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Studio del ruolo che il protozoo Acanthamoeba polyphaga ha nel diffondere e proteggere Adenovirus 5 in ambienti acquatici

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Laurea Magistrale in Biologia Marina

Tesi di Laurea

Studio del ruolo che il protozoo Acanthamoeba polyphaga ha nel diffondere

e proteggere Adenovirus 5 in ambienti acquatici.

Relatori:

Prof.ssa Annalaura Carducci Dott. Marco Verani

Candidato:

Carmine Tammaro

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Indice

I. Riassunto

II. Abstract

1. Introduzione

1.1 Protozoa

1.2 Acanthamoeba spp.

1.2.1 Biologia

1.2.2 Distribuzione in natura e crescita in laboratorio

1.2.3 Patogenicità

1.2.4 Interazione tra Acanthamoeba spp. ed altri microrganismi

1.3 Virus enterici presenti in ambienti acquatici

1.3.1 Human Adenovirus

1.4 Interazione tra virus ed Acanthamoeba spp

1.5 Disinfezione di ambienti idrici con il cloro

2. Scopo

3. Materiali e Metodi

3.1 Crescita di A. polyphaga

3.1.1 Mantenimento generale della coltura

3.1.2 Allestimento della coltura di A. polyphaga prima dell’infezione

(3)

3.2 Replicazione del virus

3.2.1 Metodo di Spearman-Karber per titolazione virale TCID

50

3.3 Esperimenti di co-coltura A. polyphaga/HAdV5

3.4 Preparazione vetrini per immunofluorescenza

3.5 Valutazione della localizzazione del virus

3.6 Prove sperimentali in vitro di disinfezione con NaOCl di A. polyphaga

3.7 Prove sperimentali in vitro di disinfezione con NaOCl di HAdV5

3.8 Valutazione dell’infettività di HAdV5 in seguito a co-coltura con A.

polyphaga ed ai trattamenti con NaOCl

4. Risultati e Discussioni

4.1 Valutazione della localizzazione del virus

4.2 Resistenza di A. polyphaga al disinfettante

4.3 Resistenza di HAdV5 al disinfettante

4.4 Valutazione della localizzazione e dell’infettività di HAdV5 in seguito

all’internalizzazione ed ai trattamenti con NaClO

5. Conclusioni

Bibliografia

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Tabelle e Figure

Figura 1.1: Trofozoite di Acanthamoeba

Figura 1.2. Cisti di Acanthamoeba (Kilvington, 2000)

Tabella 1.1. Batteri patogeni capaci di sopravvivere nei protozoi (Barker et al., 1994) Figura 1.3. Immagine al microscopio elettronico di A. polyphaga infettata da L.

pneumophila

Tabella 1.2. Virus enterici

Tabella 1.3. Sopravvivenza dei virus enterici in acqua di mare e di fiume Figura 1.4. Trasmissione dei virus enterici attraverso l'acqua (Carducci, 2010) Figura 1.5. Adenovirus

Figura 1.6. Immagini di Mimivirus al microscopio elettronico Figura 1.7. Struttura del Mimivirus

Figura 1.8. Adenovirus all''interno di A. castellani Figura 3.1. Fiasca da 25 cm2

Figura 3.2. 24 well-plate

Figura 3.3. Vetrino per immunofluorescenza Figura 3.4. Monostrato poco confluente Figura 3.5. Monostrato quasi confluente Figura 3.6. Monostrato confluente Figura 3.7. Camera di Burker

Figura 3.8. Effetto citopatico osservato in un pozzetto “positivo” della 96 well plate Figura 3.9. Immunofluorescenza diretta

Tabella 3.10. Schema dell'esperimento

Figura 4.1. Cellula HeLa non infettata e cellula HeLa infettata con la caratteristica fluorescenza verde

Figura 4.2. Trofozoiti co-coltivati con sospensione virale contenente detriti cellulari, i cristalli di PBS e l'acetone in eccesso coagulano l'anticorpo e la fluorescenza appare troppo diffusa

(5)

Figura 4.3. Trofozoiti co-coltivati con sospensione virale contenente detriti cellulari (10x)

Figura 4.4. Trofozoiti che mostrano HAdV5 all'interno del citoplasma in seguito a co-coltura con sospensione virale contente detriti cellulari

Figura 4.5. Trofozoiti co-coltivati con sospensione virale contenente detriti cellulari Figura 4.6. Trofozoiti co-coltivati con virus liberamente sospeso (= controllo) Figura 4.7. Controllo, trofozoiti + D-MEM

Figura 4.8. Valutazione della vitalità dei trofozoiti di A polyphaga in seguito a trattamento con Cl libero, per ogni gruppo viene riportato l’errore standard

Figura 4.9. Esperimento di disinfezione HAdV5 + HeLa (ogni campione è stato replicato 3 volte)

Figura 4.10. Valutazione dell’infettività di HAdV5 con Cl attivo Figura 4.11. Valutazione (2) dell'infettività di HAdV5 con Cl attivo

Figura 4.12. A. polyphaga co-coltivata con virus+HeLa e trattata con 5 mg/l di Cl attivo Figura 4.13. A.poliphaga co-coltivata con virus+HeLa e trattata con 2,5 mg/l di Cl attivo Figura 4.14. A.polyphaga co-coltivata con virus liberamente sospeso e trattata con 5 mg/l di Cl attivo

Figura 4.15. A. polyphaga co-coltivata con virus liberamente sospeso e sottoposta a trattamento di controllo

Figura 4.16. Titolo di HAdV 5 dopo la lisi dei trofozoiti

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I. RIASSUNTO

Gli Adenovirus sono responsabili di un'ampia gamma di patologie, tra cui: infezioni all'apparato respiratorio, gastrointestinale e urinario. Vengono escreti con le feci e sono stati trovati in numerosi ambienti acquatici come il mare, i fiumi ed anche in riserve d'acqua potabile trattate con disinfettanti. Vista la loro grande diffusione, la presenza di Adenovirus può essere utilizzata come indicatore di contaminazioni virali e dell'efficienza dei trattamenti per l'eliminazione dei virus dalle acque reflue.

Il genere Acanthamoeba comprende specie ubiquitarie a vita libera che possono causare cheratiti oppure, in individui affetti da immunodeficienza, encefalite granulomatosa. Il loro ciclo vitale comprende uno stadio di trofozoite, in cui l'organismo si riproduce e si nutre, e uno stadio di cisti, in cui si forma una doppia parete che determina un'alta resistenza a condizioni ambientali avverse e a trattamenti di disinfezione.

Diversi lavori hanno dimostrato che le amebe possono funzionare come veicolo per altri microrganismi, i quali non riescono ad essere digeriti in seguito alla fagocitosi e diventano endocitobionti. Inoltre, sono stati riportati pazienti con co-infezioni oculari dovute ad Acanthamoeba e virus, inclusi alcuni Adenovirus.

L'obiettivo di questo studio è quello d'indagare i fattori che portano all'internalizzazione di Adenovirus 5 (HAdV5) ed evidenziare la possibilità che il virus può acquisire lo stesso grado di resistenza dell'Acanthamoeba polyphaga (AP) alla disinfezione con ipoclorito di sodio.

Il ceppo di Acanthamoeba è stato coltivato in condizioni asettiche nel terreno di crescita PYG, mentre il virus è stato replicato su colture cellulari HeLa.

La prima parte degli esperimenti è stata eseguita con la finalità di standardizzare un protocollo per la fagocitosi del virus da parte dell'ameba in acqua.

La localizzazione del virus all'interno dei trofozoiti è stata rilevata con la tecnica di immunofluorescenza diretta (kit: 17-020, Argene, France).

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Nella seconda parte dello studio è stata testata l'efficacia dell'ipoclorito di sodio contro l'ameba e il virus, sia presi singolarmente che in seguito all'internalizzazione, ad una concentrazione di Cl libero pari a: 1-2,5-5 mg/l per 24 ore.

I dati ottenuti dimostrano che HAdV 5 non viene incorporato dall'AP se vengono rimossi i detriti cellulari e le cellule sulle quali era stato replicato, confermando che questi protozoi hanno una taglia preferenziale di cattura e che il virus liberamente sospeso non riesce a penetrare la membrana citoplasmatica dell'ameba.

Nei test di disinfezione AP è risultata resistente a tutte le concentrazioni di Cl2 sperimentate, mentre HAdV 5 (con una concentrazione di 103 TCID50/ml) perde la sua infettività a partire da una concentrazione di Cl attivo di 5 mg/l.

Nelle prove effettuate su co-culture di virus e ameba è stato rilevato virus all'interno del citoplasma ameboide, grazie alla tecnica d'immunofluorescenza, a tutte le concentrazioni di Cl attivo sperimentate.

La valutazione dell'infettività di HAdV5, per mezzo di titolazione virale DCP50, ha mostrato come un'aliquota di virus rimane intatto e virulento in seguito alla fagocitosi da parte dei trofozoiti ed ai trattamenti con il Cl.

I risultati di questo studio sottolineano quanto può essere importante il ruolo che ha

Acanthamoeba plyphaga nel proteggere Adenovirus, ed altri virus enterici che si trovano

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II. Abstract

Adenovirus are responsible for a wide range of health effects, including respiratory, gastrointestinal and urinary infections. They are excreted in large number in human feces and it is known that they occur in aquatic environments, as river and sea water, but also in treated drinking-water supplies and sewage. Many studies suggest Adenovirus as potential indicator for the presence of human sewage and for the efficiency of viral removal in wastewater depuration plants, due to its high resistance to some disinfection process.

Free-living amoebae have been recovered from similar water reservoirs and it has been shown that they may act as reservoirs or vehicles of various microorganisms that live in the same environment, by phagocytosis without kill them.

In this work it has been studied the interaction between Human Adenovirus type 5 (HAdV 5) and Acanthamoeba polyphaga (AP) in water environment, in order to highlight the role of protection from chemical disinfection after the virus internalization by protozoa.

In the first part of the study a series of experiments were performed to standardize a methodology for virus-amoeba "co-cultivation". Acanthamoeba polyphaga (ATCC strain 1501/18) was cultured axenic in PYG medium and incubated at 24° C.

The amoebas were taken from the medium and inoculated on a 24-well plate to provide a monolayer until the mean concentration, counted by Burker chamber, of 105 cells/ml. Meanwhile an aliquot of adenovirus (ATCC strain VR-5) was added to an A549 cell culture flasks to propagate the viruses. After 5 days, it was visible a marked cytopathic effect and the virus titer was counted by Karber method titration. Than a series of mixtures formed by water, AP and HAdV both free than in infected A549 cells (or adsorbed on cellular debris), were co-cultured together for 1 day at 25°C.

After this time viral uptake was assessed by direct immunofluorescence kit (IF) (17-020, Argene, France).

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In a second series of experiments, it was assessed the efficacy of sodium hypochlorite disinfection against AP and HAdV either singly, by cultural methods, or when co-cultured, as above method. In particular 3 different concentration in water were tested: 1 – 2,5 - 5 mg/l for 24 hours contact time.

The data obtained by the co-culture trials demonstrated that HAdV 5 was incorporated into the host amoeba only when it was in infected A549 cells, confirming, as published by other authors, that protozoa have a preference of prey size.

In singly disinfection tests, the results were similar to known data, with AP more resistant than HAdV to chemical disinfection: amoeba still remains alive with 5 mg/L sodium hypochlorite while HAdV loss the infectivity.

In co-cultured trials, at any disinfectant concentration, we found, by IF, HAdV in AP cytoplasm; in addition, after the breaking up of trophozoites by 6 freeze-thaw cycles, we discover that the virus retains its infectivity.

The results of the study confirm and underline the possible role of protection of

Acanthamoeba polyphaga for Human Adenovirus type 5 against chemical disinfection

in water environment especially when virus is adsorbed in cellular debris.

More deeply studies in co-cultured experiments will quantify more deeply how many virus manage to enter in the amoebas and among them which part retain virulence, revealing a new system of viral resistance in water environments.

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1. Introduzione

Le amebe a vita libera sono molto diffuse in natura e si trovano abitualmente in ambienti acquatici, dove hanno un grosso impatto sul biofilm microbico, sede anche di numerosi virus che si adsorbono ad esso, cibandosi di diversi microrganismi e contribuendo al riciclo dei nutrienti.

Dal punto di vista della salute pubblica, le amebe, e soprattutto le cisti, sono in grado di resistere a vari fattori di stress sia chimici che fisici e grazie a questa capacità potrebbero, quindi, proteggere qualsiasi microrganismo al loro interno da condizioni ambientali che normalmente li avrebbero uccisi (Barker et al., 1992; Thomas et al., 2009). Di conseguenza, è molto importante cercare di capire come controllare le amebe a vita libera in acqua o altri liquidi. In generale, c’è scarsezza d’informazioni riguardanti i meccanismi d’azione dei biocidi contro trofozoiti e cisti di questo genere di amebe. La maggior parte degli studi riguardano Cryptosporidium e Giardia spp. che sono stati coinvolti in focolai di malattie gastrointestinali, mentre per quanto riguarda

Acanthamoeba spp. è stata testata la sua resistenza soprattutto a disinfettanti usati nelle

soluzioni per lenti a contatto.

In questo lavoro di tesi ci proponiamo di fare chiarezza e rivelare un nuovo sistema di resistenza virale dovuto all’internalizzazione in A. polyphaga.

1.1 Protozoa

Con il termine protozoi si indicano degli organismi eucarioti unicellulari che, pur non costituendo un gruppo naturale ed essendo diversissimi tra loro, presentano delle strutture tipiche, possono essere sessili, mobili o natanti e sono presenti in ogni tipo di ambiente, purché presenti umidità. La sistematica dei protozoi è molto complessa e in continua evoluzione, per cui, per semplicità, è possibile considerare i protozoi divisi in 4 gruppi principali: Flagellati, Sarcodini, Sporozoi e Ciliati (Ricci, 1989).

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Sarcodini: sono caratterizzati da una forma variabile e da movimenti ameboidi; spesso presentano gusci di rivestimento di varia natura. Es. amebe, tecamebe, foraminiferi, radiolari ed eliozoi.

Flagellati: presentano flagelli come organi locomotori. Es. Euglena, Trypanosoma,

Volvox.

Ciliati: presentano ciglia come organi locomotori o adattati per la nutrizione, creando un vortice d'acqua per attirare le sostanze alimentari. Es. Paramecium, Vorticella.

Sporozoi: sono protozoi parassiti di ridotte dimensioni, le cellule adulte non sono capaci di muoversi autonomamente e presentano un caratteristico organo apicale (visibile solo a forti ingrandimenti). Es Plasmodium, Toxoplasma.

Tutti gli organismi appartenenti a questo raggruppamento sono di piccole dimensioni, variabili tra 10 e 800 µm.

In generale, i Protozoi si riproducono agamicamente per scissione; tuttavia sono noti fenomeni di riproduzione sessuale soprattutto nei ciliati. I microrganismi di questo particolare gruppo sono dotati di 2 tipi di nucleo, definiti macronucleo e micronucleo. Il macronucleo rappresenta la porzione di DNA trascrizionalmente attivo, mentre il micronucleo entra in gioco durante il processo di coniugazione fungendo da nucleo germinale.

La maggior parte dei protozoi è eterotrofa, in quanto predano altri organismi o si cibano di sostanze organiche disciolte o particellate; tuttavia è possibile riscontrare numerosi plastidi nel citoplasma di alcuni flagellati che consentono loro di svolgere attività fotosintetica (fotoautotrofi facoltativi, es. Euglena viridis).

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1.2 Acanthamoeba spp.

1.2.1 Biologia

Questo genere di ameba a vita libera, appartenente alla famiglia Acanthamoebidae, fu isolato per la prima volta da Castellani nel 1930 da una coltura di funghi di Cryptococcus

pararoseus e differisce dagli altri generi della stessa famiglia per la presenza di una

doppia parete durante lo stadio di cisti (quella interna è irregolare), pseudopodi con una struttura particolare dei filamenti di actina e fuso mitotico con i poli appuntiti (Alotaibi, 2011).

Il ciclo vitale di Acanthamoeba è caratterizzato da 2 stadi: la forma attiva vegetativa, che prende il nome di trofozoite, ed uno stadio dormiente, che è la cisti, grazie alla quale questi microrganismi riescono a sopravvivere per lungo tempo a condizioni ambientali avverse.

Figura 2.1. Trofozoite di Acanthamoeba (Kilvington 2000)

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La taglia dei trofozoiti si aggira tra i 15 e i 40 µm, mentre le cisti rimpiccioliscono diventando quasi la metà rispetto alle dimensioni originali. La membrana plasmatica di questi organismi è trilaminare (Khan, 2009) e la sua estroflessione in prolungamenti chiamti pseudopodi permette la locomozione. Come per la maggior parte delle altre cellule eucariotiche, anche i trofozoiti di Acanthamoeba sono dotati di mitocondri, vacuoli digestivi, apparato del Golgi, vescicole per il bilancio idrico ed entrambi i reticoli endoplasmatici. Acanthamoeba si riproduce per fissione binaria e, solitamente, possiede un solo nucleo (Byers, 1979).

Il fenomeno d'incistamento avviene in condizioni ambientali sfavorevoli come l'essiccamento, la mancanza di nutrimento o cambiamenti di pH e temperatura. La doppia parete che circonda la cisti è irregolare e separata da un piccolo spazio, eccetto dov'è situato l'opercolo, punto in cui il trofozoite emergerà una volta che le condizioni saranno migliorate. Lo stadio di cisti aumenta notevolmente la resistenza a metodi di disinfezione come la clorazione (De Jonckheere e Van de Voorde, 1976; Loyd et al., 2001), quest'ultimo è il sistema predominante nei trattamenti di potabilizzazione e di disinfezione degli ambienti acquatici ad uso ricreativo; l'uso generalizzato di questo disinfettante è dovuto alla capacità del Cl attivo di neutralizzare una grande varietà di microrganismi patogeni, alla sua facile reperibilità e al basso costo.

Figura 1.2. Cisti di Acanthamoeba (Kilvington, 2000)

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Le cisti di Acanthamoeba possono tornare allo stadio di trofozoite quando le condizioni ambientali diventano favorevoli; ad esempio, sono state osservate delle cisti rivitalizzate dopo 24 anni dalla loro formazione e conservate in acqua con una temperatura di 4° C (Mazur et al., 1995).

1.2.2 Distribuzione in natura e crescita in

laboratorio

Questo genere di amebe è per lo più ubiquitario in natura; è possibile trovarle in ambienti acquatici come il mare, le piscine, sistemi di raffreddamento, vasche di depurazione dei liquami, contenitori per lenti a contatto ed anche nell'aria o nel suolo (Rodriguez-Zaragoza, 1994).

La presenza di Acanthamoeba è considerata un rischio potenziale per la salute umana ed è stato riportato che molte specie appartenenti a questo genere sono state isolati dal 30% dei campioni di acqua prelevati dal rubinetto di abitazioni in Gran Bretagna (Kilvington

et al.,2004). ). E' molto probabile che la presenza di Acanthamoeba nell'acqua del

rubinetto sia dovuta o ad inadeguati metodi di disinfezione, che non riescono ad eliminare completamente trofozoiti e cisti, oppure potrebbe darsi che le ambe riescono a contaminare l’acqua in qualche punto lungo il sistema di distribuzione idrico (Bonilla-Lemus et al. 2010).

Sebbene le piscine presentino dei valori di Cl residuo compresi tra 1 e 5 mg/l e "dosi shock" che possono arrivare a 20 mg/L, anche in questi ambienti sono state isolate amebe con una frequenza del 20% (Caumo et al.,2009). Oltretutto, Acanthamoeba può facilmente contaminare le colture di cellule di mammifero, batteriche o di lieviti ed è stata isolata anche da animali, come rettili o uccelli (Dykova et al.,1999). Questa distribuzione così varia, rende il contatto tra Acanthamoeba ed altri microrganismi molto comune.

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Acanthamoeba può essere coltivata in laboratorio con diversi tipi di terreno come ad

esempio PYG o RPMI, i trofozoiti formano un monostrato ed hanno un tempo di generazione che, in condizioni ottimali, oscilla tra le 6 e le 10 ore. Bowers e Olszewski (1983) suggeriscono che Acanthamoeba ha la capacità di distinguere tra particelle digestibili e non-digestibili; Chrzanowski e Simek (1990), nei loro esperimenti, hanno dimostrato come questi protozoi hanno una taglia di cattura preferenziale per i batteri che si aggira tra 0,8 e 1,2 µm.

1.2.3 Patogenicità

Le specie di Acanthamoeba possono essere patogeni e causare cheratiti oppure, in individui immunodeficienti, Encefalite Granulomatosa Amebica, che di solito porta alla morte del paziente (Khan, 2005).

La cheratite può rappresentare una pericolosa malattia alla vista, è associata, soprattutto, a chi usa lenti a contatto ed è dovuta alla contaminazione del contenitore o della soluzione delle lenti a contatto (De Jonckheere, 1991). Questa infezione, dovuta al contatto dell'ameba sulla superficie della cornea, può portare alla cecità se non viene curata velocemente, sintomi comuni sono fotofobia e dolore oculare. Dal 1974, anno in cui fu registrato in Bran Bretagna il primo caso di cheratite amebica, molte altre specie di

Acanthamoeba sono stati isolati da pazienti affetti da questa patologia, ad esempio: A. castellani, A. polyphaga, A. hatchetti, A. culberstoni, A. griffini, A. quina, A. lugdunensis, A. rhysodes (Bouyer et al.,2007) ed A. triangularis (Xuan et al.,2008).

Per quanto riguarda l'Encefalite Granulomatosa Amebica, l'infezione al cervello da parte delle amebe avviene per via ematogena attraverso la pelle o l'apparato respiratorio (Khan, 2006). I trofozoiti riconoscono le cellule bersaglio (cellule epiteliali microvascolari del cervello, cellule epiteliali della cornea, neuroni) grazie a delle mannosio-binding protein ed iniziano a cibarsene come se fossero altri microrganismi. Il decorso dell'EGA è generalmente associato all'infiammazione dei gangli della base e del cervelletto (Ma et

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al., 1990). Analisi patologiche hanno rilevato nei siti d'infezione sia trofozoiti che cisti.

Questa patologia è stata riscontrata solo in pazienti sottoposti a terapia immunosoppressiva in seguito a trapianto, oppure in quelli affetti da malattie che determinano un abbassamento delle difese immunitarie, ad es. HIV/AIDS o insufficienza del midollo osseo (Visvesvara, 2007). Il trattamento dell'EGA non è standardizzato e si procede, di solito, empiricamente. Gli antibiotici non riescono a garantire risultati soddisfacenti contro Acanthamoeba, data la sua capacità di trasformarsi in cisti, ed, inoltre, la diagnosi viene di solito effettuata post mortem (Bloch e Shuster, 2005).

1.2.4 Interazione tra Acanthamoeba spp. ed altri

microrganismi

La distribuzione estremamente varia di Acanthamoba rende molto alta la probabilità che interagisca con altri microrganismi, inclusi batteri, altri protozoi o virus e la maggior parte di queste interazioni sono dovute al comportamento predatorio di questi protozoi. E' stato riportato che Acanthamoeba si ciba di diversi tipi di batteri, sia Gram negativi, come: Klebisella Aerogenes, Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Alcaligens

faecalis (Pickup et al., 2007), che Gram positivi, ad es. Arthrobacter simplex, Bacillus megaterium, Bacillus Subtilis e Micrococcus Luteus (Weekers et al., 1993).

Diversi batteri, invece, riescono a sopravvivere alla fagocitosi e formano un'associazione con le amebe da cui traggono benefecio.

Il batterio Legionella pneumophila riesce ad evitare di essere digerito all'interno dei vacuoli ed anche a replicarsi nel citolpasma dell'ospite. Replicandosi, L. pneumophila arriva a riempire completamente l'ameba ospite, causandone la lisi e il suo conseguente rilascio nell'ambiente (Barker e Brown, 1994).

Dopo la replicazione intracellulare, L. pneumophila mostra un'aumentata resistenza agli stress ambientali ed ai biocidi (Brieland et al., 1997) e questo potrebbe spiegare la sua

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persistenza in acque trattate con metodi di disinfezione fisici o chimici (Palmer et al., 1993).

L'adattamento di Legionella all'interno delle amebe sembra, inoltre, aumentare la sua capacità infettante nei confronti dei macrofagi umani, favorendone la replicazione intrapolmonare (Brieland et al., 1997; Cirillo et al., 1994) e la resistenza agli antibiotici (Barker et al., 1994; Barker et al, 1995).

L'associazione di Acanthamoeba con diverse specie di batteri è stata riportata sia in campioni clinici che ambientali.

I campioni clinici sono stati isolati da biopsie della cornea o da lenti a contatto (Iovieno

et al., 2010), trovando all'interno di molti dei ceppi di amebe questi batteri: Legionella, Pseudomonas, Chlamydia, Mycobacterium; inoltre, le indagini successive hanno

mostrato come l'effetto citopatico sulle cellule epiteliali della cornea sia molto più marcato se l'infezione è dovuta a trofozoiti che erano stati precedentemente infettati da batteri (Iovieno et al., 2010).

In questo caso la relazione che si viene a creare tra entrambi gli organismi si può definire di endosimbiosi.

Paginer et al., nel 2008, riportano che 86 su 244 specie di batteri sono capaci di crescere all'interno dei trofozoiti di Acanthamoeba. E' stato calcolato che il 18,9% dei batteri (102 specie) capace di sopravvivere nelle amebe risulta patogeno, in base alla “Contamination Candidate List 2008” dell’EPA (Environmental Protection Agency) (Thomas et al., 2009).

Studi riguardanti agenti patogeni umani in grado di sopravvivere nei protozoi suggeriscono che i batteri internalizzati possono seguire tre modelli di vita all’interno dell’ospite: (1) si moltiplicano causando lisi cellulare come Legionella e Listeria, (2) si moltiplicano senza causare la lisi cellulare come Vibrio cholerae, (3) sopravvivono senza moltiplicarsi come alcuni coliformi e micobatteri.

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Oltre ai batteri, anche funghi e protozoi patogeni possono trovarsi all’interno di protozoi a vita libera: Cryptococcus neoformans è capace di crescere dentro A. castellanii (Malliaris et al., 2004; Steenbergen et al., 2001), mentre Sporothrix Schenkii e

Histoplasma Capsulatum utilizzano le amebe per la loro crescita (Steenbergen et al.,

2004). Altri studi suggeriscono che Acanthamoeba spp. potrebbe contribuire alla diffusione delle oocisti di Cryptosporidium parvum anche se non è chiaramente dimostrato se le forme ingerite siano vitali (Gomez-Couso et al., 2006; Stott et al., 2003). E’ stato recentemente dimostrato inoltre che il parassita Toxoplasma gondii sopravvive fino a 2 settimane in A. castellanii senza ridurre l’infettività e la patogenicità delle oocisti (Winiecka-Krusnell et al., 2009).

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Per quanto riguarda lo studio della resistenza alla disinfezione con ipoclorito di sodio di batteri che infettano le amebe, Garcia e il suo team, nel loro lavoro del 2007, mostrano che 7 ceppi di L. pneumophila diventano non coltivabili dopo un trattamento con ipoclorito di sodio ad una concentrazione di 256 p.p.m.; invece, se il batterio si trova all'interno dei trofozoiti di A. polyphaga, riesce a resistere ad una concentrazione di molto superiore alla precedente (1024 p.p.m. di NaOCl). Allo stesso tempo, il disinfettante è significativamente meno efficace nel ridurre la vitalità di A. polyphaga infettata con L. pneumophila, rispetto al trattamento di disinfezione delle sole amebe. Gli autori di questo articolo concludono che L. pneumophila all'interno dei trofozoiti blocca il loro incistamento ed inoltre, la resistenza all’ipoclorito di questi organismi, quando si trovano associati, viene significativamente aumentata (Garcia et al., 2007).

Alcuni campioni prelevati da impianti di depurazione in Spagna, mostrano come

Legionella sia il microrganismo maggiormente riscontrato (in circa il 42% dei campioni),

seguito da Acanthamoeba (in più del 27%), Mycobacteria (nel 21,5%) e Chlamydia (nell'11%) (Corsaro et al., 2010). La predazione di Acanthamoeba su altri microrganismi

Figura 1.3. Immagine al microscopio elettronico di

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e la successiva internalizzazione di batteri che riescono ad evitare la digestione ed a replicarsi all’interno dell’ospite, diventando in alcuni casi più infettivi, è un punto critico nel trattamento delle acque reflue, potabili e destinate ad uso ricreativo.

1.3 Virus enterici presenti in ambienti idrici

I virus enterici sono microrganismi patogeni veicolati dalle acque, dove arrivano in seguito a contaminazione fecale umana e/o animale, e per questo motivo sono spesso associati ad epidemie di origine idrica (Cao et al., 2009; Domènech-Sanchez et al., 2009; Kvitsand et al., 2010; Räsänen et al., 2010; Scarcella et al., 2009; Ter Waarbeek et al., 2010).

Essi comprendono più di 140 tipi, tra cui i più noti appartengono alle famiglie Picornaviridae (poliovirus, coxsakievirus, virus dell'epatite A ed echovirus), Adenoviridae, Caliciviridae (norovirus, calicivirus, astrovirus) e Reoviridae (rotavirus, reovirus) (Fong e Lipp, 2005). Posseggono DNA o RNA a singolo o doppio filamento ed un capside proteico privo del rivestimento membranoso pericapsidico che li rende particolarmente resistenti nell’ambiente esterno dove possono sopravvivere a lungo (Abad et al., 1997; Carducci et al., 1996; Enriquez et al., 1995; Koopmans e Duizer 2004; Payment, 1998).

La presenza di cariche elettriche sul capside permette ai virus di adsorbirsi alle particelle colloidali in sospensione nel mezzo idrico o al biofilm che si forma nelle vasche o tubature: questo legame è molto utile ai virus poiché contribuisce a ridurre l'efficacia dei trattamenti di disinfezione. La sintomatologia dovuta alla patologia di questi virus è spesso associata all'apparato digerente (gastroenteriti acute) ma alcuni di essi si moltiplicano in sedi secondarie diverse, con decorso spesso più grave (meningite, endocardite, setticemie, polmonite, epatite, ecc); inoltre, l'infezione può decorrere in forma asintomatica e ciò ne favorisce la diffusione nella popolazione.

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Questi virus sono rilasciati nell’ambiente in concentrazioni elevate per mezzo delle feci di persone o animali infetti, arrivando fino a 1010 particelle infettive per grammo di feci. Essi hanno una bassa dose infettante: generalmente variabile tra 1 e 10 PFU (unità formanti placca) (Leclerc et al., 2002) (Ward e Akin, 1984), per cui il rischio d’infezione da virus presenti in acqua risulta molto più alto di quello per i batteri allo stesso livello di esposizione, da 10 a 10000 volte (Rose e Gerba,1991).

La trasmissione è oro-fecale ed il principale veicolo sono le acque contaminate da scarichi fecali che vengono riversati nell'ambiente (Figura 1.3).

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Dopo l'escrezione con le feci e il successivo allontanamento tramite i collettori delle acque reflue, i virus enterici possono essere dispersi nell’ambiente (Block e Schwartzbrod, 1989); la loro presenza è stata rilevata sia nei liquami grezzi che nelle acque in uscita degli impianti di depurazione, dimostrando l’inefficienza dei trattamenti nel ridurre la carica virale (Carducci et al., 2008; Carducci et al., 2009).

Tra i virus enterici, gli Adenovirus e i Norovirus assumono particolare importanza per la salute pubblica (Mena e Gerba, 2009) e negli ultimi anni stanno destando un crescente interesse in campo ambientale, infatti, la comunità europea ha di recente finanziato il progetto VIROBATHE per una stima della diffusione degli adenovirus e norovirus nelle acque di balneazione, per una proposta di revisione delle normative comunitarie in materia di balneazione (Wyn-Jones et al., 2010).

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1.3.1 Adenoviridae

Gli adenovirus sono stati scoperti e isolati nel 1953 da colture di adenoidi umane (da cui il nome della famiglia). Questi virus sono privi di pericapside, hanno DNA lineare a doppio filamento ed un capside di simmetria icosaedrica formato da 252 capsomeri poligonali (240 esoni costituiscono le facce e i lati di triangoli equilateri e 12 pentoni costituiscono i vertici) con un diametro variabile da 60 a 90 nm. Gli adenovirus sono molto diffusi in natura: infettano uccelli, mammiferi, rettili e anfibi e ad oggi se ne conoscono almeno 51 sierotipi, suddivisi in almeno 6 sottogruppi (da A ad F), identificati come patogeni per l’uomo. L’identificazione di questi sierotipi in campioni ambientali è generalmente effettuata tramite PCR con o senza amplificazione iniziale su colture cellulari.

Questi virus attaccano le cellule bersaglio mediante le fibre virali che legano i recettori coxsackie-adenovirus posti sulla membrana plasmatica delle cellule ospiti.

Una volta avvenuta l'endocitosi, l'adenovirus lisa l'endosoma in cui è contenuto, si porta presso il nucleo e rilascia al suo interno il DNA virale. Il DNA di adenovirus viene trascritto su entrambi i sensi e la replicazione avviene grazie ad una DNA-polimerasi codificata dal genoma del virus. Alla fine della replicazione del DNA inizia l'espressione dei geni tardivi che codificano per le proteine del capside. Gli mRNA prodotti nel nucleo vengono tradotti dai ribosomi nel citoplasma, le proteine formate vengono poi trasportate di nuovo al nucleo per essere assemblate con il DNA, in modo da formare nuovi virioni. I virus appartenenti a questa famiglia sono responsabili di un ampio spettro di forme cliniche spesso risolvibili spontaneamente ma talvolta possono aggravarsi fino ad esser letali nei bambini e nei pazienti immunocompromessi. Le patologie da adenovirus colpiscono principalmente il tratto respiratorio (faringiti, malattie respiratorie acute e

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polmoniti), l’apparato visivo (congiuntiviti, cheratocongiuntiviti), l’apparato gastrointestinale. La maggior parte di essi, quindi, causa malattie respiratorie, tranne i tipi 40 e 41 che sono responsabili di sindromi gastrointestinali (Enriquez et al., 1995). Studi condotti in Ungheria, analizzando quasi 3000 campioni fecali di pazienti di età inferiore a 15 anni, tra il 2003-2006, hanno indicato adenovirus come il responsabile del 8,1% dei casi ospedalieri di gastroenteriti: il sierotipo maggiormente riscontrato è stato il 41, seguito dai sierotipi 2, 40, 31 e 1 (Banyai et al., 2009).

Soltanto negli Stati Uniti questo virus è responsabile del 5-20% dei ricoveri ospedalieri per diarrea di bambini sotto i 2 anni. Molti individui vengono infettati prima di raggiungere i 20 anni di età, infatti, entro i 3 anni si rileva la presenza di anticorpi almeno nel 50% dei soggetti analizzati (Carter et al., 2005).

Adenovirus 36 è stato recentemente associato all'obesità umana e degli animali: in base agli studi effettuati sembra esistere correlazione positiva tra grasso corporeo e presenza di anticorpi contro adenovirus 36 nel sangue (Augustus et al., 2005; Gabbert et al., 2010; Na et al., 2010). Gli anticorpi contro questo particolare sierotipo sono stati ritrovati nel 30% delle persone obese mentre nelle persone normopeso la percentuale scende all'11% (Atkinson, 2007). Ulteriori ricerche hanno dimostrato che polli, topi e scimmie infettati con questo virus mostrano un aumento di peso statisticamente significativo (Atkinson, 2007; Dhurandhar et al., 2000).

Uno studio recente suggerisce che adenovirus 36 diminuisca l'ossidazione degli acidi grassi e aumenti la liponeogenesi in colture primarie di cellule di muscolo scheletrico umano (Wang et al., 2010).

Le infezioni da adenovirus possono ricorrere durante tutto l’anno e il periodo di incubazione del virus è generalmente minore di 10 giorni ma può arrivare anche a 24 giorni (Wold e Horwitz, 2007).

La trasmissione può avvenire per via oro-fecale o attraverso l'inalazione di aerosol; in seguito ad infezioni acute, gli adenovirus vengono escreti per lunghi periodi tramite feci, urine e secrezioni respiratorie, determinando la diffusione nei gruppi suscettibili. Gli adenovirus, escreti in gran numero nelle feci umane, vengono ritrovati nelle acque di

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scarico, nelle acque depurate e in quelle potabili di tutto il mondo (Jiang et al., 2006; Petrinca et al., 2010; Verheyen et al., 2009).

Gli Adenovirus 5 sono spesso presenti in ambienti acquatici (Lee et al., 2002; Tani et

al., 1995) e i sierotipi 12, 2 e 3 sono stati spesso isolati da liquami (Fong et al., 2010).

Nonostante i sierotipi 40 e 41 siano una delle principali cause di gastroenterite in tutto il mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo, si sa poco sulla loro prevalenza nelle acque.

Chapron et al. (2010) hanno trovato che su 29 campioni di acque superficilai il 38% è risultato positivo per adenovirus 40 e 41, inoltre, Rigotto e il suo gruppo di ricerca, nel 2010, dopo aver analizzato vari tipi di acque in Brasile, riporta che adenovirus risulta il virus più diffuso (64,2% sul totale dei campioni analizzati).

Gli adenovirus sono resistenti ai trattamenti di depurazione cui sono sottoposte le acque, sono stati isolati frequentemente sia nei liquami grezzi che depurati, dove risultano i virus maggiormente presenti (Carducci et al., 2009; La Rosa et al., 2010; Schlindwein et al., 2010). Uno studio svolto in Norvegia al fine di valutare l'efficacia dei trattamenti di depurazione, ha individuato questa famiglia di virus nel 96% dei campioni in entrata e nel 94% di quelli in uscita (Myrmel et al., 2006).

Altri lavori hanno mostrato che gli adenovirus possono sopravvivere più a lungo nelle acque rispetto agli enterovirus (poliovirus, echovirus e coxsackievirus), virus dell’epatite A e rotavirus (Enriquez et al., 1995); essi sono almeno 60 volte più resistenti alla radiazione ultravioletta rispetto ai virus enterici ad RNA (Thurston-Enriquez et al., 2003; Gerba, 2002). La maggior resistenza mostrata dagli adenovirus potrebbe essere associata alla natura del loro DNA a doppia elica, che è più stabile e resistente rispetto ad un singolo filamento ed inoltre, anche se danneggiato potrebbe riacquistare la sua funzionalità grazie ai sistemi di riparazione del DNA della cellula ospite infettata (Bernstein e Bernstein, 1991).

Negli ultimi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto adenovirus come indicatore di contaminazioni antropiche dovute ad acque reflue, questa indicazione viene legittimata dalla loro prevalenza nella popolazione e nell'ambiente, dalla loro resilienza

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ambientale e specificità (Albinana- Gimenez et al., 2009; Carducci et al., 2008; Bofil-Mas et al., 2006, 2000).

Approvare l'uso di alcuni particolari virus enterici come indicatori di contaminazioni fecali potrebbe essere molto più utile nella valutazione della qualità delle acque e nel determinare con precisione sorgenti d'inquinamento, rispetto ad indicatori fecali batterici come E. coli (Hewitt et al., 2011). Gli indicatori fecali batterici hanno costi di analisi molto ridotti, sono sempre presenti nei liquami non trattati e si trovano nelle feci di tutti gli animali a sangue caldo, ma le caratteristiche negative di questi bioindicatori sono diverse: elevata presenza nell'ambiente, instabilità e una correlazione troppo variabile con altri patogeni, soprattutto virus enterici (Hewitt et al., 2007, Carducci et al.,2008); inoltre sono stati rilevati adenovirus infettivi in campioni in cui il numero dei coliformi fecali era inferiore al limite rilevabile (Thompson et al., 2003; Van Heerden et al., 2003).

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1.4 Interazione tra virus e Acanthamoeba spp.

Sebbene non siano state studiate in modo approfondito, associazioni tra amebe e virus possono verificarsi in natura e ci sono diverse prove a conferma di questo fenomeno. Nel 1992 è stato scoperto in modo casuale, in un ceppo di Acanthamoeba isolato da una torre di raffreddamento in Inghilterra, un nuovo virus fino ad allora sconosciuto e denominato "Acanthamoeba polyphaga Mimivirus" (APMV) (La Scola et al., 2003). Questo virus è il più grande fra tutti quelli conosciuti, possiede, infatti, un capiside icosaedrico con un diametro compreso tra 400 e 750 nanometri; anche il genoma virale è estremamente esteso e complesso, costituito da una molecola lineare e continua di DNA a doppio filamento contenente 1,2 milioni di paia di basi che codifica per 911 geni (Raoult et al., 2004). Filamenti proteici della lunghezza di 120 nanometri si dipartono dalla superficie del capside, incrementando il diametro del virus.

Sebbene le conoscenze relative a questo virus siano ancora piuttosto limitate, si pensa che il Mimivirus potrebbe essere l'agente eziologico di alcune forme di polmonite, ipotesi basata solamente sull'evidenza della formazione di anticorpi diretti contro questo organismo nel sangue di pazienti colpiti da polmonite (La Scola et al., 2005).

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Anche se la classificazione di Mimivirus come agente patogeno è provvisoria, una nutrita serie di elementi prova che può causare la polmonite virale (Raoult et al., 2006; Raoult et al., 2007).

Nel 2008 e 2009 sono stati isolati altri 2 "Giant virus" chiamati Mamavirus e Marseillevirus (Boyer et al., 2009; La Scola et al., 2008). Il primo è molto simile al Mimivirus e possiede un genoma di 1200 kilobasi, mentre il secondo è più piccolo, con un genoma costituito da 368000 paiabasi, capside di forma icosaedrica e diametro di 250 nm. Simultaneamente alla scoperta del Mamavirus è stato, inoltre, osservato un piccolo virus di 50 nm di diametro, forma icosaedrica e genoma di 18343 paiabasi, chiamato Sputnik, che si moltiplica solo all'interno di cellule di A. castellanii co-infettate con Mimivirus o Mamavirus (La Scola et al., 2008).

Sulla base di analisi filogenetiche risulta che tutti questi virus posseggono sequenze ORF nel genoma, omologhe a quelle presenti in batteri, eucarioti e virus che sono abitanti comuni delle amebe (Boyer et al., 2009; Colson e Raoult, 2010) dimostrando quindi lo scambio di geni tra organismi che colonizzano le amebe a vita libera.

Questi studi suggeriscono la possibilità che le amebe, utilizzando i batteri come cibo, possano fornire l'occasione per un promiscuo scambio di DNA tra batteri e virus in replicazione nello stesso comparto cellulare, fornendo così una nicchia biologica in cui i virus hanno facile accesso a geni batterici (Horn et al., 2004; La Scola et al., 2008).

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Il trasferimento genico orizzontale (Andersson, 2005) è considerato, infatti, un importante fattore di evoluzione in microbiologia che può contribuire alla creazione di nuove specie (Jain et al.,2003; Keeling et al.,2008) e dal momento che tra gli ospiti delle amebe, o più in generale dei protisti fagocitici, sono presenti anche microrganismi patogeni, questo scambio di geni potrebbe portare alla creazione di nuovi assortimenti genomici che possono essere fonte di nuovi patogeni.

Per quanto riguarda il possibile ruolo di Acanthamoeba quale serbatoio di virus enterici umani in condizioni ambientali, è stato rilevato DNA virale (con PCR) di 4 diversi sierotipi di adenovirus in 34 di 236 (14,4%) ceppi di Acanthamoeba spp. isolati da campioni di acqua del rubinetto delle Isole Canarie (Lorenzo-Morales et al., 2007). Alcuni studi hanno riportato pazienti che presentavano la cornea simultaneamente infettata da Acanthamoeba e virus patogeni come adenovirus ed herpesvirus. Queste co-infezioni spesso vengono sottovalutate a causa delle somiglianze tra sintomi clinici di cheratocongiuntivite e cheratite amebica (Gajdatsy et al., 2000).

Danes e Cerva (1981) in un primo lavoro riportano che A. castellanii coltivata assieme a poliovirus ed echovirus non interagisce con questi particolari virus ma, successivamente, suggeriscono che l'internalizzazione di virus enterici ad opera di Tetraymena pyriformis potrebbe prolungare la contaminazione dovuta ad enterovirus nei sistemi di depurazione delle acque di scarico (Danes e Cerva, 1984).

Nello studio in vitro di Mattana et al. (2006), è stata testata la sopravvivenza e la trasmissione di Coxsackie B3 in relazione alla sua internalizzazione da parte di A.

castellani. La valutazione del titolo virale e la tecnica di immunofluorescenza hanno

rivelato un marcato assorbimento di CVB-3 sulla superficie dell'ameba dopo un'ora di contatto, mentre a 23 ore dall'infezione dei trofozoiti, il virus sembra essere quasi del tutto internalizzato. La sopravvivenza del virus è indipendente dalle dinamiche di replicazione o incistamento dell’ameba. In più, è stato verificato che i trofozoiti infettati rilasciano i virus durante l'interazione con i macrofagi umani, a causa di alterazioni morfologiche e danni alla membrana plasmatica (Mattana et al., 2006).

Nell' articolo di A.Alotaibi (2011) è stata riportata l’internalizzazione di coxackievirus e rotavirus da parte di A.Castellanii, solo nel caso in cui i trofozoiti vengono aggiunti a

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fiasche contenenti colture cellulari di mammifero (HEp-2 e MA104) precedentemente infettate, quindi Acanthamoeba non internalizza il virus liberamente sospeso. Gli autori ipotizzano che questo dato sia dovuto al fatto che i protozoi hanno una taglia di cattura preferenziale (0,8-1,2 μm per i batteri) e che quindi si disinteressano del virus liberamente sospeso, fagocitandolo solo se adeso a particelle nutritive (Alotaibi, 2011). Analisi dell’interazione tra adenovirus e Acanthamoeba castellanii affermano che quest’ultima, non riuscendo a digerire il virus, può agire da vettore, giocando un ruolo decisivo nella dispersione e protezione del virus; tramite microscopia elettronica non sono stati osservati cambiamenti morfologici del virus dopo il passaggio nei vacuoli digestivi del protozoo, ipotizzando che esso conservi la sua virulenza (P.Scheid e R.Schwarzenberger, 2012).

Indagini sull’ endosimbiosi tra virus e amebe informano sull’enorme capacità del protozoo di proteggere e diffondere il virus da trattamenti di disinfezione, infatti, ipotizzando che alcuni virus enterici sopravvivono all’interno delle cisti, queste permetterebbero loro di resistere decisamente meglio a condizioni ambientali sfavorevoli ed anche ai trattamenti di disinfezione cui vengono sottoposte le acque destinate al consumo umano (Rowbotham, 1980).

In questo modo le cisti rilasciate nuovamente nell’ambiente con le acque depurate o attraverso l’aerosol che si forma al di sopra delle vasche di ossidazione dei liquami (Kingston e Warhurst, 1969) possono contribuire alla diffusione nell’ambiente dei virus, o altri microrganismi presenti al loro interno, favorendo così anche la colonizzazione di nuovi habitat.

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L'ambiente ideale in cui potrebbero instaurarsi i rapporti d'interazione tra virus enterici e protisti sono le vasche di ossidazione dei liquami, dove i 2 microrganismi vengono a trovarsi in alta concentrazione e in stretto contatto.

1.5 Disinfezione di ambienti idrici con il cloro

La clorazione è il metodo di disinfezione maggiormente utilizzato sia negli impianti di potabilizzazione che nelle piscine ed in tutti gli ambienti acquatici ad uso ricreativo. Vengono adoperati generalmente gas cloro, ipocloriti (di sodio, calcio o litio) ed isocianuri clorati. Indipendentemente dal tipo di prodotto utilizzato, l'azione svolta consiste in una reazione di ossidazione.

La reazione del cloro gassoso a contatto con l'acqua è la seguente: Cl2 + H2O HClO + H+ + Cl- L'acido ipocloroso così formato si dissocia secondo la reazione: HClO + H2O ClO- + H3O+

Lo sviluppo di ossigeno determina l'attacco ai microrganismi e la loro distruzione. L'azione del cloro si esplica su tutte le sostanze ossidabili presenti in acqua e in particolare sul materiale organico disciolto; l'azione su batteri e virus consiste in un danno fisiologico alla membrana cellulare che va a compromettere importanti processi quali la respirazione, il trasporto di glucosio e la produzione di ATP. Il cloro libero rappresenta la scelta dominante per il mantenimento del residuo in acqua, pur con tutte le problematiche riguardo la formazione di sottoprodotti.

Numerosi sono gli ipocloriti utilizzabili, ma quello maggiormente impiegato è l'ipoclorito di sodio. L'aggiunta di ipocloriti all'acqua determina una reazione in pratica analoga a quella vista per il cloro gassoso:

NaClO + H2O NaOH + HClO Na+ + ClO- + H+ + OH -Lo ione ipocloroso si distribuisce in equilibrio tra le forme:

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H+ + ClO- HClO principalmente in rapporto ai valori di pH e temperatura.

L'acido ipocloroso può dare origine, in presenza di varie sostanze organiche e inorganiche, a composti intermedi che risultano essere ancora dotati di potere ossidante (monoclorammine, diclorammine, triclorammine).

Il potere disinfettante del cloro e degli altri prodotti usati nella clorazione si esprime sotto forma di Cl attivo, intendendo come tale quello capace di dare origine a ossigeno. Il Decreto legislativo del 2 febbraio 2001 n.31, indica un valore minimo consigliato di 0,2 mg/l di cloro residuo nell'acqua che arriva all'utente, mentre l'Organizzazione Mondiale della sanità, nelle sue Linee-Guida del 2006, indica 5 mg/l come la concentrazione ideale di cloro libero nelle acque destinate al consumo umano.

Per quanto riguarda le piscine pubbliche i livelli di Cl attivo devono superare i 3 mg/l e si può arrivare a una concentrazione pari a 20 mg/l per trattamenti periodici denominati "dose shock", questi ultimi sono indispensabili per mantenere a livelli ottimali la qualità microbiologica dell'acqua, nonchè per minimizzare la formazione di biofilm e di clorammine.

Alcuni studi hanno cercato di esaminare i cambiamenti indotti dalla clorazione sulla vitalità delle Acanthamoebae. Mogoa et al. (2009) riportano che per ottenere una riduzione di 3-log è necessario un valore CT di cloro attivo di 1,6 mg/L min e che i trattamenti con alte concentrazioni di Cl libero (5 mg/L) inducono importanti modificazioni in molti trofozoiti: perdita degli pseudopodi, deformazione dei mitocondri ed aumento della permeabilità della membrana.

Esperimenti con HAdV 5 e HAdV 41 hanno mostrato che trattamenti di disinfezione con il cloro sono molto efficaci contro questi virus (anche a 5° C e pH 8,5), infatti è sufficiente un valore CT di 0,22 mg/l min per provvedere ad un'inattivazione di 4-log della concentrazione virale (Baxter et al., 2007).

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2. Scopo

La ricerca effettuata in questo lavoro di tesi è volta ad indagare i fattori che portano all’internalizzazione di Adenovirus 5 nei trofozoiti di Acanthamoeba polyphaga, evidenziando il ruolo che questi protozoi potrebbero avere nella protezione e diffusione di un virus enterico che è stato proposto come indicatore di contaminazioni fecali. Gli attuali metodi di trattamento per la disinfezione di acqua potabile o destinata ad uso ricreativo non riescono a garantire la completa rimozione degli agenti patogeni, quindi ne consegue che sia i virus enterici che alcuni protozoi diventano inquinanti ambientali che possono essere trasmessi all’uomo attraverso il contatto o l’ingestione diretta di acque contaminate, costituendo un pericolo per la salute pubblica.

In letteratura sono riportati alcuni studi sulla presenza di amebe e virus isolati da campioni d’acqua del rubinetto in cui gli autori hanno utilizzato la PCR per l’identificazione virale, tecnica rapida e largamente utilizzata ma che non permette di valutare anche l’infettività.

Per capire se Adenovirus 5 acquisisce la stessa resistenza di Acanthamoeba polyphaga a condizioni ambientali avverse o a trattamenti di disinfezione con ipoclorito di sodio, è stato standardizzato un protocollo per valutare la localizzazione e l’infettività delle particelle virali internalizzate.

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3. Materiali e Metodi

Questa indagine parte dal presupposto che amebe e virus enterici possono condividere gli stessi ambienti acquatici.

Il lavoro in laboratorio si è articolato in 2 fasi principali: 1) studio delle modalità d’internalizzazione di HAdV5 da parte di A. polyphaga, 2) studio degli effetti dell’ipoclorito di sodio sulla vitalità di A. polyphaga e sulla virulenza di HAdV5.

La prima parte degli esperimenti è stata dedicata alla ricerca, analisi e perfezionamento del protocollo di infezione e di quello per la preparazione dei vetrini per la microscopia a fluorescenza.

In questa fase sono stati ottenuti dati confermati da altri studi che hanno permesso lo sviluppo degli esperimenti riguardanti la disinfezione con ipoclorito di sodio.

Nella seconda parte dello studio sono state effettuate delle prove per testare la resistenza al disinfettante di HAdV5 ed A. polyphaga, sia presi singolarmente che in seguito alla co-coltura. La localizzazione del virus all’interno dei trofozoiti è stata valutata con la tecnica d’immunofluorescenza e la sua infettività con titolazione virale TCID50 basata sul metodo di Karber.

Per l’intero lavoro sono state utilizzate fiasche da 25 cm² dotate di tappo con filtro, poiché risultano di semplice utilizzo e permettono l’ossigenazione della coltura senza correre rischi di contaminazione esterna, mentre per le fasi di pre-infezione ed infezione sono state utilizzate le 24 well.

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La prima parte del lavoro di laboratorio si è strutturato in diverse fasi:  Preparazione e monitoraggio delle colture di A.Polyphaga  Preparazione della sospensione virale

 Replicazione del virus su cellule

 Preparazione vetrini per immunofluorescenza  Lettura dei vetrini con microscopia a fluorescenza

3.1 CRESCITA DI

A

CANTHAMOEBA POLYPHAGA

Nel lavoro sono state utilizzate colture axeniche di Acanthamoeba polyphaga (ATCC ceppo 1501/18) provenienti dal Culture Collection of Algae and Protozoa (UK). Le amebe sono state coltivate con terreno PYG (peptone - yeast extract - glucose) preparato in laboratorio.

3.1.1 Mantenimento generale della coltura

Caratteristica delle amebe è quella di stratificarsi lungo la parete andando a formare un monostrato via via sempre più omogeneo. La presenza del monostrato confluente indica che la coltura vive e si replica in modo ottimale.

Figura 3.3. Vetrino per immunofluorescenza

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Figura 3.4. Monostrato poco confluente

Nella figura a sinistra si osserva la fase iniziale della formazione del tappeto cellulare, caratterizzata dalla presenza di diverse aree vuote.

Nella figura a destra si osserva la fase successiva di formazione del tappeto cellulare con presenza di poche aree vuote.

Figura 3.5. Monostrato quasi confluente

Figura 3.6. Monostrato confluente

Nella figura a sinistra si osserva un tappeto cellulare molto fitto con assenza di aree vuote e presenza di trofozoiti in

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Avvio della coltura di amebe:

Scongelare la sospensione contenente A. polyphaga centrifugandola a 200 × g per 4 min e risospenderla nel terreno di coltura

Incubare a 25 °C (temperatura ottimale)

 Cambiare il terreno con regolarità monitorando la formazione del monostrato cellulare

3.1.2 Allestimento della coltura di A. polyphaga

prima dell’infezione

 Staccare meccanicamente il monostrato contenuto nelle fiasche

 Inoculare 2 ml di soluzione (contenente amebe + PYG) in ogni well

 Monitorare la formazione e il mantenimento del monostrato confluente

 Contare le cellule, al momento dell’infezione, per calcolare il valore della MOI (“multiplicity of infection” = numero di virus/numero di cellule)

3.1.3 Conta in camera di Burker

Formato il monostrato confluente, si procede con la conta cellulare tramite camera di Burker, rilevando una concentrazione approssimativa di 105 cellule per ml di soluzione (sia nelle fiasche che nei pozzetti delle 24 well).

Nel dettaglio:

 Prelevare 500 µl di sospensione cellulare da un pozzetto

 Prelevare 50 µL di sospensione e aggiungere 50 µL di TRYPAN BLUE

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 Prelevare 10 µL della soluzione formata ed inocularla al centro della camera di Burker, in modo da riempire entrambi i settori (2 repliche per ogni conta), allestita con un vetrino coprioggetto

 Procedere con la conta delle cellule non colorate (non superare circa 5 min di tempo perché il Trypan blue è un colorante non vitale che dopo poco entra nelle cellule danneggiandole)

 Per ogni settore, formato da 9 quadranti (sono quelli delimitati da tre righe), se ne leggono 4 e si fa la media. Si contano le cellule presenti all’interno del quadrante e quelle su 2 bordi dello stesso.

 Il numero di cellule per ml sarà = Ā × d × 104

Dove: Ā = n° medio delle cellule , d = fattore di diluizione

3.2 REPLICAZIONE DEL VIRUS

L’adenovirus utilizzato negli esperimenti (ATCC ceppo VR5) è stato replicato su cellule

He-La (ATCC CCL-2) coltivate nel medium di crescita D-MEM. Un aliquota di HAdV5 è stata scongelata e per la semina su cellule He-La è stato seguito

il protocollo del laboratorio. Protocollo:

 Eliminare il terreno dalla fiasca contenente il monostrato di HeLa e lavare una volta con terreno pulito, in modo da eliminare le tracce di siero.

 Inoculare il campione ed incubare in termostato a 37° C per 1 ora, in modo che i virus presenti si adsorbano alle cellule e penetrano al loro interno.

 Dopo l’ora di contatto, eliminare il campione, aggiungere terreno e siero fetale bovino al 2% ed incubare a in termostato.

 Monitorare la coltura fino alla comparsa di un marcato effetto citopatico (dopo 4-5 giorni dalla semina).

Negli esperimenti di co-cultura è stato utilizzato sia il virus liberamente sospeso che quello adsorbito a detriti cellulari, poiché nell’articolo di A. Alotaibi (2011) viene

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riportata l’internalizzazione di coxsackievirus solo se adsorbito a particelle nutritive per i protozoi:

1. Per ottenere il virus liberamente sospeso si è proceduto con 3 cicli di congelamento-scongelamento, in modo da provocare la rottura delle cellule e la fuoriuscita del virus, e poi alla centrifugazione della soluzione. Quindi è stato recuperato il surnatante.

2. Per ottenere la sospensione costituita da virus adsorbiti a detriti cellulari o ancora all’interno delle cellule, quello che restava del tappeto cellulare di HeLa è stato staccato meccanicamente, quindi la soluzione composta dal terreno di crescita D-MEM, virus, cellule e detriti è stata inoculata in una provetta e conservata in congelatore a -80°C.

3.2.1 Metodo di Spearman-Karber per titolazione virale

TCID

50

Il titolo di adenovirus è stato calcolato con metodo di Karber TCID50; il titolo della sospensione virale contenente i detriti cellulari è 7,5 ×104 TCID50/ml mentre quello del virus liberamente sospeso è risultato leggermente più basso: 4,2 × 104 TCID50/ml. Questo metodo di titolazione biologica quantifica l’ammontare di virus richiesti per lisare il 50% delle cellule infettate o per produrre un effetto citopatico, sempre del 50%, sul tappeto cellulare dove è stato inoculato.

Per la quantificazione si posizionano le cellule HeLa nei pozzetti di una 96 well plate, in modo da formare il monostrato, e poi si aggiungono le diluizioni seriali della sospensione virale. Ogni diluizione dei campioni viene inoculata in 8 pozzetti, dopo 5 giorni d’incubazione si osserva manualmente e si registra, per ogni diluizione, in quanti pozzetti l’effetto citopatico è ≥ 50%.

I risultati, che vengono espressi come: “positivo” (effetto citopatico nel pozzetto ≥ 50%) e “negativo” (effetto citopatico ≤ 50%), vengono utilizzati per calcolare matematicamente la quantità di virus, espressa come TCID50/ml.

(40)

Formula: TCID50 = ̶ Δ ̶ δ (S ̶ 0.5)

Δ = log10 della diluizione con il 100% di pozzetti che presentano effetto citopatico δ = log10 del fattore di diluizione

S = somma dei pozzetti positivi per diluizione, inclusi quelli della diluizione con il 100% delle colture infette (questa diluizione ha valore 1 e tutte le altre sono frazioni di 1). Protocollo:

 Preparare diluizioni seriali dei campioni che si vogliono titolare (il numero di diluizioni dipende dalla quantità di virus nel campione, più è alta la quantità di virus maggiori devono essere le diluizioni seriali)

 In ogni pozzetto della 96 well plate introdurre:

 75 µl di terreno di coltura + HEPES all’1% (indispensabile per mantenere stabile il pH)

 75 µl di tutti i campioni, per ogni diluizione fare 8 repliche, cambiare il puntale della pipetta per ogni diluizione per evitare di falsificare il test

 50 µl di sospensione contenente cellule HeLa e D-MEM + FBS al 50%

 Dopo 5 giorni osservare al microscopio ottico, confrontando l’effetto citopatico con il tappeto presente nei pozzetti di controllo

Nei nostri esperimenti sono state fatte 3 repliche per ogni campione e di questi, a loro volta, 3 repliche per ogni diluizione.

Figura 3.8. Effetto citopatico osservato in un pozzetto “positivo” della 96 well plate

(41)

3.3 Esperimenti di co-coltura

 Sono stati effettuati nei pozzetti delle 24 well plate dove s’è provveduto alla formazione di un monostrato confluente di amebe con una concentrazione media di 1,6 × 105 cell/ml

 Si elimina il terreno di crescita PYG

 Per capire la modalità d’internalizzazione di HAdV5 sono state messe a contatto con i protozoi 2 diverse soluzioni virali: 1) Virus + HeLa; 2) Virus liberamente sospeso; 3) Controllo = D-MEM, no virus (3 repliche per ogni campione)

 Aggiungere 1 ml di acqua sterile deionizzata in tutti i pozzetti ed 1 ml di sospensione virale* oppure 1 ml di D-MEM nel controllo negativo

 Incubare a 25° C per 24 e 48 ore (non sono state osservate differenze significative tra i 2 tempi di contatto)

*in alcuni pozzetti si inocula il virus liberamente sospeso, in altri la sospensione virale contenente HeLa e detriti.

3.4

PREPARAZIONE

VETRINI

PER

IMMUNOFLUORESCENZA

L’immunofluorescenza è una tecnica altamente specifica per la rilevazione di determinati antigeni presenti nel tessuto o nelle cellule da esaminare. Si basa sulla reazione immunitaria antigene-anticorpo visibile mediante l’uso di anticorpi ai quali sono legate molecole per permetterne la visualizzazione in fluorescenza. È un procedimento relativamente semplice da adottare e poco dispendioso sebbene garantisca ottimi risultati soltanto con grandi quantità di antigene.

(42)

Si parla di immunofluorescenza diretta quando l’anticorpo che riconosce l’antigene è marcato con molecole fluorescenti (fluorocromi, che sono particolari molecole in grado di emettere fluorescenza se stimolate con luce ad una determinata lunghezza d'onda).

Nell’immunofluorescenza indiretta, invece, l’anticorpo che riconosce l’antigene non è marcato ed il legame viene rilevato utilizzando un secondo anticorpo, coniugato ad un fluorocromo, specifico per il primo anticorpo (anti-Ig). Il campione così “colorato” sarà poi analizzato mediante microscopio a fluorescenza o microscopio confocale.

In questo lavoro è stata utilizzata la tecnica di immunofluorescenza diretta mediante l’uso di un anticorpo monoclonale che presenta fluorescenza verde su fondo rosso se legato all’antigene.

I vetrini per l’immunofluorescenza sono stati preparati utilizzando il protocollo della casa costruttrice dell’anticorpo (Anti-Adenovirus coniugato con fluoresceina - REF 17-020 – Argene).

Dopo i diversi periodi di co-cultura si procede alla preparazione parallela dei vetrini per l’immunofluorescenza dei diversi campioni.

Nel dettaglio:

 Staccare il monostrato meccanicamente con l’ausilio di una pipetta

 Trasferire il contenuto delle well alle falcon da 15 ml (mettendo in ogni falcon un campione diverso)

 Centrifugare a 200 g × 8 minuti

 Eliminare il surnatante

 Effettuare dei lavaggi aggiungendo al pellet 5 ml di PBS (pH 7,2 senza Ca2+ né Mg2+) ed agitare con il vortex

Figura3.9.

(43)

 Ripetere la centrifugazione e la successiva agitazione per 3 volte

 Eliminare il surnatante e risospendere il pellet con 100 µL di PBS

 Mettere la soluzione in eppendorf da 1 ml

 Fare diluizioni seriali 1:10 e 1:100

 Sgrassare i vetrini con alcool

 Utilizzare un vetrino diverso per tipologia di campione

 Dispensare 10 µL di sospensione in ogni pozzetto del vetrino stendendo con la punta della pipetta

 Realizzare tre pozzetti per ogni diluizione del campione

 Lasciare asciugare perfettamente i vetrini sotto cappa a flusso laminare

 Fare un bagno di acetone (tenuto in congelatore a -20° C) per 10 min

 Far evaporare sotto cappa l’acetone residuo

 Sciacquare i vetrini in acqua deionizzata per eliminare l’acetone in eccesso

 Dispensare una goccia di anticorpo in ogni pozzetto

 Controllare che l’intera superficie di ogni pozzetto sia ricoperta dall’ anticorpo

 Incubare in camera umida per 15 min 37°C

 Lavare i vetrini con un bagno in PBS per 5 min e lasciarli asciugare all’aria sotto cappa

 Immergere rapidamente i vetrini in acqua distillata, è sufficiente un semplice sù e giù per eliminare i cristalli di PBS in eccesso

 Lasciare asciugare all’aria

 Ultimare la preparazione dispensando 2 gocce di balsamo di montaggio

dell’Argene sul vetrino e deporre il vetrino coprioggetto (le gocce devono avere la giusta distanza tra loro affinché una volta posto il vetrino coprioggetto ci sia un sottile strato che ricopra tutti i pozzetti)

 Eliminare le bolle d’aria mediante una leggera pressione sul vetrino coprioggetto

(44)

3.5

VALUTAZIONE DELLA LOCALIZZAZIONE

DEL VIRUS

È stato utilizzato un microscopio a fluorescenza dotato di fotocamera per l’acquisizione di immagini (Microscopio Leica DMR connesso a telecamera digitale Leica DC 490). Software acquisizione immagini: Leica IM1000 (v.1.0).

Il principio su cui si basa la microscopia a fluorescenza è la capacità del fluorocromo di assorbire luce ad una determinata lunghezza d'onda ed emettere luce ad una lunghezza d'onda maggiore rispetto a quella della sorgente luminosa che ha eccitato il campione. Questo tipo di microscopia serve per osservare preparati naturalmente fluorescenti, o legati a molecole fluorescenti che vanno selettivamente a reagire con strutture cellulari definite. Gli utilizzi più diffusi prevedono l'impiego di anticorpi specifici che si legano a determinate molecole nel campione (rappresentanti gli antigeni) utilizzando fluorocromi legati agli anticorpi per renderli visibili.

Per la rilevazione del virus, tutti i campioni sono stati trattati con anticorpo monoclonale di topo IgG anti-adeno coniugato con fluoresceina che emette fluorescenza verde su fondo rosso all’osservazione al microscopio. Sono stati utilizzati ingrandimenti da 10× a 63×.

Per essere sicuri che il saggio d’immunofluorescenza potesse rilevare HAdV5 all’interno dei trofozoiti, l’anticorpo è stato testato su cellule HeLa infettate.

3.6 Prove sperimentali in vitro di disinfezione con

NaClO di A. polyphaga

In questa serie di esperimenti abbiamo testato la resistenza di A. polyphga a diverse concentrazioni di ipoclorito di sodio (1 – 2,5 – 5 mg/l).

Il Cl attivo reagisce ossidando tutti i composti organici in soluzione, quindi abbiamo messo a punto un protocollo per eliminare i residui di PYG dalle amebe e fissare una

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