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Il contraddittorio “generalizzato”
Abstract: L’introduzione di un contraddittorio “generalizzato” avrebbe consentito di superare il criticabile assetto, fondato sulla distinzione fra tributi armonizzati o meno, consolidatosi a seguito della sentenza n. 24823/2015. Tuttavia, l’esclusione degli accertamenti parziali dal confronto preventivo rischia di limitarne fortemente ed irragionevolmente la sfera di operatività. Inoltre, restano estranee alla nuova disciplina alcune potenziali liti in materia di imposte dirette ed IVA e tutte quelle relative ai tributi non armonizzati diversi dalle imposte dirette, di modo che l’obiettivo che la riforma avrebbe dovuto ragionevolmente conseguire non può dirsi pienamente realizzato.
Abstract: The establishment of a generalized right to be heard for taxpayers would have allowed the existing (and open to criticism) set-up based on the judgment n. 24823/2015 to be overcome. However, the intended exclusion of partial assessments from the application of the right to be heard may significantly and unreasonably restrict the scope of the measure. Furthermore, some litigations on indirect taxes and VAT and all litigations on non-harmonized taxes (other than direct taxes) fall outside the application of the right. Therefore, one cannot say that the expected aim of the reform has been successfully achieved.
1. Considerazioni introduttive. 2. L’ambito di applicazione del contraddittorio “generalizzato”. 3. Il contraddittorio disciplinato dalla nuova norma e le conseguenze del suo mancato svolgimento. 4. Rilievi conclusivi.
1. Considerazioni introduttive.
L’art. 5-ter del D.L.vo n. 218/1997, introdotto dall’art. 4-octies del D.L. n. 34/2019 convertito dalla L. n. 58/2019, non giunge inatteso1.
1 Sul nuovo art. 5-ter del D.L.vo n. 218/1997, v. F. Farri, Considerazioni “a caldo” circa l’obbligo di invito
al contraddittorio introdotto dal Decreto Crescita, in Riv. dir. trib., 2019, supplemento online; F. Tundo, Semplificazioni fiscali: diritto al contraddittorio, con limiti, nell’accertamento con adesione, in Il fisco, 2019, pp. 2107 e ss. (quest’ultimo lavoro prende in considerazione un testo non ancora definitivo del nuovo precetto, ma in larga misura coincidente con quello in seguito definitivamente approvato); S. Capolupo, Accertamento con adesione e invito obbligatorio al contraddittorio, in Il Tributario, 23 luglio 2019. Sul percorso parlamentare che ha condotto alla nuova norma, v. M. Beghin, Aspetti critici della recente proposta di legge riguardante l’invito al contraddittorio endoprocedimentale, in Il fisco, 2018, pp. 4007 e ss. e F. Tundo, L’invito al contraddittorio in un recente disegno di legge: quali conseguenze per il contribuente?, in Corr. trib., 2018, pp. 2963 e ss. In generale, sul tema del contraddittorio preprocessuale, cfr., fra gli altri, G. Ragucci, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009; M. Pierro, Il dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria, Torino, 2013; F. Picciaredda, Il contraddittorio anticipato nella fase procedimentale, in AA.VV., Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del
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Da tempo, era avvertita nel nostro Paese l’esigenza di rendere uniforme e coerente la disciplina del contraddittorio preprocessuale in materia tributaria, prevedendone un’applicazione “generalizzata”.
Per un verso, la delega recata dall’art. 9, lett. b), della L. n. 23/2014, secondo cui occorreva “... rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine …” e disporre “… la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale”, era rimasta inattuata.
Per l’altro verso, e soprattutto, con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24823/2015 si era delineato un assetto che non poteva considerarsi soddisfacente.
Come noto, infatti, tale pronuncia - ribaltando la “generalizzazione” dell’obbligo del contraddittorio affermata poco prima dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 19667/20142 - aveva introdotto una distinzione fra tributi armonizzati e nazionali che
aveva destato varie e fondate perplessità.
Per i tributi di matrice europea il contraddittorio era obbligatorio, ancorché non previsto da alcuna norma, in virtù del fatto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e l’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea lo annoverano fra i principi generali dell’ordinamento eurounitario. E la sua mancata attuazione conduceva, conformemente all’indirizzo enunciato sempre dalla giurisprudenza europea, all’annullabilità3 dell’atto impositivo a condizione che il
contribuente fosse in grado di provare che quanto avrebbe potuto dedurre nella fase anteriore a quella giurisdizionale risultasse meritevole di essere preso in considerazione dall’Amministrazione procedente (trattasi della cosiddetta “prova di resistenza”).
Per i tributi nazionali, invece, l’esigenza del contraddittorio sussisteva nelle sole e limitate ipotesi nelle quali una norma la contemplasse espressamente. Inoltre, il mancato svolgimento del confronto endoprocedimentale avrebbe cagionato l’annullamento del
contribuente. Studi in onore del prof. Gianni Marongiu, a cura di A. Bodrito, A. Contrino, A. Marcheselli, Torino, 2012, pp. 397 e ss.; S. Muleo, Il contraddittorio procedimentale e l’affidamento come principi immanenti, ivi, pp. 406 e ss.; A. Marcheselli, L’effettività del contraddittorio nel procedimento tributario tra Statuto del contribuente e principi comunitari, ivi, pp. 413 e ss.; F. Tundo, Procedimento tributario e difesa del contribuente, Padova, 2013; A. Giovannini, Il contradditorio endoprocedimentale, in Rass. trib., 2017, pp. 13 e ss.; P. Accordino, Problematiche applicative del “contraddittorio” nei procedimenti tributari, Milano, 2018. Infine, per un’esaustiva, condivisibile ed aggiornata disamina del contraddittorio endoprocedimentale prima dell’approvazione dell’art. 5-ter cit., v. G. Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, 2019, pp. 254 e ss.
2 In particolare, nella sentenza n. 19667 del 18 settembre 2014 si sostiene, fra l’altro, che il contraddittorio
procedimentale è un “… principio fondamentale immanente dell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una specifica previsione normativa”, in quanto espressione degli artt. 24 e 97 Cost. e degli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
3 Merita ricordare che nel processo tributario non v’è spazio per la rilevabilità d’ufficio dei vizi dell’atto
impugnato, di modo che è corretto parlare di “annullabilità” di quest’ultimo anziché di “nullità” (sebbene le norme tributarie utilizzino detta espressione).
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provvedimento impositivo indipendentemente dalla “prova di resistenza” richiesta per i tributi armonizzati4.
In estrema sintesi, la “divaricazione” nell’attuazione del contraddittorio, emergente dall’ultima interpretazione offerta dalle Sezioni Unite, sollevava varie fondate obiezioni e, tra di esse, almeno due spiccavano per la loro portata5.
Da un lato, detta “divaricazione” introduceva una disparità di regime del tutto irrazionale e, come tale, lesiva dell’art. 3 Cost. Ciò anche perché l’istruttoria in tema di IVA e di imposte dirette viene, di regola, svolta in termini contestuali, di modo che prevedere per un solo tributo il contraddittorio rendeva evidente siffatta ingiustificata differenza di trattamento6.
Dall’altro lato, secondo l’art. 1, comma 1, della L. n. 241/1990, operante in materia tributaria, l’attività amministrativa è retta anche dai principi dell’ordinamento europeo: vi è, quindi, una ragione ulteriore per sostenere la necessità del contraddittorio per ogni tributo, indipendentemente dalla sua matrice sovranazionale o meno.
2. L’ambito di applicazione del contraddittorio “generalizzato”.
Vi era, dunque, necessità di un intervento normativo che superasse la menzionata “divaricazione”. Intervento, peraltro, auspicato dalla stessa pronuncia delle Sezioni Unite che aveva consolidato l’assetto poc’anzi descritto e criticato7.
Prima di esaminarne il contenuto, occorre delineare l’ambito operativo dell’art. 5-ter cit.
Stando a quanto prescritto dal relativo comma 1, esso non si applica nei “... casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo ...”.
In tali frangenti, evidentemente, il legislatore ha ritenuto soddisfatta la necessità del contraddittorio preventivo dalla previsione recata dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000.
4 Cfr. Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823.
5 Ben prima del consolidarsi dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la menzionata sentenza n.
24823/2015, avevo evidenziato che i due argomenti di seguito esposti nel testo imponevano l’estensione a tutti i tributi del contraddittorio. Si veda, in proposito, F. Pistolesi, Accertamento e valori immobiliari, in AA.VV., La fiscalità immobiliare, a cura di F. Pistolesi, Milano, 2011, pp. 164-165. Inoltre, a seguito della pronuncia n. 24823/2015, per maggiori sviluppi circa le perplessità destate dalla tesi sposata dalle Sezioni Unite della Cassazione, cfr. F. Pistolesi, L’impatto della giurisprudenza europea sul processo tributario italiano, in Riv. trim. dir. trib., 2016, pp. 633 e ss. Sul tema, v. anche le condivisibili considerazioni svolte da G. Melis, Manuale, cit., pp. 258-259.
6 Ciò nonostante, la giurisprudenza ha sancito la nullità “parziale” dell’atto impositivo, in materia di IRES,
IRAP ed IVA, non preceduto dal contraddittorio, ossia solo con riferimento alla pretesa concernente l’IVA: cfr. Cass., Sez. VI, 27 novembre 2017, n. 28314.
7 V. Cass., Sez. Un., n. 24823/2015, ove si legge che “L’assorbimento della dicotomia non può, dunque, che
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In sostanza, le regole procedimentali disciplinate, rispettivamente, dall’art. 5-ter cit. e dall’art. 12, comma 7, cit. vengono considerate come equipollenti.
Occorre prenderne atto, anche per trarne in seguito una coerente opzione interpretativa, sebbene i due precetti si collochino in fasi dell’istruttoria non coincidenti. Difatti, l’art. 12, comma 7 cit. opera in un momento intermedio fra il compimento dell’istruttoria e quello in cui l’Amministrazione assume la determinazione che la conduce all’adozione dell’atto impositivo. Il processo verbale di constatazione può essere redatto da organo diverso (in specie, dalla Guardia di Finanza) dall’Ente titolare del potere di esternare la pretesa impositiva e sanzionatoria nei confronti del privato e detto Ente ben può svolgere ulteriori ed autonome attività di indagine prima di procedere a detta esternazione, così come può decidere di non dare seguito in tutto o in parte ai rilievi recepiti in tale verbale.
Viceversa, nel caso contemplato dall’art. 5-ter cit., l’Amministrazione si è già risolta a notificare l’avviso di accertamento.
Lo dimostra il fatto che, in base al relativo comma 1, l’Ufficio debba notificare “... l’invito a comparire di cui all’art. 5 ...” del D.L.vo n. 218/1997, ossia un atto che reca il contenuto sostanziale (ivi compresa la motivazione) dell’atto di accertamento.
Lo conferma pure il successivo comma 4 allorché dispone che, nei “.... casi di particolare urgenza ...”, “... l’ufficio può notificare direttamente l’avviso di accertamento non preceduto dall’invito di cui al comma 1”.
Per altro verso, il comma 1 della nuova norma ridimensiona i problemi ed i dubbi interpretativi che finora si sono verificati sulla necessità o meno della redazione del processo verbale di constatazione a seguito del compimento di un breve accesso o di un accesso finalizzato soltanto ad acquisire documentazione da parte dell’Amministrazione presso i locali del contribuente8.
Adesso, la mancata notificazione del verbale di constatazione impone all’Ufficio di avvalersi dell’art. 5-ter cit., di modo che il contraddittorio si svolgerà quanto meno nelle forme previste dal nuovo precetto.
Si è visto che è diversa la tempistica, dal punto di vista procedimentale, fra il confronto disciplinato dall’art. 12, comma 7 cit. e quello regolato dall’art. 5-ter cit. Ed è innegabile che per il privato sia preferibile poter enunciare le proprie osservazioni sul
8 In proposito, cfr. F. Tundo, Semplificazioni fiscali, cit., pp. 2108 e 2109 e, in specie, p. 2108, nota 9,
anche per i puntuali e recenti riferimenti alla giurisprudenza sull’argomento, nonché G. Melis, Manuale, cit., pp. 325-326. Va, peraltro, segnalato che – come correttamente ricorda D. Stevanato, Fondamenti di diritto tributario, Milano, 2019, p. 238 – l’art. 24 della L. n. 4/1929 (tuttora vigente) richiede la redazione del “verbale di constatazione” per qualsivoglia indagine fiscale.
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verbale di constatazione anziché sull’invito a comparire che prefigura ed anticipa l’avviso di accertamento.
Però, un confronto preprocessuale fra il contribuente e l’Amministrazione è comunque assicurato dalla nuova disposizione, mentre finora la mancanza (lecita od illecita che fosse) del verbale di constatazione rendeva concreta la possibilità che nessun contraddittorio preventivo rispetto alla fase giurisdizionale si sarebbe svolto9.
Si aggiunga che il campo principale e naturale di esplicazione dell’art. 5-ter cit. è quello delle cosiddette “verifiche a tavolino”, ossia di quei controlli – talora anche eseguiti per un nutrito numero di contribuenti che si trovino in analoghe condizioni – che non richiedono le intense ed approfondite indagini che, di regola, si riscontrano nei casi di accessi, ispezioni e verifiche disciplinati dall’art. 12, comma 7, cit.10
Pertanto, in linea di principio, è ragionevole che, in questi frangenti, possa operare il contraddittorio nella sola fase immediatamente antecedente alla notificazione dell’atto impositivo, secondo quanto stabilito dal precetto da ultimo approvato.
L’art. 5-ter cit., poi, non opera allorché l’Agenzia delle Entrate adotti avvisi di accertamento parziale ai sensi dell’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 633/197211.
Questa è, senza dubbio, la prescrizione più criticabile della nuova norma.
Anzitutto, lascia perplessi la scelta di escludere dal contraddittorio gli accertamenti parziali.
Se si tiene presente che essi rappresentano anche il frutto di segnalazioni provenienti da Organi diversi rispetto all’Ufficio procedente, un confronto preventivo con il contribuente potrebbe rivelarsi comunque opportuno per verificare la bontà del fondamento del prospettato illecito fiscale. Confronto che, oltretutto, non sarebbe particolarmente impegnativo per l’Ufficio medesimo in virtù della tendenziale alta affidabilità delle prove sui quali si articolano (o, meglio, si dovrebbero articolare) gli avvisi in questione.
Lascia altresì amareggiati l’idea che pare sottesa all’esclusione degli avvisi parziali dalla sfera di azione del contraddittorio. Ossia si ha l’impressione che quest’ultimo venga considerato come una sorta di intralcio o di perdita di tempo per gli Uffici. Sicché se ne delimita l’ambito, non prescrivendone la necessità per un elevato numero di atti impositivi.
9 Per un simile ordine di considerazioni, v., di nuovo, F. Tundo, Semplificazioni fiscali, cit., p. 2109.
10 Per gli accertamenti frutto delle “verifiche a tavolino”, finora, la giurisprudenza aveva prevalentemente
escluso l’obbligo del contraddittorio preventivo. In proposito, e per tutte, v. Cass., Sez. VI, 25 giugno 2018, n. 16641.
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Si ha, cioè, la sensazione che, secondo il legislatore, il contraddittorio non serva a detti Uffici, appesantendone e rallentandone l’attività, e sia utile solo per il contribuente. Ciò senza rendersi conto che esso consente, prima ancora che l’esercizio anticipato del diritto di difesa del privato, il corretto e proficuo dispiegarsi della fondamentale funzione amministrativa di contrasto delle condotte fiscalmente illecite, in attuazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione sanciti dall’art. 97 Cost. e del “diritto ad una buona amministrazione” di cui all’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Il contraddittorio, invero, permette all’Agenzia delle Entrate di verificare la robustezza del proprio convincimento, affinando e rendendo più incisiva la pretesa impositiva, e facendo sì che sia più ardua la possibilità per il contribuente di intraprendere con successo l’azione giurisdizionale.
Non solo, se si considera con quali frequenza e facilità gli Uffici ricorrano agli accertamenti parziali, pur in difetto dei relativi presupposti, onde evitare l’insorgere di preclusioni all’enunciazione di ulteriori pretese impositive e come la giurisprudenza non censuri tale operato12, non è azzardato prevedere che l’art. 5-ter cit. possa spiegare ben
limitati effetti.
Se il ricorso indebito ma tollerato dalla giurisprudenza agli accertamenti parziali proseguirà in futuro, la nuova norma sul contraddittorio “generalizzato” rischia di applicarsi in un numero ristretto di casi13 e, quel che è più grave, in virtù di inaccettabili
scelte discrezionali compiute dagli Uffici nella formazione di siffatti avvisi.
Per evitare questa deprecabile conseguenza, è indispensabile ribadire la diversità dei presupposti dell’accertamento parziale rispetto a quello generale14.
In breve, occorre che l’accertamento parziale non ospiti rettifiche con metodi induttivi o sintetici15, naturalmente estranei alla ratio di questo istituto, che è volto a
consentire all’Amministrazione la pronta contestazione di puntuali e fondati addebiti. Inoltre, l’accertamento parziale deve basarsi solo su prove convincenti e non richiedenti approfondimenti istruttori, com’è testimoniato dall’art. 41-bis cit. laddove prescrive che gli Uffici “... possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti ...”. Questo precetto ha senso soltanto se i dati adducibili a conforto di tale avviso disvelano, da soli ed immediatamente, l’illecito fiscale.
12 Cfr., fra le altre, Cass., Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 21984 e Cass., Sez. VI, 4 aprile 2018, n. 8406.
13 Analogamente, v. F. Farri, Considerazioni “a caldo”, cit., p. 2.
14 Sul punto sia consentito rinviare, per ulteriori ragguagli, a F. Pistolesi, Evoluzione ed abusi nell’impiego
dell’accertamento parziale, in AA.VV., La concentrazione della riscossione nell’accertamento, a cura di C. Glendi e V. Uckmar, Padova, 2011, pp. 292 e ss.
15 In senso contrario, tuttavia, v. Cass., Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 21984, nonché Cass., Sez. VI, n.
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Se la giurisprudenza seguisse il descritto criterio di riparto fra l’accertamento parziale e quello generale, l’adozione indebita del primo in luogo del secondo ne potrebbe cagionare l’annullamento.
A tale risultato si perverrebbe non facendo leva sulla violazione dell’art. 41-bis cit. poiché, nel silenzio della legge, non può ravvisarsi la nullità dell’atto di accertamento quando esso sia comunque in grado di assolvere la propria funzione e non limiti significativamente le prerogative e le garanzie del destinatario16. Bensì per il mancato
rispetto dell’art. 5-ter cit. (nei termini ed alle condizioni che vedremo meglio fra breve), in quanto l’errore commesso dall’Amministrazione nell’adottare l’accertamento parziale, non cagionandone la nullità, imporrebbe di riconoscerne la natura di accertamento generale, come tale assoggettato al rispetto del contraddittorio sancito da tale norma. Detto altrimenti, se non ricorrono i requisiti per considerarlo parziale, l’accertamento è da qualificarsi come generale e, perciò, sottoposto al regime disciplinato dalla nuova disposizione.
La giurisprudenza muterà atteggiamento e, onde consentire all’art. 5-ter cit. di spiegare pienamente i propri effetti, valorizzerà i presupposti di emissione dell’avviso di accertamento parziale?
Non è escluso che questo accada, ma – se dovesse trovare conferma l’odierno indirizzo interpretativo – la “generalizzazione” del contraddittorio ne subirebbe, con somma probabilità, una tanto significativa quanto incondivisibile limitazione.
Restano, poi, estranei alla sfera di operatività dell’art. 5-ter cit. gli atti impositivi diversi dall’avviso di accertamento, ossia dal provvedimento impositivo per cui è esperibile il procedimento di adesione regolato dal capo secondo del titolo primo del D.L.vo n. 218/1997 in cui trovasi collocato il medesimo art. 5-ter cit.
Per intendersi, e volendo esemplificare, si pensi – con riguardo ai tributi diretti – al diniego di un rimborso o al provvedimento di recupero di un rimborso già erogato o all’avviso di recupero di un credito d’imposta17. Per gli stessi atti in materia di IVA,
viceversa, la necessità del contraddittorio va riconosciuta in virtù dell’attuale indirizzo della giurisprudenza europea e nazionale.
16 Sull’argomento, per maggiori approfondimenti, sia permesso rinviare a F. Pistolesi, La “invalidità” degli
impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, pp. 1131 e ss.
17 Peraltro, secondo Cass., Sez. V, 31 marzo 2017, n. 8429, il procedimento di accertamento con adesione
è consentito a fronte dell’avviso di recupero del credito d’imposta. Pertanto, se il contraddittorio venisse omesso nonostante il riferito indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il contribuente potrebbe dolersene in sede di ricorso giurisdizionale. Per altro verso, l’art. 6, comma 2, della L. n. 212/2000 prescrive che l’Amministrazione “… deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione”. Ciò che induce a ritenere necessario il contraddittorio preprocessuale allorché il Fisco intenda disconoscere il credito vantato dal privato.
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Inoltre, non sono interessati dal nuovo precetto tutti gli atti impositivi concernenti i tributi non armonizzati diversi da quelli sui redditi (quali l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta di bollo e via discorrendo).
Lo stesso è da dirsi per i tributi locali e regionali, a meno che i regolamenti dei relativi Enti impositori non prevedano il contraddittorio preprocessuale o non facciano rinvio al D.L.vo n. 218/1997 per i propri atti impositivi interessati dal procedimento di accertamento con adesione.
Insomma, un’area assai significativa di potenziali controversie tributarie non è ancora preceduta da un contraddittorio. Ed è innegabile che ciò determini un’irragionevole disparità di trattamento fra i contribuenti comunque destinatari di pretese impositive e non consenta di ridurre il numero delle relative cause fiscali, così ledendo il principio costituzionale di economia processuale.
A quest’ultimo proposito, è indubbio come lo svolgimento del contraddittorio rappresenti il più efficace “filtro” rispetto all’esercizio dell’azione giurisdizionale. Tanto più è esteso il confronto preventivo quanto più sono ridotte le possibilità che siano notificati atti impositivi illegittimi e/o infondati, da un lato, e che vengano promosse controversie avventate ed addirittura temerarie dai contribuenti, dall’altro lato.
Per tacere, poi, del fatto che la distinzione fra tributi armonizzati e non che il nuovo precetto avrebbe auspicabilmente dovuto superare risulta tuttora rilevante per ravvisare l’esperibilità o meno del contraddittorio.
Ancora, come accennato, l’Ufficio può notificare direttamente l’atto di accertamento, non preceduto dall’invito previsto dal comma 1 dell’art. 5-ter cit., in tutti i casi di “… particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione”18.
Questa previsione riecheggia quella che si rinviene nell’art. 12, comma 7 cit. Occorre, perciò, riconoscere – conformemente alla giurisprudenza espressasi con riguardo alla norma testé indicata19 – che non rappresenta una ragione di “legittima”
urgenza l’approssimarsi del termine decadenziale per la notifica dell’avviso di accertamento.
Oltretutto, adesso, la rilevanza dell’appropinquarsi di detto termine decadenziale è elisa dalla prescrizione recata dal nuovo comma 3-bis dell’art. 5 cit., introdotto dallo stesso art. 4-octies cit. che ha inserito nel D.L.vo n. 218/1997 l’art. 5-ter cit., secondo
18 Si veda il comma 4 dell’art. 5-ter cit.
19 Cfr. Cass., Sez. V, 12 febbraio 2014, n. 3142 e Cass., Sez. V, 16 marzo 2016, n. 5149. In specie, nella
prima di tali pronunce viene condivisibilmente precisato che l’esigenza di rispettare il termine decadenziale può integrare una ragione di “particolare urgenza” laddove l’Amministrazione dimostri che la scadenza di detto termine “… sia dipesa da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza od inefficienza” (v. Cass., Sez. V, n. 3142/2014).
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cui “Qualora tra la data di comparizione, di cui al comma 1, lettera b), e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni, in deroga al termine ordinario”. Previsione senz’altro opportuna, anche se sarebbe stato preferibile – per ragioni di coerenza sistematica – che la proroga fosse eguale a quella (di sessanta giorni) disposta dall’art. 10, comma 7, della L. n. 212/2000 per il contraddittorio in caso di contestazione dell’abuso del diritto20.
Va apprezzato il fatto che il legislatore, per un verso, abbia circoscritto le ragioni di urgenza pretendendone la “particolarità” – ossia la significatività in relazione alla concreta situazione in cui trovasi il contribuente destinatario dell’atto impositivo – ed abbia altresì richiesto che il pericolo per la riscossione si dimostri “fondato” e, per l’altro verso, abbia stabilito che sia offerta una puntuale motivazione della causa comportante l’omissione del contraddittorio.
Laddove il Giudice tributario accerti la mancata ricorrenza di detta causa o ravvisi la carenza della ricordata specifica motivazione, andrà affermata l’invalidità dell’avviso di accertamento.
Bisogna, peraltro distinguere il caso in cui difetti la ragione di urgenza da quello in cui si riscontri la mancanza della “specifica” motivazione al riguardo.
Nella prima ipotesi, il provvedimento potrà essere annullato se il contribuente fornirà la “prova di resistenza” su cui fra breve mi soffermerò.
Invece, qualora non sussista la motivazione o comunque essa non risulti adeguatamente “specifica”, non occorrerà tale “prova di resistenza”, potendo il Giudice annullare l’atto in forza delle norme e dei principi concernenti l’obbligo motivazionale degli atti impositivi.
Infine, in base al comma 6 della nuova norma, restano ferme le previgenti disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un atto di accertamento21.
Vuol dire, dunque, che nei frangenti nei quali operi già il contraddittorio non v’è spazio per applicare l’art. 5-ter cit.
20 Similmente, v. F. Tundo, Semplificazioni fiscali, cit., p. 2113, che esprime ulteriori considerazioni critiche
in ordine all’introduzione della proroga in questione.
21 Trattasi, in particolare, dell’art. 10-bis della L. n. 212/2000, in tema di abuso del diritto, dell’art. 38 del
D.P.R. n. 600/1973, in materia di accertamento sintetico, e dell’art. 10 della L. n. 146/1998, per gli accertamenti basati sugli studi di settore. Secondo S. Capolupo, Accertamento con adesione, cit., sarebbe stato preferibile “… abrogare le differenti norme che prevedono la obbligatorietà del contraddittorio per singole forme di accertamento e introdurre un canone a valenza generale ….”.
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Con una conseguenza non di poco conto. Ossia, mentre nei casi interessati dal precetto da ultimo indicato l’annullabilità dell’accertamento adottato in difetto dello svolgimento del contraddittorio è condizionata all’esperimento della rammentata “prova di resistenza”, nelle ipotesi regolate dalle disposizioni preesistenti l’illegittimità consegue – secondo l’indirizzo sinora espresso dalla giurisprudenza22 – dalla mera denuncia
dell’omissione del previo confronto fra il contribuente ed il Fisco.
La differenza, come ognuno comprende, è tanto significativa quanto difficilmente giustificabile.
3. Il contraddittorio disciplinato dalla nuova norma e le conseguenze del suo mancato svolgimento.
Delineata la sfera di applicazione della nuova norma, merita esaminare termini e modalità di svolgimento del contraddittorio dalla medesima disciplinato.
L’invito a comparire, regolato dall’art. 5 cit., dovrà recare – come sopra anticipato – il contenuto sostanziale e motivazionale dell’atto di accertamento.
Di modo che il contribuente avrà tutti gli elementi per poter esporre le proprie ragioni all’Ufficio e, se del caso, per perfezionare il procedimento di accertamento con adesione.
Se l’adesione diverrà efficace23, il procedimento sarà concluso.
Ove invece non si addivenga a siffatta soluzione stragiudiziale, l’Amministrazione notificherà l’avviso di accertamento, che – alla luce di quanto emerso nel contraddittorio – potrà discostarsi dall’invito a comparire sia per le pretese avanzate che per il relativo corredo motivazionale24.
22 V. Cass., Sez. V, 15 gennaio 2019, n. 701, secondo cui la “prova di resistenza” per i tributi armonizzati
scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità (nel caso, si trattava di un atto di accertamento in materia di IVA notificato prima del decorso di sessanta giorni dalla notifica del verbale di constatazione, ossia in violazione dell’art. 12, comma 7, cit.; secondo la giurisprudenza costante, infatti, la violazione di quest’ultima norma determina l’annullabilità dell’atto impositivo). In termini conformi, v. anche F. Farri, Considerazioni “a caldo”, cit., p. 3.
23 Ossia se verrà versato, nel termine di venti giorni dalla redazione dell’atto di accertamento con adesione,
quanto in base ad esso dovuto o la relativa prima rata (cfr. art. 9, comma 1, del D.L.vo n. 218/1997).
24 Secondo F. Farri, Considerazioni “a caldo”, cit., p. 2, il nuovo istituto si tradurrebbe “… in un vero e
proprio boomerang per i contribuenti, a tutto vantaggio dell’amministrazione finanziaria”. Ciò perché quest’ultima potrebbe giovarsi del contraddittorio per migliorare la motivazione dell’atto impositivo ed al privato sarebbe poi precluso l’accesso all’accertamento con adesione. Analoga è l’impostazione di F. Tundo, Semplificazioni fiscali, cit., p. 2110. Non condivido questa lettura. Da un lato, il confronto può condurre anche alla rinuncia – in tutto o in parte – della pretesa impositiva, con palese beneficio delle ragioni del contribuente. Dall’altro lato, se nel corso del contraddittorio antecedente all’emissione di un atto impositivo già sostanzialmente predisposto dall’Amministrazione non si riesca, neppure in forza degli argomenti e delle prove addotti dal privato, a pervenire all’adesione, non avrebbe senso consentire lo svolgimento di un ulteriore identico procedimento, che potrebbe prestarsi ad una tattica dilatoria del contribuente.
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Proprio a questo, difatti, serve il confronto fra il Fisco e il contribuente. Ossia all’emanazione di un atto impositivo quanto più possibile espressivo di pretese fondate e adeguatamente argomentate e dimostrate.
A fronte di tale provvedimento, il privato non potrà più attivare il procedimento di accertamento con adesione, essendosi quest’ultimo già svolto (o, comunque, risultando il contribuente invitato a partecipare a detto procedimento) nella fase immediatamente antecedente all’emissione del provvedimento medesimo25.
Peraltro, se l’atto impositivo rientra fra quelli interessati dal procedimento di reclamo e mediazione regolato dall’art. 17-bis del D.L.vo n. 546/1992, si presenterà una nuova opportunità di evitare l’introduzione del contenzioso.
Tale atto, stante il disposto del comma 3 dell’art. 5-ter cit., “… è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio”.
Come previsto in altre norme26, la motivazione dev’essere “rafforzata”; cioè, volta
ad evidenziare, in via autonoma e puntuale, la concreta portata assunta dal contradittorio, prendendo posizione sugli argomenti e sulle prove forniti dal privato a supporto della propria tesi.
La mancanza di detta “specifica” motivazione renderà, ovviamente, annullabile l’avviso di accertamento in base a quanto sancito dall’art. 42, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 56, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972.
Detta motivazione “rafforzata”, inoltre, spinge ad interrogarsi sulla condivisibilità dell’interpretazione giurisprudenziale per cui l’accertamento emesso a seguito delle osservazioni ex art. 12, comma 7, cit. non sarebbe illegittimo se non ne tenesse conto27.
Vero è che quest’ultima norma si limita a prescrivere che dette osservazioni siano “valutate” dall’Ufficio, ma è altrettanto indubbio che – come segnalato in precedenza – con l’art. 5-ter cit. si è introdotta una sorta di equipollenza fra il contraddittorio scaturente dalla notifica del verbale di constatazione e quello, residuale, disciplinato dalla nuova disposizione.
Sarebbe, pertanto, illogico e frutto di un’inaccettabile disparità di trattamento affermare che, in un caso (quello dell’atto impositivo emesso a seguito del verbale di constatazione), la motivazione “rafforzata” non è richiesta, mentre lo è nell’altro caso (quello dell’accertamento emesso dopo lo svolgimento del confronto previsto dall’art.
5-25 V. art. 6, comma 2, del D.L.vo n. 218/1997.
26 Cfr. art. 10-bis, comma 8, della L. n. 212/2000 e art. 6, comma 2, del D.L.vo n. 156/2015.
27 V., da ultimo, Cass., Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 1778. Sull’argomento, v. A. Colli Vignarelli, E’ irrilevante
la mancata considerazione, da parte dell’ufficio, delle osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, Statuto, in Riv. dir. trib., 2019, supplemento online.
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ter cit.), atteso che il legislatore ha configurato come alternativi – e, quindi, sostanzialmente assimilabili – i due procedimenti in contraddittorio in esame.
Parimenti annullabile, in forza del comma 5 dell’art. 5-ter cit., sarà l’atto impositivo non preceduto dalla notifica dell’invito a comparire. Ciò a condizione che “… a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato avviato”.
Il legislatore ha così fatto proprio l’orientamento sostanzialistico espresso dalla giurisprudenza europea chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze dell’omesso contraddittorio.
Cosicché occorrerà riconoscere, conformemente a detto indirizzo giurisprudenziale28, che la “prova di resistenza” risulterà integrata allorché il privato
dimostri la serietà delle ragioni che avrebbe potuto addurre al fine di evitare l’emissione dell’atto impositivo o per far sì che esso avesse un diverso contenuto. In sostanza, dette ragioni, seppur non necessariamente comprovanti l’illegittimità o l’infondatezza della pretesa impositiva, avrebbero comunque dovuto indurre l’Ufficio procedente a tenerne conto ed a formulare una replica al riguardo. Si deve trattare, insomma, di argomenti, in fatto o in diritto, che non appaiono palesemente pretestuosi o irrilevanti29.
Innegabilmente, tale “prova di resistenza” richiede al Giudice una valutazione attenta, ancorata alle risultanze di ciascun caso concreto ed in alcun modo eseguibile in base a parametri astratti o predeterminati.
Questa valutazione, inoltre, dovrà essere svolta avendo riguardo alla giurisprudenza, all’elaborazione dottrinale ed alla prassi amministrativa esistenti allorché il confronto avrebbe dovuto tenersi.
Resta da dire della mancata partecipazione del contribuente al contraddittorio, nonché del confronto che si svolga con il deliberato intento del privato di riservare alla fase processuale la deduzione degli elementi idonei ad inficiare la tesi perseguita dall’Amministrazione.
Né l’art. 5-ter cit. né altre norme introducono preclusioni di sorta a fronte di una condotta del privato che appare legittima anche alla luce del “diritto al silenzio” del
28 V., in specie, Corte Giust. Eur. 3 luglio 2014, causa C-129/13, Kamino.
29 Anche F. Farri, Considerazioni “a caldo”, cit., p. 2 ritiene che la “prova di resistenza” debba consentire
“… quel vaglio preliminare di serietà e non strumentalità che le Sezioni Unite hanno richiesto di effettuare anche in materia di tributi armonizzati …”. Infatti, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 24823/2015 hanno affermato che la nullità dell’atto impositivo in materia di tributi armonizzati si riscontra quando “… risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in un puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali”.
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soggetto interessato da una verifica fiscale, affermato dalla giurisprudenza europea quale componente del principio costituzionale e sovranazionale del “giusto processo”30.
Sennonché, lascia l’amaro in bocca – alla luce dei principi di collaborazione e buona fede fra il Fisco ed il contribuente oltre che di economia processuale, espressi, rispettivamente, dall’art. 10, comma 1, della L. n. 212/2000, e dall’art. 111, comma 2, Cost. – che gli argomenti ed i mezzi istruttori volutamente non adotti nel contraddittorio possano essere liberamente riversati nel processo.
La rilevata assenza di preclusioni, però, consente di individuare quale unica sanzione discendente da tale condotta la possibilità di consentire al Giudice di disporre la compensazione delle spese di lite allorché l’Amministrazione risulti soccombente. La condanna alla refusione degli oneri processuali sarebbe, infatti, priva di ogni giustificazione quando il privato, attraverso la fattiva partecipazione al confronto anteriore al processo, avrebbe potuto evitarne lo svolgimento.
4. Rilievi conclusivi.
Possono ora trarsi alcune considerazioni conclusive sull’introduzione del contraddittorio (apparentemente, alla luce di quanto precede) “generalizzato”.
Indubbiamente, è da salutare con favore l’estensione del confronto preventivo rispetto alla fase processuale a fattispecie che, in base al vigente indirizzo giurisprudenziale, ne erano prive.
Parimenti apprezzabile è la modalità di svolgimento di detto confronto.
La notificazione dell’invito a comparire permette al contribuente di avere conoscenza piena del contenuto dell’emanando atto impositivo e di poter quindi addurre tutti gli argomenti e le prove dei quali potrebbe valersi in giudizio.
Egualmente apprezzabile è che il contraddittorio dischiuda la possibilità di pervenire alla soluzione in via di accertamento con adesione della potenziale lite fra il privato e l’Amministrazione.
Trattasi di soluzione conforme a quella sposata per due delle esistenti forme di contraddittorio (in tema di accertamenti sintetici ed in base agli studi di settore31) e che
consente di velocizzare – nell’interesse di entrambe le parti del rapporto tributario – i tempi di possibile definizione stragiudiziale del prospettato illecito tributario.
Non solo, è comprensibile anche perché al cospetto del processo verbale di constatazione e della contestazione dell’abuso del diritto si sia prescelta una strada
30 Cfr., in particolare, Corte Eur. Dir. Uomo, 5 aprile 2012, Chambaz.
31 V., rispettivamente, art. 38, comma 7, del D.P.R. n. 600/1973 e art. 10, comma 3-bis, della L. n.
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diversa (ossia quella di un’interlocuzione fra il Fisco ed il contribuente al di fuori del contesto del procedimento di accertamento con adesione). Infatti, subito dopo l’adozione del verbale di constatazione, in numerose circostanze è prematura l’adozione dell’atto impositivo, di modo che l’immediato avvio del procedimento di adesione risulterebbe senz’altro inopportuno e prematuro. Quanto alla censura in tema di abuso del diritto, la sua peculiare natura e l’essenzialità dei chiarimenti che il privato può fornire rispetto all’addebito ipotizzabile suggeriscono un confronto preventivo rispetto alla formazione dell’avviso di accertamento e, quindi, all’introduzione del procedimento in via di adesione.
Mi pare, però, che qui terminino le note positive.
Come si è visto, non convince l’esclusione del contraddittorio per gli avvisi di accertamento parziale.
Parimenti, la vasta gamma di potenziali liti che restano prive del confronto preventivo e la perdurante distinzione fra tributi armonizzati o meno lasciano senz’altro insoddisfatti.
Ancora, e come già segnalato, l’art. 5-ter cit. nella sostanza equipara, rendendolo alternativo, il confronto a seguito del processo verbale di constatazione rispetto a quello ivi disciplinato. Ciò sebbene siano diversi gli stadi di avanzamento, per così dire, di esternazione delle pretese impositive nei due casi considerati. E, soprattutto, sebbene sia profondamente diverso il grado di intensità del confronto quando la verifica fiscale conduce alla redazione del verbale suddetto rispetto alle altre attività di indagine.
Infatti, quando vi è un accesso che è destinato a sfociare nel verbale di constatazione, il contraddittorio ha modo di esplicarsi nel momento in cui l’Amministrazione compie il controllo e raccoglie gli elementi istruttori a conforto della futura pretesa impositiva.
Vi è, dunque, un confronto che avviene quando la giurisprudenza europea non lo reputa necessario, richiedendolo solo prima dell’adozione dell’atto impositivo32.
Tuttavia, bisogna riconoscere come il confronto nel momento in cui si forma il materiale istruttorio adducibile a sostegno dell’atto impositivo possa risultare proficuo per entrambe le parti del rapporto obbligatorio d’imposta.
Si può capire che detto confronto finora sia stato contemplato solo quando vi è l’accesso nei locali in cui il contribuente risiede o svolge la propria attività poiché, di regola, è in questa occasione che può rendersi opportuna l’interlocuzione per l’intensità e la complessità dell’indagine fiscale.
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Sennonché, vi sono altre occasioni nelle quali vengono compiute – pur in assenza di accesso – attività istruttorie che, per la loro natura, palesano l’opportunità di un confronto fra l’Organo procedente ed il privato. Si pensi al rilascio di dichiarazioni da parte di soggetti terzi, al controllo dei dati bancari33 o ad altre attività in ordine alle quali
l’anticipazione del confronto nella fase di raccolta degli elementi probatori potrebbe rivelarsi preziosa sia per l’Amministrazione che per il contribuente34.
Anche questo dovrà rappresentare un terreno di prossima auspicata “espansione” del contraddittorio endoprocedimentale.
Conviene altresì riflettere sull’estensione della “prova di resistenza” a tutti i casi di violazione del confronto, compresi quindi quelli regolati dalle norme preesistenti.
Al cospetto di un ampliamento dei confini del confronto preprocessuale e della determinazione del legislatore di optare per l’approccio sostanzialistico della giurisprudenza europea nel ravvisare le condizioni per sancire l’illegittimità dell’atto impositivo da esso non preceduto o che non ne tiene conto, mi pare difficile continuare ad escludere detta “prova di resistenza” per i casi finora disciplinati di contraddittorio35.
Oltretutto, la “prova di resistenza” dissuade, ancorché indirettamente, il contribuente da un approccio formalistico e strumentale al contraddittorio.
Insomma, considerando che l’art. 5-ter cit. entrerà in vigore per gli avvisi di accertamento emessi a far data dal 1° luglio 2020 (secondo quanto disposto dall’art. 4-octies, comma 2, del D.L. n. 34/2019 convertito dalla L. n. 58/2019), v’è tempo a sufficienza perché il legislatore possa valutare la possibilità di apportare le modifiche che renderebbero realmente effettiva la “generalizzazione” del contraddittorio, superando definitivamente l’odierno regime fondato sulla matrice europea o meno dei tributi.
Francesco Pistolesi Università di Siena
33 Secondo la giurisprudenza pressoché univoca, il contraddittorio preventivo è meramente facoltativo
quando l’Amministrazione svolge le indagini finanziarie: in questi termini, per tutte, v. Cass., Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 4581.
34 In tal senso, v. P. Laroma Jezzi, Si fa presto a dire “diritto al contraddittorio”, in Corr. trib., 2015, p.
3760 e ss.
35 Per un diverso ordine d’idee, v. F. Tundo, Semplificazioni fiscali, cit., p. 2110, che è assai critico circa
l’introduzione della “prova di resistenza” (e, quindi, non ne potrebbe certamente auspicare l’estensione oltre la sfera di operatività dell’art. 5-ter cit.).