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View of Gender differences and juvenile delinquency: results from the “International Self-Report Delinquency Study”

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Academic year: 2021

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Abstract

Male gender is a well-known risk factor for juvenile delinquency. In recent years several studies have reported a steady increase in the involvement of girls in deviant behavior, suggesting that differences in deviant behavior between males and females might be reducing. To investigate possible gender dif-ferences in the development of juvenile delinquency, we analyzed data from the

International Self-Report Delinquency Study 2 (ISRD2) and 3 (ISRD-3), from which we selected a sam-ple of young peosam-ple aged between 12 and 16 years.

We focused on the differences between males and females with regard to the type and gravity, the onset of deviant behavior, the probability of being apprehended by the police and the probability of victimization, comparing the two waves of the study.

Differences in antisocial behavior between males and females varied among different countries. Nev-ertheless, male gender proved to be a specific risk factor for juvenile delinquency, particularly for se-rious crimes. From the chronological standpoint, juvenile delinquency increased with age, while the ratio between male and female delinquency did not change significantly with age. Comparing the two waves of ISRD, we noticed a convergence between males and females.

Keywords: gender gap, delinquency, victimization, juveniles, ISRD-3.

Riassunto

È noto come tradizionalmente il genere maschile venga considerato uno specifico fattore di rischio per la delinquenza giovanile. Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni studi hanno mostrato un aumento della manifestazione di comportamenti devianti nel genere femminile, tanto da far ipotizzare che il divario tra i due sessi si stia riducendo.

Al fine di indagare il ruolo che le differenze di genere hanno nella devianza giovanile, sono stati ana-lizzati i dati dell’International Self- Report Delinquency Study 2 e 3, selezionando un campione di giovani con età compresa tra i 12 ed i 16 anni.

La ricerca si è focalizzata sul comparare le differenze di genere rispetto al tipo di condotta deviante, all’insorgenza della stessa, alle sue conseguenze ed alla probabilità di vittimizzazione.

Le differenze nel comportamento antisociale tra maschi e femmine variano da un paese all'altro. Tut-tavia, il genere maschile ha ancora dimostrato di essere un fattore di rischio specifico per la delin-quenza giovanile, in particolare per i reati gravi. Dal punto di vista cronologico, la delindelin-quenza giovanile aumenta con l'aumentare dell'età, mentre il rapporto tra delinquenza maschile e femminile non cambia significativamente con l'età. Confrontando le due ondate di ISRD, abbiamo notato una convergenza tra i generi.

Parole chiave: delinquenza, vittimizzazione, adolescenti, genere, ISRD-3.

Differenze di genere e delinquenza giovanile:

risultati dall’“International Self-Report Delinquency Study”

Gender differences and juvenile delinquency:

results from the “International Self-Report Delinquency Study”

Double blind peer review

How to cite this article: Binik O. et all. (2021).

Differenze di genere e delinquenza giova-nile: risultati dall’“International Self-Report Delinquency Study”. Rassegna Italiana di

Cri-minologia, XV, 1, 18-29.

https://doi10.7347/RIC-012021-p18

Corresponding Author: Gabriele Rocca

gabriele.rocca@unige.it

Copyright: © 2021 Author(s). This is an open

access, peer-reviewed article published by Pensa Multimedia and distributed under the terms of the Creative Commons Attribution 4.0 International, which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original author and source are credited. Rassegna Italiana di Criminologia is the official journal of Italian Society of Criminology. Received: 12.11.2012 Accepted: 15.052020 Published: 31.03.2021 Pensa MultiMedia ISSN 1121-1717 (print) ISSN 2240-8053 (on line) doi10.7347/RIC-012021-p18

Oriana Binik | Roberto Cornelli | Barbara Gualco | Edoardo Orlandi | Lorenzo Natali Regina Rensi | Gabriele Rocca | Alfredo Verde | Uberto Gatti

Oriana Binik, Department of Law, University of Milano-Bicocca | Roberto Cornelli, Department of Law, University of Milan-Bicocca | Barbara Gualco, Department of Health Sciences (DSS), University of Florence | Edoardo Orlandi, Department of Health Sciences (DSS), University of the Studies of Florence | Lorenzo Natali, Department of Law, University of Milano-Bicocca | Regina Rensi, Department of Health Sciences (DSS), University of Florence | Gabriele Rocca, Department of Health Sciences (DiSSal), University of Genoa | Alfredo Verde, Department of Health Sciences (DiSSal), University of Genoa | Uberto Gatti, Department of Health Sciences (DiSSal), University of Genoa

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Differenze di genere e delinquenza giovanile:

risultati dall’“International Self-Report Delinquency Study”

1. Introduzione

Il fatto che il crimine sia un fenomeno in larga parte ma-schile, studiato peraltro tradizionalmente dagli uomini, ha portato la criminologia a trascurare sia la connessione tra crimine e “maschilità” (Connell & Messerschmidt 2005; Messerschmidt, 2019), sia i percorsi criminali fem-minili. Grazie agli approcci femministi, solo negli ultimi tempi si è cercato di attribuire al genere un posto meno marginale nel discorso criminologico (Heidensohn, 2006) problematizzando e contestando in particolare le spiegazioni biologiche/deterministiche che hanno visto a lungo nelle donne l’incarnazione della “passività” (vittime di reato più che autrici, dedite alla casa, alla cura della prole e al massimo portate alla prostituzione), agli anti-podi rispetto a un mondo maschile “attivo” sia nell’arena pubblica sia nel mondo dell’illegalità (Rinaldi, 2018).

In questa cornice, possiamo identificare tre punti chiave del discorso attuale su genere e crimine su cui ri-teniamo utile proseguire la ricerca criminologica al fine di consolidare le conoscenze acquisite: il “gender gap”, cioè la differenza tra il numero di reati commessi dagli uomini e dalle donne; la “generalizzabilità” cioè la possibilità (o meno) di utilizzare le stesse spiegazioni criminologiche per gli uomini e per le donne; infine, la differenza nella tipologia di reati commessa dagli uomini e dalle donne. Dopo aver sintetizzato le diverse posizioni assunte dagli studiosi su questi temi, l’intento di questo articolo è di indagare le dinamiche e i principali fattori di rischio della delinquenza giovanile in relazione agli stessi avva-lendosi dei dati dell’indagine ISRD3 (International Self Report Deliquency 3) sulla delinquenza autoriferita con-dotta in 26 Paesi dal 2012 al 2016.

Le ricerche sul “gender gap” sono state avviate a partire dagli anni Settanta del Novecento in ragione di un appa-rente avvicinamento tra le condotte devianti maschili e femminili che era stato interpretato inizialmente quale esito del percorso di emancipazione della donna (Adler 1975; Simon 1975). Dalle ricerche realizzate su questo tema principalmente in ambito statunitense, tuttavia, non si desumono risultati univoci: da un lato, una corrente minoritaria ritiene che effettivamente sia in corso un cam-biamento negli stili di vita e comportamentali delle donne, più propense al crimine1, dall’altro, si collocano

coloro che affermano che la donna sia semplicemente più spesso vittima di maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine (ipotesi del net widening enforcement2), che si

concentrerebbero in particolare su crimini minori inter-cettando dunque un maggior numero di persone di sesso femminile (cfr Hsieh, Schwartz, 2016; Schwartz, 2013). In parallelo, si colloca la prospettiva di coloro che impu-tano la riduzione del gender gap al cambiamento della cri-minalità maschile, cioè alla sua riduzione (ameliorative

perspective). Come si può intuire, la ricerca ISRD3, che

rileva il numero e la tipologia di condotte devianti affi-dandosi direttamente alle dichiarazioni dei giovani coin-volti, può fornire delle informazioni importanti poiché non gravata dalle distorsioni legate alle fonti secondarie quali ad esempio il numero di denunce o gli arresti.

Oltre al gender gap, uno dei temi più dibattuti è quello della “generalizzabilità”, ci si è chiesti cioè se le spiegazioni criminologiche messe a punto per gli uomini potessero es-sere estese alle donne, considerando che nella loro formu-lazione originale il genere femminile non era stato contemplato (Fleming et al., 2002; Bell, 2009, Faris & Felmlee, 2011). Nonostante ci siano stati tentativi di di-mostrare come le donne che delinquono siano portatrici di un disagio maggiore rispetto agli uomini (maltratta-menti subiti, uso di sostanze, disturbi psichiatrici), Krutt-shnit, in un’accurata review (2013) sul tema, rileva come studi recenti indichino la mancanza di una specificità fem-minile nel comportamento criminale, soprattutto se os-servata con riferimento alla storia di vita e alle esperienze di vittimizzazione (Moffitt et al., 2001; Johansson & Kempf-Leonard, 2009, Zahn et al., 2010).

In altri termini, le donne che commettono reati non appaiono più traumatizzate o svantaggiate: i fattori di ri-schio alla base della condotta deviante sono gli stessi che, a partire da differenti prospettive, vengono individuati per gli uomini, vale a dire basso autocontrollo, modelli geni-toriali carenti, svantaggi economici, delinquenza dei coe-tanei.

Questi risultati, tuttavia, non costituiscono ancora un dato assodato della letteratura criminologica, sia perché su questi temi la ricerca è ancora molto scarsa, sia perché il dibattito filosofico-politico sulle tematiche di genere, che ha raggiunto vette di consapevolezza molto alte, talvolta viene acquisito in termini riduzionistici nelle discipline empirico-sociali, orientando anche la ricerca criminologica

1 Questa teoria si articola in realtà in due varianti, una che vede le donne più libere, emancipate, assertive e propense all’aggressività, l’altra che ritiene che il cambiamento nel comportamento delle donne sia dovuto a un maggior numero di conflitti e difficoltà, oltre a una femminilizzazione della povertà, che sfocerebbero in comportamenti devianti (Cfr Schwartz, 2013).

2 Tale concetto è stato introdotto in criminologia a partire dagli anni 80 quando ci si è resi conto che il ricorso alle misure alternative alla detenzione non aveva comportato una riduzione degli accessi al carcere; al contrario si sarebbe verificata un’espansione del sistema di vigilanza, controllo e sanzionamento (cfr Mac Mahon, 1990)

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in direzioni che appaiono divergenti: da un lato si tende a mettere in risalto le differenze di genere anche nel di-scorso criminologico, dall’altro si guardano con sospetto gli approcci più sensibili al riconoscimento di specificità come tentativi di riproposizione di stereotipi culturali ormai superati.

Certamente, come afferma Pinker (2013), esiste un cospicuo numero di ricerche che attribuiscono a fattori biologici l’eccesso di alcuni tipi di comportamento vio-lento nel genere maschile. La maggior violenza dei maschi è riconducibile, secondo le ricerche, a fattori di tipo evo-luzionistico; in realtà, come lo stesso Pinker rileva, non esiste un rapporto diretto testosterone e violenza in quanto il testosterone preparebbe gli uomini alle competizioni per la dominanza, particolarmente diffuse fra i maschi gio-vani, celibi e turbolenti, categorie che maggiormente al-larmano per la pericolosità dei loro comportamenti violenti.

Infine, per quanto concerne l’ultimo tema, cioè la dif-ferenza nella tipologia di reati commessi dagli uomini e dalle donne, una delle teorie sottoposte più di frequente a verifica empirica è la General Strain Theory3.

L’ipotesi proposta in particolare da Brody e Agnew (1997) è che maschi e femmine sperimentino simili quan-tità di tensioni; ciò che cambia sarebbe il tipo di tensioni, che orienterebbero verso specifiche risposte devianti. Da tale prospettiva, gli uomini avrebbero maggiori probabilità di coinvolgersi in conflitti interpersonali nel perseguire gli obiettivi desiderati e di attuare comportamenti aggressivi e violenti, al contrario delle donne che sarebbero orientate maggiormente verso comportamenti autodistruttivi. Inol-tre, la rabbia generata dalla tensione vissuta in relazione ad eventi e situazioni porterebbe gli uomini a esprimere questa emozione verso l’esterno, traducendola in atti cri-minali violenti, mentre le donne sarebbero più inclini a rivolgere questa rabbia su di sé.

Partendo da queste premesse, Broidy e Agnew (1997) concludono che gli uomini, dal momento che hanno maggiori probabilità di rispondere alla rabbia con la vio-lenza, hanno anche maggiori probabilità di commettere crimini violenti. In un recente studio, Dolliver and Rocker (2018) evidenziano come tale teoria, pur affrontando di-rettamente il ruolo del genere in queste dinamiche, non sia tuttavia riuscita a fornire una risposta convincente e ne

individuano il limite nel fatto che il sesso continui a essere concettualizzato nei termini del “sesso biologico” e non dell’“identità di genere” (2018, p. 1555).

Risulta inoltre a nostro avviso difficile comprendere e categorizzare gli atti devianti in base al loro contenuto di aggressività auto o eterodiretta, associata rispettivamente al femminile e al maschile, poiché a un medesimo reato potrebbero essere attribuiti molteplici significati, radical-mente differenti a seconda della persona che lo ha com-messo e della specifica cornice situazionale in cui esso ha preso forma. In altre parole, tali distinzioni richiedereb-bero l’apporto di indagini qualitative, in grado di cogliere, oltre alle sfumature legate all’appartenenza di genere, le dinamiche profonde che si celano dietro al reato.

Rimanendo nel perimetro di ciò che i dati possono suggerire a livello di macrotendenze, al fine di tracciare una distinzione tra maschile e femminile in relazione alle tipologie di reati commessi, è stata rilevata4 innanzitutto

una differenza nella “gravità” delle condotte (Heiskanen, Lietonen, 2016).

Considerando tutti i reati registrati in 76 Paesi dalla

Crime Trends Survey, la percentuale di donne imputate che

alla fine dell’iter giudiziario sconteranno la pena in carcere è del 5%, mentre la stessa percentuale degli uomini è uguale al 13%. Una delle spiegazioni proposte per questa disparità è che i reati commessi dalle donne siano meno gravi di quelli commessi dagli uomini e diversificati per tipologia (ivi, p. 30). Su questo secondo punto, conside-rando il solo contesto europeo, emerge che la percentuale di donne nel circuito penale è più alta per i crimini contro il patrimonio rispetto a quelli contro la persona ma, an-cora una volta, anche in relazione ai reati in cui il coin-volgimento delle donne è superiore alla media, per esempio per i furti, la percentuale di donne condannate alla detenzione rispetto alle indagate è inferiore rispetto a quella degli uomini.

Il presente studio, senza alcuna pretesa di sciogliere in modo risolutivo i nodi dei dibattiti scientifici brevemente illustrati, ambisce a fornire alcuni dati empirici che pos-sano aiutare a formulare ipotesi interpretative della crimi-nalità femminile su di essi fondate.

In sintesi, la ricerca sulle tematiche di genere in rela-zione al crimine sembra necessitare di un consolidamento in relazione a tre proposizioni: 1) essere maschi continua a essere un fattore di rischio per le condotte devianti; 2) non sembrano esistere fattori predisponenti radicalmente differenti per le donne; 3) esistono reati più diffusi tra gli uomini e altri più diffusi tra le donne.

L’intento di questo articolo è di far dialogare quelli che abbiamo definito i tre punti chiave della ricerca su genere e crimine con i risultati dell’indagine ISRD3

(Internatio-3 Come è noto, la GST theory afferma che l’individuo è spinto al crimine dalle “tensioni” sperimentate nel corso della propria vita – che comprendono l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi desiderati, la perdita di stimoli positivi o la presenza di esperienze negative. Il crimine diventa così una risposta possibile per affrontare le emozioni negative generate dallo stato di tensione e per provare a ridurlo (Agnew, 2006). In particolare, secondo lo studioso, una persona prova stress quando “non è trattato come lui/lei vuole essere trattato” (Agnew 1992: 48). A partire da questa definizione, Agnew suggerisce che queste “tensioni” (strains) vengono interiorizzate dall’individuo ed elaborate emotivamente. L’esito di tale lavoro emozionale può condurre a sperimentare, per esempio, la paura e la rabbia – stati emotivi che producono stress e che condurrebbero ad adottare il comportamento criminale nel tentativo di allentare la tensione vissuta (Agnew 1992, 2006).

4 Lo studio è basato su due fonti: il Crime Trends Survey condotto dall’United Nations Office on Drugs and Crime che coinvolge gli stati aderenti all’ONU (UNODC, 2010) e l’ European Sourcebook of Crime and Criminal Justice Statistics (Aebi et al., 2014) che è un progetto che coinvolge singoli ricercatori degli Stati membri del Consiglio d’Europa.

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nal Self Report Delinquency 3): le implicazioni di quanto

emerso saranno discusse alla luce degli sviluppi a nostro avviso più pertinenti e interessanti delle teorie di genere in ambito criminologico.

2. Materiali e metodi

L’“International Self – Report Delinquency Study 3” (ISRD-3) è la terza edizione di una ricerca internazionale condotta fra il 2012 e il 2018 in 26 Paesi che investiga la devianza giovanile (Junger-Tas et al., 1994; Junger-Tas et al., 2003; Junger-Tas et al., 2010; Junger-Tas et al., 2012; Rocca et al., 2014; Enzmann et al., 2018).

Lo strumento utilizzato è stato un questionario self-report somministrato ad un campione di studenti. Molti paesi, per impulso e col supporto organizzativo di Martin Killias, che aveva valutato mediante una rigorosa speri-mentazione la fattibilità e l’efficacia di diversi metodi di rilevazione (Lucia, Hermann, Killias, 2007), hanno sosti-tuito al tradizionale questionario carta e matita un que-stionario elettronico, sia online, sia su tablet dove la connessione online non era possibile.

Il campione

Il campione è costituito da 61040 ragazzi, frequentanti il settimo, l’ottavo ed il nono anno scolastico (ad es. in Italia seconda e terza media inferiore, e prima superiore), di età prevalentemente compresa tra i 12 ed i 16 anni, residenti in 26 diversi Paesi (per l’elenco dei Paesi partecipanti vedi Grafico 3). L’unità di campionamento è stata la classe sco-lastica. Il campione è stato stratificato per tipo di scuola: pubblica o privata, licei, istituti tecnici ed istituti profes-sionali. Dopo aver identificata la scuola sono state estratte a sorte le classi ai cui alunni sono stati proposti i questio-nari. In alcuni paesi (Bosnia-Erzegovina, Svizzera, Capo Verde) il campione era rappresentativo della popolazione scolastica di quell’età dell’intera nazione, mentre nei re-stanti Paesi era rappresentativo della popolazione scolastica di alcune città (almeno 2). Il 38,3% dei questionari è stato ottenuto con la tecnica “carta e matita”, mentre il 61,7% è stato ottenuto mediante dispositivi “online”. I questio-nari sono stati sempre compilati a scuola, in presenza di un ricercatore e quasi sempre in assenza dell’insegnante. A seconda delle norme vigenti nel Paese sono state seguite le procedure per l’acquisizione del consenso. Nel cam-pione erano presenti il 50,4% maschi (N=30.224, età media 13,85 anni) ed il 49,6% di femmine (N=30.656, età media 13,79 anni); erano presenti il 6,3% di immigrati di prima generazione ed il 17,8% di immigrati di seconda generazione. Per ulteriori informazioni circa il campiona-mento ed il metodo dell’indagine consultare il sito dell’ International Self Report Delinquency Study, gestito dalla Northeastern University, College of Social Sciences and Humanities, di Boston, USA (https://web. northe aste -rn.edu/isrd/).

Le variabili

Le variabili relative alla delinquenza giovanile sono state ri-levate attraverso una serie di item presenti nel questionario self-report e volti ad indagare se e quante volte il giovane intervistato abbia commesso nel corso della vita e nell’ul-timo anno atti di vandalismo e reati quali furti (in negozi, in abitazione, di veicoli, di oggetti da veicoli, di biciclette), scippi, rapine, risse, aggressioni fisiche, spaccio di droga,de-tenzione di armi, e consumo di sostanze. Viene inoltre in-dagata la ricorrenza delle condotte devianti (cfr. Gatti et al, 2013; Gatti et al, 2015; Rocca, Verde & Gatti, 2019).

Nello studio che abbiamo condotto sul database ISRD3 abbiamo considerato solo la prevalenza dei com-portamenti autoriferiti nell’ultimo anno di maschi e fem-mine, prestando attenzione alle differenze per Paese e al confronto con i risultati della edizione precedente dell’in-dagine (ISRD2), svolta fra il 2005 e il 2007 (tale con-fronto è limitato ai dati relativi ai 14 paesi presenti in entrambe le edizioni).

Su tali dati abbiamo computato la prevalenza delle condotte devianti fra i maschi e fra le femmine (aver cioè commesso almeno un reato nell’ultimo anno), e il rap-porto fra devianza maschile e femminile nei diversi paesi considerati, oltre che l’evoluzione nel tempo di tali rap-porti. Sono inoltre stati valutati i fattori di rischio di de-linquenza e i fattori protettivi sulla base di un’analisi della regressione logistica allo scopo di misurare l’effetto delle caratteristiche individuali e sociali sulla delinquenza in un’ottica di genere.

A tale scopo, oltre agli indicatori socio-demografici, sono state considerate le variabili relative alla condizione dell’individuo (self-control, misurato con una scala compo-sta da tre elementi: impulsività, tendenza al rischio ed ego-centrismo; immigrazione, quando almeno uno dei genitori sia nato all’estero; uscite notturne), alla qualità del rap-porto con l’ambiente familiare (buoni rapporti con il padre, buoni rapporti con la madre, supporto emotivo da parte dei genitori, buona conoscenza dei figli da parte dei genitori, confidenza con i genitori, gravi malattie dei ge-nitori, gravi conflitti fra i gege-nitori, separazione dei gege-nitori, abuso di alcool o droga dei genitori), scolastico (bocciature, buon rapporto con la scuola, assenze ingiustificate nel corso dell’ultimo anno scolastico, presenza di degrado o inciviltà in ambito scolastico), ed infine riguardanti le ca-ratteristiche del quartiere (disorganizzazione sociale, misu-rata tramite cinque parametri riguardanti la presenza di criminalità, vendita di droga, risse, presenza di abitazioni abbandonate e graffiti; e capitale sociale, misurato me-diante quattro domande attinenti a fiducia, coesione, ami-cizia e disponibilità all’aiuto tra gli abitanti del quartiere).

Oltre alla semplice delinquenza, abbiamo misurato inoltre anche la delinquenza grave, utlizzando il construtto “versatilità”, che si riferisce al fatto di aver commesso al-meno tre diversi tipi di reato nell’ultimo anno; il binge

drinking, e cioè l’aver consumato almeno cinque dosi di

alcool nella stessa occasione, e l’uso di hashish (Gatti et al., 2015).

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3. I risultati

Nel Grafico 1 sono riportate le percentuali relative ai reati dichiarati negli ultimi 12 mesi, da cui si evince che il ge-nere maschile è maggiormente coinvolto in tutte le forme di delinquenza, anche se esistono differenze notevoli fra i diversi reati (Grafico 2).

Osservando tale figura, in cui viene riportato il rapporto maschi/femmine per ogni reato preso in considerazione, emerge che le differenze più marcate si riscontrano in reati quali i furti d’auto, in abitazione, all’interno di auto, nelle rapine e nei furti di biciclette, reati che sono però allo stesso tempo poco diffusi all’interno del campione consi-derato.

Grafico 1 - Prevalenza dei reati (in %, ultimo anno), per genere. ISRD3, 26 Paesi (N=61.040) [tutte le differenze di genere sono significative p < .001]

La presenza di un database internazionale consente inoltre di verificare la presenza e le dimensioni del gender gap nei diversi Paesi in cui è stata svolta l’indagine.

Osservando il grafico 3 si nota che, considerando il dato della prevalenza nell’ultimo anno, la differenza tra

ragazzi e ragazze è una costante. Esistono però contesti na-zionali in cui tale gap è più o meno marcato (cfr fig. 4): si segnalano la Slovacchia e la Repubblica Ceca in cui la dif-ferenza tra maschi e femmine è ridotta; la Macedonia, il Kosovo, la Bosnia e l’Armenia in cui invece è più ampia.

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Grafico 2 - Prevalenza dei reati (ultimo anno) Ratio Maschi / Femmine per tipo di reato. ISRD3, 26 Paesi [tutte le differenze di genere sono significative p < .001]

Grafico 3 - Prevalenza della delinquenza (in % 1 o più reati, ultimo anno), per genere e Paese. ISRD3, 26 Paesi (N=61.040) [tutte le differenze di genere sono significative p < .001, eccetto India p < .05]

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Emerge dunque che il genere maschile costituisce ancora un fattore di rischio per le condotte devianti, seppur in maniera più o meno intensa a seconda dei paesi conside-rati. Abbiamo tentato di raggruppare i paesi in gruppi (in base alla loro collocazione geografica o alla presenza di co-muni caratteristiche sociopolitiche, culturali o religiose), ma senza esito.

Il confronto con i risultati della precedente edizione dell’indagine (ISRD2) consente inoltre un’analisi dell’evo-luzione del gender gap nel corso del tempo (v. Grafico 5), da cui emerge una effettiva riduzione del divario fra ma-schi e femmine, per tutti i reati tranne che per lo

shoplif-ting e per la rapina (cfr. Rocca et al, 2015).

Grafico 4 - Prevalenza della delinquenza (in % 1 o più reati, ultimo anno), Ratio Maschi/Femmine. ISRD3, 26 Paesi [tutte le differenze di genere sono significative p < .001, eccetto India p < .05]

Il Grafico 6 ci permette di analizzare nel dettaglio se la ri-duzione del gender gap possa essere imputata a una dimi-nuzione delle condotte devianti maschili (ameliorative

perspective) o a un aumento di quelle femminili.

Considerando i reati in cui la riduzione del gender gap è più marcata, si rileva una diminuzione della delinquenza maschile in tutti i casi, eccetto i furti all’interno delle auto che rimangono stabili; le condotte femminili sono invece stabili o, in due casi, leggermente in crescita (furti di bi-cicletta o all’interno di un’auto). Analizzando invece tutti

i reati, si segnala la diminuzione consistente della parteci-pazione maschile alle risse tra gruppi, alla detenzione di armi e al vandalismo; le ragazze sono invece maggiormente coinvolte nei furti all’interno di negozi e nella vendita di droga. I dati a nostra disposizione quindi, considerati com-plessivamente, ci consentono di affermare che la riduzione del gender gap sia maggiormente imputabile a una dimi-nuzione dei comportamenti devianti maschili piuttosto che a un aumento di quelli femminili.

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Il secondo punto della nostra analisi riguarda i fattori di rischio alla base del comportamento deviante maschile e femminile. A questo fine abbiamo diviso il campione in due sotto-campioni, uno di soli maschi ed uno di sole femmine. Abbiamo quindi eseguito due tabelle di corre-lazione, associando tutti i possibili fattori di rischio (indi-viduali, familiari e sociali) con la delinquenza generale (almeno un reato commesso nell’ultimo anno). Al fine di evitare relazioni spurie abbiamo quindi condotto due se-parate regressioni logistiche binarie (una per ogni genere), aventi come variabile dipendente la delinquenza generale, e come variabili indipendenti le variabili per le quali era stata trovata una correlazione significativa (p < .05) nelle precedenti analisi. Queste variabili consistevano in serie

di elementi quali il contesto familiare, quello scolastico, il quartiere di residenza5, la capacità di autocontrollo, la

gestione del tempo libero e la migrazione. Per ogni varia-bile indipendente abbiamo riportato l’odd ratio, la signi-ficatività e gli intervalli di confidenza. Dai risultati emerge come i ragazzi e le ragazze condividano la maggior parte dei fattori di rischio, a parte alcune caratteristiche dell’am-biente famigliare. In particolare il rapporto con il padre sembra significativo solo per i maschi e quello con la madre solo per le femmine; queste ultime appaiono inoltre condizionate dal supporto emotivo offerto dai genitori e dalla presenza di problemi legati all’uso di alcol e di so-stanze in famiglia.

Grafico 5 - Prevalenza dei reati (in % ultimo anno. 14 Paesi), Ratio Maschi/Femmine in ISRD2 e ISRD3, 14 Paesi (N ISRD2=33.503 – N ISRD3=39.513) [tutte le differenze di genere sono significative p < .001]

Grafico 6 - Prevalenza dei reati (in % ultimo anno. 14 Paesi), per genere, in ISRD2 e ISRD3, 14 Paesi (N ISRD2=33.503 – N ISRD3=39.513) [tutte le differenze di genere sono significative p < .001]

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Infine, un’ulteriore analisi riguarda la gravità della delquenza (espressa dalla presenza della c.d. “versatilità” in-dicata dall’aver compiuto, nel corso dell’ultimo anno, almeno tre diversi tipi di reato) l’abuso di sostanze alcoli-che6 (presenza di binge drinking nell’ultimo mese) e l’uso

di droga (uso di cannabis nell’ultimo mese).

Ne emerge che il gender gap è molto più elevato per la delinquenza grave, come sopra definita, che per quella oc-casionale (rispettivamente ratio=2,7 e ratio=1,6), mentre lo è ancora meno per quanto riguarda il binge-drinking e i consumi di hashish nell’ultimo mese, anche se prevalgono comunque i maschi.

Grafico 7 - Predittori della delinquenza (almeno un reato, ultimo anno), a seconda del genere Regressioni logistiche, Odds ratio) ISRD3, 26 Paesi

Grafico 8 - Prevalenza di comportamenti devianti (in%), per genere – ISRD3, 26 Paesi (N=61.040) [tutte le differenze di genere sono significative p < .001]

6 Per approfondimenti sul tema dell’abuso di alcol in relazione al-l’indagine ISRD3 si rimanda a Gatti et al (2015).

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4. Discussione

Dai risultati presentati emerge che la delinquenza giova-nile è ancora caratterizzata dalla differenza di genere, più intensa nelle forme più gravi di coinvolgimento nei com-portamenti devianti.

Si conferma tuttavia la riduzione nel corso degli ultimi anni di tale differenza, che va imputata più alla diminu-zione dei comportamenti devianti maschili che all’au-mento di quelli femminili; non è quindi in corso una sorta di “maschilizzazione” delle ragazze, piuttosto, al contrario, il comportamento maschile tende ad avvicinarsi maggior-mente a quello femminile per quanto riguarda la devianza e il crimine.

Inserire la questione di genere nella riflessione crimi-nologica richiede comunque di considerare la complessità del problema: femminilità e maschilità, infatti, alla luce dei recenti approcci teorici, sono non solo connesse alle caratteristiche individuali, biologiche o di ruolo, ma alla presenza di aspetti culturali e sociali largamente diffusi e riprodotti nel comportamento quotidiano di maschi e femmine.

Come affermano i più recenti studi sul tema, la società attuale è attraversata da discorsi, o dispositivi per dirla con Foucault, che disciplinano la definizione e la collocazione dei soggetti in base al genere, al colore della pelle, all’età, alla classe sociale; agli individui così definiti restano dei margini per declinare le proprie diverse appartenenze, e scegliere nei limiti del possibile come metterle in scena (Connell, 1985). In altre parole, gli uomini e le donne, quotidianamente, “fanno genere” posizionandosi rispetto ai discorsi diffusi nel senso di confermarli o metterli in di-scussione (West & Fenstermaker, 1995; West & Zimmer-man, 1987).

La devianza giovanile, da questo punto di vista, costi-tuisce uno dei campi di espressione di tali performance di genere: da questo consegue che i nostri risultati non deb-bano essere interpretati in chiave essenzialista, trasfor-mando cioè il genere in una categoria fissa in grado di motivare, da sola, le caratteristiche dei percorsi di crescita dei ragazzi considerati.

Inoltre, gli studenti inclusi nel campione non sono solo maschi e femmine, ragazzi e ragazze, ma hanno back-ground socio-culturali altrettanto importanti del genere, che possono fornire loro limiti ma anche risorse multi-formi da attivare per costruire le loro identità. È in questo senso che la criminologia femminista contemporanea parla della c.d. “intersezionalità” (Burgess-Proctor, 2006; Bernard, 2012), intesa come attitudine a non isolare il ge-nere come variabile a sé ma a considerare globalmente la classe, il genere, la provenienza etnica, e il ruolo giocato da tali fattori nel riconfigurare le dinamiche di potere tra

agency e determinazione sociale (cfr. Colombo, Rughini,

2016).

Ciò detto, se i fattori alla base della delinquenza ma-schile e femminile appaiono molto simili e gli uomini continuano a delinquere più delle donne, è proprio sul concetto di genere che è necessario soffermarsi. In parti-colare, è nel concetto di “maschilità”, nelle pratiche e nelle performance che la caratterizzano, che possono essere ri-cercate connessioni con l’agire deviante. Le ricerche come quella da cui sono stati tratti i dati sopra riportati, in que-sto senso, possono costituire il punto di partenza per av-viare indagini qualitative più approfondite che indaghino i significati attribuiti dai ragazzi e dalle ragazze al loro “es-sere e fare i maschi” ed “es“es-sere e fare le femmine”, in rela-zione al loro background e alle loro esperienze trasgressive e devianti.

Grafico 9 - Prevalenza di comportamenti devianti Ratio Maschi/Femmine – ISRD3, 26 Paesi [tutte le differenze di genere sono significative p < .001]

(11)

Chi di questi temi si è occupato ha rilevato quanto la “maschilità” sia un concetto chiave per inquadrare, legit-timare e incoraggiare la messa in atto di comportamenti criminali, e ha evidenziato, in particolare, quanto tale messa in atto possa contribuire ad ottenere reputazione, non solo per chi commette comportamenti violenti (Mul-lins et al., 2004; Schrock, Schwalbe 2009) ma anche per chi mette in atto delitti contro la proprietà (Copes & Ho-chstetler, 2003).

Rinaldi (2018) ha proposto una preziosa review degli studi su questo tema, identificandone diverse ramifica-zioni: alcune ricerche si concentrano sul crimine come pratica di maschilizzazione (si pensi alle condotte omofo-biche violente); altre si concentrano sulle modalità socio-relazionali attraverso le quali gli uomini costruiscono le proprie maschilità; altre ancora si focalizzano sulla “strada” come contesto privilegiato per la creazione di culture ma-schili pericolose; esistono poi ricerche sulle “mama-schilità pri-vilegiate”, e infine studi che analizzano le interazioni tra la maschilità e il sistema giustizia (tribunali, carceri…).

Scarseggiano, al momento, e sarebbero auspicabili, studi che si concentrino sulla maschilità, e sulla femmini-lità, dei giovani e dei giovanissimi come i soggetti del cam-pione di riferimento ISRD.

5. Implicazioni di ricerca e di policy

Dalla discussione dei risultati emerge la necessità di pro-seguire nell’analisi con nuove edizioni dello studio ISRD, cui sarebbe auspicabile affiancare approfondimenti di tipo qualitativo: questa considerazione ci sembra importante in particolare per quanto riguarda le differenze di genere, poiché i concetti di maschilità e femminilità sono dina-mici e mutevoli sia nello spazio (abbiamo visto le diffe-renze tra i vari Paesi) sia nel tempo (come testimonia la qui rilevata riduzione del gender gap).

I risultati delle ricerche come quella qui esaminata, in-fine, se interpretati in un’ottica di genere, sono utili perché consentono di inquadrare il fenomeno della delinquenza giovanile fornendo spunti di intervento per coloro che sono quotidianamente a contatto con i giovani, offrendo agli operatori una maggior consapevolezza circa l’esten-sione di determinate problematiche e permettendo loro l’eventuale rettifica delle proprie prassi operative, profes-sionali ed educative (Gatti, Grattagliano & Rocca, 2019).

Dirigenti scolastici, funzionari degli enti locali e delle strutture sociosanitarie e responsabili delle associazioni di volontariato potrebbero disporre di tali risultati e attin-gervi in fase di programmazione degli interventi sul pro-prio territorio. Le problematiche della devianza e più in generale della propensione a comportamenti violenti e cri-minali potrebbero così essere affrontate con una maggior conoscenza della situazione.

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