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Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti. Tre volti del giurisdizionalismo sabaudo

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27 July 2021

AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino

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Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti. Tre volti del giurisdizionalismo sabaudo

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ARACNE EDITORE

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(2)

La prassi del giurisdizionalismo negli Stati italiani ISBN 978-88-548-8599-8

DOI 10.4399/978885488599810 pag. 239–260 (settembre 2015)

Placet

, exequatur, economato dei benefici vacanti

Tre volti del giurisdizionalismo sabaudo

A L

Durante il XVIII secolo il giurisdizionalismo della dinastia sabauda

raggiunge il massimo sviluppo, sia pratico sia dottrinale, risultato di

un laborioso processo di elaborazione giuridica iniziato dalla fine

del medioevo. Va da sé che il giurisdizionalismo dei Savoia non

rap-presenta che un lato di quel prisma dalle molte sfaccettature che è il

giurisdizionalismo europeo d’età moderna.

Placet

ed exequatur, che nella prassi e nella dottrina sabauda vengono

considerati equivalenti

, insieme all’economato dei benefici vacanti

Ringrazio di vero cuore gli amici e colleghi Giuseppina De Giudici e Daniele Edigati

per avermi invitato a partecipare a questo convegno nella Università di Bergamo. Premetto all’eventuale lettore, ad evitare equivoci culturali, che il mio contributo va inquadrato nella prospettiva dell’erudizione locale subalpina, da sempre attentissima alle relazioni tra Stato e Chiesa e, di conseguenza, al giurisdizionalismo praticato nelle regioni storiche soggette ai Savoia.

. In tale senso si esprime il più famoso canonista dell’Università di Torino del XIX secolo: J. N. N, Iuris ecclesiastici Institutiones, ex Typographeo Mussano, Taurini , pp. –; ID., In ius ecclesiasticum universum Tractationes, Partes I, II, III [Prolegomena, De Ecclesiae potestate, De legibus], Typis H. Mussani, Taurini , Pars I, pp. – (seguendo il modello di Van Espen: cfr. infra) ; G. N. N [N], Il professore Nuyts ai suoi concittadini, Tipografia G. Favale e Compagnia, Torino , pp. –. Tuttavia Carlo Dionisotti rileva che « Sebbene le due parole di exequatur e placet or si adoperino promiscuamente, a rigore sono distinte, riferendosi l’exequatur alle bolle ed ai provvedimenti [pontifici]; il placet alle persone provviste di beneficio, che tuttora si ottiene dall’Economato generale. Eccettuati i vescovi, cardinali e prelati che dal Re lo ottengono ». C. D, Storia della Magistratura piemontese, I, Roux e Favale, Torino , p. . Per notizie sui giuristi piemontesi citati, rinvio una volta per tutte alle rispettive voci in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII–XX secolo), diretto da I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti, I–II, il Mulino, Roma .

. Cfr. Relazione istorica delle vertenze, che si trovano pendenti tra la Corte di Roma e quella del Re di Sardegna allorché fu assonto al pontificato Benedetto XIII, Per Gio. Battista Valletta Stampatore, Torino , pp. –; L. V, V. A, Economato (R.) Generale de’ benefici vacanti, in Dizionario di diritto amministrativo, III, Tipografia Fratelli Favale, Torino , pp.

(3)



Alberto Lupano

sono i tre elementi principali attraverso i quali l’assolutismo sabaudo

realizza un controllo pressoché esclusivo e totalitario sulla Chiesa,

sulle istituzioni ecclesiali e sui rispettivi titolari.

L’argomento ha stimolato l’interesse di non pochi studiosi d’età

contemporanea

.

I memoriali, un tempo ovviamente segreti, ancora custoditi

nel-l’Archivio di Stato di Torino, e dei quali si dirà meglio in seguito,

–; C. D, op. cit., I, p.  ss. Per la prassi nel regno d’Italia unitario è utile consultare E. G, Manuale pei parroci e beneficiati, Casa Editrice Ditta Giacomo Agnelli, Milano , p.  ss.

. I principali tra essi si possono suddividere in tre gruppi in base ai rispettivi orienta-menti culturali. Alcuni ricercatori sono legati alla politica filosabauda e filorisorgimentale: oltre al Nuytz già ricordato, si collocano in tale indirizzo, sebbene più moderati di Nuy-tz, L. V, V. A, Exequatur (regio), in Dizionario di diritto amministrativo cit., III, Tipografia Fratelli Favale, Torino , pp. –; G. D. T, Leggi ecclesiastiche, in Raccolta delle leggi speciali e convenzioni internazionali del Regno d’Italia, Utet, Torino , pp. –; F. R, E. F, Trattato del diritto ecclesiastico cattolico ed evangelico, Fratelli Bocca, Torino , p. , p. ––; F. S, Diritto ecclesiastico vigente in Italia, Fratelli Bocca, Torino , p.  ss.; G. C, Degli usi gallicani in alcune Chiese d’Italia: diritto ecclesiastico, Utet, Torino , passim (l’autore fu professore di diritto ecclesiastico all’Università di Torino fino alla morte avvenuta nel ); G. D P, Il diritto di placitazione in Piemonte, Fratelli Bocca Editori, Torino . Questa ultima opera si segnala perché è stata composta sotto la guida di Francesco Ruffini come dissertazione di laurea in Giurisprudenza presso la Facoltà giuridica torinese. Altri studiosi sono di tendenza curialista e legati al diritto canonico tradizionale: [G. T. G], Origini e vicende del regio exequatur nei domini della Real Casa di Savoia, Tip. dell’Orat. di S. Francesco di Sales, Torino  (opera del vescovo di Mondovì, schierato tra i curialisti “intransigenti”); I., Il decreto Pisanelli sul R. Placito esaminato al lume della verità, Tip. dell’Orat. di S. Francesco di Sales, Torino , interessante sull’istituto nell’Italia unita; C. T, Iuris ecclesiastici publici Institutiones, accedit Dissertatio eiusdem De regio placet, Ex Typographia Poyglotta S. C. de Propaganda Fide, Romae ; per una messa a punto sulla bibliografia in materia è pure utile consultare P. S, Theologia moralis universa, Mediolani, Milano , IV, Apud Haeredes Ernesti Oliva, appendix XVII, nn. –, pp. –. Infine si incontrano gli autori più lontani dalle polemiche politiche contingenti legate al placet e all’exequatur: A. C. J, Elementi di diritto ecclesiastico, Vallecchi, Firenze , p.  ss.; A. B, « Exequatur » e « Placet », in Enciclopedia cattolica, V, Ente per l’Enciclopedia cattolica, Città del Vaticano , coll. –; A. M, “Exequatur” e “placet” (Diritto ecclesiastico), in Novissimo Digesto italiano, VI, Utet, Torino , pp. –; R. N, Placet, in Dictionnai-re de droit canonique, VII, Librairie Letouzey et Ané, Paris , coll. –; G. C, Exequatur e placet (diritto ecclesiastico), in Enciclopedia del diritto, XVI, Giuffré, Milano , pp. –; G. D G, Un efficace strumento di governo ecclesiastico: il regio exequatur nella Sardegna sabauda (–), in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e Sassari, Rubbettino, Soveria Mannelli , pp. –; I., Il governo ecclesiastico nel Regnum Sardiniae. Aspetti e problemi nella prima età sabauda (–), Jovene, Napoli .

(4)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



provano che il governo subalpino ha sempre cercato di ispirarsi ai

modelli e ai metodi degli Stati cattolici di tutta Europa. Si tratta di una

modalità non insolita nel contesto sabaudo. Anche a livello legislativo

generale, nel processo di elaborazione delle consolidazioni passate

alla storia col titolo di Regie Costituzioni, i collaboratori del sovrano

richiedono pareri all’estero e osservano quanto si pratica altrove

.

Il metodo dei giuristi di corte subalpini appare sempre lo stesso:

fedeli al sovrano, rigorosi negli studi e nella subordinazione

gerarchi-ca, agiscono seguendo l’accortezza politica e l’opportunismo pratico,

senza porsi troppi problemi culturali astratti, talvolta suggerendo

l’im-pressione di accantonare i sentimenti etici personali in nome della

“ragion di Stato” particolare. Ricercano i “ferri del mestiere” adattando

le innovazioni straniere alle esigenze contingenti e motivandole con

qualche originalità, purché siano efficaci a risolvere i problemi locali

nei rapporti tra Stato e Chiesa, soprattutto mostrano l’aspirazione alla

massima concretezza.

Il modello giurisdizionalista imitato prima di ogni altro è quello

derivante dagli usi gallicani, applicati effettivamente in Savoia e nei

territori piemontesi durante la dominazione francese nel XVI secolo

e

poi mantenuti in qualità di regime ordinario di governo ecclesiastico in

alcune regioni: Saluzzo, Pinerolo, Susa, Valle d’Aosta. Il gallicanesimo

rimane per i sovrani sabaudi l’esempio dominante d’età moderna

non solo per la contiguità territoriale con la Francia ma anche per

precise ragioni politiche, dinastiche, culturali. Gli autori transalpini di

riferimento, presenti con le loro opere principali nelle biblioteche dei

giuristi e degli statisti fedeli alla casa di Savoia, sono nomi notissimi

in tutta Europa: Pierre De Marca

, Edmond Richer

, Louis–Ellies Du

Pin, o Dupin

.

. Ad esempio cfr. M. V, Le Costituzioni piemontesi (Leggi e Costituzioni di S. M. il Re di Sardegna)––), Bocca, Torino, , ristampa anastatica, Società Reale Mutua di Assicurazione, Torino , pp. –.

. Occupazione proseguita dal  alla pace di Cateau–Cambrésis del . Cfr. G. C, op. cit., passim.

. P. D M, Dissertationum de concordia Sacerdotii et Imperii seu de libertatibus Ecclesiae gallicanae libri octo, Apud Thomam Fritsch, Francofurti ad Moenum .

. E. R, Libellus de ecclesiastica et politica potestate, Apud Bernardum Hetsingh, Coloniae ; Defensio libelli de ecclesiastica et politica potestate, I–II, apud Balthasarum ab Egmond, Coloniae .

(5)

Hu-

Alberto Lupano

Un altro modello degno di considerazione in area piemontese

deriva dalle istituzioni e teorie applicate nel XVIII secolo dalla casa

d’Asburgo, compresi l’assolutismo illuminato e lo Stato di polizia

,

inclusa la “polizia esterna ecclesiastica”



. I testi più consultati in questo

caso sono di Zeger Bernard Van Espen



, Febronio



, Joseph Valentin

Eybel



.

Ancora qualche suggestione generale il giurisdizionalismo sabaudo

l’ha tratta dall’esperienza di altri Stati italiani, soprattutto della

repub-blica di Venezia



e non si possono non ricordare Marco Antonio De

Dominis



e Paolo Sarpi; infine altri esempi provengono dal regalismo

spagnolo, conosciuto da vicino dopo che il trattato di Utrecht del 

concesse la dominazione prima della Sicilia poi della Sardegna



.

guetanorum, Coloniae Agrippinae ; I., Traité de la puissance ecclésiastique et temporelle,s. l., s. n. t., ; su commissione del duca di Savoia e re di Sicilia compose, uscita per la prima volta anonima ad Amsterdam, Lucas, nel , la Défense de la Monarchie de Sicilie contre les entreprises de la Cour de Rome,  tom., s. l., s. n. t., s. d. [ma Lyon ]. Cfr. sulle varie edizioni A. A. B, Dictionnaire des ouvrages anonymes et pseudonimes composé, traduits ou publiés en français,  ed., I, Paul Daffis, libraire–editeur, Paris , p. ; G. M, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, I, L. di G. Pirola, Milano , p. .

. Su questi argomenti cfr. le ancora valide osservazioni di G. A, La formazione dello Stato moderno in Italia, Giappichelli, Torino , p.  ss., p.  ss.

. Di questa tratta già in senso gallicano P. D M, op. cit., lib. VI, cap.XXXIII, col. .

. Z. B. V , Ius ecclesiasticum universum, in Opera [omnia], I–VI, Sumptibus Societatis, Lovanii .

. J. F, De statu Ecclesiae et legitima potestate Romani Pontificis liber singularis, Apud Guillelmum Evrardi, Bullioni .

. J. V. E, Introductio in ius ecclesiasticum catholicorum, I–IV, Ioannis Thomae nob. De Trattern, Viennae .

. Cfr. Archivio di Stato di Torino, in seguito indicato A.S.To, Corte, Materie ecclesia-stiche, categoria , Regio Exequatur e placet, m. , –, Exequatur alle bolle contenenti la formola di giuramento: Pratica di Napoli, Venezia e Firenze su questo proposito, Articolo di lettere del signor conte di Saint Laurent al conte di Riviera in data dei agosto . Ancora cfr. Rifles-sioni sovra il seguente articolo eccittato in seguito alla rappresentanza del Senato de’ dell’ora scorso mese di luglio [], ibidem. La serie di questi pareri, di solito abbastanza frequenti, con richiami agli usi di Firenze, Napoli e Venezia, fu originata dalla bolla papale di collazione al prete Benedetto Colli della prevostura della collegiata di Lu, nel ducato del Monferrato, bolla a cui era annessa una formula giuramento di fedeltà alla Santa Sede, spedita sigillata secondo l’uso della curia romana. I funzionari e giudici sabaudi si domandavano se si potesse concedere l’exequatur pur non conoscendo il tenore del giuramento.

. M. A. D D, De republica ecclesiastica, I–II, Sumptibus Heredum Levini Hulsii, Hanoviae .

(6)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



Ancora a titolo di premessa, si segnala brevemente che nei territori

sabaudi si pretende da parte del governo che placet ed exequatur



trag-gano la loro remota origine



anche dall’indulto concesso nel  da

papa Niccolò V al duca Ludovico di Savoia, figlio di AmedeoVIII,

l’an-tipapa Felice V. Le vicende e il seguito di questa concessione pontificia

sono note



. Papa Niccolò V si era impegnato a nominare ai benefici

maggiori soggetti graditi al duca di Savoia. Ciò implicitamente poteva

essere interpretato come un riconoscimento al principe della

facol-tà di verificare l’esistenza delle condizioni necessarie per la corretta

provvista nelle bolle di collazione dei benefici.

L’indulto di Niccolò V nell’età moderna fu oggetto di

interpre-tazione estensiva e giurisdizionalista da parte dei magistrati e dei

funzionari sabaudi. Al contrario la curia romana lo mise in

discus-sione più volte, tentando di ridimensionare le prerogative, compresi

placet

ed exequatur, che su di esso erano state ricostruite dagli esegeti

subalpini



.

Inoltre in Savoia e nelle regioni storicamente influenzate dalla

Fran-cia come la Valle d’Aosta



, l’exequatur si applica pure sul fondamento

degli usi gallicani. Antoine Favre nella sua celebre raccolta di

giurispru-denza



cita, riferita a una sentenza senatoria del , senza parlare

protectione vi oppressorum appellantium causis et iudicibus ecclesiasticis, Ludovici Prost, Haere-dibus Rouille, Lugduni . Notevole è l’opera dedicata proprio alla materia dell’exequatur: De supplicatione ad Sanctissimum a litteris et bullis apostolicis in perniciem Reipublicae, Regni, aut Regis, aut iuris tertii praeiudicium impetratis, sumptibus Laurentii Anisson, Lugduni . . Intesi genericamente nel senso comune d’età moderna come atti del potere del potere civile di dare esecuzione agli atti della curia romana e dei vescovi ed impedire abusi di potere da parte degli ecclesiastici.

. Riassume la questione G. D P, op. cit., pp. –.

. Sull’indulto cfr. E. M, La cancelleria di un antipapa. Il bollario di Felice V (Amedeo VIII di Savoia), Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino , p.  ss.

. Cfr. di parte savoiarda la Relazione istorica delle vertenze cit., p.  ss., p. , e pp. – sul regio exequatur; di parte curialista le Ragioni della Sede Apostolica nelle presenti controversie colla corte di Torino, s. l., s. n. t., [Roma] , Parte prima, I, p.  ss, p.  ss; Parte seconda, II, p.  ss. Per tutti si veda l’attenta lettura canonistica di R. B, Ricerche sul giuramento dei vescovi. Contributo alla storia del diritto ecclesiastico subalpino. Parte prima, I, Giappichelli, Torino , pp. –.

. Tra l’altro la Valle nella materia ecclesiastica rientrava nella giurisdizione del Senato di Savoia, mentre nel resto i sudditi potevano adire a scelta i Senati di Savoia o di Piemonte: C. D, op. cit., I, p. , nota .

. A. F, Codex Fabrianus definitionum forensium in sacro Sabaudiae Senatu tractatarum, Apud Caietanum Balbinum, Taurini , lib. VII, tit. XXVIII, def. II, p. .

(7)



Alberto Lupano

però di exequatur o placet, la prassi — « ordinarii iuris est » — di

pre-sentare le bolle apostoliche al Senato di Chambéry affinché diventino

esecutive.

Si può affermare che tra XVI e inizi del XVIII secolo in Piemonte

l’exequatur è applicato di fatto, in forza di una prassi amministrativa

corrente. Tuttavia si è realizzato in modo discontinuo. Lo stesso può

dirsi dell’amministrazione statuale dei benefici vacanti



.

Sovrani politicamente e militarmente forti come Emanuele

Filiber-to e Carlo Emanuele I tendono ad applicare la prassi dell’exequatur.

Avviene tendenzialmente l’opposto durante il governo di prìncipi più

deboli, come Vittorio Amedeo I oppure le reggenti Maria Cristina di

Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia.

È soprattutto con Vittorio Amedeo II che placet ed exequatur

di-vengono strumenti ordinari di governo. Concorrono ad attestarlo le

fonti documentarie dell’Archivio di Stato di Torino, dove i documenti

raccolti sotto la categoria “regio exequatur e placet” mostrano che

entrambi in Piemonte venivano sovente concessi direttamente dal

duca sotto il nome generico di « permissioni »



.

Allora inizia una serie di attriti con la Santa Sede, rigida nella tutela

dei diritti ecclesiali.

L’episcopato subalpino si mostra in generale piuttosto docile e

giu-dizioso nei confronti del principe non soltanto a causa dell’intervento

di questi nelle nomine ai benefici maggiori, ma anche in ragione

del giuramento di fedeltà al duca imposto fin dai tempi di Emanuele

. Cfr. C. D, op. cit., I, p.  e passim. L’economato dei benefici vacanti, come si dirà meglio più avanti, è stato notoriamente adoperato dai sovrani piemontesi a partire dai primi anni del XVIII secolo, sul modello dell’omologa istituzione del ducato di Milano. Però alcuni autori decisamente filosabaudi si affaticano a scorgere tracce sporadiche di istituti simili all’economato già a partire dai secoli XIV e XV: G. D P, op. cit., p.  ss.

. A.S.To, Corte, Materie ecclesiastiche, categoria , Regio Exequatur e placet, m. , –. Cfr. per esempio ibidem, fasc. non numerato in , Registri de’ regii placet accordati per visite di conventi, convocazione di capitoli e congregazioni in questi Stati. Il primo documento è del  gennaio  e riguarda la supplica al duca del padre Giuseppe Muzio di Pavia visitatore dei somaschi « di far la visita dei collegi che la di lui religione ha ne’ nostri Stati [. . . ] Vi siamo benignamente condiscesi. Che però in virtù del presente di nostra mano firmato ordiniamo ai ministri ufficiali nostri sì di guerra che di giustizia e generalmente a tutti quelli che riconoscono l’autorità nostra di non portarvi verun impedimento né disturbo ». Vi erano casi però in cui autorità giudiziarie locali potevano essere delegate alla concessione: G. D P, op. cit., pp. –.

(8)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



Filiberto



. Inoltre dai primi anni del XVIII secolo l’assenza del nunzio

apostolico a Torino



rende più difficili i rapporti dei vescovi con

Ro-ma, in precedenza già resi alquanto saltuari dalla pretesa del sovrano

di concedere il permesso di uscire dalla loro sede



. Privati della

pos-sibilità di circolare liberamente e di interpellare il nunzio, “occhio e

orecchio della Santa Sede” nella classica definizione curiale, i presuli,

di fatto, vengono lasciati soli.

Soltanto pochi tra essi osano fare valere le prerogative ecclesiali

contro la diffusione di placet ed exequatur. Ad esempio, di fronte a una

serie di provvedimenti del  e  emanati da Vittorio Amedeo

II per limitare il placet ai chierici da promuovere all’ordine sacro,

nel-l’anno  l’arcivescovo di Torino Michele Antonio Vibò pubblica

un monitorio che, secondo la tradizione cattolica e il diritto canonico,

dichiara nulli i placet dei giudici e degli ufficiali ducali locali in vista

delle ordinazioni in quanto atti lesivi della ecclesiastica libertas e impone

ai funzionari ducali di comparire davanti al suo tribunale. Il governo,

sostenuto dal Senato, reagisce duramente: annulla il monitorio,

minac-cia l’arcivescovo di sequestro dei redditi della mensa vescovile; inoltre

stabilisce che chiunque abbia intenzione di presentarsi al tribunale

ecclesiastico è ritenuto passibile della pena di morte. Simili irresistibili

argomenti sortiscono subito l’effetto voluto



.

. R. B, op. cit., I, p.  ss.; A. E, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento. Ortodossia tridentina, gallicanesimo savoiardo e assolutismo ducale (–), Herder, Roma , p.  ss.

. Sulle vicende della nunziatura nel periodo in oggetto è ancora utile la consultazione di C. D, op. cit., I, pp. –, pp. –.

. L’assenso sovrano alla circolazione di vescovi e abati era imposto dalla « consuetudine piemontese », pretesa statuale che suscitava periodiche reazioni di condanna da parte della Santa Sede. Cfr. la sintesi di G. D P, op. cit., pp. –.

. Ivi, pp. –; C. D, op. cit., I, pp. –, dove si sottolinea che il presule agiva su incarico di Roma. Alla protesta dell’arcivescovo torinese si uniscono i vescovi di Saluzzo e Ivrea. Il sovrano e il governo assumono un atteggiamento più prudente nei confronti del clero dell’antico ducato del Monferrato, annesso nel novembre , assegnato di fatto ai Savoia nel  dalla dieta di Ratisbona, poi definitivamente dai trattati di Utrecht del . Nei paesi di nuovo acquisto, compresi l’Alessandrino e altre terre già dominate dai duchi di Milano, i Savoia mantennero il regime ecclesiastico precedente la loro annessione ( J. N. N, In ius ecclesiasticum universum cit., Pars I, pp. –); tuttavia tentarono di estendere l’applicazione dell’indulto di Niccolò V; inoltre si trovarono a fronteggiare il vescovo di Casale Monferrato Pietro Secondo Radicati di Cocconato e Cella, prelato di orientamento del tutto filoromano e curialista come nessun altro, davanti al quale placet ed exequaturfurono adottati con molta cautela. Sul personaggio cfr. A. L, Tra Gonzaga

(9)



Alberto Lupano

È a questo punto che il duca di Savoia, avviato ad ottenere il titolo

regio, inizia a sentire l’esigenza di estendere e disciplinare in modo

preciso placet ed exequatur per le terre al di qua delle Alpi, così da

fondare su solide fondamenta dottrinali e giuridiche la

rivendicazio-ne dei propri diritti di regalia in ambito ecclesiale



. In proposito è

interessante il memoriale del  redatto da Giovanni Girolamo De

Gubernatis



, presidente del Senato di Nizza, giurista fermamente

giurisdizionalista utilizzato dal duca nelle trattative per il rinnovo del

concordato con Roma, che propone al « principe forte et magnanimo »

« il modo et forma » per mantenere

illesa nel Piemonte la sovrana giurisdizione del prencipe et i diritti della

sua real corona dai gravi pregiudicii et inconvenienti che derivano contro il

bene pubblico e l’indennità de’ sudditi dalla libera et sfrontata pubblicazione,

intimatione et essecutione delle bolle, brevi, rescritti e qualonque altra

provvisione emanata dalla curia romana et insieme si addita il rimedio col

quale può et deve sua altezza reale frenare nel proprio territorio l’immunità

reale [. . . ]. Dovrà bensì far sapere per via delli intendenti ai governatori,

prefetti, e giudici regii e singolarmente ai sindici delle comunità et ai nodari

di tutte le provincie quel tanto [che] sua altezza reale comanda venghi

inviolabilmente osservato circa l’intimazione, pubblicazione, essecutione

et ogni altro caso di qualsivoglia rescritto, bolla o breve, tanto di grazia

che di giustizia ne’ quali possa entrar l’indiretto o diretto pregiudicio o sii

l’exequatur del magistrato



.

De Gubernatis conclude insistendo sulla necessità di controllare

e Savoia: Il vescovo Pietro Secondo Radicati di Cocconato e Cella, pastore, giurista e politico, in Pietro Secondo Radicati di Cocconato e Cella vescovo conte di Casale (–), a cura di B. Signorelli e P. Uscello, in corso di stampa.

. Invero questa operazione di autotutela da parte del sovrano viene compiuta tardi-vamente: per il Piemonte il relativo manifesto senatorio, come si dirà meglio tra poco, risale al . Lo rilevano gli autori curialisti, chiedendosene la ragione. Per tutti si veda l’ampia sintesi di tali osservazioni in G. M, Processo di Nepomuceno Nuytz professore di diritto canonico nell’Università di Torino, dalle stampe di Paolo De Agostini, , Torino p. . Tuttavia in Relazione istorica delle vertenze cit., p. , si fa risalire a Emanuele Filiberto l’exequatur ducale in Piemonte.

. C. D, op. cit., II, Roux e Favale, Torino , pp. –; E. S, De Gubernatis, Girolamo Marcello, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVI, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma , pp. –.

. A.S.To, Corte, Materie ecclesiastiche, categoria , Regio Exequatur e placet, m. , fasc. non numerato, ,  maggio, Scritture del presidente De Gubernatis [. . . ], paragrafo n. .

(10)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



qualunque atto dell’autorità ecclesiastica, pur prevedendo la reazione

irritata degli interlocutori romani: « s’udirà senz’altro qualche strepito

dalla corte di Roma quando intenderà che nel Piemonte s’opera da

dovere per rimediare agl’abusi introdottivi »



.

Si entra in una nuova fase di gestazione del problema dell’exequatur

da parte sabauda, fase nella quale si discute pure della gran questione

di restringere le eccessive immunità reali e fiscali degli ecclesiastici.

Si tratta evidentemente di due elementi della massima importanza

per ogni paese cattolico europeo. Vittorio Amedeo II, alla fine di un

periodo di intensi studi e di elaborazione di pareri dei collaboratori,

opta definitivamente per l’applicazione anche in Piemonte di quanto si

pratica in Savoia. L’exequatur viene affidato alla suprema magistratura

piemontese, il Senato sedente in Torino



.

Il  giugno , mentre prosegue il contrasto con Roma, specie

sulle nomine episcopali, un manifesto del Senato di Piemonte

stabili-sce le regole per l’exequatur che viene definito « antico »



. Il manifesto

senatorio va inteso in senso strettamente giurisdizionalista. Chiarisce

una volta per tutte l’istituto dell’exequatur, ma abbandonando il fragile

collegamento con l’indulto nicolaiano, lo inserisce teoricamente nella

piattaforma, assai più estesa e più difendibile, degli iura cavendi dello

Stato contro la Chiesa. In questa prospettiva, per alcuni aspetti frutto

di un giurisdizionalismo più maturo e portato all’innovazione nel

contesto sabaudo, lo inquadra anche la dottrina generale, come spiega

bene un apposito Ragionamento, in realtà un parere segreto,

attribui-bile al primo presidente del Senato di Piemonte Spirito Riccardi



.

. Ibid.

. Ibid., cfr. Regio Viglietto  giugno , in Relazione dello stile del Senato di Piemonte per il regolamento del Regio Exequatur nella sua giurisdizione.

. Ibid. Il testo è pubblicato in F. A. D, Raccolta per ordine di materie delle leggi cioè editti, patenti, manifesti ecc. emanati negli Stati di Terraferma sino all' dicembre  dai sovrani della Real Casa di Savoia, I, Davico e Picco, Torino, , pp. –. Cfr. anche le circolari dello stesso Senato del  giugno , il decreto dell’ dicembre  (Ivi, p. , p. ), ancora le circolari del  agosto  e  ottobre  (Ivi, p. , p. ). Il canonista torinese Nuytz, oltre a segnalare agli studenti tutte le fonti successive che disciplinano l’istituto, spiega anche minuziosamente la procedura adottata e i provvedimenti dell’autorità eccle-siastica sottoposti a exequatur: J. N. N, In ius ecclesiasticum universum, cit., Pars I, pp. –. Va osservato che prima simili dati venivano tenuti più riservati, quasi rientrassero tra gli arcana imperii. Nuytz ha il merito di renderli del tutto pubblici, facendoli oggetto della sua didattica, probabilmente su suggerimento del governo.

(11)



Alberto Lupano

Come conferma, ancora nella prima metà del XIX secolo, l’ultimo

suo prestigioso interprete, il professore di diritto canonico Giovanni

Nepomuceno Nuytz



.

Papa Clemente XI reagisce subito. Il  agosto  pubblica la

costituzione apostolica Ad Apostolatus Nostri notitiam che condanna

e dichiara invalido il provvedimento del Senato piemontese perché

lesivo dei diritti della Chiesa



.

Deve notarsi ancora che la svolta nell’impostazione del

giurisdizio-nalismo dei Savoia collegato a placet ed exequatur avviene alla pace

di Utrecht. È fatto assai noto che i duchi di Savoia avevano maturato

una sorta di ossessiva ricerca della regalità a partire da Carlo

Emanue-le I. Finalmente Vittorio Amedeo II ottiene il trattamento di altezza

reale



e già nella seconda metà del XVII secolo inizia a

consolida-re i suoi diritti di consolida-regnante anche nella prospettiva di un cconsolida-rescente

giurisdizionalismo.

Nella politica ecclesiastica, specie in tema di exequatur, egli

adot-ta una linea rigida; sull’amministrazione dei benefici vacanti vieadot-ta

d’imperio alla Camera apostolica di percepire i redditi degli spogli



.

Successivamente, il duca, realizzate le annessioni territoriali durante la

guerra di successione spagnola, nel  istituisce una prima versione

dell’economato dei benefici vacanti seguendo da vicino il modello del

ducato di Milano



. Nelle terre di nuovo acquisto l’exequatur è affidato

fasc. non numerato,, Ragionamento sulla varia efficacia dei quattro espedienti proposti in un congresso ed intesi ad assecurare l’osservanza del regio exequatur. Si afferma « Non si dubita per maniera alcuna sovra la competenza dell’uso del regio exequatur come diritto annesso alla corona portato della potestà sovrana economica tendente alla naturale diffesa delle proprie ragioni e de’ sudditi dalle perturbazioni, attentati e pregiudizii che possano aperte o occultamente provenire dalle provisioni et altri atti di qualunque giurisdizione o potestà straniera ». La svolta interpretativa sui fondamenti dell’exequatur si colloca naturalmente nel periodo successivo al . Descrive l’atteggiamento intransigente del monarca G. D P, op. cit., p.  ss.

. Infatti egli colloca la trattazione dell’exequatur sotto l’argomento « Modi, quibus civitas potest efficere, ne Ecclesia illi noceat »: J. N. N, In ius ecclesiasticum universum, cit., Pars I, p. .

. Sul punto cfr. G. M, Regio Exequatur, Placitum regium, in Dizionario di erudizione storico–ecclesiastica, LVII, Dalla Tipografia Emiliana, Venezia , pp. –.

. Vantava prima il titolo nominale di re di Cipro, poi di re di Gerusalemme. . Ricostruisce tutto G. D P, op. cit., pp. –. Cfr. le regie istruzioni del  settembre e  dicembre  all’economo dei benefici vacanti in F. A. D, op. cit., I, p. , p. .

(12)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



all’economo e al subeconomo dei benefici vacanti, come avveniva

nel passato regime



. Il nuovo assetto sarà riconosciuto dagli

accor-di tra Santa Sede e Savoia del marzo 



e gennaio 



(infine,

ulteriormente consolidato, sarà esteso all’Italia unitaria nel 



).

Così nasce pure negli Stati sabaudi italiani l’economato regio e

apostolico dei benefici vacanti, retto da ecclesiastici nominati dal re

coll’approvazione pontificia



. Gli economi e i subeconomi sono

giuri-sti di alta levatura



, fedeli alla monarchia e alle sue istituzioni. Talvolta

sono accusati insieme agli altri dipendenti dell’economato di

“gianseni-smo”, giudizio che però, nel contesto in cui viene formulato, sembra

sinonimo di ciò che oggi si definirebbe giurisdizionalismo



.

Quando lo stesso Vittorio Amedeo II, per la prima volta nella storia

della dinastia, consegue il titolo effettivo di monarca, in tale ruolo

prende coscienza in modo rigoroso del senso della sovranità, del

ca-. J. N. N, In ius ecclesiasticum universum cit., Pars I, lib. III, tit. I, n. , pp. – . Cfr. A. G, Il diritto di placitazione e l’economato dei benefizi vacanti in Lombardia, Bernardoni, Milano , p.  ss.

. Cfr. Progetto d’accommodamento in F. A. D, op. cit., I, p. . . Ibid., cfr. la cosiddetta Istruzione benedettina, I, p. .

. Si veda G. C, op. cit., p. , p.  ss.

. Sui tentativi di stabilire l’economato ai tempi di Emanuele Filiberto cfr. G. D P, op. cit., p. , p. .

. Posso citare ad esempio il primo economo nominato da Vittorio Amedeo II, senza però il breve di conferma pontificio per cui si entrò subito in lite con la Santa Sede, l’abate Francesco Maria Ferrero di Lavriano: cfr. D. C, Storia del regno di Vittorio Amedeo II, Felice Le Monnier, Firenze, , p.  ss. e p. . Nella Restaurazione si distingue tra gli altri funzionari l’avvocato Giovanni Battista Ferrero, abate di San Marziano, subeconomo generale. Questi, nato in una famiglia di giuristi (Montanaro,  luglio  — Torino,  aprile ), laureato in leggi a Torino nel , allievo dei canonisti giurisdizionalisti Inno-cenzo Maurizio Baudisson e G. Battista Agostino Bono, durante l’impero aveva pubblicato un’ardita opera di confronto tra la disciplina matrimoniale del codice civile napoleonico e il diritto canonico: J. B. F, Jurisprudence du mariage sous le rapport moral traité tendent à concilier les loix du Code Napoléon de l’organisation des cultes et de l’enseignement public, I–II, de l’imprimerie de Jean Giossi, Turin . Cfr. un tentativo di delineare il personaggio in A. L, L’Università di Torino e il Codice Napoleone, in Études d’Histoire du droit privé en souvenir de Maryse Carlin, Contributions réunies par O. Vernier, M. Bottin et M. Ortolani, Éditions La Mémoire du Droit, Paris , pp. –.

. Esiste in proposito, del  luglio , una relazione redatta in cifra dall’incaricato d’affari della Santa Sede a Torino, Antonio Tosti, inviata al cardinale segretario di Stato Giulio Maria Della Somaglia: « Non è facile a giudicare delle persone per gianseniste nemiche di Roma, non debbo però nascondere che i primi impiegati dell’economato li credo tali assolutamente ». Parzialmente edita da I. R, Il padre Francesco Pellico e i suoi tempi, Tip. degli Artigianelli, Pavia , I, p. .

(13)



Alberto Lupano

rattere sacro della regalità come lo si concepiva a quel tempo nella

dottrina politica assolutistica (specialmente nella Francia legata al

gal-licanesimo



). Di conseguenza, Vittorio Amedeo II, dopo la nuova,

ampia legittimazione politica, avvia prima da re di Sicilia, poi

prose-gue da re di Sardegna, una politica ecclesiastica che è una specie di

riscossa del potere civile su quello ecclesiale. Non gli basta più per gli

antichi Stati sabaudi invocare l’indulto di papa Niccolò V. Non gli è

più sufficiente per la Sicilia fondare le proprie pretese sulla Legazia

apostolica o Monarchia sicula. Egli vuole impostare una rigorosa e

intransigente difesa giuridica e politica dei diritti dello Stato e della

regalità in generale nei confronti della Chiesa e delle sue istituzioni.

Tra l’altro in Sicilia il re ha rifiutato di riconoscere l’alta sovranità

del-la Santa Sede sull’isodel-la, ha proseguito del-la controversia liparitana con

Roma, inasprendo le relazioni con papa Clemente XI che continua ad

agire da severo curialista



. Francesco Scaduto, forse in maniera non

disinteressata rispetto ai suoi tempi, paragona la lotta anticuriale di

Vittorio Amedeo II a quella della repubblica di Venezia contro Paolo

V



.

Ebbene in questa contingenza storico–politica, placet ed exequatur

sono stati al centro dell’opera del sovrano e della Giunta per gli affari

ecclesiastici appositamente creata. Il  aprile  in Sicilia un bando

prevede pene severe per chi non rispetta il placet regio, ai secolari si

può applicare perfino la pena capitale



.

Si coniuga la difesa della Legazia apostolica alla difesa dei diritti di

regalia, compreso soprattutto l’exequatur. In questo frangente Vittorio

Amedeo II utilizza le risorse intellettuali di due gruppi di collaboratori

che si collegano a due correnti localistiche del giurisdizionalismo



:

da un lato il gallicanesimo; dall’altro lato il regalismo. I collaboratori

siciliani del re sono imbevuti di regalismo spagnolo; tra essi spiccano

. Ad esempio cfr. P. D M, op. cit., lib. II, cap. II, coll. –.

. F. S, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie, I, A. Amenta, Palermo , pp. –; L. P, Storia dei Papi dalla fine del medioevo, XV, Desclée e C., Roma , pp. – e .

. F. S, op. cit., I, pp. –. . G. D P, op. cit., pp. –.

. M. C, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del secolo XVIII, in « Il diritto ecclesiastico »,  (), pp. –, riedito in I., Scritti di storia e di diritto, Giuffré, Milano , p.  ss.

(14)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



numerosi avvocati, specialmente Niccolò Pensabene.

Il regalismo serviva fino a un certo punto, andava bene grazie ai

ri-sultati a cui perveniva: cioè l’attribuzione ai giudici regi dell’exequatur

spagnolo e dunque del controllo sugli atti pontifici. Tuttavia non

gio-vava al nuovo re di Sicilia al fine di fondare una vera e propria regalia,

dottrinalmente definita. Infatti il regalista spagnolo Francisco Salgado

ammette che lo ius retentionis, cioè la versione iberica dell’exequatur,

non è del tutto un diritto di regalia. Riconosce che esso nasce in Spagna

da un privilegio papale di Alessandro VI; viene applicato con molto

rispetto per la Chiesa, allo scopo conclamato di tutelare il papa nella

emanazione delle bolle



.

Allora il sovrano sabaudo affida la difesa ufficiale sia della Legazia

di Sicilia



, sia dell’exequatur a Louis–Ellies Du Pin, l’autore

gallica-no coevo meglio cogallica-nosciuto, che compone un saggio fondamentale:

la Défense de la Monarchie de Sicilie. Du Pin costruisce la sua opera

rappresentando i diritti di regalia spettanti a Vittorio Amedeo II,

so-prattutto l’exequatur per qualunque atto proveniente dall’estero, non

solo ricollegandoli alla Legazia, ma riconducendoli in generale ai

di-ritti della sovranità, in quanto tali propri di ogni regnante



. Si tratta

di un’operazione ad effetto dottrinale e propagandistico che aspira a

. F. S  S, De supplicatione ad Sanctissimum, cit. è saggio, a suo modo, di carattere quasi confessionale, che parla in toni enfatici del re Cattolico di Spagna e di Sicilia, della sua opera di protettore della Chiesa e dei canoni e fonda i poteri del re sia sul Patronato Realsulla Chiesa delle Spagne, sia sulla Legazia apostolica di Sicilia. Prevede però che il controllo, lo jus retentionis, sugli atti pontifici venga assegnato ai giudici regi e alle supreme magistrature: ad esempio in Spagna alla Corte di Castiglia, in Sicilia al Tribunale della Monarchia sicula. Cfr. Ivi, pp. , –, . Ammonisce « Senatores regii caveant ne iniuste impediant litterarum apostolicarum executionem » (ibidem, p. ). Cfr. G. M, Regio Exequatur, Placitum regium, cit., p. .

. Accantonando il profilo canonistico e puntando soprattutto all’aspetto politico della vertenza: cfr. M. C, Note su Stato e Chiesa, cit., p.  ss. Mi sia consentito anche di richiamare un mio recente contributo: A. L, Tra Legazia apostolica di Sicilia, Santa Sede e diocesi subalpine: questioni giurisdizionalistiche per Re Vittorio Amedeo II, in Utrecht. I trattati che aprirono le porte d’Italia ai Savoia. Studi per il terzo centenario, a cura di G. Mola di Nomaglio e G. Mellano, Centro Studi Piemontesi, Torino , pp. –.

. »Que tous les Soverains sont interessez dans la cause du Roi de Sicilie, et obbligez de se joindre à lui pour maintenir ses droits contre les enterprises de la cour de Rome »; « Que le droit de n’executer les Rescripts, Brefs et bulles de Rome sans l’autorité du Roi de Sicilie, est un droit commun, et qui appartient à tous les Souverains, et que c’est une Loi établie dans le Roiaume de Sicilie ». L. E. D P, Défense de la Monarchie de Sicilie, cit., I, [premiere partie], chap. XIII, pp. –, chap. XIV, pp. –.

(15)



Alberto Lupano

coinvolgere la politica internazionale, contro la Santa Sede e le sue

pretese (papa Clemente XI aveva soppresso nel  la Legazia sicula e

il Tribunale della Monarchia con bolla Romanus Pontifex). Il testo di

Du Pin, composto in francese, pubblicato nel , ottiene una grande

diffusione grazie a varie edizioni successive



.

Ora s’impone un’osservazione. Come è noto, placet ed exequatur

regi derivano dalla prassi amministrativa dei governi, sono la pratica

applicazione degli iura cavendi dei regnanti nei confronti della Chiesa.

Nel caso piemontese, solo faticosamente il Progetto di

accommoda-mento

tra le corti di Roma e di Torino del marzo 



, premessa

fondamentale al concordato del maggio 



, giunge a tollerare la

semplice visura



di certi documenti pontifici e vescovili. Nel senso

che il governo del re di Sardegna può prendere conoscenza per primo

dei documenti, senza esercitare alcun controllo o approvazione sui

medesimi. Tra l’altro si sa che il concordato del  fu ottenuto dai

Savoia in maniera molto disinvolta, oltre che attraverso la sistematica

corruzione dei prelati, persino con episodi plateali di devozione degni

della commedia dell’arte. Il ministro Ferrero d’Ormea



, incaricato da

Torino delle trattative, fu l’artefice principale dei contatti con i dignitari

romani e delle scene di pietà religiosa dirette a commuovere l’anziano

e suggestionabile papa Benedetto XIII



.

. Il pensiero di fondo di Du Pin in merito all’exequatur ritorna nei testi pubblicati dai Savoia dopo il , quando il nuovo papa Clemente XII dichiarò nullo il concordato stipulato dal predecessore. Cfr. Relazione istorica delle vertenze, cit., pp. –, « Cap. II. Del regio Exequatur ». Qui non si insiste solo sui privilegi apostolici concessi alla casa di Savoia, ma pure sul fatto che l’exequatur rientra tra i diritti di regalia dei regnanti: « Su questi princìpi, che sono giusti, e cotanto necessari pe’l mantenimento del Principato, si è in tutti i Paesi del Mondo Cattolico stabilito, come legge fondamentale d’un buon Govverno, il Regio Exequaturper tutte le Provvisioni procedenti da alieni Dominj, e conseguentemente ancora per le Bolle, Brevi, ed altri provvedimenti della Corte di Roma [. . . ] In fatti così è l’uso costante della Francia, delle Spagne, delle Fiandre, del Portugallo, della Brettagna, della Savoja, di Sicilia, di Napoli, di Milano, di Firenze, e generalmente di tutta l’Italia. Rispetto poi al Piemonte, è da tempo antichissimo stabilito un tal Diritto » (p. ).

. Il testo è consultabile in F. A. D, op. cit., I, p. . . C. D, op. cit., I, p.  ss.

. Ragioni della Sede Apostolica, cit., Parte prima, I, pp. –.

. A. M, Ormea, Carlo Vincenzo Ferrero, marchese d’Ormea, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXIX, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma , pp. –.

. Cfr. D. C, op. cit., p.  ss. Papa Clemente XII nel  denunciò il concordato del predecessore, secondo quanto s’è già detto, e ripresero le contese e le difficili trattative tra Savoia e Santa Sede fino ai due concordati approvati da papa Benedetto XIV che da

(16)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



Ancora, la istruzione del  gennaio  di papa Benedetto XIV



,

con molti limiti, consente la visura dei documenti pontifici

escluden-done però le bolle dogmatiche, i brevi diretti ai fedeli sulla morale, le

indulgenze e i giubilei, tutte le lettere delle congregazioni romane



.

Tuttavia mai in questi documenti pontifici si parla di exequatur.

Sono gli interpreti sabaudi che dalla tolleranza pontificia della visura,

deducono che la Santa Sede, essendo a conoscenza della situazione di

fatto, abbia praticamente accettato l’exequatur



.

Tutti sanno che placet ed exequatur dei prìncipi non sono mai stati

riconosciuti espressamente come tali, alla stregua di diritti della

sovra-nità, dalla Santa Sede e dal diritto canonico. Anzi, questi usi sono stati

più volte riprovati dai romani pontefici come abusi della sovranità



.

Infine papa Benedetto XIV nel  ha condannato in generale il placet

regio con la costituzione apostolica Pastoralis regiminis



.

Va ribadito che placet ed exequatur sovrani sono risultato degli usi

applicati dai vari governi nei rapporti tra Stato e Chiesa. Dunque

persino un canonista gallicano di grande valore come Pierre De

Mar-ca



non li menziona mai espressamente, sebbene ammetta di fatto

il controllo regio sui documenti della gerarchia cattolica, potere di

vigilanza fondato sulla tuitio della Chiesa; altrettanto fa Marco Antonio

De Dominis



.

Soltanto Du Pin nelle sue opere, mentre dapprima tratta di un

controllo generico delle bolle pontificie



, successivamente adotta la

parola exequatur



; Van Espen parla di placet alla stregua di un istituto

curiale aveva preso parte alle trattative degli accordi del . Cfr. C. D, op. cit., I, p. ss.

. F. A. D, op. cit., I, p. ; cfr. C. D, op. cit., I, pp. –. . Lo ammette ancora N. N, In jus ecclesiasticum universum, cit., Pars I, p. . . G. D P, op. cit., p.  ss.

. Per tutti cfr. G. M, Regio Exequatur, Placitum regium, cit., pp. –. . N, op. cit., col. .

. P. D M, op. cit., lib. II, cap. XII, § VIII, coll. – e –.

. M. A. D D, op. cit., Pars III, lib. VII, p. , n. : « Princeps bullas pontificum iniustas impedire debet ».

. L. E. D P, Traité de la puissance ecclésiastique et temporelle, cit., p. , in cui richiama anche la  proposizione della Déclaration du Clergé gallicain « Que les Lois et les Decrets des Papes n’obligent point, et n’ont point d’execution s’ils ne sont reçus et approuvés par les evêques ».

. L. E. D P, Défense de la Monarchie de Sicilie cit., I, [premiere partie], chap. XIII, pp. –, chap. XIV, pp. –.

(17)



Alberto Lupano

già formato, riflesso di un diritto di regalia, e ormai ampiamente

diffuso



. Il canonista fiammingo ne fornisce la definizione astratta

di potere dell’autorità civile di dare esecutività agli atti dell’autorità

ecclesiastica sia nel foro interno sia nel foro esterno



. Nelle

animad-versiones

postume all’opera di Lucio Ferraris, autore curialista che

ebbe diffusione internazionale, è stata inserita la voce placitum regium



ma solo per negare la legittimità di questa prassi reputata un abuso

do-vuto alla ragion di Stato dei prìncipi e per contestare in modo frontale

proprio Van Espen, Febronio



e i loro fautori con osservazioni anche

piuttosto ironiche.

Carlo Sebastiano Berardi, il maggiore canonista docente nel XVIII

secolo all’Università di Torino, di tendenza giurisdizionalista, non

scrive mai né placet né exequatur in quanto tali perché inesistenti nel

diritto canonico ufficiale. Dimostra così una coerenza totale alla

pro-pria metodologia di scienziato di grande rigore, impegnato a ricercare

sempre la norma canonica più pura e fondata sul sistema dell’antica

tradizione legislativa della Chiesa; dunque tace la parola exequatur

nel-la sua grandiosa opera sistematica sul diritto canonico



, tace persino

nelle scritture segretissime che prepara per la corte di Torino di cui

è consigliere



. Si tratta di pareri tutti aspramente anticuriali, dove al

massimo l’autore allude agli strumenti per « ovviare alli nuovi attentati

. Z. B. V , Tractatus de promulgatione legum ecclesiasticarum ac speciatim bullarum et rescriptorum curiae romanae, in Ius ecclesiasticum universum, in Opera [omnia], cit., VI, Pars II, cap. III, § I, p.  e cfr. anche § II, p. .

. Ivi, Pars II, cap. I, § , p. , dove dichiara quasi equivalenti placet ed exequatur. . L. F, Placitum regium, in [Prompta] bibliotheca canonica giuridica moralis theolo-gica, VI, Ex Typographia poliglotta S. C. De Propaganda Fide, Romae , pp. –, interessanti anche per la ricostruzione storica dell’istituto. Benedetto Croce ricorda di avere consultato l’opera del Ferraris, insieme a quelle di De Marca e Van Espen, tra i libri dei suoi antenati giuristi: B. C, Storia del Regno di Napoli, Laterza, Bari , p. .

. Trattando « de mediis recuperandae libertatis ecclesiasticae », Febronio parla di placet, richiamando anche la dottrina di Salgado de Somoza: « Quintum remedium retentio bullarum apostolicarum; cuius iustitia et universalis usus demonstratur »; Receptus est eius usus in Gallia, Hispania, Lusitania, Sabaudia, Regnis Neapolis et Siciliae, Belgio, et certo modo in Germania »; concludendo che « placiti regii legitimus et universalis usus ». J. F, op. cit., cap. IX, § VII, p. .

. C. S. B, Commentaria in ius ecclesiasticum universum, I–IV, Ex Typographia regia, Taurini –.

. C. S. B, Idea del governo ecclesiastico, a cura di A. Bertola e L. Firpo, Giappichelli Torino .

(18)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



della corte romana »



, ma l’analisi dei problemi concreti,

l’identifi-cazione nella prassi di quali siano questi strumenti singolarmente

considerati e con quali modalità si applichino, tutto questo lo

rimet-te alle scelrimet-te “politiche” contingenti del governo. Berardi suggerisce

giudizi generali astratti sui problemi: contro le ingerenze curialiste

afferma che « le circostanze de’ tempi presenti dimostrano non esservi

altro mezzo valevole e sicuro che d’impedirne con autorità assoluta la

esecuzione: e tanto basta perché un tale mezzo debba riputarsi giusto

e conveniente »



.

Di fronte a quelle che gli sembrano le “offensive” della corte

ro-mana, condotte « con forza e con violenza, a pregiudizio del

principa-to », Berardi può dare l’impressione di giustificare di fatprincipa-to l’exequatur,

ma adotta delle formule ellittiche e alla fine dei suoi ragionamenti

l’exequatur in quanto tale non lo nomina mai



.

Col tempo, grazie all’influenza della politica regia, che controlla

completamente la didattica dell’Università di Torino, i successori di

Berardi iniziano la trattazione esplicita dell’exequatur a livello

dottri-nale e didattico. Il primo docente che ne parla espressamente dalla

cattedra è il professore di decretali Giovanni Battista Agostino Bono,

docente dopo la morte del maestro, dal  al .

Tuttavia Bono per arrivare a enucleare l’exequatur come istituto

configura, a titolo di premessa teorica generale in cui inquadrare

l’isti-tuto, la potestas sacrorum, la potestà indiretta negativa dello Stato sulla

Chiesa e su quanto si riferisce alla sfera ecclesiale esteriore e

tempo-rale. La potestà negativa dei sovrani è detta così perché consiste non

nel fare le leggi ecclesiali, bensì nell’impedire l’esecuzione di quelle

che la Chiesa ha fatte quando esse siano nocive al potere politico. È

qualificata indiretta perché si attua in una prospettiva non spirituale ma

. Ivi, Proposizione XIV, p. : « Si propone il mezzo per ovviare alli nuovi attentati della corte romana, tendenti ad eludere le giuste politiche provvidenze de’ principi in quella parte in cui questi talora impediscono la esecuzione delle improvvide ordinazioni della medesima ».

. Ivi, Proposizione XIII, p. .

. Ivi, Proposizione XIV, pp. –: « Il rimedio a questo attentato si è rinvenuto facilmente: poiché que’ ministri che vegliano al buon governo degli Stati hanno introdotto di permettere bensì la esecuzione delle bolle di tal natura, ma con certe condizioni ed asse-gnazioni di limiti. . . Il concedere l’esecuzione assoluta [delle bolle] tende alla sovversione delle massime dello Stato e del pubblico vantaggio ». « A provvedere opportunamente a sì fatti disordini, il mezzo più sicuro sarebbe di non permettere esecuzione alcuna alle bolle ».

(19)



Alberto Lupano

temporale. All’interno del potere statuale qualificato potestà indiretta

negativa, Bono colloca appunto l’exequatur, accanto all’appello per

abuso, come atti doverosi di autotutela da parte dello Stato



.

Questa teoria a Torino era stata preparata dall’insegnamento di

Francesco Antonio Chionio, predecessore sia di Berardi sia di Bono.

Infatti Chionio sosteneva nelle proprie lezioni, anticipando per alcuni

aspetti le dottrine di Febronio, che il « governo pubblico » della Chiesa,

ovvero ciò che riguarda la sua attività visibile all’interno dello Stato,

compreso il culto non meramente privato, è del tutto soggetto alla

potestà civile del principe



. Dunque risultava evidente che anche

l’exequatur poteva trovare facilmente collocazione in tale contesto.

Alla formazione completa del pensiero di Bono in materia di potestà

indiretta negativa hanno concorso altresì le dottrine di famosi autori

giurisdizionalisti: Jean De Launoy, Louis–Ellies Du Pin, Febronio



.

Ancora nella prima metà del XIX secolo la teoria di Bono e la

relati-va difesa dell’exequatur impostata sulla potestà indiretta negatirelati-va, difesa

divenuta assai più articolata e fondata, condotta sia sotto il profilo

dot-trinale sia sotto il profilo politico, è ribadita da Giovanni Nepomuceno

Nuytz, professore di diritto canonico a Torino dal  al 



. Per

avere sostenuto questa e tante altre proposizioni giurisdizionaliste —

tra le quali, ad esempio, l’appello per abuso, la fine del sistema

concor-datario, la eliminazione del dominio temporale papale e la potestà dei

sovrani sugli aspetti civili del matrimonio canonico — Nuytz viene

condannato e scomunicato da papa Pio IX il  agosto  e i testi

didattici sono messi all’Indice



.

. Cfr., con riferimenti ai testi manoscritti delle lezioni di Bono, A. L, Verso il giurisdizionalismo subalpino. Il De regimine Ecclesiae di Francesco Antonio Chionio nella cultura canonistica torinese del Settecento, Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino , pp. –.

. Ivi, p.  ss.

. Si veda, per una messa a punto generale sulla potestà indiretta negativa sulle cose sacre enunciata, a loro modo, da tali autori, quanto scrive Giacinto Sigismondo Gerdil: G. S. G, In commentarium a Justino Febronio in suam retractationem editum animadversiones, ripubblicato in Opere edite ed inedite del Cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil, V, presso Giuseppe Celli, Firenze , pp. –.

. Nuytz divulga a livello popolare questa teoria, già esposta nella propria didattica accademica, in G. N. N [N], Il professore Nuyts ai suoi concittadini, cit., pp. –.

. Con il breve Ad apostolicae Sedis fastigium. Cfr. il testo del breve (e i commenti di parte curialista in risposta al predetto libello di autodifesa di Nuytz) in G. M, op. cit., p.  ss.

(20)

Placet, exequatur, economato dei benefici vacanti



Il docente appartiene a una famiglia di giuristi dediti al servizio

regio; è nipote di Giuseppe Antonio Nuytz



, presidente del Senato di

Piemonte, potente esponente della magistratura sabauda.

Il canonista Nuytz divulgando nelle aule dell’Università le sue tesi

sull’exequatur allude alla stessa premessa teorica generale enunciata

a Torino da Chionio sul « governo pubblico » ecclesiale soggetto allo

Stato, con le implicite conseguenze, poi riprende la dottrina di Bono

della potestà indiretta negativa dello Stato sulla Chiesa



.

Nuytz delinea l’exequatur nel modo più esplicito possibile,

seguen-do la prassi consolidata. La materia per lui, considerato l’ambiente

in cui gravitava, frequentato da docenti di giurisprudenza, avvocati

fiscali



e avvocati liberi professionisti, alti magistrati, alcuni di

fami-glia, altri comunque vicini ai suoi congiunti o ai suoi ideali, doveva

essere quasi una sorta di pane quotidiano. Naturalmente, secondo

quanto s’è già considerato, il professore rammenta che la concessione

è riservata ai Senati, salvo che per gli affari meno importanti delle

provincie “milanesi”, dove, in tali casi, la competenza è riservata agli

economi e subeconomi dei benefici vacanti; inoltre elenca le

nume-rose fonti che possono venire in considerazione nell’applicazione

. C. D, op. cit., II, pp. –.

. J. N. N, In jus ecclesiasticum universum, cit., Pars I, pp. –: « de exercitio potestatis indirectae negativae in sacra, et de Regio exequatur », « Potestas civilis potestatem indirectam negativam in sacra[. . . ] eo modo exercet, quem suis rationibus convenientem existimat; ita tamen exercere debet, ut Ecclesiae dignitatem non laedat. Uti vero iam alibi diximus ad avertendum damnum, quod ex facto Praelatorum ditionis oriri potest, nullae regulae statutae sunt; ad avertendum illud, quod oriri potest, ex iis, quae extra ditionem fiunt, usus erigendi petitionem Regii exequatur introductus est ». Alla fine del ragionamento Nuytz arriva a proclamare « Princeps, si placeret, Regii exequatur petitioni bullas etiam dogmaticas subiicere posset; non quidem ut contra Catholicum dogma sibi caveat, quod improbum esset, sed ut videat, num revera bullae nihil aliud praeseferant » (p. ). Cfr. anche G. N. N [N], Il professore Nuyts ai suoi concittadini, cit., pp. –.

. La « Civiltà cattolica », XIV (), pp. –, fa osservazioni molto significative — che oggi appaiono figlie dei tempi, decisamente esagerate e pittoresche — sull’atmosfera intellettuale dei giuristi torinesi coevi, addossando « sui consiglieri della Corona e sui corrotti Professori della Giurisprudenza canonica » se il Tamburini poté vantarsi di « nulla avere insegnato che prima non fosse stato nella Università torinese; se il Giuseppinismo austriaco ebbe più di un precursore a Torino [. . . ] se la Magistratura crebbe in quella torbida atmosfera e si corruppe alla scuola pratica degli Avvocati Fiscali e dei loro massimari, vasta infermeria di tutte le magagne febbroniane ». Apprezzamenti che potrebbero essere letti anche come un riconoscimento, da parte dei gesuiti redattori della rivista, dell’avanzato livello raggiunto dal giurisdizionalismo subalpino, precursore di altre espressioni europee divenute poi celeberrime e paradigmatiche nella materia.

(21)



Alberto Lupano

dell’istituto: disposizioni dei supremi magistrati sabaudi, istruzioni

regie ai Senati, i concordati con Benedetto XIII e Benedetto XIV, le

relative “istruzioni” pontificie, fonti queste ultime ovviamente

inter-pretate con una certa duttilità ingegnosa e filogovernativa



. Distingue,

con puntigliosità subalpina e congenitamente burocratica, in base

alle formalità di concessione, tra Regium exequatur parvum e Regium

exequatur magnum

. Il primo si concede senza libello introduttivo, « in

rebus minoris momenti, minorisque difficultatis ». Il secondo invece

richiede notevole solennità perché si adotta — c’era da attenderselo

— « in rebus maioris momenti, maiorisque difficultatis »: introdotto il

libello di supplica al Senato, sentito il parere dell’avvocato generale,

o decide il Senato stesso, oppure ci si rivolge al sovrano, il quale può

emanare un Regium chirographum o delegare il Senato alla concessione

del provvedimento



.

Nuytz in una fase successiva di maturazione del pensiero personale

sul tema, nella sua autodifesa apologetica, scritta evidentemente dietro

forti suggestioni del governo subalpino per appellarsi

democratica-mente al popolo contro la condanna papale, dichiara che proprio la

dottrina da lui ricostruita rappresenta il fondamento teorico del regio

exequatur

, ed è attuata in tutti i governi cattolici dell’Europa; inoltre vi

ricollega pure l’appello per abuso



.

Ma Nuytz rispetto a Bono amplia la trattazione perché parla

final-mente chiaro. Va ribadito che ha il merito di affermare apertafinal-mente

quanto prima circolava solo nei corridoi delle segreterie regie, negli

studi dei supremi magistrati, nelle scritture segrete della corte, nei

testi destinati ai giudici e ai funzionari sabaudi, non alla divulgazione

generale. Nuytz afferma che « l’uso dell’exequatur consiste in questo,

che non si permette l’esecuzione delle sottopostevi provvidenze, se

pria non sono rammostrate al governo, e questo non l’ha permessa.

L’assenso prestato all’esecuzione (e si presta quando nulla contengono

. J. N. N, In jus ecclesiasticum universum, cit., Pars I, pp. –, in nota; pp. –, in nota. Cfr. anche pp. –.

. Ivi, pp. –. In G. N. N [N], Il professore Nuyts ai suoi concittadini, cit., p.  puntualizza: « Oggi, per legge del  aprile , l’exequatur è sempre dato dal Re, previo avviso dell’avvocato generale e del Consiglio di Stato [. . . ] L’exequatur è pure in uso nella Sardegna, ritenutovi in dipendenza di ciò, che già si praticava, quando quest’isola apparteneva alla Spagna » (p. ). Su tale aspetto rinvio a G. D G, op. cit., p.  ss.

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