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Introduzione al volume Il contenuto atipico del testamento

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE .

La scelta di riproporre all’attenzione degli studiosi un libro della metà del secolo scorso, quando sono trascorsi oltre cinquanta anni dalla pubblicazione, suggerisce alcune considerazioni preliminari.

La prima, per rimarcare come il volume mantenga la sua attualità giacché le disposizioni alle quali si rivolge ed intorno alle quali si svolge la acuta e raffinata riflessione dell’autore sono rimaste immutate, così come è immutata, nella sostanza, la materia delle successioni per causa di morte, salvo alcuni recenti e non sempre persuasivi interventi legislativi che non hanno tuttavia intaccato le linee portanti del sistema. La seconda, per segnalare al giovane lettore il quale per la prima volta si accosti al testo che il volume appartiene a quella felice stagione di studi indirizzati alla ricostruzione - come si era andato ricostruendo il Paese dopo lo sciagurato conflitto - del sistema giuridico risultante dall’emanazione del nuovo Codice. L’ultima, per ricordare che il libro, sottoposto alla preventiva lettura di Rosario Nicolò, segnò l’ingresso di Giorgio Giampiccolo nel mondo dell’accademia con il conseguimento della libera docenza nel medesimo anno della sua pubblicazione, cui seguì l’anno successivo la vittoria del concorso a cattedra e l’inizio di un insegnamento che si sarebbe svolto nelle Facoltà di Giurisprudenza delle Università di Macerata, di Pisa e quindi di Roma.

Anche nella letteratura giuridica la fortuna di un libro è sovente legata al titolo, là dove riesca a colpire l’attenzione del pubblico dei lettori, restando indelebilmente associato ad un tema. Così è stato per il volume di Giorgio Giampiccolo, ma occorre subito avvertire che la felice espressione ‘contenuto atipico del testamento’, entrata ormai anche nel lessico dei manuali, non costituisce il tema centrale della riflessione, invece richiamato, con quel riserbo che restituisce il tratto dell’autore, nel sottotitolo.

In effetti, come appunto indicato nel sottotitolo, il fine dello studio è quello di delineare i profili caratterizzanti l’atto di ultima volontà, ma, prima ancora, di segnare l’ambito degli atti mortis causa, categoria generale della quale l’atto di ultima volontà viene a costituire la specie. Limpida la messa a fuoco della categoria: «atto mortis causa è quello che ha per funzione sua propria di regolare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione». Muovendo da questa, che l’autore non esita a qualificare, ‘definizione’ si dipana la riflessione successiva, all’esito della quale, dopo un rigoroso scrutinio delle diverse ipotesi tratte dal diritto positivo, si perviene all’affermazione che «unica specie di negozio mortis causa ammessa

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nel diritto vigente è il negozio mortis causa unilaterale, propriamente detto di ultima volontà».

In tale perentoria conclusione il lettore di oggi certo non coglie l’eco del dibattito che nel medesimo torno di tempo si andava avviando sulla possibilità di qualificare il testamento come negozio giuridico – di pochi anni precedente era lo studio di Pietro Rescigno, Interpretazione del testamento, mentre negli anni successivi avrebbero visto la luce i lavori di Nicolò Lipari, Autonomia privata e testamento e di Natalino Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui – ma l’omissione non è di ostacolo all’apprezzamento della logica coerenza che pervade l’indagine. La costruzione sistematica, per un verso, permette all’autore di approfondire l’analisi mettendo a fuoco i requisiti e la disciplina dell’atto di ultima volontà, per altro verso, gli consente di revocare in dubbio la plausibilità della contrapposizione tra atti inter vivos ed atti mortis causa, a motivo della disomogeneità dei due termini: «atto mortis causa è infatti l’atto che ha a proprio contenuto la disciplina di una situazione post mortem; e qui l’elemento a cui si guarda è quello oggettivo-funzionale. Il termine inter vivos, invece, vuole chiaramente esprimere l’idea di una relazione intersoggettiva … la qualificazione è quindi riferita al piano dei soggetti e al modo d’essere degli effetti dell’atto riguardo ai soggetti».

E’ sembrato opportuno fermare l’attenzione su quest’ultimo, specifico punto della riflessione dell’autore perché in tal modo è possibile segnalare come, di fronte alla scelta del legislatore contemporaneo di inserire nella rigorosa geometria delle norme del Codice l’istituto del ‘patto di famiglia’, nelle riflessioni degli interpreti più attenti delle nuove disposizioni sia costante il riferimento a queste pagine del volume di Giampiccolo, a conferma che l’importanza di un testo giuridico si apprezza non tanto, e comunque non solo, per le soluzioni raggiunte nell’immediato, ma nella misura in cui fornisce idee e modelli di ragionamento idonei ad essere utilizzati al di là delle fattispecie contingenti che hanno formato oggetto dello studio.

Era stato osservato che, malgrado la ricchezza dell’impianto concettuale dedicato alla costruzione dell’atto di ultima volontà, tracciato con un nitore ed una precisione nei particolari che evocano le tele di Jacques-Louis David, la fama del volume resta affidata al sintagma ‘contenuto atipico del testamento’, quasi che il libro si esaurisca nella ricognizione delle disposizioni di carattere non patrimoniale che la legge consente siano contenute in un testamento. Al contrario, il lettore potrà da un lato verificare che il testo si sottrae, per usare la

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bella immagine di Umberto Eco, alla ‘vertigine della lista’, dall’altro constatare che l’espressione ‘contenuto atipico’ è usata senza particolari spiegazioni già nelle prime righe del testo, con una spontaneità che svela la maturità della riflessione già compiutamente svolta nel pensiero dell’autore.

Vero è che la ripetuta attenzione ai contenuti non patrimoniali del testamento costituisce il filo conduttore dell’indagine, una sorta di prisma attraverso il quale individuare ed analizzare gli elementi caratterizzanti l’atto di ultima volontà. La pagina iniziale non intende né può ripetere nel dettaglio il percorso critico svolto nel testo, ma nel raccomandare ai più giovani lettori di seguirne l’asciutta espressione di stile, deve almeno segnalare le conclusioni raggiunte sulla definizione di testamento, «un atto di attribuzione patrimoniale a causa di morte, che opera mediante l’istituzione di erede e di legatario», e sulla distinzione tra «atti a causa di morte, qualificati dall’elemento funzionale mortis causa; atti post mortem, qualificati dall’elemento della rilevanza giuridica esterna alla morte del loro autore; atti sotto modalità di morte, qualificati dal semplice effetto finale post mortem».

Conclusioni che restituiscono un’immagine di precisione e di finezza d’analisi critica che travalicano il mero momento esegetico e continuano a costituire un modello per la scuola del diritto civile.

Vincenzo Cuffaro

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