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Il danno alle cellule cardiache causato dalle antracicline [38]

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Academic year: 2021

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ANTRACICLINE

Adriamicina e daunomicina appartengono alla classe delle antracicline con potente azione antitumorale, dovuta alla capacità di legarsi direttamente al DNA secondo un meccanismo di intercalazione, che si attua attraverso l’inserimento tra due basi contigue e interazioni polari con regioni esterne dell’elica del DNA (figura 21).

Figura 21. Antracicline.

Comunque, alcuni dati dimostrerebbero che questi composti interagiscono, forse esclusivamente, con i mitocondri, mediante l’alterazione di alcune funzioni mitocondriali.

Gli effetti citotossici delle antracicline sono stati attribuiti al loro accumulo nella membrana lipidica mitocondriale, all'azione redox del gruppo chinone ed al conseguente danneggiamento di proteine ed enzimi di membrana. La specificità di questi composti per i mitocondri è notevole, ed è stata associata all’elevata affinità con cui legano la cardiolipina, un fosfolipide specifico della membrana mitocondriale interna. La funzione amminoglicosidica in adriamicina e daunomicina si è dimostrata cruciale per l’attività osservata, e le differenzia da altre antracicline analoghe.

Il danno alle cellule cardiache causato dalle antracicline [38]

Gli antibiotici antraciclinici mostrano una certa tossicità cardiaca, che si manifesta

come tossicità acuta reversibile (variazioni elettrocardiografiche e contrattilità miocardia

ridotta) e come miocardiopatia cronica irreversibile dose-dipendente.

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Il danno indotto dalle antracicline è circoscritto alle cellule cardiache, ed è dovuto al danneggiamento ed alla distruzione dei loro mitocondri.

L’unica sensibilità delle cellule cardiache al danno da antracicline è legata alle componenti strutturali del sistema di trasporto elettronico dei mitocondri delle cellule cardiache, assenti nei mitocondri di altri tessuti ed organi.

I mitocondri delle cellule cardiache sono gli unici a presentare una NADH deidrogenasi associata al Complesso I che è situata sulla superficie del citosol mitocondriale.

La doxorubicina, come altre antracicline, presenta nella sua struttura, uno zucchero esoso (daunosamina) legato ad una tetraciclina contenente un chinone e un idrochinone, che permettono al farmaco di prendere parte alle reazioni di ossido-riduzione.

Sebbene la doxorubicina penetri facilmente nella membrana mitocondriale esterna grazie alle sue piccole dimensioni (580 d), a causa della sua idrofilicità non è capace di attraversare la membrana interna. Quindi, essa non può prendere parte alle reazioni di ossido-riduzione con la deidrogenasi, della matrice, della catena di trasporto elettronico nella maggior parte delle cellule, tra cui quelle epatiche, renali e tumorali.

Nei mitocondri delle cellule cardiache, tuttavia, la doxorubicina interagisce con la NADH deidrogenasi del citosol ed è unica per questi mitocondri, portando alla riduzione del farmaco nel suo corrispondente semichinone. L’autossidazione si traduce nella formazione dell’idrochinone totalmente ridotto, e tale reazione destabilizza la molecola, inducendo la rottura del legame dello zucchero e la formazione degli agliconi corrispondenti. Gli agliconi della doxorubicina sono altamente liposolubili, e penetrano facilmente nella membrana interna, dove spiazzano il CoQ dalla catena di trasporto elettronico.

Ciò è reso evidente dagli aumentati livelli di CoQ nel plasma e dalla spiccata diminuzione del contenuto in CoQ del muscolo cardiaco, in seguito a chemioterapia con doxorubicina.

Non appena gli agliconi della doxorubicina spiazzano il CoQ dalla membrana mitocondriale

interna, essi fungono da accettori di elettroni dai Complessi I e II. Comunque, mentre

normalmente il CoQ riceve gli elettroni da questi complessi e li trasporta attraverso la

catena, portando alla formazione di acqua, gli agliconi, invece, trasferiscono direttamente gli

elettroni all’ossigeno molecolare, con la produzione di radicali superossido (figura 22).

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Figura 22.

In questo modo, la doxorubicina induce livelli altissimi di stress ossidativo nei mitocondri delle cellule cardiache; questo interferisce con il bilancio energetico cellulare (tossicità cardiaca acuta), e si risolve anche in un grave danneggiamento del DNA mitocondriale.

Il danno al genoma mitocondriale indotto dalle antracicline blocca la sintesi di mtRNA e tRNA, che sono necessari per i processi rigenerativi di questi organelli, tra i quali la sintesi dei componenti della catena di trasporto elettronico. L’incapacità dei mitocondri danneggiati dalle antracicline di mantenere la loro struttura e la loro funzione causa la distruzione dei mitocondri delle cellule cardiache, che si traduce nell’apoptosi dei miociti. La perdita di queste cellule muscolari del cuore causa un’insufficienza cardiaca che non risponde ai trattamenti farmacologici e che può obbligare il paziente a sottoporsi a trapianto di cuore.

Fortunatamente, la somministrazione di CoQ durante la terapia con antracicline previene il danno cardiaco attraverso la riduzione del metabolismo delle antracicline all’interno dei mitocondri cardiaci e la competizione con gli agliconi delle antracicline per il sito CoQ nella catena di trasporto elettronico. Quindi, la somministrazione di CoQ durante il trattamento con antracicline conserva l’integrità dei mitocondri e previene il danno cardiaco, aumentando allo stesso tempo l’attività antitumorale di queste molecole diminuendone il catabolismo.

Integrazione molecolare del CoQ durante la terapia con antracicline: studi preclinici

In studi su animali, l’integrazione molecolimente l’insorgenza di cardiomiopatia

indotta da antracicline. Per esempio, conigli trattati con doxorubicina IV, 1 mg/kg 3 volte a

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settimana, ogni settimana per 4 mesi (dose massima: 25 mg/kg), sviluppano gravi alterazioni istologiche cardiache, tipiche della cardiomiopatia indotta da antracicline. I conigli mostrano anche marcate alterazioni elettrocardiografiche e livelli elevati di creatina fosfochinasi. Quando, invece, il CoQ 2,5 mg/kg, è stato somministrato contemporaneamente alla doxorubicina, ad un altro gruppo di conigli, questi animali hanno mostrato solo alterazioni istologiche ed elettrocardiografiche minime. In un altro studio, è stato applicato lo stesso protocollo di cosomministrazione di doxorubicina e CoQ: con modalità analoghe, salvo il fatto che il CoQ non è stato somministrato per dosaggi di doxorubicina inferiori ai 15 mg/kg. Le iniezioni sono state continuate fino alla somministrazione totale di 30 mg/kg di doxorubicina.

La cosomministrazione di CoQ si traduce in un’aumentata sopravvivenza, nel miglioramento delle alterazioni elettrocardiografiche osservate in seguito alla somministrazione iniziale di 15 mg/kg di doxorubicina, e in minori cambiamenti istopatologici a livello cardiaco. Questi risultati suggeriscono che il CoQ può bloccare le alterazioni cardiache causate dalla doxorubicina.

Uno studio più ampio, condotto su conigli trattati con doxorubicina (0,8 mg/kg IV) per 3 giorni consecutivi, ogni settimana per 3 mesi, ha messo in evidenza l’insorgenza di alterazioni istopatologiche cardiache e cambiamenti elettrocardiografici (onde T appiattite/invertite e diminuzione del voltaggio QRS), entrambi riconducibili alla cardiomiopatia da doxorubicina.

Il CoQ (alle dosi di 0,1 o 0,4 mg/kg IV), somministrato 5 giorni a settimana a partire dalla prima somministrazione di doxorubicina, ha ridotto le alterazioni istopatologiche ed elettrocardiografiche causate dal farmaco, fornendo un’ulteriore prova del fatto che il CoQ è cardioprotettivo durante la terapia prolungata con doxorubicina.

La somministrazione cronica di doxorubicina IP (2 mg/kg una volta a settimana per 18

settimane) a topi produce anche in questo caso alterazioni istologiche del cuore,

caratteristiche della cardiomiopatia indotta da doxorubicina. Come nei conigli, la

somministrazione di CoQ (10 mg/kg IM 6 giorni a settimana) previene lo sviluppo di tali

alterazioni anche nei topi trattati con doxorubicina.

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Integrazione del CoQ durante il trattamento con antracicline: studi clinici

Essendo stato dimostrato che il CoQ può agire sulla cardiotossicità sia acuta che cronica causata dalle antracicline (tabella 3), alcuni ricercatori hanno sviluppato lo studio del CoQ sulla cardiotossicità indotta da doxorubicina in pazienti con tumore al polmone.

Tabella 3.

14 pazienti adulti con una funzione cardiaca normale a riposo, hanno ricevuto 50-70 mg/m

2

di doxorubicina ad intervalli regolari (N=7), mentre altri doxorubicina più 100 mg/die di

CoQ per via orale, cominciando 3-5 giorni prima dell’inizio del trattamento con

doxorubicina, fino al completamento della terapia (N=7). Dopo un dosaggio totale di 600

mg/m

2

, i pazienti che avevano ricevuto soltanto la doxorubicina, mostrarono un importante

danno funzionale al cuore, con un significativo aumento della frequenza cardiaca ed una

diminuzione della frazione di eiezione, dell’indice cardiaco e dell’indice di stroke. Nei

pazienti trattati con 600 mg/m

2

di doxorubicina insieme a CoQ, la funzione cardiaca rimase

invece inalterata, rispetto a quando era stata misurata prima dell’inizio della

sperimentazione. In più, dei 7 pazienti cui era stato somministrato CoQ, avevano potuto

continuare l’assunzione di doxorubicina per un totale di 900 mg/m

2

, dose alla quale circa la

metà (50%) dei pazienti trattati con sola doxorubicina aveva sviluppato cardiomiopatia e

insufficienza cardiaca congestizia. Con la somministrazione di 900 mg/m

2

nei pazienti

trattati con CoQ, l’unica alterazione della funzionalità cardiaca era un modesto aumento del

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battito cardiaco, mentre la frazione di eiezione, l’indice cardiaco e l’indice di stroke rimanevano pressochè uguali a quelli registrati prima dell’inizio del trattamento.

I risultati di questo studio dimostrano che il CoQ previene la cardiomiopatia indotta da doxorubicina, e che il dosaggio totale di doxorubicina può essere aumentato con la concomitante somministrazione di CoQ.

Altri esperimenti confermano questi risultati.

Affaticamento associato al cancro e danno ossidativo sui mitocondri

Pazienti sottoposti a terapie citotossiche frequentemente si lamentano degli effetti della cura.

L’affaticamento è generalmente il sintomo più comune, ma si hanno anche dolore, nausea, vomito, malessere generale, diarrea, cefalea, rash, infezioni, ed altri problemi più gravi, come cardiomiopatia, neuropatia periferica, epatotossicità, fibrosi polmonare, infiammazione delle mucose ed altri ancora.

La maggior parte dei malati manifesta affaticamento nel corso della terapia antitumorale;

tuttavia, soltanto 1/3 dei clinici riconosce questo problema. Sia i medici che i pazienti si lamentavano più spesso dell’affaticamento piuttosto che della patologia, e la maggior parte dei malati ritiene che la stanchezza associata alla terapia oncologica fosse incurabile.

I pazienti ammalati di cancro descrivevano l’affaticamento come un problema precedente alla radio- o chemioterapia, ed un affaticamento più importante si presenta durante o successivamente al trattamento oncologico.

In molti studi l’affaticamento è stato riportato come l’effetto collaterale più fastidioso e invalidante, e spesso ha costituito un motivo importante per cui interrompere la terapia.

Nonostante la stanchezza sia il sintomo più comune della cura oncologica, si sono fatti pochi tentativi per controllare o ridurre l’affaticamento nel corso dei trattamenti farmacologici. Perciò, ridurre questo tipo di spossatezza è una finalità importante, e vari metodi nutrizionali sono stati tentati per ridurre l’affaticamento e migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici.

Sebbene i pazienti oncologici spesso testimonino spossatezza, questo è un sintomo piuttosto

comune associato a numerose malattie. Infatti, un affaticamento incurabile o cronico che si

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prolunga per più di sei mesi, e che non si attenua neppure col riposo, è la lamentela più comune dei pazienti che chiedono l’aiuto del medico.

L’affaticamento si presenta naturalmente durante l’invecchiamento, ed è un’importante condizione secondaria in numerose diagnosi cliniche.

Il fenomeno dell’affaticamento è stato descritto come una sensazione dalle molte sfaccettature, e di recente sono stati compiuti vari tentativi per determinare la sua gravità e le sue possibili cause. La maggior parte dei malati interpretano l’affaticamento come perdita delle energie e incapacità di svolgere le normali attività quotidiane senza difficoltà; molte condizioni cliniche sono associate alla spossatezza, tra cui affezioni respiratorie, coronariche, muscolo-scheletriche ed intestinali, oltre ad infezioni e tumori.

A livello cellulare, l’affaticamento è correlato alla riduzione dell’efficienza dei sistemi energetici, che risiedono principalmente nei mitocondri.

Il danneggiamento delle strutture mitocondriali, dovuto soprattutto ai fenomeni ossidativi, può compromettere la capacità di questi organuli di produrre molecole ad elevata energia, e lo stress ossidativo dovuto alla produzione eccessiva di ROS/RNS, costituisce la causa principale del danno mitocondriale.

Bersagli importanti del danno da ROS/RNS sono i fosfolipidi di membrana e il DNA mitocondriale, e in caso di invecchiamento e/o malattie, il danno da ROS/RNS si accumula e può compromettere anche le funzioni cellulari.

Con lo sviluppo di affaticamento cronico, il danno ossidativo altera le funzioni mitocondriali. Per esempio, nei pazienti affetti dalla sindrome da affaticamento cronico (CFS), è evidente il danno ossidativo a DNA e lipidi, oltre alla presenza nel sangue di marker ossidati, tra cui la metaemoglobina, che sono indicativi di un eccessivo stress ossidativo.

La prova del danno ossidativo al DNA e ai lipidi di membrana si ricava effettuando una semplice biopsia del muscolo su pazienti affetti da CFS. Questi malati mostrano prolungati ed elevati livelli di perossinitrito, indotti da un eccesso di ossido nitrico, che può portare alla periossidazione dei lipidi e alla perdita della funzionalità mitocondriale, oltre ad alterazione dei livelli di citochine, che esercitano un feedback positivo sulla sintesi di ossido nitrico.

Oltre alle membrane, anche gli enzimi mitocondriali vengono inattivati dal perossinitrito, e

ciò potrebbe contribuire alla perdita delle funzioni mitocondriali.

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Integrazione molecolare delle componenti di membrana danneggiate

I bersagli più sensibili del danno cellulare da ROS/RNS sono l’apparato genetico e le membrane mitocondriali.

Nel caso dei fosfolipidi di membrana, l’ossidazione ne modifica la struttura, e ciò può avere effetti sulla fluidità, sulla permeabilità e sulla funzione della membrana.

Una delle alterazioni più importanti causate dal danno da accumulo di ROS/RNS in caso di invecchiamento e affaticamento cronico, è la perdita della funzione del trasporto elettronico, e ciò sembra essere direttamente correlato alla perossidazione dei lipidi della membrana mitocondriale, che induce alterazioni della permeabilità e perdita del potenziale transmembrana, essenziale per la fosforilazione ossidativa mitocondriale.

La Terapia di Integrazione dei Lipidi, una forma di integrazione molecolare, è stata sfruttata, insieme agli antiossidanti, per riparare il danno da ROS/RNS e potenziare la funzione mitocondriale in alcuni disturbi clinici, come l’affaticamento cronico, la CFS e la fibromialgia.

Combinata con la somministrazione di antiossidanti, la terapia di integrazione dei lipidi ha dimostrato di essere efficace nel prevenire le alterazioni associate a ROS/RNS, e può rendere reversibile il danno mitocondriale e la perdita della funzione mitocondriale.

L’integrazione molecolare di lipidi non ossidati mediante somministrazione orale, è possibile, in quanto, all’interno dell’organismo, i lipidi cellulari sono in equilibrio dinamico.

Assunti per via orale, queste molecole diffondono nell’epitelio intestinale, vengono legati ed eventualmente trasportati nel sangue e nel sistema linfatico grazie a lipoproteine trasportatrici, meccanismi di ripartizione non specifici e meccanismi di diffusione.

In pochi minuti, i lipidi vengono trasferiti dalle cellule epiteliali dell’intestino alle cellule endoteliali, e quindi riversati e trasportati, legati alle lipoproteine e alle cellule del sangue, nel circolo sanguigno, dove sono normalmente protetti dall’ossidazione.

Una volta nel sangue, proteine trasportatrici specifiche e gli eritrociti proteggono i lipidi durante il trasporto sino alla deposizione su recettori specifici di membrana, dove le molecole lipidiche possono venire introdotte nelle cellule attraverso la formazione di endosomi o per diffusione.

I trasportatori citoplasmatici dei lipidi distribuiscono queste molecole ai vari organuli

cellulari, nei quali vengono introdotte da proteine trasportatrici specifiche, mediante

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meccanismi di ripartizione o di diffusione.

I lipidi danneggiati o ossidati possono essere rimossi attraverso un processo opposto, che è mediato da proteine trasportatrici ed enzimi che riconoscono e degradano i lipidi danneggiati.

Oltre all’integrazione di lipidi, anche l’integrazione nella dieta di antiossidanti e altre molecole, come zinco o vitamine, è importante per il mantenimento dei sistemi antiossidanti cellulari e i meccanismi che spazzano via i radicali liberi.

Nell’alimentazione dell’uomo ci sono almeno 40 micronutrienti necessari, e l’invecchiamento aumenta il bisogno delle sostanze che prevengono il danno, correlato all’età, a carico dei mitocondri e di altre strutture cellulari.

L’uso dei soli antiossidanti però, può non essere sufficiente per preservare i componenti cellulari dal danno indotto da ROS/RNS; quindi, l’integrazione molecolare è importante per sostituire i lipidi di membrana danneggiati da ROS/RNS.

L’integrazione molecolare è particolarmente importante durante la chemioterapia antitumorale, poiché l’eccessivo stress ossidativo che si verifica, modifica le membrane e i mitocondri in maniera esagerata rispetto a quanto avverrebbe solo per invecchiamento o per la malattia.

Terapia di integrazione dei lipidi: studi preclinici e clinici

La terapia di integrazione molecolare con lipidi non ossidati e antiossidanti per via orale permette la sostituzione dei fosfolipidi, delle membrane cellulari e mitocondriali, danneggiati, e di altri lipidi strutturalmente e funzionalmente essenziali in tutte le membrane biologiche.

Un integratore molecolare di natura lipidica è NTFactor®, impiegato con successo nel corso di studi preclinici e clinici sull’integrazione di lipidi.

Nel NTFactor i lipidi sono incapsulati, protetti dall’ossidazione a livello intestinale e possono venire assorbiti e trasportati all’interno dei tessuti senza un eccessivo danneggiamento.

Sostanzialmente il principio attivo di NTFactor è costituito da una miscela di lipidi di

membrana estratti (fosfolipidi, fosfoglicolipidi, cardiolipidi), la cui composizione è

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all’incirca la stessa delle membrane cellulari.

Benché la composizione chimica del NTFactor sia nota, essendo una miscela e non un singolo elemento, l’esatto meccanismo d’azione non è ancora del tutto chiaro.

NTFactor è stato usato anche su cavie per ridurre il danno cellulare correlato all’età.

E’ stato dimostrato che nei roditori in età avanzata, NTFactor preveniva la perdita dell’udito associata all’invecchiamento, e che, in animali piuttosto vecchi, era capace di abbassare la soglia dell’udito da 35-40 dB a 13-17 dB.

Nel corso di studi clinici, la terapia di integrazione di molecole lipidiche è stata impiegata per ridurre l’affaticamento e per proteggere le membrane cellulari e mitocondriali dal danno indotto da ROS/RNS.

Una miscela di integratori vitaminici contenente NTFactor è stata impiegata in uno studio di integrazione molecolare su pazienti affetti da stanchezza cronica grave, allo scopo di ridurne la gravità.

Facendo riferimento alla Piper Fatigue Scale per la misurazione della stanchezza, è stato stabilito che essa si riduceva all’incirca del 40,5% (P<0,0001), da grave a moderata, dopo otto settimane di integrazione con NTFactor.

Più recentemente, durante altri studi sono stati esaminati i benefici di NTFactor su soggetti colpiti da affaticamento moderato e leggero, al fine di determinare se la loro funzione mitocondriale, misurata attraverso il trasporto e la riduzione della Rodamina-123 e mediante il grado di affaticamento, migliorava con la somministrazione orale di NTFactor.

La somministrazione orale di NTFactor per 12 settimane, si traduceva in una significativa riduzione del grado di affaticamento, pari all’incirca al 35,5% (P<0,001).

In questa sperimentazione clinica è stata osservata una buona corrispondenza tra riduzione dell’affaticamento ed efficienza della funzione mitocondriale, e dopo 12 settimane di integrazione, la funzione mitocondriale era del tutto equivalente a quella rilevabile in individui giovani in perfetta salute.

Al contrario, dopo un periodo wash-out di 12 settimane, il grado di affaticamento e della funzione mitocondriale erano intermedi tra il valore iniziale e quello rilevato dopo 8 o 12 settimane di integrazione.

I risultati ottenuti mostrano che in soggetti con un livello da moderato a grave di

affaticamento, la terapia di integrazione con molecole lipidiche può significativamente

migliorare o perfino ripristinare la funzione mitocondriale; in maniera altrettanto positiva

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tale terapia agisce sull’affaticamento.

Conclusioni simili sono state tratte nel caso di pazienti affetti da CFS o fibromialgia.

Integrazione lipidi/antiossidanti nella cura dei pazienti oncologici

La terapia di integrazione di molecole lipidiche associate con antiossidanti, si è dimostrata efficace nel ridurre gli effetti collaterali in pazienti sottoposti a chemioterapia antitumorale.

Per esempio, Propax con NTFactor è stato impiegato in malati di cancro per ridurre alcuni dei più comuni effetti collaterali della terapia antitumorale, come l’affaticamento dovuto alla chemioterapia, nausea, vomito, malessere generale, diarrea, cefalea ed altri ancora.

Sono stati condotti due studi su malati affetti da tumore al colon in fase avanzata, da tumore pancreatico e rettale; tutti in terapia con 5-FU/metotressato/Leucovorina per 12 settimane.

Nella sessione a non-cieco della sperimentazione, l’efficacia di Propax con NTFactor, somministrato prima e durante la chemioterapia, è stata determinata esaminando segni/sintomi ed effetti collaterali della terapia in atto. La valutazione della qualità della vita fu effettuata da personale specializzato, ed apparve evidente che i pazienti che avevano ricevuto Propax, mostravano un numero minore di episodi di affaticamento, nausea, diarrea, costipazione, alterazioni dermatologiche, insonnia ed altro. Invece, nessun cambiamento o, addirittura, peggioramento, si poteva notare in caso di mal di gola o altri tipi di infezioni.

Nella sessione aperta della sperimentazione, l’81% dei pazienti ha mostrato un forte miglioramento riguardo ai parametri della qualità di vita, nonostante la chemioterapia.

Nella fase a doppio-cieco, incrociato, placebo-controllato e randomizzato della sperimentazione su pazienti oncologici in fase avanzata, sottoposti alla terapia di integrazione di molecole lipidiche, è stato dimostrato un notevole miglioramento nei segni/sintomi associati alla chemioterapia, ma soltanto nel gruppo cui era stato somministrato l'integratore.

La terapia di integrazione di molecole lipidiche con Propax ha reso possibile il miglioramento di stanchezza, nausea, diarrea, alterazione del gusto, costipazione, insonnia ed altri indicatori della qualità della vita.

Seguendo il cross-over dal gruppo del placebo al gruppo trattato, il 57-70% dei malati

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riportò un rapido miglioramento di nausea, alterazione del gusto, stanchezza, inappetenza e altri indicatori della qualità della vita (tabella 4).

Tabella 4.

Questo studio clinico preliminare dimostra l’utilità della terapia di integrazione con lipidi e

antiossidanti nel corso della chemioterapia.

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