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Lingua e linguaggio nei dispacci di Gasparo Contarini

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Academic year: 2021

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(1)

Dottorato di ricerca

in Italianistica e filologia

classico-medievale

Scuola di dottorato

in Scienze umanistiche

Ciclo XXIV

Thèse de doctorat en

Études italiennes

École doctorale

Pratiques et Théories

du sens

(A.A. 2010 - 2011)

L

INGUA E LINGUAGGIO

NEI DISPACCI DI

G

ASPARO

C

ONTARINI

SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE DI AFFERENZA

: L-FIL-LET/12

Tesi di dottorato in cotutela di C

LAUDIO

N

EGRATO

, matricola 955589

Coordinatore del dottorato

Tutor del dottorando

Prof. P

IETRO

G

IBELLINI

Prof. F

RANCESCO

B

RUNI

Co-tutor del dottorando

Prof. J

EAN

-L

OUIS

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OURNEL

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3

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5

Ringraziamenti

Questo lavoro è costato molti sacrifici. Lungo, dispendioso e faticoso fu senza dubbio il lavoro di scrittura dei dispacci da parte di Contarini e dei suoi collaboratori (Mazzaruolo e Zucato sono i nomi dei due infaticabili segretari il cui nome non deve restare nell'anonimato). Altrettanto faticoso è stato il lavoro di trascrizione e di edizione di chi scrive. Faticoso è stato pure il lavoro di correzione e ripulitura da parte del prof. Bruni. Faticoso è stato il lavoro del prof. Fournel, il quale, nonostante la distanza, ha pur accompagnato il mio studio con idee e consigli : inutile dirlo, gli spunti dati dai due professori hanno costituito lo scheletro (o forse l'anima) su cui è stata sviluppata la tesi. Ciò detto, la fatica più grande in questi tre lunghi anni di lavoro è costata alla persona a cui è dedicata questa tesi: a Margherita, mia moglie. Margherita non solo ha condiviso i momenti più belli di questi anni, quando sbocciavano i frutti dell'impegno, ma anche quando a vincere erano l'ansia e la fatica. Non occorre scrivere altro in queste pagine, perché le parole non bastano per colmare i debiti della riconoscenza.

Un doveroso riconoscimento va ai miei genitori, Anacleto e Lucia, che hanno sempre sostenuto le mie scelte e che con affetto mi hanno accompagnato per tutta la vita. Un particolare ringraziamento è rivolto anche a Luca, Martina e Letizia, il lato comico del sostegno familiare, poiché con ironia hanno partecipato e condiviso, di mese in mese, questo lavoro. U n ringraziamento poi alla famiglia Pivi, affettuosi e pazienti come poche persone sanno esserlo. Un'immensa gratitudine è riserbata anche a tutti i miei amici: sarei ovviamente imprudente a cominciare la lista di tutti coloro che, almeno, per un'istante ha nno contribuito a questa impresa. Mi limito, dunque, a citare i "primi" amici: Luca e Chiara, Francesca, Laura e Andrea; e poi Luciano, Giovanni e Michele; i francesi, Alberto, Matteo, Marta e Letizia; infine, ultimamente ritrovati ma mai perduti, Daniele e Francesca.

Benché sia consapevole di non rispettare l'etichetta, ringrazio vivamente i professori Bruni e Fournel per come mi hanno sopportato e supportato con genorosità e affetto.

Un particolare riconoscimento va anche ad Alessio, Diego, Francesca, Luisanna, colleghi e amici, instancabili consiglieri.

Infine, un pensiero speciale va a Elena Panciera e a Marco Giani, compagni di questo bel viaggio di studio.

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7

Sommario

INTRODUZIONE ... 15

1. ... I DISPACCI E LA LINGUA DI CON TARINI ... 41 1.1. INT RODUZIONE ... 43 1.2. MORFOLOGIA ... 44 1.2.1. ARTICOLI... 44 1.2.1.1. ARTICOLO DETERMINATI VO ... 44 1.2.1.2. ARTICOLO INDETERMINATI VO... 49 1.2.2. PRONOMI PERSONALI... 50 1.2.2.1. FORME SOGGETTIVE... 51

1.2.2.2. FORME SOGGETTIVE P ROCLITI CHE... 54

1.2.2.3. FORMA ENCLITICA DEL P RONOME SOGGETTO ... 55

1.2.2.4. IL NEUTRO ... 55

1.2.2.5. OGGETTO DIRETTO TONICO ... 56

1.2.2.6. OGGETTO INDIRETTO TONICO... 56

1.2.2.7. OGGETTO DIRETTO ATONO ... 58

1.2.2.8. OGGETTO INDIRETTO A TONO... 60

1.2.2.9. FORME RIFLESSIVE, I MP ERSONALI, INTRANSITIVE P RONOMINALI ... 63

1.2.2.10. PRONOMI P ARTITIVI ... 66

1.2.2.11. PRONOMI ATONI COMBINATI ... 67

1.2.2.12. PRONOMI RELATIVI E INDEFINITI ... 68

1.2.2.13. PRONOMI E AGGETTIVI P OSSESSIVI ... 69

1.2.2.14. USO P LEONASTICO DEL P RONOME ... 74

1.2.3. VERBI ... 75

1.2.3.1. INDICATIVO ... 75

1.2.3.1.1. PRESENTE: GENERALITÀ ... 75

1.2.3.1.1.1. AMP LIAMENTO DEL TEMA IN -ISCO... 77

1.2.3.1.1.2. CASI P ARTICOLARI... 77

1.2.3.1.1.3. ALTRI VER BI IR REGOLARI E P ARTICOLARI ... 82

1.2.3.1.2. IMP ERFETTO ... 83

1.2.3.1.3. PERFETTO... 87

1.2.3.1.3.1. FORME DEBOLI DEL P ERFETTO ... 87

1.2.3.1.3.2. LE DESINENZE -ETTI E -ITTE... 89

1.2.3.1.3.3. FORME FORTI DEL P ERFETTO... 90

1.2.3.1.4. FUTURO... 92 1.2.3.1.4.1. VERBI REGOLARI ... 92 1.2.3.1.4.2. CASI P ARTICOLARI... 94 1.2.3.2. CONDIZIONALE ... 95 1.2.3.3. CONGIUNTIVO... 98 1.2.3.3.1. CONGIUNTIVO P RESENTE ... 98

1.2.3.3.2. CONGIUNTIVO IMP ERFETTO ... 102

1.2.3.4. GERUNDIO ... 104

1.2.3.5. INFINITO ... 104

1.2.3.6. PARTICIP IO ... 105

1.2.4. NOTE SU ALCUNI PREFISSI... 107

2. LA LINGUA E LE LIN GUE TRA VEN EZIA E ROMA ... 111

2.1. INT RODUZIONE ... 111

(8)

8

2.3. LA LINGUA DELLA REPUBBLICA ... 118

2.4. LA LINGUA DI GASPARO CONT ARINI: CULTURA, TRADIZIONE E LATINO... 123

2.5. LA LINGUA DI GASPARO CONT ARINI: LA PAROLA DIPLOMATICA TRA VENEZIA E ROMA... 130

2.6. I T RATTI FONOMORFOLOGICI VENEZIANI DELLA KOINÈ CORTIGIANA DI CONT ARINI ... 145

2.7. LA T ENDENZA A UNA PROSA T OSCANA... 147

2.8. L'EMPORIO DELLA LINGUA ... 148

3. IL LINGUAGGIO DIPLOMATICO ... 153

3.1. LA SCRITTURA DIPLOMATICA... 153

3.2. LA SCRITTURA DELLE INFORMAZIONI ... 156

3.3. SCRITTURA COME DIPLOMAZIA... 162

3.4. LAT INO CANCELLERESCO, DIPLOMATICO E UMANIST ICO ... 170

3.5. LE NOVE AL CONSIGLIO DEI DIECI... 178

3.6. LINGUAGGI VERBALI ED EXT RA-VERBALI A CORTE ... 185

3.6.1. L'ESPRESSIONE DEL POTERE ... 186

3.6.2. PASSEGIAR SECO: PAROLE E INFORMAZIONI IN MOVIMENTO ... 188

3.6.3. IL LINGUAGGIO DELLO SGUARDO ... 190

3.6.4. PRENDER FOCO: LA “COLERA” CONTRO I VENEZIANI... 191

3.6.5. LO STILE ORALE: IL DIALOGO NELLA PAROLA DEI PERSONAGGI... 196

3.6.5.1. GLI ATTACCHI DI P AROLA ... 196

3.6.5.2. L‟INTERIEZIONE... 197

3.6.6. DIALOGO E POLITICA ... 199

3.6.7. LA RESA DEI COLLOQUI ... 200

3.6.8. TENIR BEN DISPOST A ET ANIMATA LA REPUBLICA FIORENTINA: LA LETTERA ESORTATIVA ... 202

APPENDICE: CRONOLOGIA DI GASPARO CONTARIN I ... 209

I DISPACCI DI GASPARO CON TARINI, AMBASCIATORE VENEZIANO PRESSO CLEMEN TE V II (1528-1530)... 267

NOTA AL TESTO ... 269

1.1. MANOSCRITTI... 269

1.2. IL REGESTO DI DITTRICH ... 276

1.3. APPUNTI SULLA LINGUA DELLA MANO B ... 278

1.4. SCELTA DEL TESTO... 280

1.5. SEQUENZA DELLE LETTERE ... 281

1.6. DAT AZIONI E DATE ... 283

1.7. I SEGNI ... 283

1.7.1. CRITERI GRAFICI ... 283

1.7.2. UNIVERBAZIONE E SEPARAZIONE DI PAROLE ... 287

1.8. LE ABBREVIAZIONI ... 288

1.9. MAIUSCOLE ... 291

1.10. I SEGNI D'INT ERPUNZIONE... 292

1.11. ALT RI SEGNI... 295

1.12. LE CIFRE ... 296

1.13. LE GLOSSE DI M ... 298

1.14. I TOPONIMI ... 299

1.15. SCELT E EDITORIALI ... 300

1.15.1. UN CASO PARTICOLARE: LA LETTERA 1BIS... 300

1.15.2. INTERVENTI SUL TESTO... 300

1.15.3. LUOGHI DEL TESTO INCOMPLETI... 304

(9)

9

1.15.5. ABBREVIAZIONI E SEGNI CONVENZIONALI PER L'EDIZIONE ... 308

BIBLIOGRAFIA ... 311

INDICE TOPOGRAFICO DEI MANOSCRITTI ... 343

DISPACCI DA ROMA (21 MAGGIO 1528 – 5 NOVEMBRE 1530)... 347

LIBRO I (FORNASE, 21 MAGGIO 1528 – VITERBO, 6 AGOSTO 1528): LETTERE 1-37... 349

LIBRO II (VITERBO, 11 AGOSTO 1528 – ROMA, 8 OTTOBRE 1528): LETTERE 38-64... 426

LIBRO III (ROMA, 9 OTTOBRE 1528 – RO MA, 3 GENNAIO 1529): LETTERE 65-100... 489

LIBRO IV (ROMA, 4 GENNAIO 1529 – ROMA, 4 MARZO 1429): LETTERE 101-135... 563

LIBRO V (ROMA, 6 MARZO 1529 – ROMA, 24 MAGGIO 1529): LETTERE 136-174... 633

LIBRO VI (ROMA, 28 MAGGIO 1529 – ROMA, 21 AGOSTO 1529): LETTERE 175-210... 711

LIBRO VII (ROMA, 23 AGOSTO 1529 – BO LOGNA, 5 NOVEMBRE 1529): LETTERE 211-241... 790

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Introduzione

1.

In uno dei principali momenti di difficoltà attraversati dalla Repubblica di Venezia, il Senato decise di affidare la complicata missione diplomatica a Roma a Gasparo Contarini nel biennio 1528-1530.1

Contarini era da poco rientrato a Venezia dalla sua lunga e – in termini economici e di salute – dispendiosa missione presso Carlo V. Ciononostante i Veneziani ritennero opportuno domandare al loro concittadino di intraprendere un'altra difficile legazione. Può dunque stupire il fatto che Contarini avesse accettato di dare inizio a un nuovo periodo di distacco dalla vita pubblica a Venezia, allontanandosi dal luogo dove poteva gestire gli affari familiari e assumere incarichi di governo: stava infatti rinunciando di restare attaccato al centro, dove prendeva forma la vita politica veneziana; come, del resto, accettando l'incarico a Roma, dovette pure astenersi dal godere la vita contemplativa che i soggiorni padovani gli potevano garantire e durante i quali scrisse numerose opere. Eppure, il secondo lungo viaggio in poco tempo oltre la periferia territoriale e politica veneziana doveva avere degli scopi ben precisi, provocati da uno sguardo lungimirante sul proprio destino civile.

Per questa ragione devono essere aderenti al vero le affermazioni che Valeriano, nel suo De litteratorum infelicitate, mette in bocca al Contarini, protagonista del dialogo. Agli inizi del trattato, Giovanni Antonio Pollio, interlocutore dell'ambasciatore veneziano, chiede a Contarini se a suo parere si potesse ritenere Roma la capitale letteraria universale per la fecondità artistica dei suoi cittadini e per la convergenza in questa di molti letterati provenienti da tutto il mondo. Contarini, dopo aver tratto un profondo sospiro, afferma:

«nullum, mehercle , [...] te mpus fuit, ex quo litteraru m studiis delectari coepi, ut non hoc unum ma xime concupierim, occasionem aliquando mihi dari Ro ma m invisendi, ut quae hic flore re ingenia o mniu m praedicatione acceperam, praesens inspicere m; et optatissima eoru m fruerer consuetudine. Accidit autem superiore anno, ut vix ad senatum meu m retulerim de iis, quae in Hispania legatione apud Carolum Caesare m gesseram, cu m me patres civesque mei legatum ad pontifice m su mmu m destinarunt: quod quidem munus et si alienissimo tempore mihi de mandatum intelligeba m, turbantibus non totius modo Italiae sed orbis universi rebus , et pontifice ipso, qui ex Aelia profugerat, propemodum e xtorre: in ea m tamen erectus spem, ut vel sua ipse providentia motus, vel meo et a lioru m consilio persuasus ad sedem suam sedatis aliquando Ro mae rebus reverteretur, atque

1

Sul periodo storico e sulle guerre d'Italia che si susseguirono dalla ca lata di Carlo VIII a lla pace di Bologna, cfr. Fournel – Zancarini 2003, 13-97; Pe llegrin i, 2009.

(16)

16

ita Ro ma m vivendi causa et opportunitas mihi concederetur, aliquan do hilarius provincia m suscepi».2

Si tratta ovviamente di invenzione letteraria che ha come scopo quello di indurre il discorso sull'infelicità dei letterati. Ciononostante non è da sottovalutare il motivo dell'accettazione della missione diplomatica fornita dallo scrittore bellunese, amico e confidente di Contarini. È infatti in qualche modo verosimile che l'ambasciatore veneto si fosse avviato verso la capitale della Chiesa con il sorriso sulle labbra e un taccuino di appunti dove aveva annotato i nomi dei maggiori letterati frequentatori della curia romana, come scrive Valeriano.3

L'ambasciatore veneto del resto non aveva faccende economiche private di cui occuparsi a Venezia, in quanto non si era sposato e la conduzione patrimoniale della famiglia era affidata ai fratelli.4 Inoltre, poco prima di partire per la legazione presso Carlo V, aveva provveduto ad accasare i fratelli e a maritare o a far prendere l'abito monacale alle sorelle, e per questo motivo ebbe adito a partire per la Germania.5

Ciononostante, l'assentarsi ulteriormente dalla vita politica ed economica cittadina poteva essere pericoloso. La pratica politica quotidiana svoltasi in seno al Maggior Consiglio a Venezia non era esente dall'attuazione di strategie elettorali meschine, realizzate da patrizi che volevano far allontanare alcuni concittad ini dal centro amministrativo per estraniarli dagli interessi politici particolari. In alcuni casi, anche la vittoria elettorale poteva rappresentare una sconfitta politica che palesava la vulnerabilità di un cittadino, poiché un margine di vittoria troppo esiguo dimostrava la poca autorità del candidato vincitore.6 Contarini, a sua insaputa, fu proclamato capitano di Brescia mentre era assente da Venezia trovandosi in Spagna, e quindi destinato ad un ulteriore passo verso la periferia veneta.

2

Cfr. Pierio Vale riano, Lʼinfelicità, 38.

3

Cfr. Pierio Vale riano, L'infelicità, 40: «"Sed, bone Deus, cum primu m coepi philosophos, oratores, poetas, Graecaru m Latina ru mque litteraru m professores, quos in commentario conscriptos habebam, perquire re, quanta quamque crudelis tragoedia mih i oblata est, qui litteratos viros, quos me visurum sperabam, tanto numero comperieba m miserabiliter occubuisse, atrocissimaque fati acerbitate sublatos, indignissimisque affectos infortuniis [...]"».

4

In una lettera al Senato del 4 gennaio 1528, Contarini supplica il Senato che gli fornisse denaro per poter saldare i debiti avuti con il servizio postale e pagare le spedizioni d i corrie ri successive; dopodiché ricorda che l'intero patrimonio fa milia re era gestito dai fratelli, e per questa ragione p rovava vergogna del doversi far creditore con i soldi loro: «[106] Credo che per iustitia et bontà sua, la non vorà che habbia questo danno, perché in verità, oltra le spese e xcesive fatte nella legation de Spagna, per la infinita carestia è de qui, io dag o tanto cargo a Casa mia che me ne vergogno, ma xime non havendo io posto fatica alcuna in aquistarle, né in conservare quella mediocre facultà che havemo» (101,106).

5

«Continuo in questa vita con gran laude et opinione di lui fino à i xxxiij annj della su a etade, ne iquali attrovandosi tutti i fratelli honorati, et florenti, et domi, et foris alle mercantie; havendo maridate le sorelle honoratamente, ecceta una che se ben gli era deputata gran dote, volse andar à servir à Dio nel Monastero di S.ta Chiara d i Murano, fu mandato dalla Republica A mbasciatore à Carlo Imperatore, che era in Ge rman ia»; Matteo Dandolo, Varie notizie , 175.

6

Cfr. Fin lay 1982, 89. Il dia rista Marino Sanudo fu proposto come candidato per un incarico a ll'estero da un nemico politico, con lo scopo che fosse allontanato dalla vita c ittadina.

(17)

17

D'altro canto, però, Contarini era sicuramente un personaggio politico adatto alla missione romana. Innanzitutto aveva di certo impressionato la sua copiosa relazione letta in Senato quando tornò ambasciatore a Carlo V. La sua attenzione ai particolari e la capacità di carpire informazioni dai propri interlocutori si erano rese evidenti dall'eloquenza espressa nei dispacci che inviava quotidianamente dalla corte itinerante dell'Imperatore e nella relazione finale del suo viaggio.7 Le doti retoriche di Contarini erano oramai note e se potevano ritenersi scomode per concittadini oppositori, invidiosi del successo politico riscosso dalla recente missione spagnola, dai più che lo elessero erano considerate opportune per intrattenere la civile conversazione presso la curia Pontificia, dove risiedeva idealmente il fiore degli intellettuali dei Rinascimenti europei. Gli studi umanistici e teologici di Contarini dovevano contribuire a sostenere l'oratore nella conversazione ricorrente che occorreva si svolgesse a Roma. Durante la missione presso Clemente VII la Signoria richiede va insistentemente a Contarini che egli si procurasse le occasioni per potersi trattenere con il Papa e con i vari cortigiani romani. Egli quindi si muoveva per gli edifici vaticani e per le strade romane cercando il colloquio con amici e informatori, talvolta fingendo di ricercare la compagnia di un amico per poterne invece sottrarre le informazioni necessarie.8 Ad esempio, in una lettera al Senato del 13 febbraio 1529, Contarini rispose alle richieste della Signoria di inviare più frequentemente i propri dispacci senza badare a spese e di conversare il più possibile con i personaggi della corte romana. A questa seconda istanza, Contarini replicò affermando che in realtà egli conversava già notevolmente con i cortigiani romani, non esentandosi da rimarcare come i suoi colloqui erano ricercati e amati da costoro:

7 Ad esempio, Contarini fu il primo a mbasciatore veneziano a raccontare pubblica mente in Senato lo stato delle

scoperte delle nuove Indie; cfr. St iffoni 1990, 351-364. Stiffoni dimostra co me nonostante l'editoria veneziana si interessasse al fenomeno del Nuovo Mondo, nei dispacci e nelle rela zioni degli a mbasciatori veneziani non ci siano tracce alcune di notizie relative alle nuove terre scoperte. Il primo a parla rne è Contarini. Lo studioso nota anch e che successivamente, dopo il caso di Contarini, nonostante la questione delle Indie fosse orama i «entrata in pieno tra gli argomenti trattati nelle Relazioni dei diplo matic i veneziani [...] il tono di ammirato stupore, che abbiamo riscontrato nella Relazione del Contarini, progressivamente scompare, per dar luogo all'abituale freddezza della ragionata e tradizionale re la zione diplo mat ica veneziana»; ivi, 357. Se è facile pensare che la scomparsa dello stupore fosse dovuta all'assuefazione della novità, sappia mo però che era invece abituale in Contarini una scrittura di questo tipo, ovvero il rendiconto esaustivo e stupefatto della realtà da questi osservat a: Contarini non solo fu il primo a comprendere l'importanza dip lo matica della questione americana tanto da parlarne e scriverne abbondantemente in dispacci e rela zione, ma lo fece nel suo solito modo accorto, con gli occhi de l ba mbino che si stupisce davanti alla realtà. Il De magistratibus cominc ia esattamente con l'osservazione dello stupore, espresso d alla mimica facc iale e dalle parole dei visitatori che giungono per la prima volta a Venezia.

8 Il 2 gennaio 1529, ad esempio, Contarin i scrive: «[8] ├ Io mi son conferito hoggi al Reverendo maistro di Casa et poi

al Magnifico Do mino Iacobo Salviati, dimonstrando di esser andato ad visitatione loro, et ho cum essi ragionato assai longamente de le presente occorrentie [...]» (98,8). I luoghi delle conversazioni e rano le abita zion i di a mbasciatori, cardinali, cort igiani e politic i ro mani, ma aveva luogo anche per le strade di Ro ma. Mo lto spesso la conversazione avveniva nelle chiese, specie quando questa non doveva risultare uffic iale . In chiesa, quindi, capitava che Contarin i potesse confrontarsi con gli ambasciatori imperia li. Il luogo prioritaria mente imp ie gato per i colloqui, però, e ra il palazzo pontificio : innanzitutto nella ca mera de l Pontefice, ne lla quale aveva adito a colloqui privati con il solo Cle mente VII; durante le attese di questi colloqui Contarin i poteva conversare nell'antica mera con i cortigian i che attendevano un'udienza dal Pontefice. Se e ra necessario, però, ogni luogo era consono alla conversazione civile: un giardino, le scale del pala zzo pontific io, g li uffic i dei magistrati vaticani, ecc.

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18

[8] Ma sii secura Vostra Celsitudine che de qui non si manca dalla debita diligentia, né ma i resto giorno (né forsi potria d ir hora ) che io non sii cum qualche uno de questi signori, li qual so che hanno modo de intender il tuto, et, per humanità sua, mi amano et la conversation mia non li dispiace (122,8).

Contarini sapeva sfruttare l'arma della conversazione per poter far

cascar in ragionamento il discorso su questioni politiche preminenti,

intersecate durante la discussione da argomentazioni di cose impertinente alla conoscenza del lettore veneziano. Il 7 giugno 1529, ad esempio, dopo che Contarini si soffermò a parlare con Clemente VII della salute di quest'ultimo, cominciò a ragionare con il Pontefice di questioni estranee a discorsi di carattere politico, anche per non disobbedire alle richieste fatteli dal segretario pontificio Sanga: questi, infatti, data la malattia del Pontefice, aveva concesso a Contarini che fosse ammesso alla camera di Clemente VII, con la promessa che non si presentasse per parlargli «come oratore, né per parlarli de facende alcune, ma solum come privato amico suo» (179,3). Così Contarini, dopo aver portato la discussione su argomenti di carattere storico-navali, riuscì a far parlare il Pontefice delle notizie che aveva della preparazione della flotta da parte di Carlo V:

[7] Poi se intrò in ragionamento de diverse cose impertinente, et fra le a ltre de la quinquereme , nel qual parlar doppo che per un pezzo di te mpo fussemo stati, dextramente io feci cascar in ragionamento de le nove che si havea di Spagna et di Genoa, et dimandai quel che credeva Sua Santità de la venuta di Cesare in Ita lia (179,7).

Inoltre Contarini era oramai ritenuto esperto dai suoi contemporanei per la quantità di luoghi che il viaggio presso Carlo V gli aveva consentito di visitare. Valeriano considerava Contarini un esperto viaggiatore proprio alla luce del suo primo incarico di ambasciatore. L'orama i proverbiale conoscenza delle cose del mondo di Contarini è quindi valorizzata per l'esperienza del viaggio istituzionale da questi compiuto.9

Proprio l'osservazione dei luoghi e dei mores hominum, messi in luce anche nella relazione tornato oratore a Carlo V, sono alla base del II libro del De elementis et eorum mixtionibus libri quinque, composto attorno al 1530. L'opera, dedicata al cognato Matteo Dandolo, affronta problemi di fisica legati alla natura degli elementi. Il commento sulla realizzazione di alcuni fenomeni naturali è corroborata dall'esperienza personale di Contarini che poté osservare in più luoghi del vecchio continente la realizzazione di diverse manifestazioni della natura, molto spesso identiche tra di loro in contesti ambientali e topografici differenti. Uno di questi eventi che colpì

9

Cfr. Pierio Va leriano, L'infelicità, 38: «Quo constituto interrogavit Pollio Contarenum, an eo ipso iudicio esset, et qui mu ltoru m mores ho minu m cognovisset, urbesque et nationes varias perlustrasset, ita necne esse comperisset ».

(19)

19

l'osservazione particolare di un Veneziano, era la variazione del livello delle acque prodotto dalle maree nelle Fiandre, evento simile a ciò che egli poteva tranquillamente osservare tra le lagune della sua Venezia.10 Malgrado ciò i viaggi non erano molto amati da Contarini e in questi egli mostrava anche una certa pavidità, acuita dai continui disordini generati dalle guerre d'Italia. Anche durante la legazione a Roma egli dimostrò più volte di temere le

incommodità dei trasferimenti procurate dalle intemperie o, viceversa, dal

calore eccessivo. Ciononostante, già prima della missione a Carlo V egli aveva intrapreso almeno due grandi itinerari fuori dalle lagune venete, entrambi nel 1515. Il primo, nel mese di maggio, fu quello lungamente progettato ma sin ad allora mai realizzato viaggio verso Camaldoli per poter riabbracciare il suo vecchio amico Giustiniani. In realtà i due si incontrarono a Ravenna. Prima di rientrare a Venezia, però, approfittò per fare tappa a Firenze, dove conobbe molti giovani appartenenti alla classe dirigente della città, avvantaggiandosi della loro ospitalità per partecipare alle discussioni degli Orti Oricellari.11 Nel dicembre dello stesso anno, poi, fu per la prima volta a Bologna per assistere all'incontro tra papa Leone X e Francesco I.

Oltre a queste motivazioni, i senatori veneziani dovettero anche considerare il buon animo che Carlo V aveva mostrato nei confronti del loro concittadino e che verrà poi confermato il giorno in cui l'Imperatore rivide l'oratore veneziano alle porte di Bologna, prima dell'abboccamento con il Pontefice.12 Del resto a Venezia c'era un gran numero di diplomatici «qui avaient donné des preuves positives de leur capacité de négociateurs, mais un seul avait été dans une Cour étrangère, respecté et aimé, en un temps où

10 Cfr. De elementis, 30-36, 39-40. Ad esempio: « Vidi ego in Belgica , q uae nunc Flandria nuncupatur, flu mina

crescente maris aestu retrofluere»; all'esperien za fia mminga Contarini accosta l'esperienza quotidiana veneziana, da cui prende origine l'osservazione dei flutti marini dell'autore: «In mari Mediterraneo ite m duo visuntur motus. Nam et aestus conspicitur immutari singulis quibusque sex horis, quod nos quotidie Venetijs conspicimus; multisque diis in locis maris accolae idem e xperiuntur»; ivi, 31. Su l valore di quest'opera scientifica, cfr. Thorndike 1923-1958, V, 555-556.

11

Cfr. le lettere d i Contarin i a Giustiniani del 29 aprile 1515 e del 25 maggio 1515, in Jedin 1953, 98-99.

12

Della me mo rabile e politica mente importante amorevole dimonstratione de gesto et di volto che Carlo V fece a Contarini quando lo rivide alla Certosa di Bologna, nei pressi della città pontific ia, ne parlò Contarini stesso nei suoi dispacci, ma anche i suoi biografi: «[15] Hor, g ionta che fu Sua Maestà al loco dove eremo noi firmati, io volsi discender da cavallo per farli riverentia et Sua Maestà mi fece cu m instantia dir da Monsignor de Prato che non descendesse per modo alcuno, et però, così a cavallo, acostatomi a Sua Maestà li feci riverentia per nome de Vostra Ce lsitudine et mi congratulai seco de rivederla sana et salva in Italia a questi te mpi, ne li qual ci è gran bisogno de la sapientia et bontà di Sua Maestà. [16] Fu i racolto da prefatta Maestà amorevolissimamente cum dimonstratione de gesto et di volto, et mi rispose che da lei non mancheria di esser bon amico di Vostra Celsitudine. [17] Poi adgiunse alcune amorevol parole di me, cum dimonstratione tanto gratta che fu notata da tuti li circumstanti. [18] Alli oratori de Milan et di Fioren za che li feceno riverentia doppo me, per quanto mi è stà refferito, perché io scorsi avanti, né puti veder, Sua Maestà fece malissima ciera» (240,15-18). Il racconto di Contarini valorizza il contrasto tra la buona accoglienza riservatagli dall'Impe ratore e la malissima ciera fatta ai suoi colleghi di Milano e Firenze. Si veda inoltre il racconto di Dandolo: incontrato Carlo V «fuori di Bo logna per doj ò tre miglia da esso imbasciatore subito lo Imperatore ben dalla longa lo riconobbe et gli fece cosi allegra ciera, et bocca dj ridere, che da una infenita di gente che stava à longo la strada vedendolo venire fu detto: "La pace con gli venit iani è fatta"»; Matteo Dandolo, Varie notizie, 176. I due racconti coincidono anche nella descrizione degli sguardi dei circostanti che si accorsero delle buone parole rivolte da Carlo V a Contarini. La testimonianza di Dandolo dovrebbe essere diretta poiché egli era presente a Bologna dall'ottobre del 1529 in veste privata per poter assistere al convegno tra il Papa, l'Impe ratore e i rappresentanti delle maggiori istituzioni politiche coeve; cfr. Gu llino 1986b.

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20

sa patrie se permettait avec cette Cour des changements brusques, en alternant, selon les intérêts du moment, l'amitié et l'hostilité».13 Inoltre, la conoscenza che Contarini aveva dell'Imperatore fiammingo rappresentava una carta in più da giocare nelle conversazioni con il Pontefice, poiché l'oratore poteva farsi consigliere di questo qualora a Roma si fossero dovute prendere decisioni politiche rilevanti in merito alla politica filo- imperiale. Contarini, infatti, nel corso della legazione romana non mancò dal consigliare il Pontefice attingendo dalla propria memoria eventi storici che potessero influenzare come degli exempla le decisione pontificie; così come non si esimeva dall'esprimere giudizi personali sul carattere e sul modo di agire che egli aveva notato in Carlo V quando viaggiava presso di lui. D'altro canto fu notevole il praticantato diplomatico e politico e il lustro ottenuto al seguito dell'Imperatore, sia per l'esperienza nelle faccende di governo che egli condusse, sia per l'idea che si fece dell'Imperatore.

I ricordi degli anni della missione spagnola dovettero ripresentarsi spesso alla memoria di Contarini e nei racconti ai suoi amici. Uno degli aneddoti dei quali il filosofo veneziano andava probabilmente più fiero e che il Beccadelli, segretario di Contarini dal 1535 in poi, avrà sentito narrare più volte è quello del benvolere che Carlo V dimostrò nei confronti di Contarini a Tournai. Nell'autunno del 1521 l'Imperatore diede prova della propria stima e simpatia nei confronti dell'ambasciatore veneto quando, smentendo il parere contrario dei suoi consiglieri, permise a Contarini di rimanere presso la corte durante i fatti d'arme di To urnai contro l'esercito francese, nonostante la Francia fosse alleata dei Veneziani.14 Dovendo menzionare la rinuncia di To urnai a Francesco I da parte di Carlo V, Contarini ricordò la presa della città fiamminga anche in una lettera scritta a Roma il 26 agosto 1529, a testimonianza del piacere perso nale che l'oratore ebbe per la fiducia dimostratagli dall'Asburgo in quella circostanza.15

2.

A differenza di Francesco Guicciardini, il quale era consapevole che l'allontanarsi da Firenze per recarsi ambasciatore in Spagna nel gennaio del

13 Ferrara 1956, 117-118.

14 Beccadelli, Vita, 4-5: « La vernata che seguitò [autunno 1521], l'Impe ratore passò in Fiandra per guerreggiare in

quelle parti anchora con Francia , & / trovandosi all'assedio di Tornai, che dipoi hebbe, fu in pensiero, trovandosi a Valentiana non bene ad ordine di gente contra Francesi, d i fa re che l'A mbasciator Ven itiano li rit irasse parecchie miglia, acciò da lui a lli in imici non potesse andare avviso del Ca mpo suo: dall'altro canto parendoli fa re ingiuria a lla bontà di Messer Gasparo, il quale pur secondo le occorrentie trattava con sua Maestà negotij pertinenti a lla Republica, g li fece intendere che se da gentilhuomo li pro metteva non scrivere in Francia quello che nell'essercito passava, si contentava che libera mente rimanesse presso alla sua persona in quella guerra; tanta forza hebbe la buona opinione, che quel Signore teneva di Messer Gasparo».

15

«[24] Renuntia etiam a Torna i, cità posta alli confin i de Fiandra, la qual, ritrovandome io in Fiandra nel princ ipio de la guerra, Cesare prese et tolse de man de‟ Francesi» (213,24).

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1512 poteva essere dannoso per la sua carriera d'avvocato,16 Gasparo Contarini, accettando la missione a Roma, rinunciava solamente al desiderato otium letterario, praticato soprattutto nella sua villa di Piove di Sacco durante le afose estati padane.

Nonostante Contarini non fosse avvezzo ai viaggi nei primi trent'anni della sua vita, questi furono tutto sommato frequenti dagli anni '20 in poi e dovuti soprattutto ad incarichi politici che lo tennero lontano dalla sua Venezia. La sua entrata in politica con la vincita di un primo incarico avvenne molto tardi rispetto alla tendenza della politica veneziana e soprattutto questo ritardo stupisce alla luce dell'interesse che poi Contarini diede alla pratica e alla teoria politica. Il 17 ottobre 1518, nel mezzo del cammin della sua vita, ovvero all'età di 35 anni appena compiuti, Contarini vinse il primo incarico pubblico come Provedador sora la Camera d'imprestidi.17 Ciononostante egli sin dal gennaio del 1512 aveva tentato di vincere una magistratura, senza però mai riuscirci e ricevendo parecchie delusioni.18 Proprio l'anno prima di ottenere il suo primo incarico pubblico, Contarini si estraniò dall'attività civile veneziana, cogliendo l'occasione dell'anno sabbatico per dedicarsi alla redazione di due opere di carattere filosofico e teologico: il De officio viri boni ac probi episcopi e il De

immortalitate animae. La densa attività di studio che affondava nell'otium

letterario fu solamente il preludio di una lunga e densa stagione politica che lo accompagnerà fino alla nomina a cardinale nel 1535, con solamente qualche breve sosta durante le quali si dedicava agli studi filosofici.

L'incarico di Provedador, che Contarini mantenne sino al 1520, lo costrinse ad assentarsi per diversi periodi da Venezia per recarsi nel Polesine, nel Padovano e nel Bassanese dove doveva attendere a misurazioni dei campi per la vendita all'incanto dei terreni sequestrati a cittadini ribelli e per soprassedere a bonifiche e lavori per evitare le esondazioni dei fiumi.19

Immediatamente dopo questo primo incarico, durante il quale aveva ripetutamente tentato di vincere una magistratura più onorevole, Contarini, eletto oratore a Carlo V il 24 settembre 1520, partì per la Germania il 16 marzo 1521. L'ambasciatore seguì l'Imperatore per la Germania, le Fiandre, l'Inghilterra e la Spagna, assentandosi da Venezia per quattro anni. Rientrò in laguna il 15 novembre 1525 passando per la Francia, sostando ad Avignone, Lione e Milano.

16 Cfr. Fournel – Zancarin i 2009, 298. 17 Cfr. Marin Sanudo, Diarii, XXVI, 129.

18 La lista delle volte in cui troviamo la testimonian za sanudiana del Contarini coinvolto in un ballottaggio per

l'acquisizione di un incarico politico è in Fragnito 1969, 99n; Ross 1970, 219n e 221n; Gleason 1993, 27n.

19

La perizia e la responsabilità con cui egli operò nei contesti ambientali a lui affidati era probabilmente dovuta al generale senso di appartenenza a un'eredità anche territoriale unica che i d irigenti della Repubblica sentivano di dover conservare. La conservazione del territorio, oltre che degli ord ini repubblicani, pe rò, non avveniva con il solo mantenimento dello stato delle cose e con la celebrazione letteraria delle origin i, ma con continui e pertinenti interventi volti al mig lio ra mento dell'a mb iente civile; sull'ipotesi di questa duplice particolarità della politica veneziana, cfr. Crou zet-Pavan 2004, 55-57.

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Nonostante l'esito positivo della missione, il 20 novembre di quell'anno Contarini non riuscì a farsi nominare membro del Consiglio dei Dieci, carica alla quale egli probabilmente aspirava e che sperava sarebbe riuscito a conseguire mettendosi in luce come abile ambasciatore. Il compimento delle sue aspirazioni politiche dovette essere r imandato. Nel frattempo assunse l'incarico di Savio di Terraferma, incarico che gli era stato destinato in sua assenza sin dal 1° ottobre mentre rientrava dalla missione in Spagna, e che mantenne fino al marzo del 1526. Aveva però atteso ad accettare immediatamente questa carica di rilievo per poter attendere l'esito delle votazioni per il Consiglio dei Dieci.20 Questi pochi mesi di funzione amministrativa a mio giudizio sono determinanti per comprendere il prosieguo del curriculum honorum di Contarini e il perché decise di accettare l'onorevole quanto dispendioso incarico romano.

Nel breve periodo in cui fu Savio di Terraferma Contarini si occupò soprattutto di vendita degli uffici. Il filosofo veneziano non fu assolutamente soddisfatto di come svolse la propria magistratura, poiché non trovava il coraggio di andare in renga e parlare davanti a tutti i suoi concittadini.21 Su questa timidezza di Contarini e sul proprio rincrescimento tornò più volte Dandolo nei suoi appunti biografici. Il cognato di Contarini introdusse questo argomento una prima volta per giustificare la voce bassa con cui l'ambasciatore lesse la propria relazione in Senato il 16 novembre 1525. La relazione fu «laudatissima», ma la voce con cui intrattenne i propri concittadini fu così tenue che non «tutti lo puoteno commodamente udire».22 La ragione, provò a spiegare Dandolo, era dovuta anche alla sua modestia: questa componente caratteriale comportò che

se ben gli venero delle occasioni di parlar in renga nel te mpo di quel mag istrato, non hebbe ardir di andargli, del che uscitone havea gran remorso de conscientia.23

Per questa ragione quando, nel 1530, rientrato trionfalmente dalla missione romana, venne eletto Savio grande, «il piui giovane che per molti anni inanti fusse sta fatto», rivelò a un suo congiontissimo che se non avesse avuto maggior coraggio di andare in renga di quanto ne aveva avuto quattro anni prima quando era Savio di Terraferma, avrebbe rinunciato per sempre alla propria ambizione politica, poiché ad altri più capaci di lui sarebbe dovuto spettare il suo onore.24 Queste affermazioni del cognato di Contarini

20 Anche per la Gleason questa attesa appare come il chiaro tentativo da parte di Contarini d i entrare defin itiva mente nei

giochi polit ici veneziani; cfr. Gleason 1993, 39.

21 Contarini spiega amp ia mente come si svolgesse la giornata lavorativa dei Savi – o, utilizzando l'etimo aristotelico

caro all'autore veneziano, de i Preconsultori – nel suo De magistratibus et Republica venetorum libri quinque, pp. 56-59.

22

Cfr. Matteo Dandolo, Varie notizie, 175.

23

Ivi, 175.

24

Così il Dandolo: « Nel che disse à un suo congiontissimo, qui ab eius latere nunquam discedebat, se io non harò maggior anemo d i andar in renga de cio ch'io hebbj savio di Terra fe rma, ma piu i son per voler entrar in collegio, che non è honesto che io occupi il luogo di un piuj suffic iente»; ivi, 176.

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lasciano presupporre che il filosofo veneziano, rientrato dalla Spagna, non ebbe vita molto facile e non ricevette gli onori sperati. Inoltre si rese conto che le sue abilità politiche erano basate sulla capacità oratoria, seppur la sua timidezza non gli consentisse ancora di emergere tra i concittadini in patria. La sua bravura, al contrario, era esaltata lontano dal centro, dove poteva colloquiare faccia a faccia con sovra ni e politici, immergendosi nella conversazione civile cortigiana. La lunga assenza dalla vita politica cittadina poneva nel rischio Contarini che si mettesse in una pericolosa situazione di stallo, a causa della quale non era concesso all'ambasciatore di rientrare subitaneamente nel fulcro del governo della Repubblica. Al contrario, però, egli riuscì a rovesciare a suo favore la lunga assenza, capendo che per poter ambire alle massime cariche politiche avrebbe dovuto proseguire all'arricchimento del curriculum honorum dalla periferia, cioè continuando a ricercare magistrature d'ambasceria o incarichi analoghi: avrebbe dovuto continuare ad affinare l'arte diplomatica per poter poi ricevere gli onori e i riconoscimenti politici a Venezia. Inoltre, poi, fare l'ambasciatore non gli dispiaceva.25 La tattica era ovviamente rischiosa, perché un troppo lungo allontanamento dalla vita activa veneziana e un insuccesso politico ottenuto in un incarico d'ambasciatore potevano allontanare irrimediabilmente Contarini dall'attività di governo cittadino. Il filosofo del De magistratibus decise di esercitare la propria carriera politica fuori da Venezia, facendo ciò che gli riusciva meglio: l'ambasciatore. Quando i suoi parenti e amici, recatisi a dare commiato alla comitiva dell'ambasciatore la videro allontanarsi all'orizzonte, sapevano che quando Contarini sarebbe tornato non lo avrebbe fatto in punta di piedi.

Un percorso molto simile ma dagli esiti differenti fu quello dell'amico Pietro Bembo, anch'egli desideroso di vacanze letterarie26 come Contarini e anch'egli deluso dalle ripetute sconfitte elettorali presso le sale del Maggior Consiglio. Il letterato Bembo comprese immediatamente che il suo curriculum studiorum poteva valorizzare il curriculum honorum lontano da Venezia, ovvero prima in una corte capace di accogliere liberamente chi professava gli studi umani, Urbino, poi nella capitale degli studi letterari, Roma. 27 La scelta di Bembo fu necessariamente esclusiva e irrevocabile e costrinse l'umanista veneziano a passare dalla vacanza all'esilio letterario e politico.

Forte della decisione presa di perseverare nella carriera rimanendo periferico rispetto al centro politico, Contarini accettò di recarsi capitano a Brescia. Solamente il sacco di Roma e la paura c he le propaggini della guerra dei lanzichenecchi potesse travolgere i confini della Serenissima,

25

Il 25 aprile 1521, in fatti, per sollec itare l'a mico Nicolò Tiepolo a recarsi oratore in Inghilterra, scrisse che «tal vita è bellissima e honoratissima, simillima a quella de i studii, se non che questa è maggiore»; cfr. Marin Sanudo, Diarii, XXX, 216.

26

L'espressione è in Carlo Dionisotti, Bembo, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, s.v., oggi in Id. 2002b, 150.

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fece tremare Contarini. Egli si stava già dirigendo verso l'avamposto lombardo allorché giunse sul suo battello, che lo stava cullando sulle acque dolci dell'Adige verso il Veronese, la notizia delle barbarie subite dalla città dei Papi. In pochi istanti capì che non avrebbe giovato a lui, timido filosofo, e alla Repubblica un capitano di tal stoffa nel luogo più esposto alle intemperie delle guerre d'Italia.28 Malgrado le notizie offerte da suo cognato, Contarini affermò invece di aver dovuto rinunciare suo malgrado, a causa della sua salute malferma che spesso lo costringeva ad abbandonare gli studi nonché i negotia.29

Rientrato in laguna, Contarini passò parecchio tempo tra incarichi minori e soggiorni nel Padovano, dove poté dedicarsi alla scrittura di varie opere, tra le quali sicuramente anche il De magistratibus et Republica

venetorum libri quinque, sino alla nomina per un'altra missione oltre i

confini della Repubblica e nella quale potesse usufruire delle sue doti oratorie. Il 25 ottobre 1527 è infatti nominato oratore ad Alfonso I d'Este, duca di Ferrara, con il compito di far aderire alla Lega di Cognac il duca ferrarese.

Il 24 novembre e il 15 dicembre, Contarini cercò nuovamente, ma ancora senza successo, di farsi eleggere nel Consiglio dei Dieci. Il raggiungimento di questo onore sarà differito ancora di un paio di anni, nell'attesa del compimento della prestigiosa legazione romana.

L'ulteriore scorno subito a seguito del rifiuto della maggioranza del Consiglio di concedergli la nomina nel Consiglio dei Dieci guida Contarini a riflettere sulla necessità di cogliere l'occasione offertagli dalla rinuncia di Marco Dandolo alla missione come ambasciatore presso Clemente VII. Non è dato sapere la vera ragione della rinuncia di Dandolo ad accettare l'incarico dando così la possibilità a Contarini di assumere la legazione per suo conto. Occorre però precisare che Dandolo, uno dei maggiori esponenti dell'aristocrazia veneziana che da tempo occupava cariche ai vertici della politica della Repubblica, era padre di Matteo, cognato di Contarini poiché ne aveva sposato la sorella Paola, e che questi rami delle due grandi famiglie, proprio in virtù di questa parentela, godevano di buoni reciproci rapporti, i cui esiti erano insiti nell'alleanza commerciale marittima tra loro stipulata.30

Lo scopo dell'inviato veneziano sarebbe stato il tentativo di procrastinare la consegna delle città romagnole, Ravenna e Cervia, conquistate dai Veneziani l'anno precedente; ovvero l'impossibile missione di invocare la concessione dei due porti con bona gratia del Pontefice, un Papa che aveva appena subito l'onta del sacco, della prigionia e dell'esilio orvietano e che difficilmente avrebbe concesso ulteriori vituperi al suo

28 Cfr. Matteo Dandolo, Varie notizie, 176.

29 Cfr. Contarini, Primae philosophiae, 94. Posizione conciliante fu quella d i Beccadelli, per il quale la malattia

sopravvenne proprio quando le truppe cesaree entrarono a Ro ma: cfr. Ludovico Beccadelli, Vita, 8.

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onore. Oltre a ciò, l'oratore da inviare a Roma doveva contrattare con il Papa l'annosa questione della libertà di poter imporre le decime al clero.

In questo preciso momento della sua vita, in Contarini subentrò l'idea che l'occasione sarebbe stata fondamentale per la sua carriera. Il suo desiderio di vedere Roma con i suoi umanisti e i loro mecenati poteva compiersi accettando l'oneroso e politicamente ostico incarico di ambasciatore al Papa. Nei giorni in cui avrebbe dovuto riso lversi se partire o meno per l'esperienza curiale, accettando un nuovo incarico all'estero, i suoi pensieri dovettero convergere con quelli che balzarono alle menti dei grandi umanisti rinascimentali, nel momento in cui costoro capirono di essere al bivio delle carriere. Contarini comprese che l'andata a Roma come ambasciatore, salute permettendo, lo costringeva ad un ritorno a Venezia e che sarebbe stato riaccolto in base agli esiti della prova; se questi fosse ro stati positivi, probabilmente egli avrebbe avuto adito alla scalata degli incarichi. D'altro canto, però, la frequentazione della vita curiale gli avrebbe consentito di varcare una strada, che egli non disdegnava affatto, al servizio della Chiesa, una via comprensiva di attività politiche ed eccles iastiche. Ancora una volta occorreva gestire la pratica politica dalla periferia di Venezia, ma questa volta giocandola dal centro del potere del cattolicesimo. Contarini seppe intuire che non gli giovava restare nella sua città dove non sapeva ancora andar in renga, ma che sarebbe dovuto andare lì dove le disquisizioni sulla riforma della Chiesa, sulla residenza dei Vescovi e l'ostentazione della conoscenza di storici e filosofi antichi poteva giovare per aprire le porte delle informazioni, le quali gli si schiudevano per la giovialità con cui egli, uomo tra i più dotti dei suoi tempi, conversava.

3.

L'analisi della biografia contariniana nel corso del terzo decennio del Cinquecento mostra un Contarini intento non solo a compiere un praticantato politico, ma un uomo politico che era in continua ricerca di approdare agli incarichi più onorevoli che gli consentissero di incidere nella vita politica della sua città e garantire all'adempimento del bene commune nel quale egli credeva. Era oramai uno dei magistrati più esperti, con alle spalle delle legazioni importanti durante le quali poté parlare con i personaggi più rilevanti della storia cinquecentesca.

Dopo un decennio vissuto lontano dalla patria, se non per brevi periodi durante i quali non mancava di addolcire la sua permanenza entrando negli studi umani, ne conseguì una vita ammirata dai suoi contemporanei, trascorsa leggendo, scrivendo e parlando di filosofia e leggendo, scrivendo e parlando di cose publice; la sua mano scriveva sempre e la sua mente produceva continuamente testi politici e privati. Le sue orecchie erano sempre pronte ad accogliere le parole di qualche amico

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ma anche allenate a carpire dettagli rilevanti che potessero essere utili alla conoscenza della Signoria. A Roma era riuscito ad entrare in un rapporto di profonda stima con Clemente VII, il quale un giorno lo lusingò affermandogli addirittura che se non fosse stato «orator veneto et gentilhomo di quella cità», avrebbe posto in lui «tute le differentie» che aveva, tanto si confidava in lui.31

Roma era una città di sudditi e regnanti composta perlopiù da cittadini foresti, sudditi o parenti di sovrani stranieri. Cardinali e prelati che risiedevano nella capitale della Chiesa si facevano informatori dei sovrani e signori delle patrie originarie. I cardinali, poi, nei Concistori non dimenticavano quale fosse la loro lingua madre e si battevano così per condizionare le scelte politiche a favore delle proprie patrie. Roma era una città che permetteva l'accesso alla vita pubblica a cittadini provenienti da altre corti italiane ed europee. «Varia, indulgente, aperta per lunga tradizione a ogni vento, restava Roma», ricorda Dionisotti.32 Nella città dei Papi un uomo di lettere e di condizioni nobili o perlomeno modeste poteva sperare di costruire una sicura carriera che altrove non trovava congeniale.

Contarini ebbe quindi la doppia possibilità di costruire il proprio destino, adempiendo con rigore al ruolo che gli competeva di oratore servendo fedelmente la Repubblica e cercando di allettare con la propria conversazione gli ambienti romani.

Nel Cinquecento, del resto, Contarini non fu l'unico a preferire il celibato laico, condizione di stallo che consentiva di rimanere personaggi concorrenti al cardinalato e al conferimento di benefici ecclesiastici, e, nel caso di un gentiluomo veneto, permetteva anche di restare affrancato da Venezia e disponibile a intraprendere lunghe missioni all'estero. I suoi amici della giovinezza, quali Bembo, Giustiniani, Quirini, Gabriel Trifone, avevano fatto quasi tutti la medesima scelta, seppur scegliendo sin da giovani di appartenere al ramo ecclesiastico. In alcune splendide pagine Dionisotti ricordò come pure Ariosto avesse preferito non accasarsi né tantomeno prendere alcun tipo di voto sacerdotale.33

Senza dover entrar nel merito di giudizi morali e considerazioni teologiche, occorre ribadire che l'accettazione di Contarini al cardinalato fu diversa da molte altre vocazioni coeve e che la sua adesione al progetto riformistico di Paolo III fu totale e sincera. È probabilmente veritiera la considerazione che scrisse Dandolo nei suoi appunti biografici, ovvero che il cognato Contarini, raggiunto dalla notizia dell'elezione al cardina lato nel 1535, restò interdetto e confuso, e lusingato dalla bella notizia, mentre era attorniato da gentiluomini che lo riempivano di congratulazioni, balbettava

31 Cfr. lett. 101, 51. 32 Dionisotti 1967, 64. 33

Cfr. ivi, 71-73. Sull'attrattiva che aveva Roma sui letterati del tempo, si vedano le significative pagine di Montano 1970, II, 7-22; e di Burke 2009, 97-109. Per la storia a rtistica degli anni '20 del Cinquecento: Farinella 2001, 372 -379.

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che non era più in età per cambiar vita.34 Effettivamente l'elezione lo colse all'età di 52 anni, e continuò a vivere servendo lo stato ecclesiastico per soli altri 7 anni, vissuti tra soddisfazioni e cocenti delusioni. Forse, però, la resistenza iniziale di Contarini era determinata da altro: egli era oramai considerato uno dei più importanti cittadini veneziani, a tal punto che la sua creazione al cardinalato suscitò un forte disappunto anche nei suoi oppositori politici, i quali avrebbero preferito continuare a vederlo e sfidarlo a Venezia.35 Dal rientro dal convegno di Bologna, letta la consueta relazione davanti ai Senatori, la carriera di Contarini era al preludio di un lustro d i successi. Più volte riuscì a sedere in uno dei dieci posti ai quali ambiva del Consiglio dei Dieci, e per sette volte ne fu cao 'capo'.

La nomina giunse quindi in un momento inaspettato della sua vita. Egli, quando fu a Roma, aveva forse sperato nelle notevoli e clamorose dimostrazioni d'amicizia del Pontefice e certamente ne rimase deluso vedendo che queste, negli anni, non portarono alla concretizzazione di un suo possibile sogno romano, nonostante questi perseverasse nella composizione di opere di carattere teologico: degli anni 1530-31 è la

Confutatio articulorum seu quaestionum Lutheranorum,36 mentre nell'aprile del 1534, prima della morte di Clemente VII, scrisse il De potestate

Pontificis, quod divinitus sit tradita.37 Solo dopo la morte di papa Medici, però, egli venne finalmente richiamato a Roma perché in lui si era notato uno degli animi giusti per poter risanare la Chiesa cattolica. Del resto egli era riuscito a far fruttare al meglio il soggiorno romano della legazione, anche tessendo trame di rapporti di fraterna amicizia con diversi ecclesiastici, tra i quali spiccavano il cardinal Ercole Gonzaga, il quale forse non mancò di influire sulla nomina del veneziano, e soprattutto il futuro papa Paolo III stesso.38

4.

Il commercio del sale, che già da secoli aveva attirato e condizionato la politica della Serenissima, era d ivenuto così importante da spingere la Repubblica marinara ad approfittare dei disagi economici e delle difficoltà militari che opprimevano le Signorie romagnole ad acquistarne i territori, talvolta con la semplice contrattazione diplomatica, altre con la forza militare. Alla base delle mire espansionistiche venete, inoltre, vi era anche

34 Cfr. Matteo Dandolo, Varie notizie, 177: «[...] recusandolo lui con dir che non era possibile, et che el non si attrovava

piui in etade, da dever mutar vita».

35 Cfr. ivi, p. 177. 36

Cfr. Contarini, Confutatio, 564-580.

37

Cfr. Contarini, De potestate 581-587. Il trattatello è stato ripubblicato in Contarini, Gegenreformatorische 35-43.

38

Stando alla b iografia di Dandolo, il quale era rimasto accanto al cognato durante il periodo di elucubra zioni che seguirono la creazione al cardinalato, e con il quale stette nella sua camera per convincerlo ad accettare l'onore romano, il card inal Gonzaga scrisse una lettera a Contarini il giorno stesso della nomina, per esortarlo a non rinunciare di aiutare la Chiesa cattolica nei te mpi d iffic ili che attraversava; cfr. Matteo Dandolo, Varie notizie, 178.

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l‟esigenza dei nobili veneziani a incrementare le proprie risorse economiche investendo le proprie facoltà in possedimenti terrieri, largamente acquistati, talvolta a bassissimo costo, proprio nel territorio romagnolo.39 Il traffico del sale caratterizzò dunque le politiche e le conquiste militari per largo tempo nelle zone costiere romagnole, contese tra i signori locali, lo Stato della Chiesa e la Repubblica di Venezia.40

Quando Contarini venne inviato ambasciatore della Repubblica presso Clemente VII con commissione di chiedere il benestare del Pontefice al desiderio espansionistico veneziano di mantenere le due città romagnole, Ravenna e Cervia, strappate allo Stato Apostolico in seguito al sacco di Roma, i Veneziani avevano, con miopia politica, sperato che papa Medici accondiscendesse alle loro pretese senza le vare alcuna protesta, e crederono di non risvegliare i sospetti degli alleati politici (precipuamente Francia e Inghilterra), nonché dei nemici asburgici. Le difficoltà riscontrate dall'oratore veneto suscitarono la sua meraviglia, la quale non fu solamente maliziosa strategia politica da simulare dinanzi alla collera del Pontefice, sbalordito dalle pretese veneziane, poiché dalle stesse parole di Contarini rivolte al doge Gritti si comprende come l'epilogo della richiesta da questi avanzata fosse inaspettata a Roma.

Eppure la richiesta era stata ampiamente preparata: si è detto che innanzitutto la scelta di inviare Contarini come oratore a Roma era dovuta alle ottime abilità diplomatiche dimostrate da questi in Germania e Spagna, dalle conoscenze teologiche e filosofiche che possedeva, utili argomenti di conversazione per addolcire l'interlocutore e, infine, proprio per l'abilità oratoria, nonostante il debole tono della voce, che caratterizzava l'eloquenza contariniana. La commissione affidata all'oratore veneziano consisteva nel richiedere un incontro segreto, ovvero non tanto un'udienza all'insaputa dei cortigiani e dei diplomatici presenti in Curia, ma un colloquio che fosse privo di occhi e orecchie indiscreti, e questo perché a Venezia si era consci del fatto che la richiesta da proporre a Clemente VII era delicata e necessitava di non incontrare opposizioni da parte di diplomatici nemici e tantomeno alleati. Infine, la preparazione della missione avvenne soprattutto sul piano giuridico, con la ricerca di documenti che Contarini e i suoi uomini fecero passando per Ravenna, uno studio filologico sui documenti, figlio dell'Umanesimo italiano, volto ad avvalorare e a giustificare l'occupazione veneziana delle città romagnole.

I due porti della costiera romagnola erano stati in possesso di due nobili famiglie medievali, l'una decaduta, i Da Polenta, e l'altra parzialmente infiacchita dell'antico fulgore, i Malatesta. Entrambe le signorie governavano le rispettive città di Ravenna e Cervia per conto dello Stato Pontificio che li aveva nominati vicari delle città. Venezia, in tempi diversi,

39

Cfr. Fabbri, 2001, 125-132. Su lla polit ica veneziana nei confronti de l do min io di terrafe rma, cfr. Mor 1963, 1-10.

40

Sull‟importanza del co mme rcio del sale co me ragione della dominazione veneziana su Cervia, cfr. Hocquet 1988, 189-196; id. 1986, 89-100.

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riuscì a impossessarsene e a far fiorire l'economia dei due porti, così come a rinverdire le tasche dei propri mercanti di sale e l'erario statale. Occorre dunque soffermarci brevemente sulla storia quattrocentesca di Ravenna e Cervia e dei loro ultimi governanti prima del dominio veneziano.

5.

Al termine della signoria dei Da Polenta su Ravenna in qualità di vicari apostolici prendono la scena Obizzo e suo figlio Ostasio, ultimi due governatori della famiglia resa celebre principalmente dai versi danteschi prima del passaggio del potere in mano alla Signoria veneziana. Obizzo, più atto alla guerra che alla pratica politica e amministrativa della città, intraprese la guerra contro i Carraresi al soldo di Venezia attorno al 1404, iniziativa che procurò la sua cattura durante un'imboscata e la conseguente prigionia a Padova e la morte del fratello Pietro. Occupata la città patavina dalle truppe veneziane ed eliminato Francesco Novello da Carrara, Obizzo fu finalmente liberato e poté rientrare a Ravenna. Le cronache recitano che giunto nella sua città «quando ormai erano morti tutti i suoi fratelli tranne Aldobrandino, fece uccidere anche questo [...] e così restò solo nella signoria di Ravenna, che si era procurato così empiamente, avendo messo in carcere il padre e fatto uccidere il fratello».41

Le condotte al soldo di Venezia continuarono anche dopo la capitolazione di Padova e Obizzo continuò a restare assente periodicamente e per lungo tempo da Ravenna, costringendosi a delegare a partenti e amici il governo della città romagnola. Inoltre egli era conscio di dover cercare un alleato forte che potesse sostenere la sua politica necessariamente sospettosa delle molte signorie minori locali, in continua lotta tra di loro. Voltate le spalle ai Papi, dai quali egli ricevette il potere, si avvicinò sempre più a Venezia, abboccando alle lusinghe lungimiranti del governo lagunare. Le lunghe assenze da Ravenna, il precario stato di salute di Obizzo e il continuo pericolo di morte dovuto anche all'attività militare da questi svolta e, soprattutto, la mancanza di una progenie che potesse ereditare il governo della città, portò nel 1406 il Da Polenta, forse all'insaputa dei suoi concittadini e del Pontefice, a giurare fedeltà a Venezia e a lasciare il governo della città in mano del doge se egli, una volta morto, non avesse avuto un erede maschio. In cambio Venezia prometteva un appoggio politico e militare al signore di Ravenna. Obizzo sopravvisse a questo contratto 25 anni, morendo nel 1431. Soprattutto, però, Obizzo ebbe dalla sua prima moglie, Lisa Manfredi, un figlio maschio chiamato Ostasio, il quale nacque tra il 1407, ovvero dopo la stipula del contratto con Venezia, e prima del 1410, quando Obizzo scrisse il proprio testamento e lasciò come

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suo unico erede, anche della signoria di Ravenna, il primogenito, purché questi rimanesse strettamente legato alla politica veneta. Una volta morto Obizzo, la politica di Ostasio fu necessariamente unidirezionale e schiacciata dalle pretese veneziane, finché nel 1438 i Visconti di Milano assediarono Ravenna e costrinsero il suo signore ad accettare un'alleanza con loro, tradendo la parte veneziana. Con questa mossa Ostasio decretò la fine del suo dominio perché diede la possibilità giurid ica a Venezia di rivalersi sulla città ravennate. Le lotte intestine alla città sfuggirono di mano a Ostasio, il quale si convinse di trasferirsi a Venezia sotto protezione del doge, ospitalità che ben presto si tradusse in prigionia. Il 20 marzo 1441 la fazione antipoletana, rappresentata dalle famiglie Balbi, Monaldini, Spreti e Tombesi, incapaci di riproporre un governo autonomo della città, invitarono formalmente il doge veneto a prendere possesso di Ravenna, adoperando la consueta deditio urbis con la quale Venezia procedeva con l'espansione in Terraferma.42

6.

Domenico Malatesta, detto Malatesta Novello, nacque a Brescia il 6 aprile 1418. Figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e di Antonia da Barignano, ebbe due fratelli, Galeotto Roberto e Sigismondo Pandolfo, anch‟essi nati fuori dal matrimonio. Ciononostante, questi erano gli unici eredi destinati a continuare la dinastia dello zio Carlo Malatesta, il quale contrattò a lungo con papa Martino V per la legittimazione e il conferimento del vicariato apostolico ai nipoti. Tutto ciò fu approvato nel 1430, e quando nel 1432 morirono la vedova di Carlo Malatesta, Elisabetta Gonzaga, e Galeotto Roberto, i due fratelli Sigismondo Pandolfo e Domenico si videro confermata da papa Eugenio IV la concessione del vicariato. A Domenico appartenerono per diritto Cesena, Bertinoro, Meldola e alcuni territori limitrofi. Il potere della signoria malatestiana aumentò nell‟ottobre del 1433, quando l‟imperatore Sigismondo di Lussemburgo, di passaggio per l‟Italia centrale rientrando da Roma, a Rimini onorò i due fratelli con il titolo di conti palatini. Da questo momento, Domenico decide di farsi chiamare Novello Malatesta, prendendo il nome dello zio Andrea Malatesta detto Malatesta, signore di Cesena.

Fu nel 1433 che il pontefice appoggiò la conquista di Cervia operata dai fratelli Malatesta, la quale fu annessa alla Comunità di Cesena nel 1452 con l‟approvazione di Nicolò V. Lo scopo dichiarato fu quello di portare significativi interventi di bonifica sul suolo Cervese, ampiamente sommerso dalle acque e largamente incolto, e favorire l‟immigrazione verso la città costiera.43 Novello Malatesta ebbe enorme interesse nell‟operare

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Cfr. Girola mo Rossi, Storie, 610-637; Corbelli 1907; Vasina 1993, 592-597.

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ampliamenti urbanistici e alla costruzione di opere pubbliche: a lui si deve la costruzione di porta Cervese, la sistemazione di Porto Cesenatico, l‟ampliamento delle mura urbane di Cesena e il completamento del ponte sul fiume Savio. Però, proprio le elevate spese delle opere pubbliche da questi sostenute e la politica espansionistica operata dal fratello che comportò numerose ritorsioni e guerre ai danni di entrambi i Malatesta (peraltro molto spesso in rivalità tra di loro), provocarono un‟opprimente crisi economica che costrinse Novello a vendere Cervia e le sue saline a Venezia, il 5 maggio 1463.44

La trattativa per la cessione delle saline romagnole fu maneggiata segretamente tra le due parti e avviata per volontà di Novello Malatesta che, vista l‟avanzata nell‟ottobre del 1462 dell‟esercito pontificio verso i territori cesenati, scrisse al veneziano Andrea Dandolo, marito di una nipote del signore di Cesena, affinché questi sollecitasse l‟intervento della Repubblica per soccorrere i propri territori: Pio II, infatti, avviata la guerra contro Sigismondo Malatesta, spostò le proprie mire espansionistiche anche verso i territori di Novello. Le minacciose manovre militari del pontefice allarmarono enormemente la Repubblica, la quale temeva di perdere la propria supremazia commerciale su Cervia avviata con il benevolo governo di Malatesta. Così, Venezia, già prima di concepire l‟accordo per l‟acquisto della “città del sale”, aveva pensato di inviare Bernardo Giustinian come oratore al pontefice per convincerlo a desistere dall‟attacco ai territori romagnoli di Novello, altrimenti quella avrebbe dovuto reagire difendendo militarmente il proprio monopolio commerciale sul sale. Al tempo stesso Venezia inviò pure un oratore a Milano da Francesco Sforza, Niccolò da Canal, affinché cessassero alcune trattative segrete avviate dal milanese con il pontefice riguardanti proprio Cervia.45

Arrestato diplomaticamente l‟impeto dell‟esercito pontificio, Venezia intavolò la trattativa segreta con Novello, approfittando anche dell‟indigenza economica che questi attraversava. Il 29 aprile 1463, le due parti designarono i procuratori per la rogazione dei capitoli di cessione e il 5 maggio venne ufficializzata. Tra i vari capitoli stipulati tra Venezia e Malatesta si può notare un‟evidente omissione: non si fece alcun riferimento ai diritti che la Chiesa possedeva sulla c ittà, cosa che procurò l‟ira del pontefice e degli altri principi italiani.46 Maggior scandalo, oltretutto, era dovuto dal fatto che Novello Malatesta era giuridicamente impossibilitato alla vendita di un territorio affidatogli dalla Sede Apostolica senza il consenso del pontefice; inoltre, a causa dei gravosi debiti, il signore di

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Per la b iografia di Novello Malatesta, cfr. Fabbri 2007, 23-28.

45

Cfr. Soran zo 1909, 201-204.

46

Cfr, iv i, 204 ss. Il regesto dell‟instrumento che ufficia lizza la cessione di Cerv ia a Venezia è contenuto in Commemoriali, V, 148-150. Questo è quasi integralmente riportato anche in Soranzo 1909, 206-207.

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