquadramento nell’ambito dell’economia dei gruppi deve necessariamente tenere presenti i molteplici studi sulla struttu-ra del capitale, avviati sopstruttu-rattutto dopo il famoso articolo di Modigliani e Miller del 1958 (tra gli altri, si veda: De Ange-lo e Masulis, 1980; Jensen e Meckling, 1976; Jensen, 1986; Myers, 1984, Titman e Wessel, 1988; Rajan e Zingales, 1995; Fama e French, 2002).

La leva finanziaria nell’ambito dell’economia dei gruppi sem-bra però assumere caratteristiche del tutto particolari, in quan-to, come visquan-to, le affiliate a un gruppo sono entità giuridiche separate che possono direttamente accedere sia al mercato

(14)

esterno dei capitali sia a quello interno (Shin e Stultz, 1998; Deloof, 1998; Deloof e Jegers, 1999; Stein 1997)(2).

Concentrando la nostra attenzione sul gruppo come unica en-tità, mentre i finanziamenti esterni costituiscono un effettivo in-debitamento per “l’entità-gruppo”, quelli interni sono il risulta-to del “sistema circolarisulta-torio” attraverso il quale le risorse: – procacciate all’esterno da quelle società che grazie alle loro

caratteristiche (rating, costi di agenzia, mercato dei capitali, ecc) riescono ad assicurarsele nel modo più conveniente, – vengono riallocate all’interno verso quelle società che sempre

grazie alle loro caratteristiche (efficienza produttiva, costi di agenzia, mercati di sbocco ecc.) riescono ad impiegarle nel modo più redditizio.

Anche in questo caso risulta funzionale l’utilizzo dei bilanci con-solidati, nei quali si evidenzia l’indebitamento effettivo del grup-po come unica entità, quindi quello esterno. I prestiti infragrup-po, ancorché indispensabili per il funzionamento dell’aggregato, costituiscono invece partite di giro che come tali non incremen-tano le risorse reali.

Posto che l’indebitamento esterno aumenta le risorse a di-sposizione del gruppo, ne consegue che amplifica anche il diva-rio esistente tra capitale posseduto e capitale controllato.

Indicando con TAG l’insieme delle risorse del gruppo e con DG l’indebitamento consolidato del gruppo, cioè quello ester-no, avremo che: TAG = EM + Em + DG ; e quindi:

Tuttavia la relazione può essere meglio specificata qualora ope-rassimo la seguente trasformazione:

TAG EM =1+Em EM +DG EM

(2) Le decisioni in merito alla struttura del capitale di una impresa affiliata risultano probabil-mente essere il risultato di un più ampio trade-off a livello di gruppo tra benefici e costi di differenti fonti di finanziamento (capitale proprio-debiti interni- debiti esterni) (Dewaelheyns e Van Hulle, 2010), dove i gruppi hanno la fisiologica possibilità di raggiungere maggiori livelli di indebitamento ottimale complessivo rispetto a quelli di una impresa singola (Manos et al., 2007 Lee et al., 2000; Jung et al. ,2009).

(15)

quindi:

Come possiamo osservare, il meccanismo di “leverage multiplo” (Dematté 1995) assume la forma di una leva multidimensionale (ML, ovvero TAG / EM), data dalla somma della costante 1 e di tre componenti (figura 1):

• l’“equity leverage” (EL) precedentemente esaminato Em / EM • il “debt leverage” (DL) dato dal tradizionale rapporto tra DG

/ EG

• l’effetto finanziario dell’equity leverage sul debt leverage (EDL) dato da (Em / EM)×(DG / EG).

A titolo esemplificativo, si prendano in esame le tre situazioni precedenti, ipotizzando che le risorse di ciascun livello proven-gano in parti uguali dal capitale proprio e dal capitale di terzi (indebitamento 100%). DG EM =EG EG !DG EM =DG EG !Em+EM EM =DG EG ! Em EM +1 " # $ % & ' =EG EG !Em EM +DG EG TAG EM =1+ Em EM + DG EG! Em EM+ DG EG LEVA MULTIDIMENSIONALE debt leverage (DL) equity debt leverage (EDL) Em EM DG EG equity leverage (EL) Em EM DG EG Figura 1.

(16)

A 0 % 1 0 0 % 3 1 ,3 5 1 ,3 5 1 ,3 5 1 0 0 5 0 5 0 5 0 1 0 0 5 0 5 0 5 0 B 4 0 % 1 0 0 % 9 4 ,5 4 ,5 2 ,7 1 ,8 1 0 5 5 3 2 1 0 0 5 0 5 0 3 0 2 0 C 4 0 % 1 0 0 % 3 0 1 5 1 5 9 6 1 0 5 5 3 2 1 0 0 5 0 5 0 3 0 2 0 D 4 0 % 1 0 0 % 1 0 0 5 0 5 0 3 0 2 0 1 0 5 5 3 2 1 0 0 5 0 5 0 3 0 2 0 A + B + C + D 1 4 1 ,7 7 0 ,8 5 7 0 ,8 5 4 1 ,7 2 9 ,1 5 1 3 0 6 5 6 5 9 5 6 4 0 0 2 0 0 2 0 0 9 0 1 1 0 N et to g ru p p o EG 2 9 ,1 5 EG 5 6 EG 1 1 0 N et to m ag gi o ra n za EM 1 ,3 5 EM 5 0 EM 5 0 N et to m in o ra n za Em 2 7 ,8 0 Em 6 Em 6 0 In d eb it am en to DG 7 0 ,8 5 DG 6 5 DG 2 0 0 T o ta le r is o rs e T AG = EG + DG 1 0 0 T AG = EG + DG 1 2 1 T AG = EG + DG 3 1 0 E q u it y L ev . (E L ) Em / EM 2 0 ,5 9 Em / EM 0 ,1 2 Em / EM 1 ,2 0 D eb t L ev . (D L ) DG / EG 2 ,4 3 DG / EG 1 ,1 6 DG / Eg 1 ,8 2 E q u it y-D eb t L ev . (E D L ) Em / EM ·D G / EG 5 0 ,0 5 Em / EM ·D G / EG 0 ,1 4 Em / EM ·D G / EG 2 ,1 8 M u lt id im . L ev . (M L ) T AG / EM 7 4 ,0 7 T AG / EM 2 ,4 2 T AG / EM 6 ,2 0 T ab el la 3 . L ev a az io n ar ia e l ev a fi n an zi ar ia Q u o ta p o ss ed u ta d al le m in o ra n ze Q u o ta co m p le ss iv a co n tr o ll at a d a A (C R ) T o ta le ri so rs e si n go la so ci et à (e = a+ d ) ca so 1 a In d eb . (1 0 0 % ) si n go la so ci et à (d ) N et to to ta le si n go la so ci et à (a ) N et to in te rn o gr u p p o (b ) N et to es te rn o gr u p p o (c = a– b ) T o ta le ri so rs e si n go la so ci et à (e = a+ d ) ca so 1 b In d eb . (1 0 0 % ) si n go la so ci et à (d ) N et to to ta le si n go la so ci et à (a ) N et to in te rn o gr u p p o (b ) N et to es te rn o gr u p p o (c = a– b ) T o ta le ri so rs e si n go la so ci et à (e = a+ d ) ca so 1 c In d eb . (1 0 0 % ) si n go la so ci et à (d ) N et to to ta le si n go la so ci et à (a ) N et to in te rn o gr u p p o (b ) N et to es te rn o gr u p p o (c = a– b )

(17)

Il passaggio successivo consiste nell’associare la struttura fi-nanziaria che la maggioranza riesce a controllare in virtù delle proprie partecipazioni alla redditività che la maggioranza stessa riesce a trarre dal gruppo. Indicando quindi con PM l’utile in questione e con Pm l’utile attribuito alle minoranze, possiamo individuare, oltre a una redditività complessiva (ROEG=PG / EG),

due indici distinti: ROEM=PM / EM

ROEm=Pm / Em

A sua volta, ROEmrappresenta la redditività media attribuita al-le minoranze nelal-le diverse società del gruppo. Infatti, dato un gruppo di n imprese:

ROEm =

Questo indicatore risulta particolarmente importante al fine di misurare l’ipotesi di tunneling tra società appartenenti all’area di consolidamento. Infatti, laddove vi è una sistematica espro-priazione delle minoranze, il ROEm dovrebbe essere significati-vamente inferiore rispetto alla redditività della maggioranza (ROEM) e quindi confermare la logica predatoria; indicazioni in favore della logica sinergica dovrebbero derivare dall’ipotesi op-posta.

Prendiamo adesso in considerazione ulteriori indici necessari per compore il modello. Accogliendo l’espressione più diffusa di EBIT come “Earnings Before Interest and Tax” il quale include Operating Income e Non-operating Income(3) abbiamo:

EBIT (Earnings Before Interest and Taxes) (EBIT)

(-) Interest Expenses, net (I)

Pmx x=1 n

!

Emx x=1 n

!

= ROEmx"Emx x=1 n

!

Emx x=1 n

!

(3) In Italia viene spesso associato al margine operativo netto (o MON) o reddito operativo (RO), ma non coincide concettualmente con esso: oltre alle componenti di reddito operative, esso comprende infatti gli oneri ed i proventi derivanti da gestioni accessorie (ad es. la gestio-ne di immobili ad uso civile per un'azienda manifatturiera), nonché i proventi finanziari deri-vanti dalla cosiddetta gestione finanziaria attiva.

(18)

EBT (Earnings Before Taxes) (EBT)

(-) Income Tax Expense (T)

(±) Non-Recurring Extraordinary Events (S)

(=) Net Profit (P)

Possiamo così calcolare, in primo luogo il ROAG. La pratica ve-de tale indice composto in molti modi. Per noi sarà:

ROAG = EBITG/TAG

Anche in questo caso si tratta di un rendimento medio. Valgo-no quindi le considerazioni svolte in precedenza e a fianco di società che impiegano ingenti capitali con soddisfacenti redditi-vità vi possono essere, ad esempio, società di dimensioni più li-mitate che, esplorando nuovi mercati ottengono redditività più alte o più basse, ma comunque funzionali all’economia del grup-po (c.d. “scouting”).

Indicando poi con IGil costo complessivo per interessi e sem-pre con DG il totale complessivo dei debiti esterni del gruppo, possiamo indicare il costo medio dell’indebitamento iG come:

iG = IG/DG

In questo caso, si tratta di un costo medio. La capacità di mi-nimizzare tale indicatore è una misura delle capacità di racco-gliere fondi mediante quelle società che per varie ragioni rie-scono a minimizzare il costo del denaro. Fondi che saranno con-vogliati, attraverso prestiti infragruppo verso quelle società che riescono ad impiegarlo nel modo più redditizio.

Indichiamo con SG il complesso degli oneri e proventi stra-ordinari e con sG il rapporto fra queste componenti di reddito e le risorse investite TAG. Come per i precedenti indici, sG as-sume il significato di incidenza media di tali componenti:

sG = SG / TAG

Infine, poste TG le imposte sul reddito ante-imposte EBTG: tG = TG /EBTG

(19)

Anche in questo caso, si tratta di un costo medio, in quanto tG rappresenta l’aliquota fiscale media alla quale è assoggettato EBTG(4).

Attraverso opportuni passaggi matematici, è possibile impo-stare in un’unica relazione tra diverse componenti delineate (ve-di appen(ve-dice 1):

(1)

Otteniamo così una versione articolata della Modigliani Miller, in cui la redditività per la maggioranza ROEM è data alla som-ma tra:

• return on assets: ROAG

• equity leverage (EL) effect:

dato dal prodotto tra l’equity leverage (EL) e lo spread azionario ovvero la dif-ferenza tra la redditività del capitale in-vestito e il costo-rendimento medio pon-derato del capitale investito dalle mino-ranze, rifiscalizzato al fine di tenere con-to della non deducibilità dei dividendi; in-dicato ROEmt = (ROEm·1/(1-tG));

• equity -debt- leverage (EDL) effect:

dato dal prodotto tra l’equity leverage (EL), il debt leverage (DL) e lo spread fi-nanziario ovvero, come nella Modigliani Miller, la differenza tra la redditività del capitale investito e il costo medio dei fi-nanziamenti esterni; ROEM= ROAG+ Em EM ROAG!ROEm t

(

)

+Em EM DG EG ROAG!iG

(

)

! " # + +DG EG ROAG$iG

(

)

+sG ! " #$ 1%t

(

G

)

(4) Tale variabile risente di molti fattori che portano a differenziare l'indicatore da gruppo a gruppo quali, ad esempio la composizione qualitativa del reddito imponibile di ciascuna socie-tà, la possibilità di effettuare consolidamenti fiscali delle basi imponibili, la pressione fiscale del paese in cui operano le controllare, ecc.

Em EM ROAG!ROEm t

(

)

Em EM DG EG ROAG!iG

(

)

(20)

• debt leverage (DL) effect:

dato dal prodotto tra il debt leverage (DL) e spread finanziario;

• non-recurring extraordinary events: sG

relativizzati sulla base del capitale investi-to;

• al netto dell’effetto fiscale (tax effect): 1-tG La figura 2 schematizza l’effetto delle tre leve.

DG EG ROAG!iG

(

)

debt leverage (DL) effect DG EG R O AG iG

(

)

equity leverage (EL) effect Em EM R O AG R O E t m

(

)

Em EM DG EG R O AG iG

(

)

equity-debt leverage (EDL) effect EFFETTO LEVA MULTIDIMENSIONALE Figura 2.

Verifichiamo con un esempio la validità del modello, estraendo i dati necessari direttamente dall’informativa di bilancio 2009 dei gruppi Telecom ed Enel, ricalcolando gli indici sulla base delle esigenze del modello stesso (Tabella 4 a pag. seguente).

Rielaborando il modello, sono molteplici gli aspetti del grup-po che grup-possono essere ulteriormente approfonditi.

In primo luogo, possiamo notare come il gruppo possa sfrut-tare l’equity leverage (EL) senza depredare le minoranze, poi-ché sarà conveniente incrementare il capitale di minoranza Em (eventualmente ristabilendo, se opportuno, un vantaggioso rap-porto DG/EG agendo su DG e/o EM) ogni volta che risulta pos-sibile attribuire un ROEm tale che (vedi appendice 2):

(2) ROEm< ROAG+ DG EG ROAG!iG

(

)

! " # $ % &' 1(t

(

G

)

(21)

In altri termini, possiamo incrementare ROEM quando vi è la possibilità di incrementare il capitale di minoranza retribuendo-lo con un rendimento non superiore al ROAG, maggiorato del debt leverage (DL) effect, al netto della pressione fiscale media del gruppo (1 – tG).

Con riferimento a Telecom, ad esempio, possiamo osservare che è teoricamente possibile individuare, a parità di altre con-dizioni, una remunerazione netta per le minoranze del 5,88% al di sotto della quale è comunque conveniente incrementare la leva azionaria.

Ulteriori elaborazioni possono poi portare a una focalizzazio-ne del modello – anziché sul capitale complessivamente con-trollato dalla maggioranza (TAG) attraverso la leva multidimen-sionale – sul capitale investito netto del gruppo (CING).

Per far ciò, dobbiamo distinguere i debiti di finanziamento da quello di funzionamento. Quindi, indicando:

• con DopG i debiti di funzionamento legati alla gestione opera-tiva il cui costo assumiamo implicitamente già incluso nel-l’EBITG e ponendo CING = TAG - DopG avremo ROCEG = EBITG/CING;

• con DfG i debiti di finanziamento e con ifG il costo di tale in-debitamento,

avremo:

TAG EM Em DG EBITG IG TG PG PM Pm

Telecom 86.181 25.952 1.168 59.061 7.448 4.731 1.121 1.596 1.581 15

Enel 160.457 32.505 11.848 116.104 10.755 5.334 2520 6.390 5.395 995

Em/EM DG/EG ROAG ROEM ROEm iG tG (1–tG) ROEtm

Telecom 0,045 2,178 8,64% 6,09% 1,28% 8,01% 41,26% 58,74% 2,19%

Enel 0,364 2,618 8,88% 16,60% 8,40% 4,59% 28,28% 71,72% 11,71%

Tabella 4. Modellizzazione dati Telecom ed Enel 2009

TELECOM ENEL

• return on assets 8,64% 8,88%

• equity leverage (EL) effect: 0,29% - 1,03%

• equity -debt- leverage (EDL) effect 0,06% 4,09%

• debt leverage (DL) effect: 1,37% 11,21%

• tax effect: 58,74% 71,71%

(22)

(3)

In questo modo, possiamo identificare all’interno di un levera-ge netto anziché globale:

– return on capital employed ROCEG

– equity leverage (EL) effect:

– equity -debt- leverage (EDL) effect:

– debt leverage (DL) effect:

Prendendo di nuovo in esame i dati finanziari di Telecom 2009, ad esempio, è possibile scorporare dall’indebitamento comples-sivo di euro 59.061 passività correnti per euro 18.244.

Avremo quindi che ROEM risulta scomponibile come:

ROICG 10,96%

equity leverage (EL) effect: 0,39%

equity -debt- leverage (EDL) effect: – 0,04%

debt leverage (DL) effect – 0,94%

tax effect: 58,74% ROEM 6,09% ROEM= ROCEG+Em EM ROCEG!ROEmt

(

)

+Em EM DGf EG ROCEG!iGf

(

)

! " # + +DG f EG ROCEG$iG f

(

)

+sG ! " #$ 1%t

(

G

)

Em EM ROCEG!ROEm t

(

)

Em EM DG f EG ROCEG!iG f

(

)

Em EM DG f EG ROCEG!iG f

(

)

CING EM Em DfG EBITG IfG TG PG PM Pm Telecom 2009 67.937 25.952 1.168 40.817 7.448 4.731 1.121 1.596 1.581 15 Em/EM D f

G/EG ROICG ROEM ROEm i

f

G tG (1-tG) ROE

t m

(23)

4. Applicazione del modello e presentazione dei risultati

A

pplichiamo infine il modello a un campione di gruppi quo-tati al 2012, traendo le informazioni dalla banca-dati AIDA. I gruppi sono stati selezionati in primo luogo scegliendo quelli che presentano con continuità il bilancio nella banca-dati per i tre esercizi presi a riferimento (2008-2010), in modo da garan-tire una comparazione significativa.

Inoltre, al fine di evitare l'impatto di dati anomali (da veri-ficare caso per caso), in questa analisi abbiamo deciso di esclu-dere quei gruppi che presentano nel loro bilancio consolidato valori negativi rispetto alle variabili utilizzate dal modello. Dei 228 gruppi esaminati, solo 111 presentano tutte le caratteristi-che richiese.

Data poi la particolare focalizzazione del nostro studio sulla ”leva multidimensionale” (ovvero sugli effetti dell’amplificazio-ne delle risorse investite dalla maggioranza EM attraverso il con-trollo di un più vasto insieme di risorse TAG), abbiamo ritenu-to preferibile applicare il modello complessivo (1), riportando per sintesi i valori medi, mediani e le varianze del campione nella tabella 5.

Come possiamo osservare, la redditività del capitale investito (ROAG), sia nei valori medi sia in quelli mediani, si riduce pro-gressivamente nei tre anni esaminati, passando rispettivamente dal 10,36% del 2008 al 7,78% del 2010 e dall’ 8,10% del 2008 al 7,19% del 2010. La varianza, espressa come scarto quadra-tico medio, si riduce anch’essa passando dallo 0,55% allo 0,27%.

L’equity leverage effect (EL effect) si presenta costantemente ne-gativo negli ultimi tre anni. Il dato a nostro avviso risulta signi-ficativo sotto più aspetti. In primo luogo, vediamo che, a fron-te di un ROAG che, come detto, in valori medi oscilla nei tre anni dal 10,36% al 7,78% e in valori mediani dall’8,10% al 7,19%, la remunerazione attesa delle minoranze (ROEm), cor-retta per considerare l’effetto fiscale dell’indeducibilità dei di-videndi (ROEmt), passa in valori medi dal 26,61% del 2008, al 31,89% del 2009 al 25,76% del 2010, e in valori mediani dal 13,83% del 2008, al 15,07 del 2009, al 13,81% del 2010. Que-sta elevata remunerazione porta a nostro avviso a dover respin-gere l’ipotesi di sistematica espropriazione delle minoranze nei

(24)

gruppi presi in esame (sui 111 gruppi esaminati, ben 70 ripor-tano ROEtm >ROAG).

Al fine di evidenziare in modo più esplicito tale aspetto, ri-portiamo nella figura che segue (figura 3), sull’asse delle ascis-se i gruppi del campione ordinati in modo crescente in termi-ni di rapporto tra capitale delle minoranze e capitale della ca-pogruppo (Em/EM).

Tabella 5. La leva multidimensionale nei gruppi quotati italiani

2010 2009 2008

MEDIA MEDIANA VARIANZA MEDIA MEDIANA VARIANZA MEDIA MEDIANA VARIANZA

[ ROAG ROAG 7,78% 7,19% 0,27% 7,98% 6,75% 0,22% 10,36% 8,10% 0,55% + Equity Leverage (EL) effect Em/EM 0,12 0,01 0,11 0,07 0,01 0,04 0,12 0,01 0,10 * ( ROA 7,78% G 7,19% 0,27% 7,98% 6,75% 0,22% 10,36% 8,10% 0,55% − ROEt m 25,76% 13,81% 14,78% 31,89% 15,07% 26,94% 26,61% 13,83% 18,11% ) + Debt Leverage (DL) effect DG/EG 1,96 1,76 1,60 2,02 1,70 2,02 2,24 1,89 3,57 * ( ROAG 7,78% 7,19% 0,27% 7,98% 6,75% 0,22% 10,36% 8,10% 0,55% − iG 2,13% 1,91% 0,02% 2,82% 2,57% 0,03% 3,96% 3,43% 0,07% ) + Equity-Debt Lev (EDL) effect Em/EM 0,12 0,01 0,11 0,07 0,01 0,04 0,12 0,01 0,10 * DG/EG 1,96 1,76 1,60 2,02 1,70 2,02 2,23 1,88 3,57 * ( ROAG 7,78% 7,19% 0,27% 7,98% 6,75% 0,22% 10,36% 8,10% 0,55% − iG 2,13% 1,91% 0,02% 2,82% 2,57% 0,03% 3,96% 3,43% 0,07% ) ] * Tax effect (1−tG) 61,75% 64,29% 2,11% 62,00% 63,64% 2,29% 63,67% 65,18% 2,20% = ROEM ROEM 10,38% 9,36% 0,63% 10,47% 8,65% 0,71% 15,18% 11,49% 3,92%

(25)

• Il grafico sovrastante mostra i differenziali ROAG- ROEtm. Pos-siamo così rilevare che esiste una correlazione tra il ricorso al capitale delle minoranze e la sua retribuzione: mentre i grup-pi che vi ricorrono in misura grup-più limitata presentano differen-ziali tendenzialmente positivi (il costo del capitale delle mi-noranze ROEtm è cioè inferiore al ROAG), questa tendenza sembra invertirsi per minoranze superiori. In altri termini la remunerazione delle minoranze sembra crescere al loro au-mentare.

• Il grafico sottostante mostra l’effetto dell’equity leverage sul-l’economia del gruppo ((ROAG- ROEtm)* Em/EM). Si può co-sì notare che gli effetti sono complessivamente modesti a cau-sa della limitata leva azionaria. Divengono apprezzabili solo per quei gruppi che ricorono maggiormente al capitale di mino-ranza e, laddove avviene, si ha un effetto negativo sulla red-ditività della maggioranza.

Una immagine quindi a nostro avviso lontana da quella di una sistematica espropriazione delle minoranze all’interno dell’area di consolidamento. Figura 3. 30,00% 10,00% – 10,00% – 30,00% – 50,00% – 70,00% – 90,00% – 110,00% – 130,00% – 150,00% 1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73 76 79 82 85 88 91 94 97 100 103 106 109 1,00% 0,00% –1,00% –2,00% –3,00% –4,00% –5,00% –6,00% –7,00% –8,00% –9,00% –10,00% 1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 53 55 58 61 64 67 70 73 76 79 82 85 88 91 94 97 100 103 106 109 (ROAG–ROEtm)·Nm/NM ROAG–ROEtm

(26)

Tornando alla tabella 5, possiamo in secondo luogo rilevare, l’elevata varianza di ROEmt che passa dal 18,11% del 2008, al 26,94% del 2009, al 14,78% del 2010, la quale ci porta a ri-tenere che vi sia comunque una grande varietà di situazioni in cui esistono controllate con rendimenti molto differenti rispet-to a quelli medi del gruppo.

L’equity levarage (EL, cioè Em/EM) è molto basso, con valo-ri medi di 0,12 per il 2008, 0,07 per il 2009 e 0,12 per il 2010 e valori mediani di 0,01 per i tre anni considerati. Da ri-levare tuttavia anche l’elevata varianza, pari a 0,10 per il 2008, 0,04 per il 2009 e 0,11 per il 2010.

Le implicazioni sono almeno due. Innanzitutto, posto che se-condo la normativa e i principi contabili le partecipazioni inclu-se nell’area di consolidamento devono esinclu-sere tali da assicurare il controllo della partecipata, se ne deduce che le controllate debbono avere capitali modesti (si veda come esempio il caso 1b di tabella 2 con Em/EM di 0,12, analogo a quello rilevato per il 2010). Inoltre, tale ridotto apporto di capitali porta ad annullare l’effetto negativo dell’equity leverage sull’economia del gruppo, consentendo di retribuire in modo evidentemente superiore le minoranze rispetto alla redditività media dell’inte-ro aggregato.

I dati sembrano così indicare che le holding del campione non utilizzano la struttura di gruppo per controllare rilevanti capi-tali di rischio appartenenti a vaste e frazionate minoranze azio-narie. L’immagine che ne emerge è invece quella di strutture di gruppo sostanzialmente monolitiche, dove le poche minoran-ze mediamente ben retribuite rispetto ai risultati del gruppo, non incidono sulla redditività della maggioranza grazie alla ri-dotta leva azionaria. In questo contesto, vi sono tuttavia picco-le società o sottogruppi (aventi forse lo scopo di operare in set-tori o zone con maggiori rischi) e con performance (e quindi con rendimenti) anche molto differenti rispetto a quelli della struttura principale. Aspetti a nostro avviso di indubbio interes-se, che richiedono tuttavia una approfondita “verticalizzazione” del modello sul singolo aggregato, anziché l’applicazione “oriz-zontale sull’economia di un ampio campione propria di questo scritto.

Il debt leverage effect (DL effect) si presenta invece costante-mente positivo negli ultimi tre anni. L’effetto è dovuto allo spread finanziario, ovvero alla differenza tra il ROAG e la

(27)

re-munerazione del capitale di terzi (iG). Quest’ultima risulta in media pari al 3,96% per il 2008, al 2,82% per il 2009 e 2,13% per il 2010, e in valori mediani pari al 3,43% per il 2008, al 2,57% per il 2009 e 1,91% per il 2010. In questo caso peraltro, la varianza è modesta oscillando tra lo 0,07% e lo 0,02%.

Questo spread, combinandosi con il debt leverage (DL, cioè DG/EG), contribuisce in modo significativo alla redditività del-le maggioranze. Infatti, in questo caso i valori di del-leva sono ri-levanti, attestandosi in valori medi a 2,24 nel 2008, a 2,02 nel 2009 e a 1,96 nel 2010. I valori mediani si attestano a 1,89 nel 2008, a 1,70 nel 2009 e 1,76 nel 2010. Anche in questo caso l'ampia varianza della leva (cioè 3,57; 2,02; e 1,60 ri-spettivamente per il 2008, 2009 e 2010) porta a ritenere che accanto alla tendenza di fondo, vi sia una grande diversifica-zione.

L'equity–debt everage effect (EDL effect) combina i risultati mediamente positivi del debt leverage effect con la ridotta esten-sione dell'equty leverage. In sintesi, il debt leverage effect vie-ne ridotto dai moltiplicatori dell’equity leverage, pari in media come visto, a 0,12 per il 2008, 0,07 per il 2009 e 0,12 per il 2010. L’aspetto di rilievo tuttavia è rappresentato dalla varian-za. Infatti come precedentemente rilevato, sia l’equity levarage (EL, cioè Em/EM) sia il debt leverage (DL, cioè DG/EG) presen-tano un’estrema dispersione di situazioni rispetto ai valori me-di e meme-diani. Tutto ciò lascia quinme-di supporre l’esistenza me-di equi-libri molto diversi e particolari dove le maggioranze di alcuni gruppi possono combinare in modo molto profittevole leva azio-naria e leva finanziaria.

Infine, possiamo osservare l’aumento della pressione fiscale (espressa come (1-t)) che passa in valori medi, dal 63,67% del 2008 al 62,00% del 2009 al 61,75% del 2010; in valori me-diani, dal 65,18% del 2008 al 63,64% del 2009 al 64,29% del 2010; mentre modesta risulta la varianza, attestandosi attorno al 2%. Dal modello risulta esplicito come l’aumento della pres-sione fiscale operi sulla redditività della maggioranza attraverso due meccanismi: riducendola nel suo complesso attraverso la ri-duzione dell'effetto fiscale (tax effect) e modificando lo spread azionario aumentando l'effetto dell'indeducibilità dei redditi at-tribuiti alle minoranze.

(28)

5. Conclusioni

N

onostante innumerevoli ricerche rilevino che nei gruppi ita-liani vi è un’ampia separazione tra proprietà e controllo e una significativa espropriazione di benefici privati ai danni del-le minoranze, se prendiamo in esame i bilanci consolidati dei principali gruppi quotati, questi non evidenziano una così am-pia leva tra capitali controllati e capitali posseduti dalla maggio-ranza.

Se ne deduce che l’economia del gruppo, inteso come pemetro di consolidamento, deve essere profondamente diversa ri-spetto a quella della struttura sovrastante e lo studio ne vuole indagare i principali tratti.

Si è quindi preso in esame il concetto di leverage multiplo co-me combinazione tra leva finanziaria e leva azionaria già proposto da vari studiosi, esplicitando l’esistenza di una terza leva, ottenu-ta dalla combinazione delle due precedenti. Abbiamo denominato l’effetto congiunto delle tre leve “leva multidimensionale”.

Sulla base del modello di Modigliani-Miller, si è poi costrui-to un nuovo modello che fosse capace di collegare la redditivi-tà della maggioranza all’effetto che la leva “multidimensionale” sviluppa attraverso differenziali tra redditività operativa, rendi-menti assegnati alle minoranze, ai creditori e pressione fiscale.

L’analisi concettuale è stata poi applicata a un campione di 111 gruppi quotati per gli anni 2008, 2009 e 2010. In primo luogo, si è avuto un riscontro empirico del basso ricorso alla leva azionaria. Si è anche rilevato che, mediamente, la redditi-vità della minoranza è molto superiore rispetto a quella opera-tiva del gruppo, il che ci porta a escludere l’ipotesi che nei gruppi esaminati vi sia una sistematica espropriazione delle mi-noranze.

L’immagine che è emersa è dunque quella “sinergica”, dove in strutture sostanzialmente monolitiche, la retribuzione delle minoranze, che mediamente risulta ben più elevata rispetto al-la redditività operativa del gruppo, non incide sulal-la redditività della maggioranza grazie alla ridotta leva azionaria. Tali valori, peraltro, sembrano coerenti con l’esistenza entro i perimetri di consolidamento, di piccole società o sottogruppi, aventi forse lo scopo di operare in settori o zone differenziati sotto il profilo del rischio, con performance (e quindi con rendimenti ) anche molto differenti rispetto a quelli della struttura principale.

(29)

L’elevata varianza, proprio associata agli indicatori di leva azionaria, leva finanziaria e redditività delle minoranze, ci indu-ce anche a ritenere che al di la del dato medio, vi sia una estre-ma varietà di equilibri in termini di rapporto tra risorse gesti-te e loro remunerazione. Tutto ciò offre spunti per approfon-dire ulteriormente la ricerca, utilizzando il modello per indaga-re gli equilibri economico-finanziari propri di ciascun gruppo, nonché all’interno del singolo gruppo, le differenti “zone” del-l’aggregato costituite da sottogruppi e singole imprese che si compongono tra loro nel costituire l’equilibrio complessivo.

Bibliografia

AIROLDIG., A. MINICHILLI, A. ZATTONI, F. ZONA, (2010), “Gli asset-ti isasset-tituzionali delle imprese: risultaasset-ti e prospetasset-tive di ricerca”, in Airoldi, G., Brunetti, G., Corbetta, G., e Invernizzi, G. (eds.),

Economia Aziendale & Management: Scritti in onore di Vittorio Coda, Milano, Universita Bocconi Editore.

ALMEIDA, H. ED. WOLFENZON(2004), “A Theory of Pyramidal Own-ership and Family Business Groups”, Journal of Finance, vol. 61, December, pp. 2637-81.

AOKIM. (2001), Toward a Comparative Institutional Analysis, Cambridge, MIT Press.

BANY-ARIFFIN A.N., F. MAT NOR, C.B. MCGOWAN (2010) “Pyrami-dal structure, firm capital structure exploitation and ultimate own-ers’ dominance”, International Review of Financial Analysis, vol. 19, pp. 151-64.

BARCA F., M. BECHT (2001), The Control of Corporate Europe, Oxford University Press.

BARCLAY M.J., C.W. SMITH JR. (1995), “The maturity structure of corporate debt”, Journal of Finance, vol. 50, pp. 609-31.

BIANCHI M., BIANCO M. (2006), Italian corporate governance in the last

15 years. From pyramids to coalitions?, ECGI Finance Working Pa-pers n. 144.

BAUMOL W. (1959), “Business behavior, value and growth”, Macmil-lan, Princeton University.

BEBCHUKL.A., KRAAKMANR., TRIANTISG.G. (2000), ‘Stock Pyramids, Cross-Ownership, and Dual Class Equity - The Mechanisms and Agency Costs of Separating Control from Cash-Flow Rights in Con-centrated Corporate Ownership’, University of Chicago Press. BERLE A., MEANS G. (1932), The Modern Corporation and Private

Prop-erty, Transaction Publishers, New York.

BERTRAND M., MEHTA P., MULLANAITHAN S. (2002), “Ferreting out tunnelling: anapplication to Indian business group”, Quarterly

(30)

BIANCHIM., BIANCOM., ENRIQUES L. (2001), “Pyramidal Groups and the Separation between Ownership and Control in Italy”, in F. BARCA, F. E M. BECHT (eds.), The Control of Corporate Europe, Ox-ford, Oxford University Press.

BIANCO M., NICODANOG., (2006), “Pyramidal groups and debt”,

Eu-ropean Economic Review, vol. 50, pp. 937-61.

BRIOSCHI F., BUZZACCHI L., COLOMBO M.G. (1990), Gruppi di

impre-se e mercato finanziario: La struttura di potere nell’industria italiana, La nuova Italia Scientifica, Roma.

BRUNETTI G. (1985), “Il ruolo del bilancio consolidato nel governo dei gruppi di imprese”, in Brunetti G. (a cura di), Il bilancio

con-solidato, VII direttiva comunitaria e principi contabili, Cedam, Pado-va.

CHENC.R., STERKENT.L. (1999), “Managerial ownership and agency conflict: A nonlinear simultaneous equation analysis of manager ownership, risk taking, debt policy and dividend policy”. The

Fi-nancial Review, vol. 34, pp. 119-136.

CHEUNG Y. L., JING L., RAU P.R., STOURAITIS A. (2009), “Tunnel-ing, propping up: Ananalysis of related party transactions by Chi-nese listed companies”, Pacifc-BasinFinance Journal, vol. 17, pp. 372-93.

CHEUNG Y.L., RAU P.R., STOURAITIS A. (2006), “Tunneling, Prop-ping and expropriation: Evidence from connected party transac-tions in Hong Kong”, Journal of Financial Economics, vol. 82, pp. 343-86.

CLAESSENS S., DJANKOV S., LANG L.H.P. (2000), “The separation of ownership and control in East Asian Corporations”, Journal of

Fi-nancial Economics, vol. 58, nn. 1–2, pp. 81-112.

COMMISSIONE EUROPEA – Sherman & Sterling (2007), Proporzionalità

fra proprietà e controllo nelle società europee quotate in Borsa, http://www.europarl.europa.eu

CLAESSENSS., DJANKOWS., LANGL. (2000), “The Separation of Own-ership and Control in East Asian Corporations”, Journal of

Finan-cial Economics, vol. 58, pp. 81-112.

CORONELLA S. (2010), “Premi di maggioranza e sconti di minoranza nella valutazione delle partecipazioni: un approccio empirico”, in

Rivista dei Dottori Commercialisti, n. 1.

DE ANGELO H., MASULIS R. (1980), “Optimal capital structure under corporate and personal taxation”, Journal of Financial Economics, vol. 8, pp. 3-30.

DELOOF M. (1998), “Internal Capital Markets, Bank Borrowing and Financing Constraints: Evidence from Belgian Firms”, Journal of

Business Finance and Accounting, vol. 25, pp. 945-968.

DELOOF M., JEGERS, M. (1999), “Trade Credit, Corporate Groups, and the Financing of Belgian Firms”, Journal of Business Finance and

(31)

DEMATTÉC. (1995), “Modelli di crescita delle imprese a leverage mul-tiplo: rischi e deformazioni”, Economia & management.

DEMSETZ H. (1983), “The Structure of Ownership and the Theory of the Firm”, Journal of Law and Economics, vol. 26, pp. 375-390. DEWAELHEYNSN., VANHULLEC. (2010), “Internal Capital Markets and

Capital Structure: Bank versus Internal Debt”, European Financial

Management European Financial Management, vol. 16, pp. 345 - 373. DRIFIELD N., MAHAMBARE V., PAL S. (2001), “The east Asian crisis and financing corporate investment: Is there a cause for concern”,

Journal of Asian Economies, vol. 12, pp. 507-527.

DU J., DAIY. (2004), “Ultimate corporate ownership structure and capital structure: Evidence from East Asia”, Working Paper No. 13, (Chinese University of Hong Kong).

DYCKE A., ZINGALES L. (2004), “Private benefits of control: An in-ternational comparison”, Journal of Finance, vol. 59, pp. 537–600. EASTERWOOD J.C., KADAPAKKAM P.-R. (1991), ”The role of private and public debt in corporate capital structures”, Financial

Manage-ment, vol. 20, pp. 49-57.

EISENBERG M. (1976), The Structure of the Corporation: A Legal Analysis, Beard Books.

FACCIO M, LANG L. (2002), “The Ultimate Ownership of Western European Corporations”, Journal of Financial Economics, vol. 65, pp. 365-395.

FACCIO M., LANG L., YOUNG L. (2001), “Dividends and Expropria-tion”, American Economic Review, vol. 91, pp. 54-78.

FAMA E.F., FRENCH R. (2002), “Testing Trade-Off and Pecking Or-der Predictions about Dividends and Debt”, Review of Financial

Studies, vol.15, pp. 1-33.

FRANCIS J., SCHIPPER K., VINCENT L. (2005), “Earnings and dividend informativeness when cash flow rights are separated from voting rights”, Journal of Accounting and Economics, vol. 39, Issue 2, June, pp. 329-60.

FRANKS J., MAYER C. (2002), “Governance as a source of manageri-al discipline”, Working Paper Research 31, (Nationmanageri-al Bank of Bel-gium).

FRIEND I., LANGL. (1988), “An empirical test of the impact of man-agerial self-interest on corporate capital structure”, Journal of

Fi-nance, vol. 43, pp. 271-81.

GALBRAITH J.K. (1967), New industrial State, Boston, Houghton Mif-flin.

GHATAK M., KALI R. (2001), “Financially Interlinked Business Groups”, Journal of Economics and Management Strategy, vol. 10, pp. 591-619.

GILSONS., VILLALONGAB. (2007), “Adelphia Communications Corp.’s Bankruptcy”, in Harvard Business School Case 208-071, (Boston, MA, Harvard Business School Publishing).

(32)

GIULIANELLI R. (2009), “Dalla Terni all'IRI”, Imprese e storia, n. 38. GROSSMANS., HARTO. (1980), “Takeover Bids, the Free Rider

Prob-lem, and the Theory of the Corporation”, Bell Journal of

Econom-ics, vol. 11, pp. 42-64.

GUGLER K., YURTOGLU B. (2003), “Corporate governance and divi-dend pay-out policy in Germany”, European Economic Review, vol. 47, pp. 731-758.

HIMMELBERG C.P., HUBBARDR.G., PALIA D. (1999), “Understanding the Determinants of Managerial Ownership and the Link Between Ownership and Performance”, Journal of Financial Economics , vol. 53, pp. 353-384.

HOLDERNESSC., SHEEHAND. (1988), “The role of majority sharehold-ers in publicly held corporations: An exploratory analysis”,

Jour-nal of Financial Economics, vol. 20, pp. 317-346.

HOLDERNESSC., KROSZNER R., SHEEHAND. (1999), “Were the Good Old Days that Good? Changes in Managerial Stock Ownership since the Great Depression”, Journal of Finance, vol. 54, pp. 435-470.

HOSHI T., KASHYAP A., SCHARFSTEIN D. (1990), “The Role of Banks in Reducing the Costs of Financial Distress in Japan”, Journal of

Financial Economics, vol. 27, pp. 67-88.

INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARD BOARD, (2011), IFRS 10-Consolidated Financial Statement, www.ifrs.org

JENSEN M.C., MECKLING W.H. (1976), “Theory of the Firm: Mana-gerial Behaviour, Agency Costs and Ownership Structure”,

Jour-nal of Financial Economics, vol. 3, pp. 305- 360.

JENSEN M.C. (1986), “Agency Costs of Free Cash Flow, Corporate Finance, and Takeovers”, American Economic Review, vol. 76, pp. 323-329.

JOHNSONS., LAPORTAR., LOPEZ DE SILANESF., SHLEIFER A. (2000), “Tunneling”, American Economic Review, vol. 90, pp. 22-27. JUNGK., KIMB., KIMB. (2009), “Tax Motivated Income Shifting and

Korean Business Groups”, Journal of Business Finance and

Account-ing, vol. 36, pp. 552-586.

KHANNA T., PALEPU K. (1999a), “Policy Shocks, Market Intermedi-aries, and Corporate Strategy: Evidence from Chile and India”,

Journal of Economics and Management Strategy, vol. 8, pp. 271-310. KHANNAT., PALEPUK. (1999b), “The Right Way to Restructure Con-glomerates in Emerging Markets”, Harvard Business Review, vol. 77, pp. 125-133.

KHANNA T., PALEPUK. (2000a), “Is Group Membership Profitable in Emerging Markets? An Analysis of Diversified Indian Business Groups”, Journal of Finance, vol. 55, pp. 867-891.

KHANNA T., PALEPU K. (2000b), “The Future of Business Groups in Emerging Markets: Long-Run Evidence from Chile”, Academy of

Riferimenti

Documenti correlati

A sé dice, in tale modo confortandosi, che l’agire per un’organizzazione radicale è una scelta perso- nale che deriverebbe da una consapevolezza finalmente acquisita, di contro a

Per capirlo, occorre ricordare che eravamo doppiamente “orfani”, se così posso dire: da una parte, mancanza di un’eredità politica, in seguito al fatto che

La statistica indaga sui fenomeni collettivi, ossia fenomeni che coinvolgono un insieme di individui, oggetti o beni, allo scopo di delineare un quadro interpretativo

METODO DELLA DIFFERENZA – quando casi simili differiscono sul fenomeno da spiegare. La causa discordante è

ambientazione, personaggi e spiegazione dei versetti) si consiglia d’iniziare a leggere la Bibbia partendo dal Nuovo Testamento, dalla vita di Gesù Cristo (Vangeli) un capitolo

Definizione Le parti sono libere di determinare l’ammontare del canone, restando esclusivamente vincolate alla durata minima stabilita dalla legge e alle modalità di rinnovo

• Accoppiamento: Misura del grado di dipendenza di un insieme di moduli software. • I moduli di un sistema dovrebbero esibire un basso accoppiamento (detto anche

Paolo Ciancarini Università di Bologna Scacchi: Un gioco tra creatività e scienza Università di Siena 10 Giugno