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Un contesto cultuale dal santuario di Punta Stilo a Kaulonia: la vasca e i pozzi a Nord del tempio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

Corso di laurea magistrale in Archeologia

Un contesto cultuale dal santuario di Punta Stilo a

Kaulonia: la vasca e i pozzi a Nord del tempio

Relatore:

Candidato:

Prof.ssa Maria Cecilia Parra

Tanya Spasari

Correlatore:

Prof. Maurizio Paoletti

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I.

La storia degli scavi: gli interventi di Paolo Orsi

e dell’Università di Pisa

La storia delle ricerche sull’antica città di Kaulwn…a prende l’avvio da Paolo Orsi. Il suo intervento ha inizio con la corretta collocazione della città nel giusto territorio1: da sempre vigeva una controversia a questo proposito tra due paesi della costa ionica calabrese, Castelvetere2 e Monasterace. L’identificazione certa della città antica con l’attuale Monasterace Marina si deve proprio all’archeologo, suffragata dalla «…scoperta di alcune terrecotte arcaiche, scoperta corroborata dal calcolo delle distanze degli Itinerari»3.

L’inizio di vere e proprie campagne di scavo fu determinato dal suggerimento del marchese Armando Lucifero, che richiamò l’attenzione dell’Orsi su alcune scoperte casuali nel territorio, nel corso dei lavori di costruzione del faro di Stilo4, nell’estate del 1890. Oltre a queste, altre scoperte fortuite, quali la grande quantità di materiale architettonico in località Fontanelle, tra cui un capitello dorico5, anche se molto rovinato, fecero ritenere a Orsi possibile «...rintracciare il sito di un tempio greco di ottima epoca»6. Considerando certa l’esistenza nel territorio di luoghi di culto di una indubbia rilevanza architettonica e incuriosito inoltre dalle notizie riportategli dal suddetto marchese di scoperte al predio Delfino a Nord del colle del Faro, e dopo alcune saltuarie ispezioni del sito compiute in

1

Come del resto accade anche per Medma, nel cui caso Orsi dirime la contesa tra Nicotera e Rosarno, collocando la sub-colonia locrese nel territorio di quest’ultima. Vd. ORSI 1913, pag. 56.

2 Il comune di Castelvetere prese arbitrariamente il nome di Caulonia nel 1860, nel tentativo di mettere un

definitivo punto alla questione topografica a suo favore; questa pretesa si rivelò ben presto infondata e il tentativo di rivendicare “un’origine gloriosa” deluso, anche se tutt’ora rimane il nome “Caulonia” al comune. Vd. ORSI 1909/1, pag. 327. 3 ORSI 1914, pag. 705. 4 ORSI 1891, pag.61. 5 ORSI 1891, pp. 70-71. 6 ORSI 1891, pag. 70.

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3 anni precedenti7, nell’estate del 1911 l’archeologo roveretano si recò a Monasterace per una visita preliminare. Inizialmente la sua attività di “survey” si concentrò sulla ricerca delle mura, che «…in nessun luogo erano in vista…»8

. I dati raccolti lo convinsero comunque definitivamente delle potenzialità di uno scavo archeologico nel territorio cauloniate.

La vera grande scoperta però, che lo portò alla decisione definitiva di effettuare delle campagne di scavo sistematiche e quindi a rimanere sul posto per lungo tempo, avvenne il 18 Maggio del 1911, ancora una volta grazie a indicazioni del marchese Lucifero: si tratta del grande tempio dorico. Per Orsi questo significava automaticamente e innegabilmente l’esistenza di una polis greca di una considerevole importanza. La presenza di un tale edificio monumentale lo convinse anche del fatto che Caulonia9 non fosse una semplice sub-colonia di Crotone, come affermavano lo Pseudo Scymno, Solino e Stefano Bizantino e suffragò invece la notizia di Strabone e Pausania, che la consideravano autonoma fondazione achea, al pari di Sibari, Metaponto e Crotone10.

I.1. La “scalea” e i pozzi

Nell’anno 1911, nell’indagare il settore del santuario che si estende a Nord del tempio, a circa 8,50 m dalle sue fondamenta, Orsi rinvenne una «gradinata di quattro scalini»11, che si sviluppava sia in direzione Est-Ovest, sia in direzione Nord-Sud, anche se in misura

7

Ad esempio nel 1980 ispezionò i lavori al faro, altri lavori in località Fontanelle e una massa di “detriti archeologici”, prelevati dalla marchesa Francia e accatastati nei pressi della stazione di Monasterace; nel giugno 1909 visitò anche la “neo-Caulonia”, per verificare l’appartenenza all’antica Kaulwn…a delle antichità raccolte nel territorio.

8

ORSI 1914, pag. 708.

9 Orsi si riferisce alla città con i nomi di “Caulonia” o “Cavlonia”. 10 ORSI 1914, introduzione di G. De Sanctis.

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4 minore12. Il materiale con cui questa struttura è stata costruita sembra essere lo stesso calcare usato per lo stilobate del tempio; la tecnica edilizia ottima. Non è stato possibile individuare dove questa gradinata avesse termine, in quanto le estremità risultavano essere asportate, dall’uomo o a causa di eventi naturali, prima dell’intervento di Orsi. Per la parte Nord-Ovest, in particolare, ipotizzò non proprio una spoliazione quanto piuttosto un intervento di rimaneggiamento perpetrato in antico, dovuto probabilmente ai lavori coevi alla costruzione del canale13.

La porzione meglio conservata della struttura è sicuramente l’angolo Nord-occidentale, dove si scorgono quattro gradini, più altri due di fondazione. Nella porzione orientale, nel punto in cui la duna degrada verso il mare, ovviamente si è resa necessaria una ulteriore assisa.

La funeczione di questa “scalea” apparve da subito chiara all’Orsi: un ruolo duplice in realtà, sostruttivo del tempio e funzionale del santuario. Com’è noto, la configurazione del suolo su cui si erge il santuario di Punta Stilo non è delle più stabili, in particolare il tempio poggia su un terreno alluvionale che tende allo scivolamento; la “scalea” fungeva quindi da sostegno alla spianata su cui sorge l’edificio. Inoltre, poteva rappresentare all’occorrenza una sorta di parterre per il pubblico che volesse osservare lo svolgersi delle cerimonie, oltre che area di esposizione degli anathemata, non essendoci davanti alla fronte principale del tempio lo spazio adeguato.

Tutta la porzione di terreno tra la “scalea” e il tempio e oltre la “scalea” procedendo verso Nord, era ricoperta dai più disparati materiali: elementi architettonici, parte del crollo del tempio, laterizi di vario genere, vasellame14, alcune terrecotte figurate, elementi in marmo e pietra.

12

Un ulteriore lembo di questa gradinata è stato rinvenuto e indagato nelle campagne dell’Università di Pisa (SAS 2 e SAS 2 Nord-Est), negli anni 1999-2001, nel settore Nord-Orientale del santuario, vd. PARRA et

al. 2001, pp. 523-525. 13 Cfr. infra.

14 In particolare per l’argomento trattato nel presente lavoro di tesi, potrebbero rivelarsi importanti alcuni

frammenti forse appartenenti a perirrhanteria, quindi a recipienti per acqua lustrale. Vd. ORSI 1914, pag. 894 e 895 (fig. 133). Inoltre una statuetta fittile, acefala, che appare all’Orsi come una “Athena egidata”, potrebbe invece collegarsi alla divinità femminile venerata nel contesto, che solo novant’anni più tardi sarebbe stato scoperto. Vd. ORSI 1914, pag. 896 e 897 (fig. 137). Fors’anche una reminiscenza di quei riti che dovevano praticarsi nell’area della vasca cultuale si può vedere in una figura di Sileno che afferra un

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5 Quello che però colpì maggiormente l’attenzione dello studioso fu l’insieme di quelle che egli stesso definì “le stelai della scalea”15

: si tratta di una serie di pilastrini lavorati che non costituivano elementi dell’architettura templare, bensì dovevano essere collocati al di fuori di esso. Questi, si presentarono allo scopritore in molteplici forme: rotondi, quadrati, a forma di capitello. Da subito Orsi pensò di poter interpretare queste evidenze come destinate ad essere «…il sostegno di svariati anathemata…»16

, la cui esposizione doveva collocarsi «..un po’ dappertutto…»17

nell’area del santuario18, in particolare fra gradinata e tempio e al di sotto della gradinata. La serie di questi materiali venne da lui interpretata come espressione di culti e ritualità di una città in decadenza, non più l’opulenta polis che aveva potuto costruire un tempio con materiali preziosi come il marmo pario, ma che ormai si deve accontentare di manifestazioni più umili e modeste; considera quindi il 389 a.C.19 come terminus post quem per queste stelai.

Uno studio approfondito sulle stelai aniconiche e in generale sugli “argoi lithoi”, è stato realizzato da Daphni Doepner20 per il caso del santuario urbano di Metaponto21: qui era ammassata una serie fittissima di questi semplici cippi, che non erano dotati né di decorazione figurata né di particolari caratteristiche che ne potessero suggerire la funzione. Sembra che la loro introduzione in ambito sacrale sia da collocare poco dopo la fondazione della colonia stessa. Nel caso di Metaponto, si riconoscono grossi cippi di forma squadrata,

grande cratere, su un’aruletta che ha nel lato opposto la rappresentazione di una figura con coda di pesce. Vd. Orsi 1914, pp. 899-890 e fig. 138. Da tener presente che Orsi non indica l’esatta posizione in cui tutti questi oggetti vennero rinvenuti, collocandoli semplicemente in area templi, quindi ci rimane solo la possibilità di fare delle congetture, destinate a rimanere tali.

15 ORSI 1914, pag. 882. 16 ORSI 1914, pag. 882. 17

ORSI 1914, pag. 883.

18

Così come avviene nell’Heraion del Capo Lacinio dove, in mancanza di uno spazio adeguato ed essendo il tempio posto con la facciata principale rivolta verso il mare, in senso opposto al lato di accesso al santuario, gli ex-voto trovarono posto nei dintorni dell’edificio sacro, in ordine sparso.

19 Nel 389 a.C, com’è noto, la città venne attaccata da Dionisio I e, stando a quanto ci dicono le fonti, la

popolazione fu trasferita a Siracusa.

20 DOEPNER 2002, Steine und Pfeiler für die Götter. Weihgeschenkgattungen in westgriechischen Stadtheiligtümern.

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Evidenze di questo genere non sono state rinvenute solo a Metaponto e a Kaulonia, ma anche in altri santuari, come Poseidonia, Siracusa, Agrigento, Selinunte (DOEPNER 2002, pp. 195-253).

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stelai, parti di colonne, pilastrini e anche parti di ancore: a volte le stelai potevano essere

dotate di un coronamento a forma di capitello. Sicuramente il loro scopo non era decorativo o di sostegno per offerte votive di altro genere bensì erano dotate di una valenza intrinseca. Il dato più importante da sottolineare è che queste particolari offerte dovevano necessariamente essere in connessione alle concrete esigenze dei fedeli. L’alto concentrazione di queste offerte e il loro uso prolungato nel tempo (fino al III sec. a.C.), è prova dell’importanza che gli anathemata aniconici rivestivano all’interno del contesto sacro di Metaponto. Anche il mantenersi fedeli alle forme introdotte in epoca arcaica fino alla fine della vita del santuario è una prova importante dell’attaccamento alla tradizione di cui questi argoi lithoi erano il manifesto. Ogni offerta costituiva il mezzo di comunicazione tra la sfera umana e quella divina, e questo vale anche per le pietre semplici e le stelai, in contesti orientali adorate come veri e propri oggetti di culto, comunque sempre collegati alla presenza e alla forza divina. Inoltre, questo genere di offerta sembra costituire un collante della comunità della polis. Possiamo quindi affermare come questo genere di offerte siano espressione dell’importanza dei valori tradizionali della collettività, a cui l’offerta di pietre e stelai diede manifestazione visibile. L’erezione di anathemata aniconici è comunque un fenomeno molto diffuso nel Mediterraneo greco coloniale, che si sviluppa da credenze della madrepatria come collante per la comunità in occidente.

Tornando al caso cauloniate, procedendo con lo scavo, nei pressi del braccio settentrionale della “scalea”, o meglio di un prolungamento di questo, Orsi trovò tre grandi fosse pressoché quadrate e la sua prima ipotesi fu (data anche l’esperienza di pochi anni prima al

Persephoneion di Locri Epizephiri) di considerarle come favisse. Procedendo con lo

sgombero del cavo, si rese conto che si trattava invece di pozzi.

Riuscì a scavare a discreta profondità solo uno di questi, perché negli altri due si trovavano infissi di punta dei pesanti massi, estraibili solo con l’ausilio di un mezzo meccanico e reperire una gru per l’asportazione era, all’epoca, impossibile nel piccolo villaggio di Monasterace. Il pozzo centrale, maggiormente sgombro degli altri e quindi indagabile con gli strumenti manuali, fu esplorato per circa 5,30 m di profondità; a questo punto si dovette smettere a causa della pericolosità per gli operai.

Stando così le cose, fu necessario limitarsi ad analisi che noi oggi definiremmo “di contesto” di queste strutture: i pozzi erano appoggiati a un muro con andamento Sud-Nord, che consta di una filata di massi dell’altezza di 39-40 cm, disposti su tre assise. Orsi stesso

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7 si rese conto che questo muro, per il taglio dei suoi blocchi, le misure e la tecnica costruttiva, non poteva considerarsi parte integrante della “scalea”, ma un’aggiunta di epoca piuttosto tarda alla costruzione22, che ne risulta anche obliterata in una porzione. Questo “muro di recinto” realizzato in epoca di molto successiva alla gradinata, potrebbe essere motivato da una necessità di restringimento dell’area sacra.

Le bocche dei tre pozzi si trovano allo stesso livello della base della gradinata e perciò Orsi ha supposto che questo fosse anche il livello antico; ogni bocca è contornata da quattro blocchi di forma quadrangolare. All’interno le tre costruzioni, per quanto indagato, sembrano costituite da grosse sfaldature alternate con grandi ciottoli granitici o massi squadrati. La costruzione appare così di fattura non troppo accurata ma comunque solida e funzionale, considerata da Orsi, proprio per le caratteristiche appena descritte, arcaica o coeva al tempio. All’interno della canna scavata sono stati rinvenuti frammenti di tegole, elementi vari di crollo del tempio23, fino a 2 m di profondità, dopo la quale era presente la sabbia sterile.

Queste strutture sono state interpretate come atte a fornire acqua sorgiva, sulla cui qualità Orsi è però scettico, estratta a grande profondità (che non è stato possibile raggiungere durante lo scavo), e non come strutture da immagazzinamento di acqua perché la canna interna non era a tenuta stagna. Né tantomeno sono interpretabili come favisse, come già sottolineato, similmente a quanto invece accade al Persephoneion di Locri, non essendo venuti alla luce ex-voto in corso di scavo. Orsi lamenta al suo tempo la mancanza di uno studio sistematico di questo tipo di strutture dei santuari, ma sottolinea la loro assoluta necessità nella vita di questi luoghi di culto. Il rifornimento della risorsa più preziosa in assoluto, era necessario sia per i riti e per i vari servizi lustrali, sia per i sacerdoti e le loro famiglie, che vivevano all’interno del temenos. Non essendoci nella maggior parte dei casi una fonte all’interno del perimetro del santuario, si costruivano pozzi come questi24

.

A Nord dei pozzi spezza il prosieguo della gradinata un canale collettore, a muratura di ciottoli e “pezzame”, rivestito di malta di buona qualità; anche questo si può datare a

22 L’Orsi la data genericamente ad epoca “romana”.

23 Orsi non specifica maggiormente di che elementi si tratti, fa unicamente menzione di «schegge di

colonne», Vd. ORSI 1914, pag. 881.

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Orsi riporta anche il caso dell’Olympieion di Siracusa, dove si trovava un grande pozzo rettangolare. Vd. ORSI 1914, pag. 882.

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8 un’epoca tarda, successiva di molto all’impianto del tempio e ai pozzi limitrofi, in quanto nella sua muratura è stato rinvenuto un pezzo di cornice che Orsi considerò appartenente all’edifico templare stesso. Con le sue dimensioni di 1,02 x 1,06 m questa struttura doveva essere in grado di convogliare una consistente massa d’acqua: da dove provenisse quest’acqua e dove fosse destinata, sono domande a cui Orsi non è stato in grado di dare una risposta e neanche oggi siamo in grado di farlo, alla luce degli scavi effettuati. Per quanto riguarda la sua funzione, ha ipotizzato che fosse quella di far confluire le acque piovane raccolte da una grande strada o piazza, probabilmente da collocarsi al di là dell’attuale linea ferroviaria, destinate poi ad essere raccolte in un serbatoio che però non riuscì ad individuare.

Orsi non si soffermò oltre sull’indagine di questo contesto, anche se per un’analisi completa sarebbe stato necessario espandersi anche al di là della ferrovia e più in profondità nell’area già oggetto di indagine, per ragioni che lui stesso attribuì a mancanza di “tempo e denaro”, preferendo quindi usare questi preziosi mezzi per proseguire l’indagine delle evidenze più monumentali.

I.2. La ripresa delle indagini: lo scavo dell’Università di Pisa

In seguito alle campagne di scavo di Paolo Orsi degli inizi del ‘900, la porzione del santuario a Nord del tempio è rimasta per un cinquantennio quella «area di rovina»25 che lui stesso aveva descritto. Le operazioni degli anni ’60 e ’70 che hanno interessato anche i confini dell’area oggetto del presente lavoro, si sono concentrate soprattutto sulla sistemazione del crollo del tempio e su saggi piuttosto limitati, senza mettere in atto reali indagini archeologiche26.

25 ORSI 1914, pag. 882.

26Nel 1961, l’allora Soprintendente A. De Franciscis aveva promosso un intervento in cui, tra le altre cose, si

era provveduto alla sistemazione del crollo rinvenuto a Nord del tempio. Vd. PARRA 2001 (2002), pp. 236-238; IANNELLI 2001 (2002), pag. 165; BARELLO 1995, pag. 12.

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9 La vera e propria ripresa di scavi sistematici è avvenuta nel 1999, quando hanno inizio le lunghe e fortunate campagne di scavo dell’Università di Pisa e del Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico della Scuola Normale Superiore27, sotto la direzione scientifica di Maria Cecilia Parra, che interessano tutta l’area sacra di Punta Stilo e che sono ancora in corso. È da queste campagne che trae origine il presente studio, con il rinvenimento della vasca di tegole e il prosieguo delle indagini sui pozzi.

Nel programmare la campagna di scavo del 2001 è stata decisa l’apertura di un nuovo saggio, denominato SAS 3 e collocato a Nord della grande gradinata di sostruzione e a Est dei due pozzi scoperti da Orsi. Con questo saggio ci si è proposti di indagare alcune strutture emergenti dal piano di campagna: dopo l’asportazione del crollo del tempio, infatti, si poteva intravedere una cresta di tegole infisse verticalmente nel terreno e la superficie piana di quello che poi si scoprì essere un gradino, oltre alla presenza dei pozzi che meritava una ulteriore indagine.

La situazione lasciata dagli interventi precedenti nell’area si presentava in questo modo agli scavatori dell’equipe dell’Università di Pisa: divideva il saggio dalla terrazza del tempio la grande gradinata, portata alla luce per la maggior parte negli scavi del 1911; a Nord di questa, nella porzione Occidentale del saggio, due pozzi a vista - più un terzo non più riconoscibile28 - con il loro “muretto di recinzione”, e al margine settentrionale di questo braccio della “scalea”, il canale collettore.

Data la particolare situazione delle evidenze allo scoperto e di quelle appena visibili, si è manifestata, come già accennato, la necessità di un ulteriore scavo, operato con metodo e tecniche moderni, per far luce sulla natura dell’area e sui suoi utilizzi.

L’area di scavo è stata circoscritta a un settore di 5x5 m circa di dimensioni, comprendente a Sud l’ultimo filare a vista della gradinata e confinante a Ovest con il muro perpendicolare alla gradinata stessa. Le indagini si sono svolte durante tre campagne, negli anni 2001, 2002 e 2003; nel corso del primo anno di lavoro non è stata presa in esame l’area dei pozzi, concentrando lo scavo esclusivamente sulla parte centrale del saggio. Già dalla pulitura di

27 Oggi Laboratorio di Scienze dell’Antichità.

28 Orsi aveva individuato la posizione del terzo pozzo che era stata però cancellata dal tempo, non avendo

quest’ultimo la bocca “recinta” da blocchi squadrati, come gli altri due. Nella campagna 2002 (vd. infra), indagando l’area del “recinto dei pozzi”, se ne rinvennero le tracce nei pressi della canala sita poco più a Nord, che lo oblitera in parte.

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10 superficie è emersa la parte superiore di alcuni laterizi infissi verticalmente, spie della fisionomia perimetrale della struttura sottostante; con la rimozione dell’humus questi sono stati meglio messi in luce: è stata evidenziata così la presenza di un’installazione a pianta rettangolare, il cui limite esterno è costituito da tegole piane, come già visto, infisse verticalmente.

Procedendo con lo scavo, una volta eliminati gli strati di superficie29, gli interventi si sono concentrati sull’indagine dell’interno della struttura, ormai emersa chiaramente. Gli strati che ne costituivano il riempimento erano caratterizzati da un’alta concentrazione di ceramica, in stato estremamente frammentario30. Una volta completata l’asportazione dell’ultimo degli strati di riempimento, è emersa la pavimentazione di tegole piane della struttura, che è risultata della stessa tipologia di quelle utilizzate per le pareti della vasca. La pavimentazione è pervenuta in buono stato di conservazione, nonostante si evidenzino delle lacune nella sua parte centrale e nell’angolo Nord-Orientale: infisso in una di queste, nella parte centro-settentrionale, è stato rinvenuto un fondo di vaso di grosse dimensioni, preliminarmente interpretato come una probabile anfora o dolio31.

L’interesse delle ricerche era però anche rivolto al contesto già indagato da Orsi, al fine di rintracciare eventuali connessioni con la vasca appena scoperta. Pertanto, è stata rimessa in luce la “canala” già scavata nel 1911, sita all’angolo Nord del braccio di prolungamento della gradinata (USM 021). Come già sottolineato dall’Orsi stesso32, la struttura si presenta di ottima costruzione, interamente ricoperta di malta e si può datare a quello stesso periodo di realizzazione del “recinto” che restringe l’area dei pozzi in età tarda.

Al termine quindi del primo anno di ricerche nell’area, era possibile dare una descrizione compiuta dell’aspetto di quella che si è rivelata a tutti gli effetti una vasca: si tratta di una costruzione quadrangolare, il cui alzato, non conservato nella sua interezza, è composto da tegole piane infisse verticalmente nel terreno; di queste, due poste sul lato Ovest

29 In particolare due strati coprivano tutta l’area del saggio: l’US 301, composta da pietre sminuzzate e

compatte e l’US 302. Vd. Scheda.

30 Si tratta delle USS 303, 307 e 311 e delle USS 312, 317 e 318 che, come meglio specificato in seguito,

sono state in un primo momento distinte sulla base della differente concentrazione del materiale ceramico e poi uguagliate.

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Interpretazione rivista in seguito all’asportazione e allo studio del reperto. Vd. infra.

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11 presentano incastri “a coda di rondine”. Il perimetro settentrionale è interrotto, quasi al centro, da una piccola scalinata, composta da tre gradini di pietra, sulla cui funzione verranno in seguito presentate delle ipotesi. La pavimentazione era resa utilizzando gli stessi laterizi dell’alzato, disposti però – ovviamente – in posizione orizzontale, a coprire quasi tutto lo spazio interno, con diverse lacune nella parte centrale e nell’angolo Nord-Est. Fulcro del piano pavimentale è il fondo di vaso sito nell’area centro-settentrionale.

Nel primo anno di lavoro nell’area, lo scavo non ha interessato il settore occupato dai pozzi scoperti da Orsi, la cui revisione viene rimandata alla campagna successiva; ne sono stati però stabiliti i limiti in vista dell’indagine futura, considerando come confine Est il braccio di prolungamento della gradinata di sostruzione in direzione Nord-Sud, che funge da recinto ai pozzi.

La prima campagna di scavo che ha investito l’area a Nord del tempio si è conclusa quindi con la messa in luce totale della struttura e al contempo con molte domande: circa la tipologia del culto, circa le modalità di uso e deposizione dell’abbondante materiale ceramico rinvenuto, circa la motivazione e l’attuazione pratica della colmata di chiusura che segna la fine dell’uso della struttura.

La successiva campagna di scavo, nel 2002, ha avuto inizio con nuovi obiettivi: verificare eventuali connessioni fra l’area cultuale della vasca e l’area dei pozzi, siti a Ovest e rintracciare il terzo di questi che non era a vista. Effettivamente il terzo pozzo è stato rintracciato a Sud-Est della “canala”, che in parte lo oblitera; la struttura in tal modo individuata non è stata però completamente indagata, così come Orsi non era riuscito a scavare i primi due pozzi, e per lo stesso motivo, per la presenza cioè di un grosso masso di calcare squadrato infisso verticalmente, forse parte del crollo dei muri circostanti.

Ulteriori indagini sono state compiute nella successiva campagna (2003), con un nuovo tentativo di estrazione del masso infisso nel pozzo, purtroppo senza successo. Le ricerche si sono concentrate quindi nell’area a Sud del primo pozzo individuato da Orsi, nello spazio compreso tra questo e la gradinata, con l’intento di chiarire le relazioni esistenti tra i pozzi, la gradinata e l’area cultuale della vasca. Non avendo rinvenuto però il livello di pavimentazione antico è difficile stabilire se ci fossero canali o altri apprestamenti di collegamento tra l’area della vasca e quella dei pozzi, né le indagini del 2003 hanno potuto riconoscere tracce del piano di uso.

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12 Il saggio è stato chiuso definitivamente dopo la campagna 2003, essendo completato lo scavo della vasca e delle sue zone limitrofe.

I.3. L’area a Nord del tempio alla luce dei risultati di scavo

Al termine dei tre anni di lavoro sull’area a Nord della gradinata, l’aspetto del contesto risultava profondamente cambiato: quella che prima era una distesa di elementi del crollo del tempio si è rivelata un vero e proprio contesto cultuale, obliterato dal crollo stesso; la natura dell’impianto è apparsa evidente già nel corso dello scavo.

Lo scavo, come in parte già esposto, ha portato alla luce una vasca di tegole di forma quadrangolare, sita a Nord della gradinata di sostruzione della terrazza del tempio, che misura 2,90 x 2 m, con il lato maggiore in direzione Est-Ovest, e ha una profondità di circa 45-50 cm. Le tegole piane con cui è costruita ne costituiscono sia le pareti che il piano pavimentale, quest’ultimo interrotto dal fondo di un grosso contenitore di forma chiusa, con molta probabilità intenzionalmente tagliato e infisso grossomodo al centro della pavimentazione. Il perimetro sul lato settentrionale è interrotto da tre gradini di pietra, che dovevano evidentemente permettere la discesa all’interno della vasca. Nelle operazioni di indagine sul campo non è stato possibile riconoscere il piano di calpestio antico esterno alla vasca, probabilmente da collocare allo stesso livello del gradino più alto.

A Ovest della vasca, così come li aveva lasciati Orsi, al momento della ripresa delle indagini erano ancora visibili due pozzi, di forma grossomodo rettangolare, con ogni bocca contornata da quattro blocchi di pietra di forma parallelepipeda. Il terzo pozzo, sebbene riconosciuto da Orsi, non era più in vista perché mancante dei blocchi perimetrali e nuovamente individuato e portato alla luce con le recenti campagne. Le dimensioni delle bocche dei tre pozzi sono quasi identiche, con la variazione di pochi centimetri, e misurano all’incirca 1,90 x 1,30 m.

Divide l’area dei pozzi da quella della vasca, un muro con andamento Nord-Sud, che si innesta proprio sulla gradinata e che dev’essere pertanto considerato posteriore alla sua costruzione. Questa sorta di asse longitudinale della “scalea”, scoperto da Orsi, è stato fin da subito riconosciuto come un’aggiunta successiva all’impianto, per la tecnica costruttiva

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13 meno accurata, oltre che per la giustapposizione sulla gradinata. Già Orsi aveva interpretato questo muro come “recinto”, inserito in una fase successiva, piuttosto tarda, forse addirittura riconducibile ad età romana33, a scopo protettivo dell’incolumità dei pozzi.

Poco più a Nord, all’angolo settentrionale di questo braccio di prolungamento della gradinata, è una “canala”, portata alla luce sempre dagli scavi degli inizi del ‘900 e investigata nuovamente nelle campagne dell’Università di Pisa. Come già sottolineato dall’Orsi stesso34

, la struttura si presenta di ottima costruzione, interamente ricoperta di malta e si può datare a quello stesso periodo di realizzazione del “recinto” che restringe l’area dei pozzi in età tarda. Dato emerso con chiarezza dai recenti scavi è la contemporaneità della costruzione della vasca e dei pozzi, in fase con il tempio di età classica: l’aspetto attuale dell’area non corrisponde dunque a quello originale, privo del muro che separa i pozzi dalla vasca e quindi considerabile a tutti gli effetti come unico insieme35. La separazione doveva essere motivata dal venire meno della originaria funzione cultuale dell’impianto.

L’area della vasca risultava sigillata da uno strato composto da scaglie di pietra ben compattate, quindi l’affidabilità stratigrafica può considerarsi ottima: questa obliterazione è stata collegata allo stesso processo di rifunzionalizzazione, datato al III secolo a.C., che investe la quasi totalità dell’area sacra36

e in particolare questo settore della terrazza del tempio37. 33 ORSI 1914, pag. 879. 34 ORSI 1914, pag. 880. 35 GARGINI 2004 (2007), pag. 103. 36

PARRA 2004 (2007), pag. 11; GARGINI 2004 (2007), pag. 102.

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II.

I materiali

In questo capitolo verranno presentati gli studi effettuati sui materiali di scavo rinvenuti nel contesto della vasca di tegole scavata negli anni 2001-2003, riservando un’attenzione particolare alla ceramica, perché di fondamentale importanza ai fini della ricostruzione delle azioni cultuali praticate all’interno dell’area sacra. Alla classificazione della ceramica seguirà un rapido catalogo degli altri materiali, metallici, litici e coroplastici, con una revisione e un approfondimento degli studi precedenti.

II.1. La ceramica

Lo studio del materiale ceramico proveniente dal SAS 3 è stato già in gran parte affrontato da Michela Gargini38, che è stata anche impegnata nello scavo di prima mano del contesto, e da Vanessa Gagliardi39 che si è occupata della ceramica a vernice nera proveniente da questi strati. Lo studio della suddetta Gargini sulla ceramica, presentato nel volume

Kaulonía, Caulonia, Stilida (e oltre). Contributi storici, archeologici e topografici. II,

consiste nella classificazione di una selezione del vasellame rinvenuto e nella sua catalogazione per tipologia. Dal suo lavoro prende l’avvio questo, operandone una revisione completa e cercando di colmarne le lacune, laddove presenti, inserendo la totalità del materiale portato alla luce nelle operazioni di scavo. L’intento è però anche quello di rispondere a nuovi interrogativi, per poter alla fine avere una chiara visione d’insieme del contesto. Il dato aggiuntivo che si vuole ottenere dall’analisi dei manufatti è soprattutto la quantificazione numerica40, con le relative statistiche di impiego, delle forme attestate: queste costituiscono il punto di partenza per ipotizzare un possibile binomio forma-uso, da connettere alle pratiche di culto.

38 GARGINI 2003/I, pp. 438-442; GARGINI 2003/II, pp. 443-451; GARGINI 2004 (2007), pp. 92-127. 39 GAGLIARDI 2004 (2007), pp. 129-138.

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15 Dallo studio della scavatrice, la ceramica contenuta negli strati di abbandono e di obliterazione - US 302, 303-307-31141– e nei livelli di riempimento della struttura – US 312, 317 e 31842 – risulta molto abbondante e coerente per tipologia, con elementi ricorrenti, sia a livello funzionale che decorativo. Lo stato del rinvenimento della quasi totalità dei reperti ceramici è molto frammentario: solo pochissimi fondi di forma chiusa sono stati recuperati integri, mai un intero esemplare.

Si procede in questa sede a una revisione della classificazione dell’intero complesso dei frammenti ceramici della vasca, suddividendoli in tipologie che tengano conto delle loro caratteristiche formali. Data la grande abbondanza di frammenti non si può operare una classificazione per singolo reperto e si sceglie pertanto di ricondurli a precisi schemi tipologici.

È stata prima di tutto effettuata una suddivisione in classi: la ceramica con decorazione dipinta a bande, la più abbondante all’interno del contesto della vasca e negli strati limitrofi; la ceramica comune acroma, a volte difficilmente distinguibile da quella a bande, in quanto simile negli impasti e nelle forme; la ceramica a vernice nera, la cui presenza nella vasca è molto limitata ma che meglio di altre classi consente una datazione precisa; le anfore da trasporto, anch’esse non molto abbondanti. All’interno di ogni classe sono state distinte le forme, suddivise a loro volta in “tipi”, a seconda delle caratteristiche tecniche e morfologiche: sono state riconosciute delle “varianti” dei singoli tipi, nei casi in cui sono state riscontrate peculiarità rilevanti. Il numero esatto di frammenti è stato poi conteggiato e segnalato per ogni tipo di ogni forma ceramica di ciascuna classe, in relazione alle US di appartenenza.

- Ceramica dipinta a bande

41 Questi strati sono stati in un primo momento distinti sulla base della diversa concentrazione di ceramica

ma poi uguagliati.

42 Non sono questi gli unici strati di riempimento della struttura, bensì gli unici contenenti elementi rilevanti

al fine di questo lavoro, perché contenenti materiale datante e significativo ai fini dell’interpretazione del contesto.

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16 La maggioranza del materiale si deve inserire nella classe della ceramica con decorazione dipinta a bande, che si considera con un buon margine di sicurezza di produzione locale. Com’è implicito, la caratteristica principale di questa classe consiste nella decorazione dipinta, formata da fasce orizzontali di colore rosso o bruno, di spessore variabile, stese sulla superficie lisciata del vaso; non è presente un rivestimento della superficie. Dai frammenti pervenuti possiamo ricostruire la posizione in cui venivano applicate le fasce di pittura: sono per la maggior parte dei casi localizzate sulla superficie piatta dell’orlo (laddove l’orlo stesso abbia queste fattezze) o immediatamente sotto l’orlo. Si trovano inoltre sul corpo del vaso grossomodo all’altezza della spalla, all’attaccatura delle anse e sul piede o subito al di sopra di esso. Per quanto riguarda gli impasti, questi sono già stati analizzati e i colori individuati nella tavola Munsell43: si trovano paste che vanno da una scala di nocciola chiaro (M. 10YR 7/4) fino a toni più aranciati (M. 7.5YR 7/6-8); la maggior parte dei frammenti ha una consistenza molto polverosa.

Già dallo studio del 2004 risulta evidente la preminenza assoluta delle forme chiuse sulle forme aperte, sia nella ceramica a bande sia nella comune, come sarà meglio specificato in seguito. Le forme chiuse sono per la maggior parte anfore o hydriai, indistinguibili con sicurezza data la mancanza di vasi integri o con le relative caratteristiche probanti. Alcune

oinochoai, olpai o brocchette si aggiungono alla lista dei frammenti relativi a forme chiuse,

con uso prevalentemente legato alla distribuzione o al trasporto di liquidi per breve distanza. Per quanto riguarda le seppur poche forme aperte attestate, è interessante notare come si tratti soprattutto di coppe o ciotole, il cui uso può rivelarsi un ulteriore indizio nella ricostruzione del culto praticato presso la vasca.

È proprio questa preponderanza di forme chiuse e la loro specifica funzione quali contenitori per il consumo in loco o il trasporto per brevi distanze di liquidi, il dato più significativo al fine di questo lavoro di tesi, in quanto può essere determinante nello stabilire in che modalità si espletavano le funzioni rituali nel contesto. In aggiunta, elemento notevole al fine dell’identificazione del culto potrebbe essere la preponderanza dei fondi pervenuti rispetto agli orli: attribuire il dato al “fattore caso” sembrerebbe riduttivo in questa circostanza, in quanto si può supporre riferibile a una precisa volontà di esprimere un valore simbolico di una parte del vaso. Da sottolineare poi che alcuni di

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17 questi fondi, non possiamo dire con certezza in quale misura, data l’estrema frammentarietà della maggior parte di essi44, presentano tracce di una intenzionale foratura più o meno centrale, interpretabile come un indicatore simbolico-rituale.

La classe con decorazione dipinta a bande è ampiamente diffusa nel contesto santuariale cauloniate e attestata già dagli scavi di E. Tomasello e di H. Tréziny e sembra poter essere considerata peculiare della città.

Anfore/hydriai

Come già indicato, è questa la forma maggiormente presente negli strati di riempimento della vasca: risulta difficile, in mancanza di esemplari integri o che conservino l’intero orlo, collo e spalla e quindi le tre anse distintive, ricondurre con certezza i frammenti pervenuti alla forma anfora piuttosto che alla forma hydria.

Occorre sottolineare l’estrema uniformità degli esemplari rinvenuti, la maggior parte dei quali presenta caratteristiche tecniche e morfologiche molto simili.

Tipo 145

La maggior parte dei frammenti di orlo rinvenuti è riconducibile a questo tipo e conserva una tesa piatta, di varia lunghezza e spessore. La decorazione consiste in una fascia di colore rosso (M. 5YR 5/8) o rosso-bruno (M. 7.5YR 4/3), stesa sulla parte superiore della tesa. Sono state distinte 3 varianti, proprio a seconda delle caratteristiche della tesa, dell’ incidenza del suo angolo esterno e della presenza o meno di scanalature sulla parte esterna dell’orlo.

Variante 1: si raggruppano in questa variante i frammenti di orlo a tesa breve, con profilo esterno angolato, rettangolare. La pasta risulta essere abbastanza dura e compatta, di colore giallo chiaro (M. 10YR 8/3-4), a volte tendente al grigio (M. 10YR 7/3-4). Gli inclusi sono piccoli e rari, lucenti, di colore chiaro, più frequenti quelli di colore scuro. La decorazione

44 I fondi infatti per la maggior parte non superano l’1/4 di circonferenza conservata ed è quindi impossibile

determinare con precisione il numero di vasi che presentavano questa caratteristica in origine.

45 La classificazione viene operata, non per singoli individui, in quanto un lavoro di questo tipo, seppur di

campionatura, era già stato effettuato dalla Gargini (GARGINI 2004 [2007]), ma si è scelto di racchiudere i tipi in una classificazione più ampia che comprende esemplari con caratteristiche tecniche e morfologiche simili.

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18 consiste in una fascia di colore rosso (M. 5YR 5/8) o rosso-bruno (M. 7.5YR 4/3) posta sulla parte superiore piatta della tesa.

US 302: 28 frr. di orlo e parte di collo relativi a questa variante, di cui 2 con frattura combaciante, a formare circa un terzo della circonferenza totale dell’orlo (raggio di 6 cm, circonferenza ricostruibile circa 37 cm). Il diametro misurato dei rimanenti frammenti, va dai 12 ai 14 cm.

US 303: 26 frr. di orlo e collo, di cui 3 conservano l’attacco e parte dell’ansa, in un caso a bastoncello, negli altri due a nastro. I frammenti hanno un diametro compreso tra i 12 e i 14 cm.

US 307: 20 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra i 12 e i 14 cm, con due eccezioni che hanno diametro di 10 cm.

US 311: 5 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra i 12 e i 14 cm.

US 312: 31 frr. di orlo e collo, dei quali 3 attaccano fra loro a formare all’incirca la metà della circonferenza totale dell’orlo. In due casi si conserva l’attacco e parte dell’ansa a nastro, che si innesta sull’orlo. I diametri sono compresi tra i 13 e 14 cm, con 2 eccezioni con diametro di 8 cm e 1 con diametro di 17 cm.

US 317: 15 frr. di orlo e collo, con diametro compreso tra 11 e 12 cm, 1 solo fr. ha diametro di 14 cm. Uno di questi frammenti conserva integra l’ansa a nastro verticale che attacca all’esterno dell’orlo.

US 318: 23 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra 12 e 15 cm, 2 di questi conservano l’attacco e parte dell’ansa a nastro che si innesta sull’orlo; 1 ulteriore fr. di orlo e collo ha diametro di 10 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pp. 111-112, fig. 60, nn. 12, 22; TRÉZINY 1989, pp. 69-70 e fig. 47, num. 311. Si data al V-IV secolo a.C.; IANNELLI 2001 (2002), pag. 325, fig. 294 (V-prima metà IV sec. a. C.).

Variante 2: rientrano in questa classificazione i frammenti di orlo a tesa estroflesso, con profilo esterno arrotondato e con collo a profilo concavo. La pasta è abbastanza dura e compatta; i colori degli impasti e della fascia di decorazione sono molto simili a quelli della variante 1, con inclusi lucenti molto piccoli e frequenti.

US 302: 16 frr. con diametro tra i 10 e i 12 cm.

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19 US 307: 10 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra i 12 e i 14 cm; da questa US provengono inoltre 2 degli 8 frr. con cui è stata ricomposto parte di orlo, collo, spalla e ansa del vaso (gli altri frr. sono stati rinvenuti nelle US 311 e 317), con diametro di 15 cm. US 311: 3 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra i 12 e i 14 cm.

US 312: 7 frr. di orlo e collo, con diametro di 13-14 cm.

US 317: 8 frr. di orlo e collo, con diametro di 14-16 cm per 6 frr, di 10 cm per 1 fr e di 12,5 per 1 fr.

US 318: 6 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra 10,5 e 12 cm; 2 frr. di orlo e collo, con un diametro di 13-14 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 110 e fig. 59, num. 9-10.

Variante 3: si tratta di frammenti di orlo a tesa con modanatura centrale e profilo esterno arrotondato. Il tratto di collo conservato è a profilo concavo. La pasta è abbastanza dura e compatta, con colori che si mantengono simili a quelli delle varianti precedenti; la decorazione è posta in questo caso lungo la circonferenza interna dell’orlo e consta di una fascia dipinta di colore rosso (M. 5YR 5/8) o rosso-bruno (M. 7.5YR 4/3).

US 302: 3 frr. ricostruibili a formare i due terzi dell’intera circonferenza del vaso, con diametro di 13,5 cm.

US 317: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 13 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 111 e fig. 60, num. 15, pag. 117 e fig. 63, num 64; TRÉZINY 1989, pp. 69-70 e fig. 47, nn. 307-308; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 342, fig. 119.

Tipo 2

I frammenti riconducibili a questo tipo presentano un orlo “a cuscinetto rigonfio”, arrotondato all’esterno ed estroflesso. La pasta è piuttosto dura, di colore giallo chiaro (M. 10YR 8/3-4), con chiari inclusi lucenti, molto piccoli e frequenti. La fascia di colore rosso o rosso-bruno (M. 7.5YR 3/3-4/3) è posta orizzontalmente sotto l’orlo, dalla parte interna del vaso.

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20 US 303: 2 frr. di orlo e una porzione minima di collo. Il diametro misurato è per un fr. di 12 cm e per un fr. di 12,5 cm.

US 307: 1 fr. di orlo e collo con diametro di 14 cm.

US 311: 3 frr. ricomposti di orlo, collo, spalla e ansa integra a nastro ingrossato che attacca sotto l’orlo. Si ricostruisce circa un terzo della circonferenza totale dell’orlo, il cui diametro è di 13 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag, 109, num. 4 e fig. 59; TRÉZINY 1989, pp. 69-70 e fig. 47, nn. 302-304; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 344, fig. 121 num. 252.

Tipo 3

Rientrano nel tipo frammenti di orlo svasato ed estroflesso, modanato all’esterno con una o due sottili solcature parallele. La pasta è semidura, polverosa, con colori dal giallo chiaro (M. 10YR 8/3-4) all’arancio chiaro (M. 7.5YR 8/4). Tracce di vernice si rinvengono sull’orlo, nelle scanalature e all’esterno sotto l’orlo: la pittura si presenta di colore rosso (M. 5YR 5/8) o rosso-bruno (M. 7.5YR 4/3).

US 302: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 12 cm. US 303: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 11 cm. US 307: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 12 cm. US 311: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 14 cm.

US 312: 1 fr. di orlo e collo, con attacco di ansa contigua all’orlo stesso; il diametro è di 13 cm.

US 317: 2 frr. di orlo e collo, con diametro di 10-11,5 cm.

Cfr. TRÉZINY 1989, pp. 69-70 e fig. 47, num. 318. Anfora/hydria acroma “à lèvre

tourmentée”, datata genericamente ad epoca arcaica.

Oinochoai/brocchette o olpai

È la seconda forma attestata nella vasca per numero di esemplari. I frammenti di orlo riconducibili a questa forma presentano caratteristiche morfologiche piuttosto omogenee: l’orlo è indistinto (tipo 1) o distinto solo attraverso una decisa angolatura (tipo 2). Gli

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21 impasti, di consistenza per lo più polverosa, sono di color arancio (M. 7.5YR7/6) o giallo chiaro (M. 2.5Y 8/3). La decorazione consta di fasce di vernice di colore rosso (M. 5YR 5/8) o rosso-bruno (M. 7.5YR 4/3), come nei casi precedenti, stesa al di sotto dell’orlo all’interno e/o all’esterno.

Tipo 1

I frammenti di orlo così classificati sono indistinti e svasati, superiormente arrotondati e tendenti ad assottigliarsi, quasi sempre conservano una porzione di collo a profilo concavo. La pasta è semidura, di consistenza polverosa, di color arancio (M. 7.5YR7/6) o giallo chiaro (M. 2.5Y 8/3), con inclusi lucenti di colore chiaro, fini e frequenti. La fascia di colore è posta sotto l’orlo all’interno o all’esterno del vaso, solo in alcuni casi su entrambi i lati, ed è di colore rosso molto scuro, tendente al marrone (M. 5YR5/6).

US 302: 5 frr. di orlo e collo, con diametri tra i 10 e gli 11 cm. US 303: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 7 cm.

US 307: 5 frr. di orlo e collo, con diametri compresi tra i 7 e i 10 cm circa, 3 dei quali conservano l’attacco dell’ansa a nastro appena sotto l’orlo.

US 312: 1 fr. di orlo e collo, molto piccolo, il cui diametro è di circa 13 cm; 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 9 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pp. 109-110, fig. 59 nn. 2 e 7; TRÉZINY 1989, pag. 71, fig. 48, nn- 328-329 (epoca arcaica); DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 341, n. 231-232.

Tipo 2

Si riconoscono frammenti di orlo distinto attraverso una angolazione netta dell’estroflessione, svasato, superiormente arrotondato. Il corpo ceramico è semiduro, polveroso, di colore arancio (M. 7.5YR7/6) o giallo chiaro (M. 2.5Y 8/3), con chiari inclusi lucenti molto fini e frequenti. La fascia di colore si trova solitamente sotto l’orlo nella parte interna del vaso, ma con rare eccezioni si duplica nella parte esterna; il colore anche in questo caso è sui toni del rosso-bruno (M. 5YR5/6).

US 303: 1 fr. di orlo e collo, con ansa a nastro integra, il diametro è di 12 cm; 1 fr. di orlo e collo con diametro di 12,5 cm; 1 fr. di orlo e collo con diametro di 7 cm.

US 307: 2 frr. di orlo e collo, ricostruibili a formare circa un terzo della circonferenza totale dell’orlo, con diametro di circa 12 cm.

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22 US 312: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 8 cm.

US 317: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 8,5 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pp. 109-110, fig. 59 nn. 3 e 11; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 341, fig. 118 num. 233.

Tipo 3

Un solo frammento fa parte di questa classificazione ed è relativo a un orlo e collo di olla, ingrossato, con sezione triangolare e sottile scanalatura all’esterno. Il corpo ceramico è piuttosto duro, compatto, di colore nocciola chiaro (M. 10YR 7/4) e con inclusi di piccole dimensioni, rari quelli di colore chiaro, frequenti quelli di colore scuro. Una traccia di pittura di colore marrone (M. 10YR 4/3) è visibile sull’orlo e al di sotto di esso, sulla parete interna, anche se molto erosa.

US 317: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di 16 cm. Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag.111, fig. 60 num. 20.

Brocche

Un solo frammento di orlo è riconducibile a questa forma, per quanto riguarda la classe della ceramica a bande. Nella classificazione precedente erano stati presi in considerazione solo esemplari acromi46, ai quali in questa sede se ne aggiunge uno, appunto, con decorazione a bande.

La pasta è piuttosto morbida e polverosa, di colore giallo chiaro (M. 2.5Y 8/4); la decorazione consiste, come per i generi precedentemente descritti, in una fascia di colore rosso-bruno (M. 7.5YR 4/3), stesa sotto l’orlo.

Il frammento pervenuto conserva un orlo breve a listello, piatto superiormente, con collo con cambio direzionale prima convesso poi concavo.

US 303: 1 fr. di orlo e collo, con diametro di circa 14 cm. Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 118, fig. 63, num. 68.

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Basi non identificate di forma chiusa

Questi frammenti sembrerebbero per lo più poter essere riconosciuti come fondi di anfora/hydria, anche se in via del tutto ipotetica, per lo stato troppo frammentario o eroso dei reperti che non ne permette una più precisa identificazione.

La fascia di decorazione dipinta di colore rosso o rosso-bruno (M. 7.5YR 3/3-4/3), seppur molto erosa, si conserva sulla parte esterna del piede.

Tipo 1

Si tratta di frammenti di base con piede ad anello, ben distinto. Gli impasti sono abbastanza morbidi, di consistenza polverosa, di colore che va dall’arancio-rosato (M. 7.5YR 7/4) al nocciola chiaro (M. 10YR 8/4); inclusi misti, di colore chiaro e scuro, molto piccoli e frequenti.

Variante 3: si tratta di frammenti di basso piede ad anello, leggermente rientrante, appoggio angolato, parete obliqua a profilo convesso.

US 302: 6 frr. di piede, fondo e parte di parete. Diametri tra i 10 e i 12 cm. US 303: 3 frr. di piede e parete, con diametro di 12 cm.

US 312: 1 fr. di piede e parete, con diametro di 10 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pp. 115-116, fig. 62, nn. 45, 49, 53; DU PLAT TAYLOR 1977, pag. 344, fig. 121 num. 258.

Tipo 2

Frammenti di basi con piede a disco, presenti nel contesto in misura minore rispetto al tipo precedentemente descritto. Anche in questo caso gli impasti sono semiduri, di consistenza polverosa, di toni compresi tra l’arancio-rosato (M. 7.5YR 7/4) e il giallo chiaro (M. 2.5Y 8/3), inclusi di colore chiaro e lucente, molto piccoli e frequenti.

Variante 1: sono compresi frammenti con piede a disco, poco distinto, con profilo esterno arrotondato, leggermente rientrante, con parete obliqua a profilo convesso.

US 311: 1 fr. di piede e parete, con diametro di 12 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pp. 114 e 116, fgg. 61 e 63, nn. 35, 56; DU PLAT TAYLOR 1977, pag. 344, fig. 121 num. 254.

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Coppe/ciotole

Le forme aperte costituiscono evidentemente la minoranza dei reperti del contesto della vasca, sia per quanto riguarda la classe con decorazione a bande, sia per la ceramica acroma, come si dirà in seguito.

Gli impasti sono duri e compatti, di colore giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3). Per quanto riguarda i frammenti di orlo dipinti, questi sono tutti piatti superiormente, con la fascia di pittura di colore bruno (M. 10YR 3/2) che copre l’intera superficie dell’orlo, in alcuni casi estesa anche a una porzione della parete interna.

Per quanto riguarda invece le basi, molto pochi sono i frammenti che conservano tracce della decorazione dipinta, forse a causa degli effetti del tempo, forse per una scelta decorativa. In alcuni casi è stato rinvenuto un foro, posto grossomodo al centro del fondo.

Orli Tipo 1

Il tipo 1 raggruppa frammenti di orlo ingrossato e leggermente introflesso, superiormente piatto e parte della vasca con parete quasi verticale. Il corpo ceramico è piuttosto duro, fine e compatto, di colore giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3); rari inclusi chiari, molto piccoli. La decorazione consiste in una fascia di colore bruno (M. 10YR3/2) stesa sopra l’orlo.

Variante 1: si tratta di frammenti di orlo ingrossato e leggermente introflesso, superiormente piatto, vasca con parete a profilo convesso. Corpo ceramico abbastanza duro, di colore giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3) e con inclusi rari, piccoli e lucenti. La fascia di pittura di colore bruno (M. 10YR3/2) è stesa sulla superficie piatta dell’orlo.

US 307: 1 fr. di orlo e vasca, con diametro di 17 cm. US 318: 1 fr. di orlo e vasca, con diametro di 13 cm.

Cfr. TRÉZINY 1989, pp. 63-69, fig. 45 num. 282 (V sec. a.C.); IANNELLI 2001 (2002), pag.324 e fig. 288 (nn. inv. 124793-4), databili tra la fine del VI e il V secolo a.C.; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pp. 338-339, fig. 116, nn. 205-206.

Tipo 2

Il frammento in questione, per quanto piuttosto simile nell’orlo a quelli del tipo precedente, si differenzia per l’andamento della vasca: l’orlo è ingrossato, superiormente piatto, la vasca con parete a profilo convesso-concavo. Il corpo ceramico è abbastanza duro,

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25 compatto, di colore giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3) e con inclusi rari, piccoli e lucenti. La fascia di pittura di colore bruno (M. 10YR 3/2) è stesa sulla superficie piatta dell’orlo. US 311: 1 fr. di orlo e vasca, con diametro di 10 cm circa.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 109, fig. 59 num. 6; IANNELLI 2001 (2002), pag. 324 e fig. 287 (num. inv. 124785), databili tra la fine del VI e il V secolo a.C; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pp. 338-339, fig. 116, nn. 211.

Tipo 3

Si tratta di frammenti con orlo ingrossato a sezione triangolare, con porzione di parete a profilo convesso. Il corpo ceramico è duro, fine e compatto, di colore giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3); rari inclusi di piccole dimensioni, di colore chiaro. Le sottili fasce di pittura sono stese sulle pareti esterne della vasca, di solito sono due parallele, di colore bruno (M. 10YR3/2).

US 302: 1 fr. di orlo e parte di vasca, con diametro di circa 10 cm. US 312: 1 fr. di orlo e vasca, con diametro di 13 cm circa.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 117, fig. 63 num. 67.

Basi non identificate di forma aperta

Un solo fondo può essere riconosciuto con sicurezza come appartenente alla classe.

Si tratta di un tipo di base con piede a stelo svasato con appoggio piatto. Il corpo ceramico è molto duro, compatto, color giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3), con frequenti, piccoli inclusi marroncini. La fascia dipinta consiste in una labile traccia di colore rosso (M. 7.5YR 3/3) sotto la base.

US 303: 1 fondo interamente ricomposto da 4 frr., con foro centrale; il diametro è di 6 cm. Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 113, fgg. 57 e 61, num. 31.

Patera

Il frammento di patera rinvenuto è caratterizzato da un profilo concavo-convesso piuttosto articolato e da una vasca profonda. L’orlo è ingrossato e rientrante, le pareti della vasca hanno andamento concavo.

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26 L’impasto è duro e compatto, di colore giallo chiaro (M. 7.5Y 8/3). La decorazione dipinta è stesa sulla superficie esterna dell’orlo e consiste in una fascia di colore rosso (M. 7.5YR 3/3).

US 302: 1 fr. di orlo e vasca, con diametro di 11 cm circa.

Cfr. IANNELLI 2001 (2002), pag. 325 e fig. 302 (num. inv. 124720), datato al IV sec. a.C.

Pisside

Un unico esemplare identificabile come pisside è pervenuto dal contesto della vasca e consiste in un fondo frammentario, che conserva un foro di natura intenzionale al centro del fondo.

Il piede è a disco, a profilo esterno squadrato, con appoggio quasi piatto e parete leggermente svasata. Il corpo ceramico è molto duro e compatto, di color arancio chiaro (M. 7.5YR8/4), con inclusi piccoli, chiari e frequenti. La decorazione consiste in due fasce di pittura parallele color arancio (5YR 6/8), molto sbiadite, poste sulla superficie esterna del piede.

US 303: 1 fondo frammentario, con diametro di 8 cm forato al centro,. Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 113, fig. 61, num. 32.

Cratere

L’unico frammento conservato è relativo a un orlo ingrossato a tesa, estroflesso. Il corpo ceramico è abbastanza duro e compatto, di colore rosa chiaro (M. 5YR 8/4), con inclusi di piccole dimensioni di colore chiaro. La decorazione è molto erosa, sull’orlo, di colore rosso-bruno (M. 10YR3/2).

US 303: 1 fr. di orlo e parte di parete, con diametro di 15 cm.

Lucerne

Solo due frammenti, non ricongiungibili sono pertinenti a una o due lucerne con decorazione a bande. L’impasto di entrambi i frammenti risulta essere molto duro e compatto, di colore rosa chiaro (M. 5YR 8/4), depurato, con una spessa fascia di decorazione di colore marrone (5 YR 4/6).

US 312: 2 frr. relativi alla vasca.

(27)

27

Anse

Nella maggior parte dei casi non è stata possibile un’attribuzione specifica delle anse a una determinata forma, pertanto ci si limita in questa sede ad elencare i frammenti rinvenuti con le relative caratteristiche. Le anse conservano per lo più tracce della decorazione dipinta nei pressi degli attacchi: questa consiste in fasce di pittura stese orizzontalmente con colori simili a quelli precedentemente indicati; solo in qualche raro caso, il colore rosso o rosso scuro è steso su tutta la superficie dell’ansa.

US 302: 17 frr. di ansa a nastro, di cui 3 di piccole dimensioni; 4 frr. di ansa a bastoncello. US 303: 5 frr. di ansa a nastro; 3 frr. a bastoncello.

US 307: 9 frr. di ansa a nastro: uno di questi presenta una sellinatura centrale, e in 4 casi sembra poter dire che l’innesto dell’ansa sia contiguo con l’orlo; 3 frr. di ansa a bastoncello.

US 311: 1 fr. di ansa a bastoncello; 3 frr. di ansa a nastro, 2 dei quali attaccano tra loro a formare un’intera ansa ad andamento orizzontale.

US 312: 1 ansa a nastro integra, il cui attacco sembra essere continuo con l’orlo; 9 frr. di ansa a nastro; 3 frr. di ansa a bastoncello.

US 317: 2 frr. di ansa a nastro.

US 318: 10 frr. di ansa a nastro; 1 ansa integra a bastoncello.

Pareti

Si inserisce infine il dato numerico riguardante i frammenti di parete rinvenuti nel contesto, anche se non elementi diagnostici, rilevanti nel dato quantitativo. I frammenti rinvenuti spesso mostrano tracce della decorazione dipinta, che consiste in fasce di pittura di colori del tutto simili a quelle rinvenute sugli orli e sui fondi, in molti casi però sbiadita. La quantità dei frammenti conservati di spessore tale da poter essere relativi ad anfore/hydriai, sembra coerente con la quantità di orli e fondi ad esse attribuibili.

US 302: 72 frr. di parete; 3 di questi conservano l’attacco dell’ansa, in un caso a bastoncello, negli altri 2 a nastro.

US 303: 21 frr. di parete.

US 307: 57 frr. di parete, in uno rimane traccia dell’attacco dell’ansa a bastoncello. US 311: 11 frr. di parete.

(28)

28 US 317: 15 frr. di parete.

US 318: 29 frr. di parete, di cui 1 conserva l’attacco dell’ansa a nastro. US 323: 3 frr. di parete.

- Verosimilmente ceramica dipinta a bande

È stato sottolineato dalla Gargini, e in questo mi trova in accordo, come la grande quantità di fondi e pareti acromi non si possano considerare con certezza tali: infatti, nella classe della ceramica a bande, non tutto il corpo del vaso era dipinto, la decorazione anzi era limitata all’orlo e alla spalla del vaso e quindi il fondo e una porzione di parete spesso ne rimanevano privi. Pertanto, sulla base degli impasti e delle forme ricorrenti47, è stata distinta anche una classe i cui componenti sono “verosimilmente riconducibili alla ceramica a bande”. A questo si potrebbe aggiungere la logica considerazione che a un orlo deve necessariamente corrispondere un fondo per completare la forma vascolare, quindi alla gran quantità di orli dipinti rinvenuti dovrà corrispondere, almeno in parte, una quantità di fondi. Non possiamo non tener conto però della possibilità che venissero usate nel contesto analoghe forme (e per le stesse pratiche) di quelle dipinte ma nate come acrome. Com’è ovvio, l’attribuzione di frammenti a questa classe è del tutto ipotetica e si basa su indizi e non su prove certe: il dato certo in questo caso mi è impossibile da ricostruire.

Anfore/hydriai

Le attestazioni sono per lo più riconducibili a queste forme: si tratta di basi con piede a disco e ad anello. I tipi distinti sono morfologicamente compatibili con quelli sicuramente riconoscibili come appartenenti alla classe dipinta a bande.

Tipo 1

47

Le forme, infatti, anche nella ceramica acroma risultano coerenti con quelle della categoria “dipinta a bande”.

(29)

29 Si tratta di frammenti di base con piede ad anello, ben distinto. Gli impasti sono abbastanza morbidi, di consistenza polverosa, di colore che va dall’arancio-rosato (M. 7.5YR 7/4) al nocciola chiaro (M. 10YR 8/4), con inclusi misti, di colore chiaro e scuro, molto piccoli e frequenti.

Variante 1: si riconoscono basi con piede ad anello, distinto, leggermente rientrante, a profilo esterno arrotondato, appoggio piatto e parete obliqua.

US 302: 24 frr. di base e parete, con diametri tra i 12 e i 14 cm.

US 307: 17 frr. di base e parete, con diametro di 10-12 cm; due di questi frammenti attaccano tra loro a formare all’incirca la metà della circonferenza del piede.

US 311: 4 frr. di piede e parete, con diametro di 10,5-12 cm; 3 frr. di fondo e parete, ricomposti a formare i tre quarti della circonferenza totale della base, con diametro di 10 cm circa, è inoltre presente un foro al centro del fondo.

US 312: 1 fr. di base e parete, con diametro di 10 cm.

US 317: 4 frr. di piede e parete, con diametro di 12 cm, per i quali è stato possibile riconoscere l’attacco a formare 2 metà circa di due diversi vasi; 1 fr. di piede e parete, con diametro di 14 cm.

US 318: 1 fr. di base e parete, con diametro di 12 cm; 1 fondo integro, con diametro di 7 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 114, fig. 61, nn. 34, 36-38; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 345, fig. 121 num. 259.

Variante 2: in questo caso il piede ad anello presenta sull’esterno due sottili solcature parallele; l’appoggio è arrotondato, la parete obliqua.

US 307: 4 frr. di base e parete, con diametro di 12-13 cm. US 312: 3 frr. di base e parete, con diametro di 12-13 cm. US 318: 1 fr. di base e parete, con diametro di 12 cm. Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 115, fig. 61, nn. 43-44.

Variante 3: i frammenti di questa categoria hanno basso piede ad anello, leggermente rientrante, appoggio angolato e parete obliqua a profilo convesso.

(30)

30 US 307: 31 frr. di base e parete, con diametri generalmente compresi tra i 10 e i 12 cm, con 2 eccezioni che hanno un diametro di 17 cm circa. 5 di questi frammenti sono ricostruibili: in un caso abbiamo 2 frr. che attaccano a formare all’incirca la metà della circonferenza totale del piede, i rimanenti 3 frr. sono ricostruibili per circa i due terzi del totale del piede. A questi si aggiunge un fondo integro, con diametro di 12 cm; proviene da questa US inoltre, 1 dei 3 frr. (gli altri sono stati rinvenuti nelle US 317 e 318) con cui è stato totalmente ricomposto un fondo che presenta il fondo forato al centro, con diametro di 10,5 cm.

US 311: 19 frr. di base e parete. Di questi, 10 attaccano tra loro a 2 a 2, a formare la metà della circonferenza totale del piede; 3 frr. formano un fondo quasi completo con diametro di 12 cm; in generale i diametri sono compresi tra gli 11 e i 12 cm.

US 312: 1 fr. di base e parete, con diametro di 10 cm.

US 317: 4 frr. di piede e parete, con diametri compresi tra gli 8 e gli 11 cm. US 318: 1 fr. di piede e parete, con diametro di 12 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pp. 115-116, fig. 62, nn. 49, 50, 53.

Tipo 2

Il tipo 2 comprende frammenti di basi con piede a disco, presenti nel contesto in misura minore rispetto al tipo precedentemente descritto. Anche in questo caso gli impasti sono semiduri, di consistenza polverosa, di toni compresi tra l’arancio-rosato (M. 7.5YR 7/4) e il giallo chiaro (M. 2.5Y 8/3), inclusi di colore chiaro e lucente, molto piccoli e frequenti. Variante 1: i frammenti così indicati hanno piede a disco, poco distinto, con profilo esterno arrotondato, leggermente rientrante e con parete obliqua a profilo convesso.

US 302: 1 fr. di base e parete, con diametro di 12,5 cm.

US 307: 8 frr. di base e parete, con diametro compreso tra gli 8 e i 10 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 114, fig. 61, num. 35; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 344, fig. 120 nn. 248-249.

Variante 2: si differenziano questi frammenti con piede a disco per il profilo esterno angolato, leggermente rientrante, con parete obliqua a profilo convesso.

US 302: 14 frr. di base e parete, con diametri tra i 10 e i 12 cm. US 307: 14 frr. di base e parete, con diametri tra gli 8 e i 10,5 cm.

(31)

31 US 312: 1 fr. di base e parete, con diametro di 8 cm.

US 317: 2 frr. ricomposti di base e parete, a formare poco più della metà della circonferenza totale della base, con diametro di 12,5 cm.

US 318: 1 fr. di base e parete, con diametro di 9 cm.

Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 116, fig. 63, num. 58; DU PLAT TAYLOR et al. 1977, pag. 344, fig. 120 num. 247.

Anforetta ad alto piede

Sono stati rinvenuti due frammenti di fondo con alto piede a stelo, ben distinto dalla parete con andamento curvilineo. L’impasto è piuttosto duro e compatto, di colore nocciola chiaro (M. 10YR 7/4), con piccoli e rari inclusi di colore scuro.

US 302: 2 frr. di fondo e piede, con anche una porzione di parete, pertinenti forse allo stesso vaso ma non ricongiungibili; il diametro misurato è di 5 cm.

Cfr. PALOMBA 2004 (2007), pag. 401 num. 1 e pag. 418 num. 30 e fig. 154 numm.1-2 (seconda metà IV secolo a.C.).

Coppe/ciotole

Anche per questa classe ceramica, come per la totalità dei reperti della vasca, i frammenti relativi a forme aperte costituiscono una minoranza. Le caratteristiche morfologiche salienti corrispondono a quelle dei frammenti di coppe/ciotole appartenenti alla classe della ceramica con decorazione dipinta a bande: il corpo ceramico è prevalentemente duro, compatto, fine, di color nocciola chiaro (M. 10YR 7/4), con inclusi misti di colore chiaro e marroncini, di piccole dimensioni, molto frequenti.

Tipo 1

Il tipo comprende frammenti di base con piede ad anello, angolato all’esterno e angolato anche l’appoggio; parete obliqua a profilo convesso.

US 302: 4 frr. di base e vasca, con diametri di 7-7,5 cm. US 307: 3 frr. di base e vasca, con diametro di circa 10 cm. US 318: 1 fr. di base e vasca, con diametro di 12 cm. Cfr. GARGINI 2004 (2007), pag. 116, fig. 63, num. 57.

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