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Produrre latte da Trentingrana e formaggi a media e lunga stagionatura

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Academic year: 2021

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Produrre latte da Trentingrana

e formaggi a media

e lunga stagionatura

a cura di Angelo Pecile

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Fondazione Edmund Mach Centro Trasferimento Tecnologico

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Produrre latte da Trentingrana

e formaggi a media

e lunga stagionatura

a cura di Angelo Pecile

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Produrre latte da Trentingrana e formaggi a media e lunga stagionatura

© 2011 Fondazione Edmund Mach, Via E. Mach 1 - 38010 San Michele all’Adige (TN) È vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo essa venga effettuata

Cura del progetto

Angelo Pecile

FEM-IASMA, Centro Trasferimento Tecnologico, Unità Risorse foraggere e produzioni zootecniche Testi

Giorgio Clauser, Franco Fezzi, Roberta Franchi, Pietro Giovanelli, Erika Partel, Angelo Pecile, Marco Peterlini, Fabrizio Pezzi, Adriano Sicher

FEM-IASMA, Centro Trasferimento Tecnologico, Unità Risorse foraggere e produzioni zootecniche Revisione testi

Roberta Franchi

FEM-IASMA, Centro Trasferimento Tecnologico, Unità Risorse foraggere e produzioni zootecniche Fotografie

Archivio FEM-IASMA; Fabio Campagna pag. 58, foto 12

Progettazione e realizzazione grafica

Palma & Associati

Stampa

Litotipografia Alcione, Lavis

Produrre latte da Trentingrana e formaggi a media e lunga stagionatura / a cura di Angelo Pecile. -[San Michele all’Adige (TN)] : Fondazione Edmund Mach, 2011. – 98 p. : ill., tab. ; 30 cm

ISBN 978-88-7843-033-4

1. Formaggio Trentingrana – Fabbricazione 2. Foraggi – Valore nutritivo 3. Bovine da latte – Alimentazione – Effetti sulla qualità del latte I. Pecile, Angelo II. Fondazione Edmund Mach. Centro Trasferimento Tecnologico

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Presentazione

La pubblicazione che qui presentiamo è uno dei frutti del Progetto “Qualità della filiera del Trentingrana”. Il Progetto, commissionato alla Fondazione E. Mach da parte del Trentingrana – Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini, ha visto un importante coinvolgimento della nostra Istituzione.

La complessità delle problematiche da affrontare ha infatti determinato la necessità di mettere a punto un team di lavoro articolato che fosse in grado di operare su diversi fronti e con approcci differenziati.

I quattro filoni nei quali è stato suddiviso il piano di lavoro hanno riguardato: la messa a punto delle procedure di analisi della qualità sensoriale del formaggio, il monitoraggio della filiera produttiva, la conduzione di prove sperimentali presso i caseifici, la definizione di un set di buone pratiche di produzione e l’aggiornamento del relativo disciplinare.

Le diverse attività sono state realizzate anche con il supporto scientifico di importanti centri di ricerca nazionali quali l’Università di Padova, l’Università di Bologna, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

Tutte le attività sono state realizzate in stretto coordinamento con il committente anche grazie all’operatività di un comitato di indirizzo nel quale era presente anche la Federazione Provinciale Allevatori.

Un lavoro quindi impegnativo e complesso che ha permesso di valorizzare, anche a favore del settore zootecnico lattiero caseario, le potenzialità della Fondazione in termini di ricerca, sperimentazione, studi sul campo, divulgazione ed ha dimostrato inoltre l’importanza fondamentale di un approccio multidisciplinare che sappia presidiare tutte le

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diverse fasi della produzione dell’informazione tecnica: dalla sua elaborazione fino alla sua distribuzione.

Un riconoscimento non rituale al personale della Fondazione per l’impegno e la

professionalità messe in campo in tutto il Progetto, oltre che nella realizzazione di questo importante strumento divulgativo.

Il Dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico Michele Pontalti

Il Dirigente del Centro Ricerca e Innovazione Roberto Viola

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Prefazione

In Trentino le norme di produzione del latte prendono origine dal Decreto del Presidente della Repubblica con cui è stata sancita la nascita del formaggio Trentingrana. In tale decreto è stabilito che nella produzione del latte non si possano utilizzare insilati di alcun tipo. Da allora il Consorzio ha cercato, con il supporto di adeguate conoscenze tecniche e scientifiche, di suggerire e consolidare comportamenti di gestione aziendale in stalla ed in caseificio che permettessero la produzione di latte e di formaggi capaci di emergere e affermarsi al palato del consumatore, come prodotti di qualità. La qualità non è mai stata considerata come un punto d’arrivo, ma come un percorso, un cammino. In quest’ottica si è giunti alla rivisitazione sostanziale del Regolamento di Produzione del latte. Fondamentali sono stati il supporto scientifico della Fondazione Edmund Mach, delle Università di Padova e Bologna e della Federazione Provinciale Allevatori.

Nella stesura del nuovo Regolamento è stata valutata la necessità di predisporre dei manuali completi e sintetici con lo scopo di accompagnare l’allevatore nelle scelte più opportune e adeguate per la produzione di un latte di qualità. In tale ambito, le consolidate e riconosciute competenze tecniche del Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Edmund Mach, hanno permesso la predisposizione di questa pubblicazione che considera in modo organico la gestione dell’azienda zootecnica.

La pubblicazione si rivolge specificatamente agli allevatori il cui latte è destinato alla trasformazione in Trentingrana e formaggi tradizionali a media e lunga stagionatura. Non rientrerebbe, quindi, il latte destinato a latte alimentare e formaggi freschi, pur tuttavia anche in questo caso, quanto descritto nella pubblicazione, può trovare in

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gran parte idonea applicazione. Oltre alla produzione foraggera, all’igiene del latte e al benessere degli animali, particolare attenzione è stata posta all’alimentazione delle bovine. Le tecniche di razionamento hanno subito nel corso degli ultimi due decenni, profonde modificazioni segnate da sempre nuove e importanti acquisizioni scientifiche inerenti la composizione degli alimenti, i fabbisogni degli animali e la loro fisiologia digestiva. In ragione delle nuove conoscenze divenute ormai patrimonio della comunità scientifica, appare utile raccogliere in questa pubblicazione i principali aspetti che possono influenzare, modificandole in positivo, le prassi gestionali ormai da tempo in uso nelle filiere di produzione del Trentingrana e dei formaggi a media e lunga stagionatura, per conservarne e, se possibile, accrescerne le caratteristiche di qualità ed anche per offrire agli allevatori, ai tecnici ed agli esperti un sintetico manuale d’uso quotidiano.

Ritenendo che il rafforzamento della collaborazione in essere con la Fondazione Edmund Mach sia strategico al fine di elaborare le linee guida per uno sviluppo armonico e

coordinato del settore zootecnico e lattiero-caseario trentino, si ringraziano tutti gli attori che hanno contribuito a dar vita a questa pubblicazione.

Trentingrana – Consorzio Dei Caseifici Sociali Trentini Il Direttore

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Sommario

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Introduzione

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La produzione dei foraggi: dal prato al fienile

39

L’alimentazione della vacca che produce latte da “Trentingrana”

63

L’igiene e la sanità del latte per un formaggio di qualità

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Introduzione

La qualità, ormai fondamentale per assicurare sostenibilità economica alle aziende zootecniche di montagna, è un gioco di squadra dove è importante che ogni giocatore svolga bene il proprio ruolo. Il presente manuale si propone di offrire uno “schema di gioco” valido per gli allevatori trentini indirizzati alla produzione di latte per formaggi a media e lunga stagionatura, in particolare il Trentingrana.

Al di là della metafora, nelle differenti sezioni del manuale sono presentate con taglio operativo problematiche e soluzioni relative a quattro aspetti chiave per la produzione di latte nell’ottica della successiva trasformazione e commercializzazione:

• la produzione di foraggio;

• l’alimentazione della vacca da latte; • la gestione dell’igiene in stalla; • il benessere degli animali.

La pubblicazione è un risultato del progetto “Qualità della filiera del Trentingrana”, una parte del quale è stata finalizzata alla definizione di un set di buone pratiche agro-zootecniche. Con la supervisione scientifica del professor Andrea Formigoni dell’università di Bologna, ed il coinvolgimento diretto e continuo dei tecnici dell’Unità Risorse foraggere e produzioni zootecniche del Centro Trasferimento Tecnologico, sono stati analizzati per mezzo di indagini “sul campo” i fattori che, nella produzione del latte, possono avere un’influenza sulla qualità del formaggio. Dall’analisi delle informazioni raccolte, utilizzando le fonti bibliografiche più aggiornate e valorizzando l’esperienza maturata nell’ambito della consulenza agli allevatori, è stato prodotto il presente

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lavoro. I suoi contenuti sono ora a disposizione degli allevatori che, speriamo, potranno avere un’utilità dal vedere raccolte in un'unica pubblicazione le indicazioni tecniche più aggiornate riguardo gli argomenti affrontati. Pare opportuno rimarcare che il progetto “Qualità della filiera del Trentingrana” ha avuto anche un contenuto di ricerca scientifica. Tale contenuto si è rivolto ad un approfondimento delle conoscenze riguardo tre temi molto importanti e non sufficientemente conosciuti:

• il rapporto tra qualità del latte e qualità del formaggio affrontato sulla base di

un’approfondita analisi statistica effettuata ad opera del professor Giovanni Bittante e dei suoi collaboratori del Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Padova; • gli effetti della diversa temperatura di conferimento del latte sulla qualità del formaggio

studiati tramite una serie di sperimentazioni in caseificio svolte dall’unità Microbiologia e Tecnologie Alimentari della Fondazione Mach in collaborazione con il dottor Mauro Pecorari e il professor Piersandro Cocconcelli dell’Università Cattolica di Piacenza; • lo sviluppo di metodiche avanzate di analisi sensoriale per valutare la caratteristiche

qualitative del formaggio seguito dall’Unità Qualità e Nutrizione della Fondazione Mach. La credibilità con cui sono state svolte le attività di ricerca è dimostrata, dagli articoli pubblicati su importanti riviste scientifiche quali “Journal of Dairy Science”, “World Journal of Microbiology”, “Food Microbiology”, “Journal of Mass Spectrometry” e dai circa 10 contributi accettati a congressi nazionali e internazionali, uno dei quali ha ricevuto il premio AITEL per l’originalità e la validità scientifica al Convegno di Torino del 2010. Il progetto è stato anche l’occasione per formare due giovani dottori di ricerca, uno presso l’Università di Padova, l’altra presso quella di Bologna: un importante investimento in capitale umano.

Nell’augurare a tutti una buona e utile lettura, ci preme sottolineare la grande e fattiva collaborazione che, in tutto lo svolgimento del Progetto, si è concretizzata fra la Fondazione E. Mach, il Trentingrana - Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini, la Federazione Provinciale Allevatori: anche qui un “gioco di squadra” a favore di tutto il settore zootecnico trentino.

Il responsabile dell’Unità Risorse foraggere e produzioni zootecniche

Angelo Pecile

Il coordinatore del progetto e responsabile dell’Unità Economia e Territorio

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OBIETTIVO:

MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DEL GRANA TRENTINO E DEGLI ALTRI FORMAGGI A MEDIA E LUNGA STAGIONATURA

PROGETTO QUALITÀ DELLA FILIERA DEL TRENTINGRANA

La presente pubblicazione “Produrre latte da Trentingrana e formaggi a media e lunga stagionatura”, rappresenta uno degli strumenti di comunicazione dei risultati del Progetto “Qualità della filiera del Trentingrana”.

PROCEDURE DI ANALISI DELLA QUALITÀ SENSORIALE DEL FORMAGGIO STRUMENTI PER LA TRASFORMAZIONE E LA COMMERCIALIZZAZIONE DEL FORMAGGIO

INDAGINI “SUL CAMPO”, STUDIO BIBLIOGRAFICO

“PRODURRE LATTE DA TRENTINGRANA E FORMAGGI A MEDIA E LUNGA STAGIONATURA”

ANALISI DEL RAPPORTO TRA QUALITÀ DEL LATTE E QUALITÀ DEL FORMAGGIO

GIORNATA “ALLEVATORI INSIEME”

STRUMENTI OPERATIVI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUZIONE DI LATTE PROVE SPERIMENTALI PRESSO I CASEIFICI NUOVO REGOLAMENTO PER LA PRODUZIONE E LA TRASFORMAZIONE DEL LATTE

STRUMENTI PER L’ANALISI IN CONTINUO DELLE MODALITÀ PRODUTTIVE

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I foraggi affienati provenienti dalle superfici a prato permanente della provincia di Tren-to rappresentano la base alimentare per la produzione del latte destinaTren-to alla trasfor-mazione in “Trentingrana” e negli altri formaggi a media e lunga stagionatura. Il prato permanente riveste inoltre un ruolo molto importante dal punto di vista paesaggistico, ecologico e ambientale.

Una foraggicoltura attenta e consapevole consente sia di massimizzare le quantità e la qualità dei fieni raccolti, sia di prevenire la comparsa di alcuni difetti dei formaggi causati dalla presenza di flore microbiche indesiderate.

La corretta gestione della risorsa prativa, con finalità sia agricole, sia “ambientali” deve necessariamente prevedere una profonda conoscenza della grande variabilità che caratte-rizza le cotiche erbose.

LA PRODUZIONE DEI FORAGGI: DAL PRATO AL FIENILE

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I prati

I prati sono definiti colture foraggere poliennali o perenni, la cui produzione viene tagliata almeno una volta per stagione vegetativa e, dopo il taglio, viene asportata dalla superficie di produzione per essere utilizzata altrove a scopo zootecnico come foraggio verde o dopo essere stata conservata sottoforma di fieno. I prati si possono differenziare in base a di-versi criteri, tra cui i più importanti sono:

L’origine, in base alla quale i prati si distinguono in:

• naturali: presenti sopra il limite della vegetazione arborea;

• spontanei: presenti sotto il limite della vegetazione arborea dove si sono inerbiti spontaneamente, a seguito del disboscamento;

• artificiali: realizzati mediante l’utilizzo di sementi scelte allo scopo.

Il numero di specie che li compongono, in base al quale i prati si distinguono in:

• polifiti: formati da molte specie; sono tali tutti i prati naturali, spontanei e, tra gli arti-ficiali, quelli seminati con miscugli di semi appartenenti a più specie;

• oligofiti: formati da poche specie, di massima sono tali quelli artificiali seminati con miscugli di semi di un numero limitato di specie;

• monofiti: formati, almeno inizialmente, da una sola specie.

La durata che ci permette di distinguere i prati:

• permanenti con durata illimitata o comunque superiore a 10 anni; • temporanei con durata inferiore a 10 anni.

L’impiego della risorsa idrica in base alla quale i prati si distinguono in: • irrigui;

• asciutti.

In provincia di Trento il prato di gran lunga più diffuso è il prato permanente, naturale o spontaneo, polifita, non irriguo: è di questo che ci occuperemo di seguito.

Le specie del prato permanente

Il prato permanente è quasi sempre costituito da molte specie perenni o anche annuali, buona parte delle quali sono spontanee.

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dell’agricoltore. I fattori naturali sono l’altitudine, il clima (precipitazioni, temperatura e radiazioni), il suolo (tipo di suolo, profondità, tessitura, acidità), la giacitura e l’espo-sizione.

Tra gli interventi dell’agricoltore ricordiamo la concimazione organica o chimica, in quanti-tà e qualiquanti-tà, e le modaliquanti-tà di sfruttamento (epoca e numero degli sfalci); un’influenza sulla composizione di un prato è esercitata anche da tecniche quali l’irrigazione o la trasemina. Il prato permanente è composto da graminacee, leguminose, specie appartenenti ad al-tre famiglie: il rapporto fra le diverse famiglie e specie è determinato dai fattori ambien-tali e gestionali appena indicati.

Le principali caratteristiche delle graminacee sono le seguenti: • buona potenzialità produttiva;

• pronta risposta alla concimazione azotata; • produzione maggiore in primavera e in autunno; • individuazione dell’epoca ottimale di sfalcio; • adattabilità ai tagli frequenti.

A questa famiglia appartengono Lolium perenne, Lolium multiflorum, Poa pratensis, Alo-pecurus pratensis, Dactylis glomerata (Fig. 2 e Fig. 3), Festuca pratensis, Arrhenatherum elatius, Phleum pratense, Trisetum flavescens.

Fig. 3 - Dactylis glomerata Fig. 2 - Alopecurus pratensis

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Fig. 5 - Trifolium repens

Fig. 6 - Achillea millefolium Fig. 4 - Trifolium pratense

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Le principali caratteristiche delle leguminose sono: • buona produzione anche in estate;

• elevato contenuto proteico;

• perdite sensibili durante la fienagione; • alto contenuto di calcio;

• alto contenuto in fibra e rendimento nutritivo.

Le leguminose più diffuse nei nostri prati sono: Medicago sativa, Trifolium pratense, Trifolium repens (Fig. 3 e Fig. 4), Trifolium alpino, Lotus corniculatus, Vicia sativa, Vicia cracca, Medicago lupolina.

Alle altre famiglie appartengono spesso specie di scarso valore foraggiero o infestanti: • in percentuale limitata (10-20%) non danno fastidio;

• in percentuale più elevata sono dannose, perchè concorrenti con le buone foraggere per spazio, acqua e sostanze nutritive.

La presenza di queste piante va controllata, perché rendono più grossolano il foraggio o a volte possono essere tossiche per gli animali (Colchicum autumnale, Veratrum album, Ranunculus acris, Rhinanthus spp.). Alla categoria delle piante di scarso valore foraggiero fanno parte Achillea mille-folium, Taraxacum officinale, Salvia pratensis (Fig. 6 e Fig. 7), Plantago lanceolata, Geranium selva-ticum, Anthriscus silvestris, Heracleum spondylium, Galium mollugo, Crepis biennis, Rumex sp., ecc..

La gestione del prato

La corretta gestione del prato deve prevedere un giusto equilibrio tra apporti di sostanze nutritive, frequenza e numero di tagli (Tab. 1).

Tab. 1 - Intensità di utilizzazione

(*Diminuzione della diversità floristica, dominanza di piante a taglio grande, formazione di cespi, ...)

PRATI ESTENSIVI DEGRADAZIONE DELLA COMPOSIZIONE FLORISTICA* MOLTO BASSA MOLTO BASSA BASSA MEDIO ELEVATO LIVELLO DI FERTILIZ. FREQUENZA DI UTILIZZAZIONE

BASSA MEDIA ELEVATA

DIMINUZIONE DELLA PRODUZIONE PRATI POCO INTENSIVI PRATI MEDIO INTENSIVI PRATI INTENSIVI

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Nelle nostre condizioni si assiste più frequentemente a eccessi negli apporti di elementi nutritivi rispetto alla frequenza delle utilizzazioni e questo può comportare uno squilibrio fra le specie presenti.

Spesso sui prati trentini si notano forti squilibri tra elementi nutritivi somministrati e la gestione della frequenza e del numero di tagli (Fig. 8).

Naturalmente quanto più si concima tanto più si dovrebbe tagliare per mantenere una situa-zione di equilibrio, ma non è raro soprattutto negli appezzamenti “più comodi”, cioè vicini al centro aziendale vedere situazioni in cui a fronte di forti concimazioni non corrisponde

Fig. 9 - Cotico aperto con cumulo operato da una talpa Fig. 8 - Arrenatereto ad ombrellifere

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una altrettanto forte utilizzazione intensiva del prato. Qui si assiste oltre ad uno spreco di elementi nutritivi, anche ad un vero e proprio degrado del cotico erboso che si presenta con notevoli spazi aperti o con il prevalere delle specie indesiderate o infestanti (Fig. 9). Generalmente i foraggi che si ricavano da questi tipi di prato sono scadenti dal punto di vista della qualità e anche della quantità, inoltre possono essere imbrattati con terra e quindi essere fonte di contaminazione del latte con spore di clostridi, principali responsa-bili dei gonfiori tardivi dei formaggi a lunga stagionatura.

La concimazione

L’impiego di fertilizzanti per favorire la crescita e lo sviluppo delle diverse foraggere rap-presenta la via per ottimizzare la produttività del terreno. Una corretta concimazione delle colture consente infatti di:

• incrementare la produzione di foraggio e mantenerla su livelli soddisfacenti; • favorire la presenza di buone foraggere nei prati a più componenti;

• mantenere nel tempo una soddisfacente composizione botanica; • recuperare cotiche degradate, in particolare in ambienti di montagna.

La concimazione inorganica (concimi chimici) deve sempre tener conto di quella organica e non esserne disgiunta. Anche la qualità dei foraggi risente fortemente delle pratiche agronomiche e delle concimazioni attuate: la composizione in minerali dell’erba risente in larga misura delle dotazioni dei terreni oltre che degli apporti provenienti dalla de-gradazione dei residui colturali e dai concimi organici e inorganici che sono utilizzati. La presenza di quantità elevate di potassio sarebbe da evitare nei foraggi somministrati alle bovine in asciutta; un innalzamento della concentrazione di questo minerale è spesso da ascrivere all’uso di liquami e/o letame in eccessiva quantità nei prati.

Sempre ad un inadeguato impiego di concimi azotati, naturali o di sintesi, possono essere riferite elevate concentrazioni di nitrati e nitriti nei foraggi, potenzialmente pericolose per la salute degli animali.

Le concimazioni devono quindi essere effettuate in maniera oculata e per colmare effettive carenze nei terreni. Inoltre condurre le operazioni in modo da non provocare la contami-nazione dei fieni con terra o altri inquinanti.

Utilizzazione dei reflui zootecnici (letame, liquame, colaticcio)

La concimazione corretta con fertilizzanti organici è possibile solo a partire da un suffi-ciente volume di stoccaggio che consente di non dover distribuire i fertilizzanti in periodi non ottimali.

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Per una buona utilizzazione delle diverse tipologie di concimi aziendali (letame, liquame, colaticcio) si deve tener conto delle loro specificità (Fig. 10):

• la quantità di azoto facilmente disponibile (cioè l’azoto disponibile nell’anno stesso della distribuzione) è maggiore nel liquame che nel letame. Il fosforo ed il potassio sono disponibili completamente nell’anno di distribuzione;

• il liquame presenta una composizione equilibrata in azoto-fosforo-potassio (NPK), a volte solo leggermente alta in potassio, contiene molto azoto facilmente e velocemen-te disponibile, ha un rapido e grande effetto sulla composizione floristica, è adatto a prati che presentano graminacee utilizzabili in modo intensivo e che vengono tagliati frequentemente;

• il letame è relativamente ricco di fosforo, contiene molto azoto lentamente disponibi-le, a breve termine ha un basso influsso su crescita e composizione floristica, ma ha un effetto residuo negli anni, è adatto a prati utilizzati in modo estensivo o poco intensivo; • il colaticcio è povero in fosforo, contiene molto azoto e potassio (composizione non

equilibrata), va utilizzato su prati a taglio frequente in maniera molto diluita;

• concimando con letame e colaticcio si può causare un impoverimento di K dei prati solo letamati ed un arricchimento dello stesso minerale nei prati fertilizzati con solo colatic-cio: per questo è bene effettuare una rotazione letame-colaticcio sullo stesso prato; • le perdite di azoto nel caso del letame avvengono principalmente nella concimaia, nel

caso del liquame perlopiù durante la distribuzione e sotto forma di ammoniaca, che può recare forti danni al cotico. L’utilizzo del liquame può danneggiare il prato soprattutto nel caso di carichi troppo elevati, prati ripidi, prati di montagna e posti in zone ombreg-giate o nel caso di liquamazioni eseguite con macchine pesanti su terreni umidi;

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• la quantità di fertilizzante è da determinare in base al contenuto in azoto e fosforo; • la distribuzione del letame non dovrebbe superare le 20 tonnellate/ha, di prodotto

ben maturo, non in primavera se il primo taglio è precoce, in zone piovose anche dopo il primo taglio se uniformemente distribuito;

• il liquame ed il colaticcio devono essere distribuiti in periodo vegetativo, in modo uni-forme e diluito (1:1 o 1:2) specialmente in estate, in quantità massime di 20-30 mc/ha per ogni taglio, in presenza di terreno non saturo d’acqua ed in assenza di vento e di eccessiva calura.

La concimazione minerale

Gli attuali indirizzi per il sostegno dell’attività agro-zootecnica, prevedono di privilegiare le modalità di gestione delle superfici prative che garantiscano il minor impatto ambienta-le, limitando i quantitativi di reflui o di concimi chimici da apportare per unità di superficie. La misura 211 del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 prevede infatti che la distribuzione dei reflui zootecnici non superi un carico per ettaro di 2,5 UBA.

Inoltre, la Misura 214 Azione B1.1, Gestione dei prati permanenti del Piano di sviluppo rurale 2007-2013, limita l’uso dei concimi chimici: si prevede infatti che, per il pagamento del “premio sfalcio”, gli agricoltori si impegnano all’utilizzo di 0-20-20 unità di azoto-fosforo-potassio per i prati posti sopra i 900 metri di quota, e 40-20-20 per quelli posti a quote inferiori ai 900 metri di altitudine. Se tali limitazioni non vengono rispettate decade l’erogazione dell’aiuto.

L’epoca di sfalcio

Scegliere la giusta epoca di sfalcio risulta particolarmente importante per l’ottenimento di fieni di buona qualità.

Durante il ciclo vegetativo si ha un progressivo aumento della produzione di foraggio in conseguenza allo sviluppo della pianta ma, parallelamente, si verifica uno scadimento qualitativo, dovuto all’aumento dei componenti fibrosi e alla lignificazione dei tessuti. Il fenomeno è particolarmente evidente dopo la fase di piena fioritura, a causa dell’invec-chiamento dei tessuti e della perdita di foglie della parte basale della pianta.

Il momento per effettuare lo sfalcio deve essere scelto in modo da massimizzare la resa ef-fettiva, espressa in termini di quantità di sostanze nutritive prodotte per unità di superfi-cie (UFL/ha). Ciò comporta la necessità di effettuare lo sfalcio precocemente, soprattutto il primo taglio, in cui è concentrato il 50-90% della produzione annua dei prati. Tanto più tardi viene effettuato il primo taglio, tanto più importante sarà il suo apporto quantitativo nel nostro fienile a scapito degli sfalci successivi.

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In un prato con prevalenza di graminacee il momento ottimale per il primo sfalcio cor-risponde allo stadio di inizio spigatura di queste specie. Nella festuca le foglie e gli steli tendono a lignificare e indurire più rapidamente che in altre specie, perciò la rapidità d’in-tervento è ancora più importante.

Nel caso di un prato con prevalenza di leguminose il momento ottimale per la raccolta corrisponde allo stadio di inizio fioritura, quando la qualità del foraggio è ancora buona e le riserve radicali si sono sufficientemente ricostituite; lo sfalcio anticipato allo stadio di bottoni fiorali, consente di produrre foraggio nel quale le fonti glucidiche sono molto digeribili e la concentrazione di proteine è elevata, ciò consente di meglio soddisfare le esigenze di bovine di elevata produzione senza eccedere con l’impiego di mangimi. Per quanto riguarda gli sfalci successivi, è opportuno ricordare che l’erba mazzolina, la festuca, ma anche altre graminacee hanno un basso grado di rispigatura; quindi i ricacci sono formati da sole foglie e lo scadimento vegetativo è meno rischioso che in primavera. Con l’avanzare della stagione estiva e l’innalzamento delle temperature, le graminacee non sono in grado di fornire produzioni di rilievo, tranne che per il fleolo (Phleum praten-se) che generalmente aiuta a stabilizzare la produzione del secondo taglio. Generalmente i tagli successivi al primo si effettuano a 4-6 settimane di distanza (Tab. 2).

Fertilità stazio-nale Intensità di utiliz-zazione Intensità di ferti-lizzazione Qualità del foraggio Stadio di utilizza-zione Stadio di primo taglio Tagli successivi ogni N. di tagli 0-500 m s.l.m. 500 - 1000 m s.l.m. 1000 - 1500 m s.l.m. > 1500 m s.l.m.

Bassa Estensiva Bassa Bassa Tardivo Fine

spigatura - 1-2 1 1 1 Limitata Poco intensiva Medio - bassa Medio - bassa Medio - tardivo Piena spigatura 8-10 settim. 3 2 1-2 1 Media Mediam.

intensiva Media Media Medio

Inizio spigatura

6-7

settim. 4 3 2 1-2

Elevata Intensiva Elevata Elevata Medio – precoce Stadio pascolo- inizio spigatura 5-6 settim. 5-6 4 3 2

La tipologia dei prati permanenti

La tipologia dei prati permanenti del Trentino deriva dallo studio dei prati per l’indi-viduazione di tipi omogenei per caratteristiche stazionali, vegetazionali e gestionali. Le aziende che hanno partecipato e reso possibile l’analisi dei prati sono state scelte nelle

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Fig. 11 - Mesobrometo

diverse categorie dimensionali e di gestione delle varie zone oggetto di studio. All’interno delle aziende venivano individuati almeno 60 prati permanenti diversi per caratteristiche stazionali e intensità di gestione.

Sono stati analizzati quasi 700 prati e su questi si è proceduto al rilievo floristico. Su un numero considerevole si è anche proceduto all’analisi del suolo e della produzione. I prati studiati erano quelli rientranti nella normale gestione attuale delle aziende zootec-niche trentine. Si tratta di prati tagliati almeno una volta l’anno e molto spesso concimati con fertilizzanti organici. A volte essi sono oggetto di pascolamento, ma solo per un pe-riodo limitato della stagione vegetativa, ad esempio in tarda estate o autunno, quando la ridotta ricrescita dell’erba non giustifica più i costi della fienagione.

I tipi di prato individuati in Trentino sono 17. Di seguito si riportano, a titolo esemplifica-tivo, alcune delle caratteristiche di due tipi molto diffusi nel nostro territorio: il Mesobro-meto, un prato magro, poco produttivo, ma ricco di specie e l’Arrenatereto, un prato con elevate potenzialità produttive.

Mesobrometo

(Fig. 11) Caratteristiche stazionali

Localizzazione: tutto il Trentino, ma non rilevato sui substrati silicatici della Val di Sole Quota: 400-1500 m s.l.m..

Pendenza: 10-40%, più frequentemente elevate (30-40%), ma rinvenibile anche in stazio-ni pianeggianti con suoli drenati.

Esposizione: prevalenti le esposizioni a sud.

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Suoli: poco profondi, franchi o franco-sabbiosi e da basici ad acidi (a seconda del sub-strato geologico).

Composizione floristica ed ecologia

Questo tipo rappresenta i prati magri di elevato pregio naturalistico e paesaggistico che si rinvengono in stazioni quasi sempre pendenti e caratterizzate da una composizione molto ricca e varia, costituita soprattutto da specie di bassa e media taglia adatte a suoli poveri di elementi nutritivi e di acqua.

Modalitá di gestione

Indicatori gestionali

Livello di concimazione: normalmente 0 kg di N ha-1 anno-1, ma a volte fino a 40 kg.

Numero annuale di tagli: 1 taglio, normalmente tardivo: eccezionalmente 2 tagli o 1 taglio seguito da pascolamento autunnale.

Linee gestionali attuali e possibili evoluzioni

Le stazioni abbastanza difficili (pendenza abbastanza elevata e suoli poco profondi) su cui normalmente questo tipo si insedia limitano l’intensità di gestione, tanto che spesso il suo mantenimento è legato alla presenza dei contributi per lo sfalcio.

L’attuale gestione estensiva consente di mantenere gli elementi di pregio floristico e le vegetazioni di orlo boschivo particolarmente importanti per la conservazione della bio-diversità. La funzione di conservazione naturalistica è da ritenere sicuramente prioritaria rispetto a quella produttiva.

Produzione

Indicatori produttivi

Resa: 3-4,7 t di s.s. ha-1 anno-1.

Valore nutritivo del foraggio: 0,86 UFL e 80 g di PDIN per kg di s.s.. Contenuto di elementi minerali nel foraggio: 6,5% della s.s.. Indice di valore foraggero: 4,2.

Caratteristiche della produzione

La resa in foraggio, variabile in funzione soprattutto della quota, è tra le più basse. Il valo-re foraggero è anche ridotto. Infatti, l’esecuzione di un unico taglio consente di ottenevalo-re solo foraggio di primo ricaccio, notoriamente ricco di fibra e povero di proteina. Inoltre, la specie principale, Bromus erectus, presenta un elevato rapporto tra fusti e foglie. Il fo-raggio, che presenta anche un contenuto di elementi minerali abbastanza basso, è dunque più adatto a manze o a vacche in asciutta.

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Arrenatereto tipico

(Fig. 12) Caratteristiche stazionali Localizzazione: tutto il Trentino. Quota: 200-1300 m s.l.m.. Pendenza: 5-25%. Esposizione: variabile. Substrato: indifferente.

Suoli: da mediamente profondi a profondi, franco-sabbiosi e da subacidi a neutri. Composizione floristica ed ecologia

La vegetazione dell’arrenatereto tipico è caratterizzata da graminacee di taglia elevata, ma non mancano fioriture policromatiche garantite da Knautia arvensis, Salvia pratensis, Tragopogon pratensis orientalis e Crepis biennis. La specie dominante è l’avena altissima, accompagnata dalla Poa pratensis, Trisetum flavescens e Dactylis glomerata.

La diffusione di questo tipo di prato è maggiore nelle valli trentine più meridionali.

Modalità di gestione

Indicatori gestionali

Livello di concimazione: 45-150 kg N ha-1 anno-1.

Numero annuale di tagli: 2(3).

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Linee gestionali attuali e possibili evoluzioni

L’attuale gestione è caratterizzata da una concimazione ancora moderata, tale da consentire un buon livello di biodiversità. La frequenza di utilizzazione usuale è pari a due tagli l’anno. Nel sottotipo più concimato di bassa quota (Ar121) può essere effettuato anche il terzo taglio. Un’intensificazione della concimazione, se non accompagnata da un incremento del nu-mero di taglio, rischia di portare alla formazione dei sottotipi ad ombrellifere dell’arrena-tereto pingue con effetti negativi sulla qualità dei foraggi.

È importante sottolineare che la decisione di incrementare i livelli di concimazione do-vrebbe sempre considerare anche l’importanza di avere un equilibrio fra gli apporti di nu-trienti determinati dalla concimazione stessa e gli asporti della produzione, per evitare elevate perdite d’azoto.

Produzione

Indicatori produttivi

Resa: 3,3-6,8 t di s.s. ha-1 anno-1.

Valore nutritivo del foraggio: 0,87 UFL e 87 g di PDIN per kg di s.s.. Contenuto di elementi minerali nel foraggio: 8,2% della s.s.. Indice di valore foraggero: 5,4.

Caratteristiche della produzione

L’attuale gestione permette una buona produzione in termini quantitativi e qualitativi. Rispet-to ai tipi di praRispet-to più magri, la qualità media del foraggio incrementa soprattutRispet-to in termini di contenuto proteico e di contenuto di elementi minerali. Ciò è dovuto soprattutto all’esecuzio-ne di almeno un taglio dopo il primo, da cui si ottieall’esecuzio-ne foraggio più ricco di foglie e di proteina.

La fienagione

L’esigenza di conservare i foraggi è dovuta alla stagionalità dei raccolti, rendendo in questo modo disponibile la principale fonte alimentare per le lattifere fino al raccolto dell’anno successivo.

La fienagione, consistente nell’essiccazione dell’erba fino ad un’umidità che consente la conservazione, produce un foraggio particolarmente adatto ad animali il cui latte sia trasformato in formaggi a media e lunga stagionatura: il fieno infatti, se ben prodotto e conservato, concorre a determinare il profilo microbiologico del latte e dei prodotti deri-vanti dalla sua trasformazione.

Nel caso di produzioni tipiche come il “Trentingrana”, alcuni difetti riscontrati nel for-maggio sono inoltre direttamente correlabili con le caratteristiche microbiologiche dei foraggi, a loro volta legate alle cure colturali riservate al prato e ad alcune modalità

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ope-rative seguite durante le diverse operazioni di essiccazione e raccolta del fieno.

I principali fattori che determinano la quantità e la qualità del fieno prodotto sono rap-presentati, oltre che dall’epoca di sfalcio, anche dalle perdite, in parte inevitabili, che si verificano durante il processo di essiccazione.

Perdite durante la fienagione

Un primo aspetto è rappresentato dalle perdite legate all’andamento meteorologico, che possono essere limitate attraverso una frequente consultazione degli strumenti pre-visionali: questi modelli, nel breve termine (2-3 giorni), hanno raggiunto ormai una buo-na affidabilità. Le perdite di lisciviazione, determinate dall’azione dell’acqua piovana, possono raggiungere il 4-8%.

Le perdite respiratorie sono legate all’ossidazione degli zuccheri (respirazione) all’interno delle cellule delle piante foraggere e si riducono man mano che l’umidità, da valori iniziali dell’80%, scende al di sotto del 50%. Vengono contenute attraverso il condizionamento dei foraggi e/o con l’esecuzione di più operazioni di spandimento-rivoltamento (Tab. 3).

Fase del processo % s.s.

Lisciviazione 4 - 8

Respirazione 1 - 5

Perdite meccaniche 5 - 8

Fermentazione 10 - 20

Perdite medie totali 15 - 30

I diversi interventi sul foraggio durante il processo di essiccazione, si accompagnano a perdite meccaniche, dovute soprattutto al distacco di frammenti vegetali. L’entità di tali perdite si intensifica con il procedere dell’essiccazione, per cui va progressivamente ri-dotta la velocità degli organi lavoranti. In condizioni normali, sul foraggio con un con-tenuto di umidità inferiore al 40%, l’unico intervento dovrebbe essere quello di messa in andana per la successiva raccolta.

Infine, sul fieno possono ancora verificarsi perdite di fermentazione, dovute ad altera-zioni che avvengono all’interno della catasta e la cui intensità è direttamente proporzio-nale al contenuto di umidità. Quando quest’ultimo valore supera il limite ottimale posto intorno al 20%, le fermentazioni assumono progressivamente maggior intensità, con emissione di vapore ed incremento di temperatura del foraggio.

Lo sfalcio

Le macchine impiegate in questa operazione vengono classificate in base al movimento ed al tipo di organi di taglio; sono così distinte in macchine con lama a moto alternativo

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(es. motofalciatrici) e macchine a lama rotativa (falciatrici a tamburi o a dischi). In termi-ni generali, la soluzione con lama a moto alternativo preserva maggiormente la qualità del foraggio, mentre le barre a moto rotativo consentono una produttività decisamente supe-riore. Particolare attenzione va prestata all’altezza di taglio, che non dovrebbe scendere sotto i 5-6 cm, per ridurre in tal modo la contaminazione con terra del fieno e favorire l’es-siccazione, permettendo la circolazione dell’aria al di sotto dell’andana tra gli steli recisi. Le motofalciatrici, tuttora impiegate nelle aree declivi o molto declivi, nello sfalcio dei bordi e di piccoli appezzamenti, sono molto evolute rispetto alle macchine che nei primi anni ’60 fecero la loro comparsa sui prati trentini. Queste macchine, per la loro architettu-ra e per le svariate possibilità di gommatuarchitettu-ra, fino al montaggio di ruote a gabbia, possono tranquillamente operare su superfici molto declivi, potendo variare in continuo la velocità di avanzamento indipendentemente dalla velocità di rotazione del motore, a cui è legato il moto alternativo della lama.

In Italia ed in parte anche nella nostra provincia, hanno trovato diffusione le barre fal-cianti a lama e dentilama oscillanti, con caratteristiche simili alle barre a doppia lama oscillante riguardo alla qualità del taglio, ma meno delicate rispetto alla presenza di terra (es. cumuli delle talpe) o ad eventuali ostacoli (sassi affioranti, cippi di confine). Montate in posizione frontale o portate posteriormente su trattrici adatte ad operare in pendenza, coniugano produttività soddisfacente con una buona qualità del lavoro (Fig. 13).

Le falciatrici rotative proposte sul mercato e maggiormente vendute presentano quali or-gani di taglio dischi muniti di lamini. Queste macchine consentono un’elevata produttività del lavoro (ettari falciati per ora di lavoro) ed un’accettabile qualità del foraggio purché venga eseguita una regolare manutenzione ed affilatura dei lamini. Si tratta di macchine

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portate che possono operare su terreni a profilo sufficientemente regolare, con i limiti di pendenza propri dell’operatrice a cui è collegata l’attrezzatura (Fig. 14).

Il condizionamento

L’operazione di condizionamento del foraggio consiste nello schiacciamento del fusti e/o abrasione superficiale degli organi vegetali per cercare di uniformare la velocità di essicca-zione dei culmi e delle foglie. È una tecnica che si inserisce positivamente in cantieri di rac-colta che prevedano una limitata permanenza in campo, come l’essiccazione in due tempi. Viene normalmente effettuata accoppiando un apparato condizionatore ad una barra ro-tativa a dischi: questa, infatti, consente una larghezza degli organi di condizionamento prossima a quella degli organi di taglio, migliorando l’efficacia dell’operazione rispetto ad es. alle falciacondizionatrici a tamburi.

Operando su prati stabili in cui predominano le graminacee, vengono impiegati condizio-natori a flagelli, realizzati con forme e materiali svariati, mentre vanno riservati alle colti-vazioni di leguminose, medica in particolare, i condizionatori a rulli. I modelli più recenti sono dotati di un carter all’uscita del foraggio, sul quale sono fissati una serie di deflettori orientabili che hanno la funzione di depositare sul campo un’andana uniforme e soffice, rendendo spesso superfluo il primo spandimento successivo allo sfalcio (Fig. 15).

Lo spandimento-rivoltamento

Lo spandimento costituisce l’operazione che dovrebbe seguire in rapida e tempestiva suc-cessione lo sfalcio, sfruttando al meglio la radiazione solare ed il potenziale di evaporazio-ne dell’aria. All’interno dell’andana, soprattutto quando la produzioevaporazio-ne è elevata, l’aria, a

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cui il foraggio cede la sua umidità fino a raggiungere condizioni di equilibrio prossime alla saturazione, va ricambiata con interventi di spandimento/rivoltamento. Del resto, fintan-to che il contenufintan-to in acqua, inizialmente infintan-torno a 80%, non scende sotfintan-to valori del 50%, l’entità delle perdite meccaniche è abbastanza contenuta.

Questa operazione viene normalmente eseguita impiegando spandivoltafieno a trottole (a 2, 4 o 6 girelli), che negli ultimi venti anni hanno subito profonde innovazioni in termini di efficienza (Fig. 16).

L’andanatura

La messa in andana rappresenta un’operazione molto delicata per il ridotto contenuto di umi-dità del foraggio, e va quindi eseguita con attrezzature efficienti e con velocità adeguate per contenere le perdite di prodotto (quantitative e qualitative). Per questa operazione vengono impiegati i giroranghinatori, che nei nostri ambienti sono dotati di un unico rotore, che asso-cia capacità di lavoro (larghezza di 3,0-4,5 m) e delicatezza nel trattamento del foraggio. So-lamente nelle zone particolarmente declivi per svolgere questa operazione può essere ancora proposto l’utilizzo di ranghinatori a cinghie con pettini, poiché meno soggetti alla deriva ver-so valle ed impiegabili anche, con opportune regolazioni, nella fase di spandimento (Fig. 17).

La raccolta

Il foraggio posto in andana, a seconda del sistema di fienagione, può essere raccolto in masse compresse oppure allo stato sfuso: nel primo caso mediante l’uso della rotoimballa-trice, nel secondo impiegando un carro autocaricante.

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Quest’ultima è la soluzione più seguita per la fienagione in due tempi per cui, dopo un parziale appassimento in campo, viene effettuata la raccolta e completata l’essiccazione in fienile mediante ventilazione, spesso utilizzando aria riscaldata in un collettore solare semplificato. Il carro autocaricante mantiene un’impostazione tradizionale, migliorata con l’adozione dei comandi elettroidraulici e velocizzando la fase di scarico. Il montaggio di un adeguato numero di coltelli per il taglio del foraggio favorisce la distribuzione sulla catasta e ne aumenta la densità (Fig. 18).

Fig. 17 - Andanatore a trottola

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Per l’impiego in aree declivi il cassone autocaricante può essere montato sul telaio di un transporter, ottenendo un’operatrice agile e compatta in grado di raccogliere il foraggio su pendenze più elevate rispetto alla combinazione trattrice con carro autocaricante. Sul-lo stesso telaio possono essere montate diverse operatrici per aumentare l’impiego dell’u-nità motrice in diverse operazioni agricole ed extragricole (Fig. 19).

La rotoimballatrice si è molto diffusa anche nei nostri ambienti, grazie soprattutto alla sua elevata produttività (ha/h), anche se la qualità del prodotto al termine della fase di conservazione non sempre risulta soddisfacente. Infatti, per garantire una perfetta con-servazione, l’umidità del foraggio in andana dovrebbe aggirarsi su valori del 16-18%, co-munque inferiore al 20%: con la rotoimballatrice, in particolare operando in primavera, su prati molto produttivi, con condizioni meteorologiche poco favorevoli o con limitato irraggiamento solare risulta difficile raggiungere tale obiettivo, anche riducendo il grado di compressione.

La tipologia di rotoimballatrice più diffusa è quella a camera fissa, con pick-up largo (2-2,2 m) e legatore a doppio spago o rete; le macchine più moderne si sono evolute verso la camera variabile, potendo in alcuni casi modificare le caratteristiche geometriche della balla, ottenendo una densità uniforme o variando a piacere la densità della massa, con un nucleo centrale meno denso e la parte esterna più compressa. Inoltre, superato un diame-tro minimo di 0,5-0,6 m, è possibile effettuare la legatura di una massa correttamente for-mata in qualsiasi momento, prima di raggiungere la massima dimensione consentita dal modello impiegato. L’ampia regolazione del grado di compressione delle rotoballe risulta molto importante operando in condizioni climatiche non ottimali o nel caso l’essiccazione venga completata su impianti di ventilazione (Fig. 20).

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Fig. 21 - Danni da pneumatici

Il problema dei clostridi: accorgimenti operativi nelle fasi di raccolta

Nel corso degli ultimi anni, le analisi eseguite sul latte nell’ambito del sistema di pagamen-to in base alla sua qualità, hanno evidenziapagamen-to un aumenpagamen-to considerevole del contenupagamen-to in spore di clostridi, mentre sul formaggio a lunga stagionatura nel corso della stessa si sono verificati, quale effetto conseguente, difetti di gonfiore tardivo e consistente deprezza-mento del prodotto.

I clostridi rappresentano un ceppo batterico la cui presenza è legata alla contaminazione con terra del foraggio; è inoltre ormai provato che il numero di spore clostridiche cresce con l’intensificarsi del carico zootecnico, per la necessità di una più abbondante distribu-zione di deiezioni sulle stesse superfici prative.

Durante il transito ruminale ed intestinale, le spore possono riprodursi aumentando la loro concentrazione nelle feci, determinando un elevato inquinamento dell’ambiente di stalla, che unito ad una pulizia della mammella non particolarmente accurata, può deter-minarne una significativa presenza nel latte.

Esistono alcuni accorgimenti per limitare la contaminazione di terra nel foraggio. In-nanzitutto va mantenuto un cotico chiuso e compatto, evitandone i danneggiamenti me-diante il ricorso alle gomme gemellate o a pneumatici a bassa pressione (Fig. 21).

Nel caso di diradamenti è utile rinfoltire il prato mediante operazioni di trasemina eseguite con apposite macchine o “sovrasemine” associate alla erpicatura-strigliatura primaverile. Lo sfalcio va eseguito a 5-8 cm da terra: in questo modo non vengono danneggiati i cen-tri vegetativi posti, nelle graminacee, a livello del terreno ed inoltre i culmi mantengono sollevato il foraggio dal terreno favorendo l’essiccazione.

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Nella scelta della falciatrice vanno preferite macchine che consentano una regolazione fine dell’altezza di taglio e dotate di dispositivi che provvedono ad alleggerire il peso sca-ricato sul terreno, trasferendolo sulla trattrice, in maniera tale che l’operatrice possa se-guire in modo preciso l’andamento superficiale del prato.

Nell’esecuzione delle successive operazioni di fienagione, quali spandimento-rivolta-mento ed andanatura, i denti elastici debbono sfiorare il suolo senza intaccarlo, favoriti in questo dalla presenza di un adeguato spessore di steli recisi. Anche la presenza del ruotino tastatore favorisce la capacità della macchina di adattarsi al profilo del terreno.

Negli spandivoltafieno, almeno in quelli di più recente costruzione, è possibile intervenire per modificare l’inclinazione del piano del rotore rispetto alla superficie del prato, interve-nendo sull’asse che collega la ruota di sostegno a ciascun girello. Mentre nel primo span-dimento conviene mantenere un’inclinazione limitata per aumentare l’area di contatto tra i denti ed il foraggio, migliorando l’azione di rastrellatura, nei rivoltamenti successivi è utile aumentare l’inclinazione per accrescere la superficie su cui il fieno viene distribuito.

L’essiccazione in due tempi

Mediante questa tecnica il foraggio, dopo un parziale appassimento in campo, fino ad un contenuto di umidità del 40-50%, viene raccolto e portato in fienile dove, per mezzo di un ventilatore che insuffla aria nella catasta, viene completata l’essiccazione.

Il processo viene abbreviato riscaldando l’aria di ventilazione; allo scopo, accanto ai tra-dizionali generatori di calore alimentati a combustibili fossili, si sono diffusi gli impianti dotati di un apposito collettore solare integrato nella copertura, che consente con un limi-tato costo di realizzazione, di aumentare l’efficienza di essiccazione.

La fienagione in due tempi è una soluzione che, integrando i sistemi che prevedono una limitata permanenza in campo del foraggio, quali il condizionamento dei foraggi, l’impie-go di falciatrici con apparato di distribuzione dell’andana e/o appropriati interventi di spandimento-rivoltamento, comporta minori perdite.

Sistema di produzione del fieno

Perdite

di sostanza secca di valore nutritivo

Fienagione in campo 15 - 30 15 - 25 Fienagione in 2 tempi in fienile 10 - 20 5 - 15 Fienagione in 2 tempi con rotoballe 12 - 25 10 - 20 Disidratazione 4 - 10 2 - 6

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Rispetto alla fienagione in campo, a fronte di una riduzione delle perdite quali-quantita-tive e di una contrazione dei tempi di lavoro, implica un maggior investimento iniziale e dei costi di esercizio per l’energia elettrica e l’eventuale combustibile. La fienagione in due tempi va in ogni caso adottata nel contesto di una razionalizzazione dell’intera filiera prato-fieno, a partire da uno sfalcio precoce e utilizzando un’adeguata attrezzatura per le diverse operazioni.

Prodotti conservanti e/o essiccazione delle rotoballe

Quando le condizioni di umidità del foraggio non raggiungono valori tali da garantire una corretta conservazione, può essere utile il ricorso a sostanze conservanti, in genere aci-do propionico e propionati, impiegate a aci-dose crescente (dallo 0,5 all’1,5%) all’aumentare dell’umidità residua. La distribuzione avviene mediante ugelli, alimentati da una pompa elettrica, che spruzzano il prodotto in forma liquida direttamente sull’andana.

L’uso di questi prodotti incide in maniera considerevole sul costo di produzione del fieno, incrementandolo da 1 fino a 4 euro per quintale, a seconda della dose e del prodotto. Dopo l’impiego le attrezzature vanno accuratamente lavate per limitare l’effetto corrosivo pro-prio di queste sostanze.

Per le aziende già dotate di impianto di essiccazione per fieno sfuso, con riscaldamento dell’aria mediante tecnologie solari semplificate, potrebbe risultare più conveniente alle-stire una platea per l’essiccazione delle rotoballe (Fig. 22), impiegando il ventilatore già installato.

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I numerosi fattori che concorrono alla produzione dell’azienda zootecnica, vedono nell’a-limentazione la principale voce di costo ed uno degli elementi spesso in grado di limitare la manifestazione del potenziale genetico degli animali.

La qualità del latte, la sua resa casearia, oltre che le caratteristiche organolettiche del formaggio, sono sensibilmente influenzate dall’alimentazione nei suoi diversi aspetti: tipo di alimenti e loro qualità, rispondenza del razionamento alle esigenze degli animali, mo-dalità di distribuzione della razione.

Obiettivi del razionamento

L’alimentazione della vacca da latte risponde a degli obiettivi:

1. Far fronte ai fabbisogni nutritivi dell’animale

Nel ciclo produttivo di una bovina da latte possiamo distinguere 4 fasi, alle quali corri-spondono esigenze nutrizionali diverse:

• i primi 100 giorni di lattazione;

L’ALIMENTAZIONE DELLA VACCA

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• la piena lattazione; • il periodo di asciutta;

• la fase di transizione dall’asciutta alla lattazione.

Una corretta gestione di queste fasi tiene conto sia della produzione di latte, sia dell’a-deguamento del rumine ai cambi di dieta, sia delle interazioni sociali esistenti tra le bovine della mandria.

Nelle aziende di montagna, con fieni di non grande qualità, è abbastanza frequente un’importante carenza energetica nei primi mesi di lattazione.

Livelli produttivi elevati implicano maggiore difficoltà nel riuscire a soddisfare le esi-genze nutritive rispettando la fisiologia del rumine e la tipicità dei prodotti caseari.

2. Prevenire le malattie del metabolismo come l’acidosi e la chetosi, nelle forme acute e subcliniche.

La necessità di fornire una adeguata concentrazione energetica all’inizio della lattazio-ne, anche per evitare un eccessivo dimagrimento responsabile della chetosi, impone in questa fase il più basso rapporto tra foraggi e concentrati. La sostenibilità di un rap-porto prossimo al 50/50 è anche funzione delle modalità di distribuzione degli stessi alimenti concentrati.

Il Regolamento consente a questo proposito l’uso di quantità limitate di sostanze neo-glucogenetiche (glicole propilenico, glicerolo, sorbitolo, propionati, destrine, zuccheri). Negli allevamenti montani, è più frequente riscontrare delle curve di lattazione con un andamento atipico,

che rivelano anche graficamente la difficoltà di fornire l’energia necessaria a sostenere importanti produzioni.

10 15 20 25 30 35 0 50 100 150 200 250 300 350 Kg di latte

Giorni dal parto

Tipica Curve di lattazione

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3. Preservare le difese immunitarie e la fertilità della mandria, due strade attraverso le quali massimizziamo l’efficienza economica dell’impresa zootecnica.

4. Valorizzare le risorse foraggere aziendali

L’alimentazione dei bovini allevati è basata sull’utilizzo prevalente delle produzioni fo-raggere locali (Fig. 1). In questo modo è valorizzata la tipicità delle produzioni, grazie al trasferimento nel latte di aromi ed odori, oltre che di una particolare microflora. Uti-lizzare in maniera razionale le superfici aziendali consente anche di chiudere un cerchio all’interno del quale l’allevamento sta in un corretto equilibrio con il territorio, requi-sito necessario per avere una prospettiva di lungo periodo.

Nutrire un animale ruminante significa innanzitutto alimentare il primo dei prestomaci, il rumine, che richiede un prevalente apporto di foraggi per funzionare bene e sintetiz-zare i nutrienti necessari alla produzione di latte.

Considerate le notevoli esigenze nutritive degli animali ad elevata produzione e la capacità comunque limitata del loro apparato digerente, diventa necessario applicare tutte le tec-niche agronomiche e di essiccazione per produrre foraggi di ottima qualità.

È frequente la discordanza tra il progresso genetico di buona parte degli allevamenti, e la relativa costanza della qualità dei foraggi prodotti nelle stesse aziende.

Ruolo dei foraggi locali nella produzione di formaggi tipici

Fig. 1 - Fienagione tradizionale

FORAGGI LOCALI DI QUALITÀ

MASSIMA INGESTIONE

BUON FUNZIONAMENTO DEL RUMINE

– LATTE DI QUALITÀ – ANIMALI SANI – FORMAGGI “TIPICI”

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5. Contenere i costi di produzione che nel caso del-la produzione di del-latte sono rappresentati per cir-ca il 50% dalle spese relative alla nutrizione degli animali.

6. Produrre un latte qualitativamente adeguato alla trasformazione: le quantità degli alimenti, il rapporto tra gli stessi ed il modo in cui sono som-ministrati influiscono, se consideriamo due dei pa-rametri più appariscenti, sui contenuti di grasso e proteina del latte. Anche la qualità di questi due componenti è condizionata dal tipo di razione: da un lato la proteina nella sua componente caseini-ca beneficia di una corretta condizione ruminale; dall’altro il profilo acidico del grasso è to dall’eventuale apporto di lipidi tramite la dieta. Quest’ultima caratteristica va

tenuta in considerazione per rispettare il normale equilibrio tra gli acidi componenti la frazione grassa del latte: proprio per questo il Regolamento norma il contenuto in grassi e oli della razione. Da ricordare che gli alimenti ad elevato contenuto in grassi, come i semi oleosi in genere, richiedono particolare attenzione nello stoccaggio e conservazione, perché sono facilmente soggetti a fenomeni di irrancidimento.

I foraggi

Nella realtà trentina gli alimenti di origine aziendale sono essenzialmente foraggi. La produzione di latte destinato alla trasformazione in formaggi a lunga stagionatura esclude l’impiego di insilati di qualunque tipo, perché veicolerebbero nell’ambiente di stalla quantità incompatibili di microrganismi anticaseari ed in particolare di clostridi, dei quali possono essere particolarmente ricchi. Per questo motivo è vietata anche la semplice presenza in azienda di alimenti insilati, anche se destinati ad altre categorie di animali. Data per scontata la necessità che i foraggi utilizzati non risultino in alcun modo alterati e che rispettino le specifiche norme previste dal Regolamento, ai fini del razionamento de-vono essere considerate la loro fibrosità e la loro fragilità, caratteristiche che influiscono in modo determinante sulla masticazione e sulla ruminazione (Tab. 1).

Queste specifiche fisiche variano tra specie diverse, diminuiscono all’aumentare del taglio, sono più elevate nelle graminacee rispetto alle leguminose e nei foraggi essiccati rispetto ai disidratati ad alte temperature.

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FORAGGIO NDF (% sulla sost. secca) Attività masticatoria

Totale (min/kg alimento) 15 - 30 15 - 25

Fieno di medica lungo 54 65

Fieno di medica trinciato a 3,8 cm 54 53

Fieno di graminacee lungo 72 97

Fieno di graminacee trinciato a 3,8 cm 72 76

Paglia di avena lunga 84 151

Paglia di avena macinata 75 75

Fieno di loiessa lungo 65 81

Fieno di loiessa macinato a 0,1 cm 64 17

Fieno di medica 2,5 cm 55 47

Fieno di medica 0,5 cm 45 27

Silomais trinciato a 1,27 cm 62 20

Silomais trinciato a 0,63 cm 60 13

Le caratteristiche dei foraggi relativamente a questi aspetti comportano una attenta valu-tazione della loro inclusione nella razione, nonché la corretta sequenza di caricamento nel carro miscelatore e la adozione di adeguati tempi di trinciatura.

Recenti metodi di analisi consentono di valutare in maniera precisa la digeribilità della componente fibrosa, elemento che determina il valore energetico di un fieno e in gran parte anche la sua appetibilità.

I concentrati

Gli alimenti acquistati sono generalmente alimenti concentrati: mangimi semplici o composti. Le tipologie consentite e le rispettive quantità utilizzabili sono indicate in modo dettagliato dal Regolamento di produzione.

Con la finalità di avere un maggior controllo sui mangimi utilizzati, il Concast ha istituito un Registro delle ditte mangimistiche autorizzate.

L’ampia disponibilità di prodotti sul mercato consente di completare l’apporto energe-tico e proteico fornito dai foraggi, con riferimento anche al bilanciamento delle diverse frazioni, sia dei carboidrati (zuccheri, amido, fibre solubili), sia delle proteine (solubili, degradabili, by-pass).

I trattamenti meccanici e termici cui vengono sottoposti i diversi mangimi, oltre che la naturale variabilità tra le specie, permettono di diversificare in maniera corretta gli ap-porti nutritivi pur rimanendo nei limiti delle “Materie prime ammesse e limiti d’impiego” del Regolamento.

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Normalmente le materie prime destinate all’alimentazione degli animali, in particolare i semi, sono sottoposte a delle lavorazioni.

La più comune è la macinazione, che viene effettuata sia per facilitare la gestione dell’a-limento nelle successive miscelazioni e pellettature, sia per migliorare la sua utilizzazione nel processo digestivo.

La farina ottenuta dalla macinazione può, a seconda delle griglie utilizzate nel mulino, avere una diversa dimensione delle particelle, ed una diversa variabilità tra le stesse. Que-sto modifica la velocità di fermentazione nel rumine (anche se non necessariamente mo-difica la quantità degradata nello stesso). L’uso di farine più fini o più grosse è funzione del tipo di dieta in cui vengono inserite e può aiutare a modulare le dinamiche ruminali. In alcuni casi la schiacciatura o laminatura o rullatura a freddo può essere una alterna-tiva alla macinazione: nel caso di cereali come orzo, frumento e avena, non cambia signifi-cativamente la fermentescibilità e può migliorare la praticità d’uso.

L’azione meccanica della macinazione, schiacciatura e pressione può essere abbinata ad un trattamento termico effettuato con l’uso del vapore aggiunto e della compressione dell’a-limento medesimo.

Gli alimenti concentrati possono essere forniti all’allevatore in forma sfarinata o pellettata; i primi corrispondono spesso alle materie prime, o mangimi semplici, e sono da preferire se impiegati nel carro miscelatore;

la forma pellettata coincide spesso con i mangimi composti da più ingredienti e trova un più facile impiego nell’alimentazione tradizionale o nei distributori automatici.

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I processi di fioccatura, espansione ed estrusione prevedono una trasformazione, sia fi-sica, sia chimica, dell’alimento di partenza (macinato o a seme intero). Il calore, associato all’umidità, aumenta in particolare la fermentescibilità dell’amido, migliorandone la di-geribilità complessiva e riduce la degradabilità ruminale delle proteine. Si ha inoltre un effetto sanitizzante per l’abbattimento della carica microbica di partenza e, per alcune specie vegetali, una inattivazione dei fattori antinutrizionali.

Le modalità di distribuzione

Sulla composizione della dieta riservata alle vacche da latte vengono spesso caricate del-le responsabilità eccessive. Allo stesso modo si ripongono esagerate speranze nell’uso di integratori di vario tipo. Una maggior attenzione andrebbe posta invece sulla sanità degli alimenti impiegati, e sul modo in cui questi vengono distribuiti.

Queste due variabili, ancor più delle quantità e del tipo di alimento, possono spiegare l’ef-ficacia di una razione e la variabilità esistente tra aziende.

Nella realtà trentina è possibile ricondurre la somministrazione della razione agli animali (in stalla) ad alcuni sistemi presenti sia in stabulazione libera, sia in quella fissa:

• alimentazione tradizionale, con la distribuzione separata di foraggi e concentrati di-rettamente in mangiatoia;

• alimentazione con autoalimentatori, che provvedono alla distribuzione frazionata dei concentrati; sono individuali nelle stalle fisse (Fig. 2), servono dai 20 ai 30 animali in quelle libere (Fig. 3); possono caricare uno o più tipi di mangimi;

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• alimentazione “unifeed”, con la miscelazione ed eventuale trinciatura di tutti gli ali-menti in appositi carri trinciamiscelatori;

pascolo, aziendale o in alpeggio, integrato in misura variabile con mangimi e/o foraggi.

I sistemi che prevedono la distribuzione separata di fieno e mangime costringono ad un inevitabile controllo dei foraggi utilizzati e comunque consentono all’animale la pos-sibilità di scelta. Impiegando alimenti secchi, inoltre, non sussiste nelle stagioni calde il problema di eventuali fermentazioni della razione che, per un principio di precauzione, sono prevenute dalle norme per l’utilizzo del piatto unico (unifeed).

L’impiego dei foraggi verdi e la posizione degli abbeveratoi, per gli stessi motivi, è normata dal Regolamento anche per le stalle ad alimentazione tradizionale.

Per contro, la distribuzione separata delle due categorie di alimenti comporta degli svantaggi:

• sulla fisiologia del rumine: quando il mangime è distribuito in pochi pasti al giorno, genera dei picchi nella produzione di acidi grassi volatili che alterano, aumentandola, la corretta acidità dell’ambiente ruminale.

Soprattutto a fronte di importanti quantità di mangime, questo problema è limitato dall’aumento della frequenza di distribuzione, in modo tale da non somministrare più di 1,5-2,0 chilogrammi di mangime alla volta. Se questo non è possibile, potrebbe essere utile considerare l’utilizzo di mangimi contenenti una maggior percentuale di ingre-dienti fibrosi;

• gli animali ingeriscono meno chili di alimento rispetto ad una fornitura miscelata di man-gimi e foraggi: questo costringerebbe ad aumentare le concentrazioni di energia e

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na della dieta, oppure a rinunciare ad una parte del potenziale produttivo delle lattifere; • la competizione in mangiatoia, nel caso di distribuzione separata degli alimenti è

mag-giore, e si estende anche all’utilizzo dell’autoalimentatore nella stabulazione libera.

Dal punto di vista pratico, anche con queste tecniche, è fondamentale che in mangiatoia sia sempre presente un’abbondante quantità di foraggio, rinnovato frequentemente, per stimolare l’accesso alla greppia, evitare intervalli vuoti e limitare i danni della compe-tizione gerarchica. Non è nemmeno da sottovalutare la distribuzione sequenziale degli alimenti, che consente di creare nel rumine un substrato fibroso fornendo prima il fieno e poi gli altri alimenti.

L’unifeed o piatto unico

La tecnica dell’unifeed permette di ovviare agli inconvenienti sopra descritti che si determi-nano con la somministrazione separata di foraggi e mangimi. Con il piatto unico o unifeed, infatti, i diversi alimenti vengono opportunamente mescolati in modo tale da costringere l’animale ad ingerire una miscela con caratteristiche nutrizionali costanti (Fig. 4).

Il fieno ed i concentrati vengono introdotti nel carro miscelatore dove subiscono un’ac-curata trinciatura e miscelazione. L’aggiunta di acqua, in quantità più o meno ridotte favorisce l’ottenimento di una miscelata omogenea, non polverulenta, e difficilmente de-miscelabile, grazie all’adesione al fieno delle particelle farinose dei concentrati. Per mezzo dello stesso carro miscelatore (verticale od orizzontale) si provvede poi alla distribuzione dell’unifeed in mangiatoia.

Aspetti positivi e negativi del piatto unico

La tecnica di distribuzione “unifeed” è stata introdotta nell’alimentazione dei ruminanti, perché offre una serie di vantaggi, sia nutrizionali, sia gestionali.

Dal punto di vista nutritivo si possono così riassumere:

• “confezionamento” di una razione alimentare molto vicina ai reali fabbisogni degli animali;

• ingestione di un alimento con caratteristiche costanti nell’arco della giornata e conse-guente mantenimento di un ambiente ruminale ottimale;

• incremento dell’ingestione determinato, sia dal miglior funzionamento del rumine, sia dalla migliore appetibilità della razione miscelata;

• aumento conseguente delle produzioni e miglioramento della qualità del latte (proteine in particolare);

• minore comparsa di “dismetabolie” e delle relative conseguenze sanitarie (mastiti, zoppie, ecc.);

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