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Franco Farina a Palazzo dei Diamanti: trent'anni di mostre a Ferrara.

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Academic year: 2021

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(1)

Corso di Laurea magistrale (ordinamento

ex D.M. 270/2004)

in Storia delle Arti e Conservazione dei

Beni Artistici

Tesi di Laurea

Franco Farina a Palazzo dei

Diamanti: trent’anni di mostre a

Ferrara (1963-1993).

Relatore

Prof. Nico Stringa

Correlatrice: Prof.ssa Stefania Portinari

Laureanda

Erica Marabese

Matricola 828328

Anno Accademico

2014 / 2015

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1

Indice

INTRODUZIONE ... 3

1. FERRARA: CENNI STORICI E AMBIENTE CULTURALE (anni ’50-’60-’70-’80-’90) ... 6

1.2 Storia ... 6

Le origini di Ferrara ... 6

Da ducato a libero comune ... 7

Ferrara nella lotta fra impero e papato ... 8

La dominazione estense ... 9

Da capitale di uno stato a provincia periferica ... 15

Dalla dominazione francese all’Unità d’Italia... 16

Ferrara dopo l’Unità e nell’epoca contemporanea ... 17

2. Ferrara ambiente culturale e artistico: la situazione prima degli anni ‘60 ... 19

2.1 Situazione artistica a Ferrara: due mostre di arte contemporanea negli anni ‘60 ... 20

La mostra il Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945 (1960) ... 20

La mostra Il dopoguerra: la pittura italiana dal 1945 al 1955 (1962-1963) ... 36

3. PALAZZO DEI DIAMANTI: MOSTRE DAL 1963 AL 1993 ... 51

3.1 Palazzo dei Diamanti: nozioni storiche e ambiente espositivo ... 51

3.2 Franco Farina: direttore delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo dei Diamanti, Ferrara, dal 1963 al 1993 ... 64

INTERVISTA A FRANCO FARINA, ex direttore del Palazzo dei Diamanti ... 80

3.3 ELABORAZIONE DATI RICAVATI DALLA REDAZIONE DELLA TABELLA: “MOSTRE A PALAZZO DEI DIAMANTI: 1963-1993” ... 84

3.4 SELEZIONE DI MOSTRE (schede analitiche) ... 90

a) Periodo: 1963-1973 ... 92

3.4.1 Mostra personale di Giorgio De Chirico (1970) ... 92

3.4.2 Mostra personale di Renato Birolli (1970)... 101

3.4.3 Mostra personale di Filippo De Pisis (1973) ... 111

3.4.4 Mostra collettiva 5 artisti ferraresi: Fioravanti, Maini, Orsatti, Tassini, Virgili (1966) ... 122

3.4.5 Mostra collettiva Participio Presente (1973) ... 138

b) periodo 1973-1982 ... 150

3.5.1 Mostra personale di Felice Casorati (1981) ... 150

3.5.2 Mostra personale di Ernesto Treccani (1974) ... 161

3.5.3 Mostra personale di Corrado Cagli (1977) ... 170

3.5.4 Mostra collettiva Pop Art Grafica (1975)... 182

3.5.5 Mostra Internazionale d’Arte: un futuro possibile – nuova pittura (1973) ... 191

c) periodo 1983-1993 ... 200

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2

3.6.2 Mostra personale di Luciano Minguzzi (1986) ... 211

3.6.3 Mostra personale di Mauro Reggiani (1987) ... 218

3.6.4 Mostra collettiva Black and White (1989) ... 226

3.6.5 Mostra collettiva Figure dallo sfondo 2: magma / 10 anni dopo (1986) ... 232

4. Oltre le mostre di Palazzo dei Diamanti: omaggi e revival... 239

4.1 Mostra PinArt – La periferia in arte (Ro Ferrarese, 2015) ... 246

CONCLUSIONI ... 259

Rassegna stampa: ... 264

Appendice: Tabella 1- Mostre a Palazzo dei Diamanti dal 1963 al 1993... 269

Indice delle figure: ... 324

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3

INTRODUZIONE

Il presente lavoro vuole analizzare il contesto dell’arte contemporanea in un ambito decentrato rispetto alle grandi città artistiche, come Ferrara e nello specifico vuole indagare il periodo storico svoltosi tra gli anni sessanta e novanta del novecento, porzione di tempo nel quale ha operato, a capo delle Gallerie dell’Arte Moderna e Contemporanea, il Maestro Franco Farina.

L’ex direttore, in un lasso temporale durato trent’anni (dal 1963 al 1993), ha compiuto a Ferrara un’instancabile operazione di divulgazione di artisti e opere d’arte contemporanee, in una città che fino a quel momento doveva la sua fama a epoche storiche precedenti, come il Medioevo e il Rinascimento, i cui echi risultano oggi inglobati nello stesso tessuto cittadino. Farina ha avuto il merito di far rivivere il fasto e lo splendore del Palazzo dei Diamanti dandogli una nuova destinazione d’uso, ovvero trasformandolo in un perfetto contenitore museale, all’interno del quale ha allestito una quantità considerevole di piccole e grandi mostre, che lo hanno reso uno dei luoghi più rappresentativi per l’arte contemporanea in Italia e all’estero. Il periodo in questione può essere definito come “i trent’anni d’oro del Palazzo dei Diamanti” in virtù del grande fermento artistico che ha coinvolto questa sede nel passare degli anni e che l’ha reso noto a livello nazionale e internazionale.

Farina ha creato durante il suo mandato, una condizione assolutamente prolifica per il propagarsi dell’arte contemporanea e per la sua conoscenza a un pubblico che prima non comprendeva pienamente questo momento artistico. Il Maestro, con la sua vivace personalità e instancabile curiosità verso tutte le manifestazioni artistiche contemporanee, è stato in grado di offrire al pubblico di visitatori un circuito di mostre eterogeneo ma completo, analizzando con perizia sia il movimento delle Avanguardie sia delle Neoavanguardie e studiando un sistema ben strutturato di spazi espositivi inseriti in palazzi storici della città, adatti a ospitare i vari allestimenti.

Lo scopo del presente lavoro è indagare quali conseguenze abbia prodotto una tale operazione culturale sul pubblico e sulla città di Ferrara e quanto sia stata determinante per la divulgazione dell’arte contemporanea in un ambito così decentrato.

Lo studio preliminare del contesto artistico e culturale presente a Ferrara negli anni ’60, periodo appena precedente alla nomina di direttore di Farina, permette di poter ricostruire la situazione dell’arte contemporanea e la considerazione di cui godeva agli occhi dei cittadini. L’indagine prende in considerazione le esposizioni ufficiali, promosse da Enti pubblici locali, realizzate nel

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4

periodo in questione e analizzato il sistema di gallerie d’arte e ambienti espositivi, anche privati, allora presenti in città.

Dopo aver messo in luce il contesto locale nel quale andava a inserirsi l’intervento culturale e artistico di Farina, è stato possibile addentrarsi nella disquisizione, ovvero in quei lunghi trent’anni di attività nei quali Farina ha potuto esprimere la propria personalità artistica con esposizioni temporanee e divulgare l’arte contemporanea.

L’analisi preventiva delle tipologie di mostre organizzate dal Maestro durante il suo mandato, è basilare per raccogliere dati utili alla costruzione di una tabella, strutturata secondo parametri cronologici, che possa restituire delle informazioni atte ad avvalorare o contraddire la tesi in oggetto. Attraverso la consultazione e lo studio dei cataloghi delle mostre è stato possibile ricavare dati indispensabili per comprendere i gusti artistici di Farina, le tendenze dell’arte contemporanea dell’epoca, la vivacità dell’attività espositiva e capire l’importanza del progetto culturale e artistico che il direttore aveva pensato per la città di Ferrara.

Per offrire una ricostruzione plausibile del percorso culturale a Palazzo dei Diamanti, delle peculiarità espositive e delle scelte artistiche compiute, senza la pretesa di completezza assoluta, le analisi sono proseguite con la selezione di alcune mostre, ritenute le più rappresentative sotto l’aspetto del riscontro del pubblico, dell’originalità degli allestimenti e per le azzardate scelte degli artisti coinvolti, e la conseguente redazione di schede tecniche delle stesse, al fine di offrire un

excursus ragionato di motivazioni, allestimenti e artisti coinvolti.

Nel primo capitolo si ripercorre la storia di Ferrara, dalla sua nascita fino a giungere al novecento, soffermandosi su uno dei periodi aurei vissuti dalla città, in altre parole quello della dominazione estense; nel secondo, invece, si analizza il contesto artistico ferrarese prima della copiosa attività espositiva a Palazzo dei Diamanti, citando due mostre rappresentative delle “mode” o gusti del novecento e gli artisti in voga: il Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945 (1960) e Il

dopoguerra: la pittura italiana dal 1945 al 1955 (1962-1963). Il terzo capitolo entra più nello

specifico della dissertazione andando a indagare il contenitore museale del Palazzo dei Diamanti, quindi la sua storia e architettura, e le mostre che vi sono state allestite tramite la redazione di una tabella contenente tutte le esposizioni. Nella parte successiva del capitolo si trovano redatte le schede di alcune mostre più rappresentative dei trent’anni di esposizione, scelte secondo una selezione, dettata da precisi criteri, che possa offrire una panoramica sulla particolarità e valenza del progetto artistico ed espositivo operato da Farina a Ferrara. Il quarto capitolo menziona alcune

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5

mostre organizzate dopo la fine del mandato di Farina, come capo delle Gallerie di Palazzo dei Diamanti, a Farrera e nella provincia analizzando nello specifico la recente esposizione Pin Art - La

periferia in arte (2015-16) che, attraverso la collezione Droghetti, ripercorre, con opere come

manifesti, litografie, prove d’artista, copie e cataloghi, il periodo d’oro di Palazzo dei Diamanti, con lo scopo di informare, ricordare al pubblico e celebrare trent’anni di storia artistica della città ferrarese.

(7)

6 1. FERRARA: CENNI STORICI E AMBIENTE CULTURALE (anni ’50-’60-’70-’80-’90)

Ferrara per la sua ubicazione geografica, situata nella pianura emiliana, si pone in un contesto apparentemente decentrato rispetto alle grandi città artistiche vicine, come ad esempio Bologna, Ravenna e Venezia, centri artistici di antichissima tradizione, ma fin dalla sua costituzione ha rivestito un ruolo singolare e di primo piano nella storia italiana.

Ripercorrendo le tappe salienti della storia di Ferrara, dalla sua nascita fino al periodo contemporaneo, si può comprendere come questa da piccolo centro rinascimentale si sia trasformata lentamente in un bacino che accoglie oggi le tendenze artistiche più disparate, rappresentando sotto certi aspetti un avamposto avanguardista per la ricerca artistica contemporanea/del novecento.

1.2 Storia

Le origini di Ferrara

Ferrara nasce nel VI secolo come borgo situato tra la biforcazione del fiume Po in ramo di Volano e Primario, che per volere del papa nel 657 diventa la nuova sede vescovile poiché quella precedente, Voghenza1, fu distrutta in seguito alle incursioni barbariche2. Ferrara ebbe così origine solo al termine dell’esperienza, prima di epoca romana e poi paleocristiana, dell’antica Voghenza. Ferrara era originariamente nominata “Ferrariola” in virtù della forma urbana somigliante a un ferro di cavallo, ma vi sono ipotesi contrastanti in merito: alcuni studiosi ritengono che il nome derivi da fara, termine con cui i longobardi indicavano il nucleo gentilizio al quale apparteneva il

dux, cioè il magistrato cui era affidato il governo di un ducato; secondo altri l’appellativo sarebbe

da ricondurre alla presenza di numerose fucine di fabbri ferrai o a un ipotetico tributo di ferro che la città avrebbe dovuto versare annualmente all’esarca; altri ancora ritengono invece che il termine tragga origine da farri area, cioè area del farro, un cereale largamente coltivato in epoca romana3.

1

Voghenza era stata nominata sede vescovile nel 330 da papa Silvestro I. G. Giubelli, Ferrara: storia, arte, cultura, Ferrara, Lanza, 1996, p. 145.

2 A. Santini, Il mito di Ferrara, in Ferrara: voci di una città, rivista semestrale di cultura, informazione e attualità della

Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, a. 10, n. 18 (giu 2003), pp. 12-14.

3

O. Bacilieri, L’antica Voghenza: storia ed economia di un antico vicus romano, rivista semestrale di cultura, informazione e attualità della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, a. 10, n. 18 (giu 2003), pp. 21-25.

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7

Le prime notizie pervenute sulla città risalgono all’ottavo secolo e più precisamente al 753, quando il re longobardo Astolfo4 utilizzò il nome “Ferrara” in un atto ufficiale5 indicando con questo la località come appartenente all’esarcato di Ravenna. Il dominio longobardo dura pochi anni e nel 756 questo terminò in seguito all’intervento armato di Pipino il Breve6 che donò il Ducato alla Santa Sede7. I longobardi sotto la guida di Desiderio, successore di Astolfo, rioccuparono Ferrara nel 772, la quale tornò ex novo a far parte dei territori della Chiesa grazie all’azione militare di Carlo Magno. La Chiesa di Roma ufficialmente poté riaffermare il diritto di sovranità sulla città solo nel 777, dopo la morte di Leone vescovo di Ravenna8.

Il territorio ferrarese per la sua conformazione fu afflitto da periodiche alluvioni nel corso dei secoli, ma nel novembre del 589 ne dovette subire una più catastrofica rispetto alle precedenti, che mutò il corso abituale dei diversi rami del fiume Po e sconvolse l’idrografia del territorio9. In epoca romana il centro ricevette un notevole impulso e divenne un attivo porto fluviale, supportato dalla posizione strategica che gli permetteva di controllare tutte le vie d’acqua interne.

Da ducato a libero comune

Le notizie che si riferiscono al periodo che parte dall’instaurazione del potere pontificio alla signoria dei Canossa sono molto incerte. Il margravio Tebaldo di Canossa, fedele all’imperatore e benvoluto dal papa, fu investito nel 986 della contea di Ferrara10. Alla morte di Tebaldo succedette Bonifacio, che durante il suo incarico fu per lunghi periodi lontano/assente da Ferrara e questo provocò la mancanza di un’autorità stabile in città. Dopo la morte di Bonifacio, prossima in linea di

4

Astolfo, re dei Longobardi eletto nel 749, occupò Ravenna nel 751 ponendo fine alla dominazione bizantina in Italia. Nel 754 Astolfo fu sconfitto dal re franco Pipino, chiamato dal papa Stefano II in sua difesa. Il re morì nel 756 dopo aver ceduto al papa le terre tolte ai bizantini e che poi andarono a formare lo Stato della Chiesa. Maximus – Dizionario

Enciclopedico, Novara, Istituto Geografico DeAgostini, 1993, s.v., “Astolfo”, p. 251.

5 L’atto ufficiale sopraenunciato sarebbe un diploma concesso dal re longobardo all’Abbazia di Nonantola, in cui la

città è menzionata come titolare di un ducato; è da supporre che per assurgere a tale rango il luogo possedesse già una propria struttura di civitas, con poteri politici, militari e religiosi definiti. G. Giubelli, Ferrara: storia, arte, cultura, cit., p. 145.

6

Pipino III (715-768), detto il Breve, fu re dei Franchi dal 751. Il padre di Carlomagno scese due volte in Italia, nel 754 e 756, per combattere contro i Longobardi. Maximus – Dizionario Enciclopedico, cit., “Pipino III”, p. 1894.

7 Santini A., Il mito di Ferrara, cit., a. 10, n. 18 (giu 2003), pp. 12-14. 8

G. Giubelli, Ferrara: storia, arte, cultura, cit., p. 146.

9

Ivi, p. 145.

10

(9)

8

successione, fu Matilde di Canossa, ma i cittadini, forti dell’appoggio di Enrico III, rifiutarono di riconoscere come autorità l’allora infante contessa e proclamarono il libero Comune11.

Ferrara nella lotta fra impero e papato

Nella lunga lotta fra Enrico IV e Matilde di Canossa, l’imperatore non uscì vincente, questo in parte per la lontananza che lo costrinse in Germania per diverso tempo, la contessa seppe approfittare della situazione e organizzando una potente armata, nel 1101 riconquistò Ferrara12.

Qualche decennio più tardi in seguito all’accesa lotta tra le famiglie guelfe, Adelardi e Giocoli e quelle ghibelline, Salinguerra e Torelli, Ferrara viene contesa dalle due fazioni per lungo tempo e solo nel 1151 prevalse la seconda che assunse il comando con Salinguerra I. Nel 1183, nel tentativo di porre fine alle discordie divenute sempre più aspre tra guelfi e ghibellini, Guglielmo III degli Adelardi affida il comando della città agli Este, in seguito ad un patto di matrimonio intercorso tra Marchesella Adelardi e Obizzo I d’Este, anche se questo non fu in realtà mai celebrato per la morte prematura della donna13.

Nella lotta per la supremazia del Ducato la casata degli Este14 trionfò e nel 1196 Azzo VI marchese d’Este, conosciuto come Azzolino, è nominato podestà di Ferrara. Il culmine degli scontri avvenne quasi un secolo più tardi: nel 1264 muore Azzo VII Novello e mentre si tenevano i funerali, il popolo fu chiamato a eleggere il suo sostituto, il nome prescelto fu quello di Obizzo II15. Quella decisione rappresentò un momento che segnò la storia della città perché nessun popolo prima

11 Ivi, p. 147. 12 Ibidem. 13 Ivi, p. 148.

14 Gli Este sono un’antica famiglia principesca italiana, che ebbe come capostipite Alberto Azzo II, e prese nome dal

luogo fissato come loro residenza dal 1073 circa: Este. La famiglia si divise in due rami uno dei quali si trasferì in Germania (Guelfo), dove ottenne il Ducato di Baviera nel 1070, l’altro invece si affermò in Italia, ottenendo la Signoria di Ferrara con Azzo VI e Azzo VII e di Modena e Reggio con Obizzo II. Dopo un periodo di alterne vicende, che videro gli Estensi cacciati da Modena, Reggio e Ferrara, furono richiamati a Ferrara nel 1317 e a Modena nel 1336, e con Niccolò III la potenza della casata si affermò definitivamente. A lui successero i figli Leonello e Borso, che fecero di Ferrara un centro di cultura e di arte; nel 1452 Borso otteneva dall'imperatore Federico III i titoli di duca di Modena e Reggio e di conte di Rovigo, nel 1471 quello di duca di Ferrara da papa Paolo II. Al loro fratello legittimo Ercole I, che seppe abilmente destreggiarsi nelle guerre scatenate dalle imprese di Carlo VIII, successero Alfonso I, che perse e riconquistò Modena e Reggio, Ercole II e Alfonso II, alla cui morte, non avendo avuto figli nonostante i suoi tre matrimoni, si aprì una grave crisi dinastica conclusasi con la rinuncia nel 1598 al ducato di Ferrara da parte dell'erede Cesare, figlio illegittimo di Alfonso I. Maximus – Dizionario Enciclopedico, cit., “Este”, p. 954.

15

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9

aveva scelto di cedere la propria sovranità a un tiranno riconoscendolo come perpetuus dominus

civitatis Ferrariae.16

La dominazione estense

Ferrara era all’epoca il centro di uno stato di natura variegata che comprendeva le marche di Modena e Reggio di nomina imperiale, il territorio della Contea di Rovigo, più volte contesa con Venezia, e le provincie di confine della Romagna e della Garfagnana in Toscana17.

Ferrara, sotto la dominazione degli Este, attraversò un periodo d’oro lungo due secoli: il marchese Leonello portò presso la propria corte artisti, musicisti e letterati raffinati; il fratello Borso compì delle opere di bonifica sul territorio e commissionò la realizzazione del famoso ciclo pittorico profano a Palazzo Schifanoia; Ercole I d’Este viene ricordato per aver promosso la cultura del teatro e della letteratura cavalleresca e per aver realizzato l’addizione erculea; Alfonso I ebbe il merito di rafforzare la cinta muraria della città. Ferrara raggiunse il massimo splendore tra la seconda metà del XV secolo e la prima metà del XVI e diviene uno dei maggiori centri culturali europei, la fondazione della sua Università risale al 1391, splendido cenacolo di poeti, scrittori e artisti di ogni genere, e sede di una famosa manifattura di arazzi.

Gli Este s’impegnarono negli anni a mantenere il potere tramite l’ostentazione del fasto, esibito come prova di liberalità e magnificenza, questo fu uno dei mezzi preferiti di propaganda e legittimazione utilizzato nelle corti europee tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età Moderna18. Lo strumento essenziale per la conservazione del potere era individuato principalmente nell’uso politico delle immagini, queste avevano un forte e diretto ascendente sul popolo perché comprensibili a tutti nel veicolare il messaggio che l’autorità voleva diffondere. Gli intellettuali di corte elaborarono il concetto di magnificentia nel quale il potere trovò espressione simbolica e di rappresentazione concreta. Il fasto delle corti con lo splendore del suo entourage, l’erezione di monumenti dinastici, le cerimonie solenni, gli spettacoli pubblici e la decorazione di splendidi edifici offrivano un’immagine ben precisa di autorevolezza e prestigio agli occhi dei cittadini.

16

Ivi, p. 32.

17

S. Bertelli, F. Cardini, E. Garbero Zorzi, Le Corti italiane del Rinascimento, Mondadori, Milano 1985, pp. 182-200.

18

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Gli Este hanno sempre prestato particolare attenzione allo sviluppo della città durante gli anni di governo dimostrando una coscienza e un senso urbano che nessun altro potentato della penisola aveva palesato di possedere in quell’epoca. Gli interventi urbanistici si pongono nell’ottica della rappresentazione di un’autorità di governo tesa a legittimare un nuovo assetto politico: questi diventano tasselli di un programma coerente avente il fine di adeguare il territorio ferrarese alla nuova supremazia rivendicata dagli Este, marcando il distacco dalle precedenti matrici comunali e di vassallaggio del potere papale.

Gli Este videro minacciata più volte la loro posizione dalle lotte fratricide fra pretendenti al trono e dalle ricorrenti minacce da parte del papa di revocare l’investitura feudale, nonostante ciò riuscirono a mantenere la proprietà del ducato.

Nel 1310 avvengono nuovi e sanguinosi conflitti tra i sostenitori di Francesco d’Este e Salinguerra III, capo dei fuoriusciti ghibellini, per il predominio sulla città.

Sul finire del secolo l’aumento delle tasse, per mantenere alto il prestigio del principe anche in tempi di gravi calamità, scatena una violenta rivolta e nel 1385, viene incendiato il Palazzo Comunale di Ferrara19. In seguito a questo grave accadimento Nicolò II decide di abbassare i tributi e di erigere un edificio più sicuro a tutela della propria incolumità, che avesse il compito di controllo politico e militare sulla città, per questo fu costruito il Castello, uno dei monumenti architettonici più importanti realizzato dagli Este20.

Le premesse per la fioritura culturale di Ferrara furono poste durante il regno di Nicolò III (1393-1441), che usando la diplomazia in maniera sapiente riuscì a rafforzare lo stato estense e ne fece l’ago della bilancia nei difficili equilibri fra le maggiori potenze italiane21. Segno del prestigio guadagnato da Nicolò III fu la designazione di Ferrara a sede del Concilio Ecumenico che, nel 1438 avrebbe dovuto ricomporre lo Scisma d’Oriente e riunire le forze della cristianità in una crociata contro il nemico turco22.

Dopo la morte di Nicolò III si aprì un nuovo periodo caratterizzato da un diverso modo di gestire il potere, più diplomatico, anche se rimane nei suoi successori la tipicità di governo connotato in parte da soprusi e violenze.

19 C. Bassi, Breve storia di Ferrara, cit., p. 37. 20

G. Giubelli, Ferrara: storia, arte, cultura, cit., p. 150.

21

S. Bertelli, F. Cardini, E. Garbero Zorzi, Le Corti italiane del Rinascimento, cit., pp. 182-200.

22

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Nel 1429 Nicolò III designa come suo successore uno dei figli illegittimi, Leonello (1441-1450) e chiama in città come suo precettore uno dei più grandi umanisti dell’epoca, Guarino da Verona, il suo arrivo e il formarsi di una cerchia di letterati attorno alla figura di Leonello aumentano considerevolmente il prestigio della corte estense23. Guarino portò a Ferrara uno dei maggiori pittori della sua epoca, Pisanello24, che soggiornò presso la corte dal 1443 al 144825. Sotto il governo di Nicolò III furono chiamati a insegnare nell’Università di Ferrara insigni studiosi quali Giovanni Aurispa26, Michele Savonarola27, oltre al già citato Guarino. La corte di Ferrara con Leonello sarà il luogo dove la cultura diventerà vera e propria attività di governo e nuovo strumento di potere28.

Nel frattempo dall’unione di Nicolò III e Ricciarda di Saluzzo nasce Ercole, che sarebbe diventato duca molti anni dopo. Leonello affianca il padre sul trono fin dal 1434 e con la sua reggenza può dirsi compiuto il passaggio dalla Signoria medievale al Principato rinascimentale: egli, infatti, fu figura esemplare di principe umanista, aumentò notevolmente il prestigio culturale della dinastia chiamando presso la corte i maggiori artisti e intellettuali dell’epoca29. In questo preciso momento storico, Ferrara vede giungere in città diversi artisti forestieri: nel 1438 Leon Battista Alberti30 partecipa alla costruzione del campanile della cattedrale; nel 1449 Andrea Mantegna dipinge un

23

Ibidem.

24 Antonio Pisano, detto il Pisanello (Pisa 1395 - Roma 1455), è stato un pittore e medaglista italiano. Dopo la morte

del padre (1395) si trasferisce a Verona dove ricevette la prima formazione. Pisanello lavorò assieme a Gentile da Fabriano nel ciclo di affreschi della sala del Maggior Consiglio nel Palazzo Ducale a Venezia (ora perduti). Dal 1422 al 1426 egli visse tra Verona e Mantova, eseguendo per i Gonzaga opere oggi perdute e la decorazione pittorica del monumento a N. Brenzoni in San Fermo a Verona (Annunciazione). Dal 1426 Pisanello fu chiamato a Roma da Gentile da Fabriano per collaborare con lui agli affreschi di San Giovanni in Laterano. Nel 1433 passò per Ferrara, dove offrì un suo quadro a Leonello D’Este. Nel 1438-39 iniziò l’attività di medaglista di Pisanello. L’Enciclopedia tematica, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, v. III, 2005, “Pisanello”, pp. 1776-1778.

25

S. Bertelli, F. Cardini, E. Garbero Zorzi, Le Corti italiane del Rinascimento, cit., pp. 182-200.

26 Giovanni Aurispa (1376-1459) è stato un umanista italiano noto come scopritore di testi classici e attore instancabile

nell’attività di divulgazione degli stessi. Tra i codici greci che portò in Italia dai viaggi in Oriente vi sono l’Illiade, le tragedie di Eschilo e Sofocle, opere di Pindaro e Platone, Apollonio Rodio, l’Antologia Palatina e Plutarco. Maximus –

Dizionario Enciclopedico, cit., “Aurispa Giovanni”, p. 269.

27 Michele Savonarola (1384-1468) fu medico dal 1440 di Nicolò D’Este a Ferrara. C. Crisciani-G. Zuccolin (a cura di),

Michele Savonarola: medicina e cultura a corte, Firenze, Sismel Edizioni, 2011, p. 251-252.

28

C. Bassi, Breve storia di Ferrara, cit., p. 44.

29 S. Bertelli, F. Cardini, E. Garbero Zorzi, Le Corti italiane del Rinascimento, cit., pp. 182-200. 30

Leon Battista Alberti (Genova 1404 – Roma 1472) è stato un architetto, umanista e trattatista italiano. Compì gli studi umanistici a Padova e quelli scientifici a Bologna, dove si laureò in Diritto Canonico nel 1428. Dal 1431 al 1434 studiò e misurò a Roma gli antichi monumenti, ma all’attività architettonica approdò solo anni dopo. Nel 1434 a Firenze l’Alberti ebbe l’occasione di stringere rapporti con Brunelleschi e Donatello, dedicandosi alla pratica della scultura e della pittura. Nel 1444 l’Alberti torna a Roma e vi si stabilì come esperto di urbanistica presso il papa Niccolò V. Le sue opere furono spesso terminate o eseguite da altri: Tempio Malatestiano a Rimini (1447); Palazzo Rucellai (1447-51) e il completamento della facciata di Santa Maria Novella a Firenze. A Mantova costruì la chiesa di San Sebastiano (1460-70) e lasciò il disegno per quella di Sant’Andrea. L’Enciclopedia tematica, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, v. 1, 2005, “Alberti Leon Battista”, pp. 49-50.

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ritratto di Leonello; nel 1450 Rogier Van Der Weyden visita la città; Piero della Francesca31 realizza degli affreschi nella corte e nella chiesa di Sant’Andrea, ora perduti32. Presso la corte estense viene attribuita un’importanza notevole alla promozione del signore e della dinastia attraverso il patrocinio dell’arte e della cultura, anche in relazione alla necessità di accreditare un potere che si era spesso trasmesso con linee non legittime: sia Nicolò III che il figlio Leonello a lui succeduto, erano figli naturali33. La corte estense tra tutti i generi artistici ha prediletto il ritratto ufficiale, al quale è stato attribuito il valore di attestazione del potere e di legittimazione dinastica.

Alla morte di Leonello successe Borso, figlio di Nicolò III e Stella de’ Tolomei. Elevato a duca di Modena e Reggio nel 1452 sotto nomina imperiale per le doti diplomatiche dimostrate, egli fece dell’ostentazione dello sfarzo uno strumento per ottenere il titolo ducale anche su Ferrara, obiettivo che riuscì a raggiungere solo nel 147134. Durante il regno di Borso gli artisti di corte assimilarono le esperienze artistiche dell’epoca precedente e svilupparono il linguaggio dell’officina ferrarese35, la città continua ad espandersi e appare sempre più prospera: viene costruito un nuovo quartiere edificato sull’area che era stata il sedimento del Po Grande, chiamata “Addizione di Borso”. Relativamente agli ampliamenti territoriali, Leonello e Borso operarono sostanzialmente per consolidare i beni acquisiti e per condurre una politica di prestigio culturale. Dopo la morte di Borso il trono fu di Ercole I (1471-1505), facente parte del ramo legittimo della discendenza di Nicolò III, che dovette fronteggiare le mire di Nicolò, figlio di Leonello36. Ercole I fu un grande intenditore di architettura e durante il suo mandato si preoccupò di trasformare Ferrara in una capitale degna del ducato appena istituito37. La disastrosa guerra di Ferrara del 1482-1484 vide papa Sisto IV e Venezia schierati contro Ferrara e i suoi alleati: Ferdinando I di Napoli, Firenze, Mantova e Milano. Il papa mirava al territorio ferrarese per ampliare i domini del nipote Girolamo

31

Piero di Benedetto de’ Franceschi, detto Piero della Francesca (Borgo San Sepolcro 1415/1420-1492), è stato un pittore e artista tra i maggiori del Rinascimento italiano, fu anche teorico della prospettiva e matematico (De

prospectiva pingendi, De quinque corporibus regularibus). Dopo un primo apprendistato nella città natale, si recò a

Firenze e lavorò a fianco di Domenico Veneziano. La sua opera, caratterizzata dal rigore della stesura prospettica e della geometria e dall’uso in funzione espressiva della luce, influenzò tutta la pittura dell’Italia settentrionale, soprattutto la scuola veneta e ferrarese (a Ferrara lavorò nel periodo tra il 1448 e il 1450). Maximus – Dizionario

Enciclopedico, cit., “Della Francesca Piero”, pp. 1883-1884.

32

Bertelli S., Cardini F., Garbero Zorzi E., Le Corti italiane del Rinascimento, Milano, cit., pp. 182-200.

33

Zuffi S. (a cura di), La Storia dell’Arte: il Quattrocento, vol. 6, Roma, Editoriale L’Espresso, 2006, p. 112.

34 S. Bertelli, F. Cardini, E. Garbero Zorzi, Le Corti italiane del Rinascimento, cit., pp. 182-200. 35 Ibidem. 36 Ibidem. 37 Ibidem.

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Riario, signore di Imola e Forlì, mentre Venezia desiderava appropriarsi del Polesine. Lo scontro si concluse a sfavore di Ercole I, che in seguito alla Pace di Bagnolo del 1484 perse la Contea di Rovigo, questo indusse il duca a commissionare un progetto di espansione urbanistico nominato “Addizione erculea”, proprio per fare fronte al ridimensionamento del ducato nello scacchiere politico italiano38. Secondo la visione di Ercole I, la costruzione di una città in grado di resistere a un assedio ma ricca di palazzi sontuosi degni di ospitare illustri famiglie, si rivela una strategia atta a favorire alleanze matrimoniali che avrebbero garantito il mantenimento del prestigio e potere acquisito dalla casata. Le alleanze create furono molte e coinvolsero anche lo stesso duca: Ercole, infatti, sposa nel 1473 Eleonora d’Aragona39, figlia del re di Napoli; egli promette in moglie le figlie Isabella40 e Beatrice rispettivamente a Francesco II Gonzaga e Ludovico il Moro, signori di Mantova e Milano; nel 1502 si celebra il matrimonio fra l’erede Alfonso e Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI41.

Per Ferrara inizia un periodo di splendore mai conosciuto prima: feste, tornei e spettacoli tornarono a intrattenere popolo e cortigiani; l’Università diventa una delle più fiorenti d’Europa; la biblioteca viene arricchita da manoscritti, opere di stampa e codici greci e latini; la musica e il teatro rinascono. La città è conosciuta soprattutto per questo suo periodo aureo tant’è che lo storico Burckardt42 afferma: “[…] Ferrara è stata la prima città moderna d’Europa […]43”, questo in seguito ad alcuni interventi urbanistici commissionati nel 1492 dal Duca Ercole I d’Este, in particolare l’addizione erculea. L’importante intervento urbanistico determinò una conseguente espansione dell’area cittadina verso nord, secondo uno schema razionale di vie e palazzi,

38

Ibidem.

39

Il matrimonio rivela la grande considerazione che la casata degli Este godeva presso le famiglie dei nobili potenti della penisola.

40

La figlia di Ercole I, Isabella d’Este, vanterà poi la fama di primadonna del Rinascimento per le sue straordinarie doti di amante della bellezza, animatrice della cultura, arbitra dell’eleganza di tutte le corti d’Europa.

41 S. Bertelli, F. Cardini, E. Garbero Zorzi, Le Corti italiane del Rinascimento, cit., pp. 182-200. 42

Jacob Burckhardt (Basilea 1818-1897) è stato uno storico svizzero tra i più importanti del XIX secolo. La sua passione per la Storia dell’Arte lo portò in Italia nel 1846, dove restò affascinato dal patrimonio artistico del luogo e diventò un forte estimatore della opere artistiche del Rinascimento. Insegnò Storia dell’Arte al Politecnico di Zurigo e all’Università di Basilea. Nel 1853 pubblicò Il tempo di Costantino Il Grande. Classico modello di storia della cultura è considerato il suo capolavoro La civiltà del Rinascimento in Italia (1860), opera in cui l’epoca rinascimentale è vista come il momento in cui l’uomo fa la scoperta di sé e del mondo. Altre sue opere sono: Cicerone. Guida al godimento

delle opere d’arte in Italia (1855), Considerazioni sulla storia universale. Maximus – Dizionario Enciclopedico, Novara,

“Burckhardt Jacob”, p. 457.

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ridisegnandone la forma e raddoppiando la sua superficie, e diventando sempre più simile ai grandi centri europei dell’epoca44.

Nello stesso momento storico in città si stava consolidando la scuola ferrarese di pittura (fine XIV-XVI secolo) che vantava nomi di artisti illustri come Cosmè Tura45, Bono da Ferrara46, Francesco del Cossa47, Ercole de’ Roberti48, Lorenzo Costa49, Benvenuto Tisi il Garofalo50, I. Scarsellino51, G. B. Benvenuti l’Ortolano52 (facenti parte dell’Officina ferrarese53) e altri.

L’erede legittimo Alfonso I sale al trono nel 1505 e durante la sua reggenza dovette affrontare momenti storici connotati da gravi calamità come peste, carestia, inondazioni e terremoto. Gli anni di governo di Alfonso I furono travagliati dalle ambizioni e dal nepotismo di papi come Giulio II, Leone X, Clemente VII e Paolo III, che avevano mire su Ferrara54. Alfonso I, seguendo le tradizioni familiari della sua casata, seppe destreggiarsi nelle rivalità fra Carlo V e Francesco I,

44 La città di Ferrara – breve storia in <http://iuss.unife.it/citta/la-citta-di-ferrara-breve-storia> (16/02/2015). 45

Cosimo Tura (Ferrara ca. 1430 – 1495), detto Cosmè, è stato un artista tra i maggiori interpreti della pittura rinascimentale ferrarese. Frequentò a Padova la bottega dello Squarcione dove venne a contatto con l’arte di Mantegna e di Giovanni Bellini. L’artista risentì anche dell’influsso di pittori attivi alla corte ferrarese come Roger Van Der Weyden, Piero della Francesca, Pisanello e Iacopo Bellini. Nel 1471 fu nominato ufficialmente ritrattista della corte estense. L’Enciclopedia tematica, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, v. III, 2005, “Tura Cosimo”, pp. 2319-2320.

46

Bono da Ferrara è stato un pittore ferrarese, allievo presumibilmente di Pisanello, si avvicinò poi a Piero della Francesca e ad Andrea del Castagno. Maximus – Dizionario Enciclopedico, cit., “Bono da Ferrara”, p. 407.

47 Francesco Del Cossa (Ferrara ca. 1436 – Bologna 1478), pittore ferrarese, si formò sugli esempi del Mantegna e di

Cosmè Tura, trasse dalla pittura di Piero della Francesca la lucida scansione spaziale e la luminosa volumetria delle sue opere migliori. Ivi, “Del Cossa Francesco”, p. 816.

48 Ercole de’ Roberti (Ferrara ca. 1450 - 1496), pittore ferrarese, seguace di Cosmè Tura, si stacca dal linguaggio del

maestro per una maggiore ampiezze della composizione spaziale e per una più ricca sostanza coloristica di derivazione veneziana. Ivi, “De’ Roberti Ercole”, p. 2098.

49 Lorenzo Costa (1460-1535) è stato un pittore ferrarese, la sua pittura ispirata ad Ercole De’ Roberti e al Francia,

rivela moduli manieristici raffinati. Ivi, “Costa Lorenzo”, p. 757.

50

Benvenuto Tisi Garofalo (1481-1559), detto il Garofalo, è stato un pittore ferrarese del tardo Rinascimento. Fece parte della Scuola Ferrarese di pittura. La particolarità del suo soprannome è dovuta dal suo paese di origine Garofalo in provincia di Rovigo, inoltre, era solito firmare le sue opere con un piccolo garofano. Dopo aver visitato diverse città nel suo periodo di formazione, come Cremona, Roma, Bologna, Mantova, Benvenuto nel 1512 si fermò a Ferrara per lavorare a diverse opere commissionate dal duca Alfonso D’Este. Ivi, “Benvenuto Tisi Garofalo”, p. 1097.

51 Ippolito Scarsella (1550-1620), detto lo Scarsellino, è stato un pittore italiano. Ultimo rappresentante della civiltà

pittorica ferrarese, dopo una prima formazione manieristica completò la sua formazione a Venezia, dove conobbe Veronese. Scarsellino realizza durante la sua attività copiosa, dipinti di piccolo formato a soggetto sacro o profano e grandi pale d’altare per chiese di Ferrara. Ippolito Scarsella in <http://www.treccani.it/enciclopedia/scarsella-ippolito-detto-lo-scarsellino/> (27/03/2015).

52

Giovan Battista Benvenuti (1487-1527 ca.), detto l’Ortolano, è stato un pittore ferrarese. La sua arte, naturalistica e ricca di effetti cromatici, ha risentito degli influssi di Lorenzo Costa, Boccaccino, Perugino e de’ Roberti. L’Ortolano fu a lungo confuso con il Garofalo, la distinzione tra i due artisti è ormai consolidata. Maximus – Dizionario Enciclopedico, Novara, cit., “Giovan Battista Benvenuti”, p. 1765.

53 L’Officina Ferrarese è un saggio critico di Roberto Longhi, pubblicato a Roma nel 1934, fondamentale per la

conoscenza dell’ambiente artistico e della pittura ferrarese nei secoli XV e XVI. L’Enciclopedia tematica, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, v. II, 2005, “Officina ferrarese”, p. 1608.

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appoggiandosi ora all’uno ora all’altro, questo gli permise di mantenere i suoi possedimenti originari intatti. Nei primi del cinquecento con Alfonso I, gli Este raggiunsero una serie importante di titoli di sovranità: duchi per investitura pontificia di Ferrara, duchi per investitura imperiale di Modena e Reggio, conti di Rovigo, principi di Carpi, Signori della Garfagnana, vicari apostolici nelle terre di Romagna e altri55.

Successore di Alfonso I fu Ercole II (1534-1559) che, su esempio dei suoi avi, decise di perseguire la politica di neutralità e nel 1539 riuscì ad ottenere dal papa il rinnovo dell’investitura del ducato di Ferrara previo il versamento di una somma di risarcimento a papa Paolo II. Ercole II s’impegnò per aumentare il prestigio della casata, fece del Castello una reggia fastosa e diede nuovo impulso a Università e teatro.

A Ercole II seguì il figlio Alfonso II (1559-1597), il cui governo trascorse senza particolari avvenimenti politici di rilievo e fu caratterizzato da un’esagerata esteriorità sfarzosa.

Da capitale di uno stato a provincia periferica

Nel 1598 avviene l’annessione di Ferrara agli Stati Pontifici, dopo che l’ultimo discendente degli estensi Alfonso II non lasciò alcun erede e, come prescritto dalla bolla di papa Pio V, era proibita che la successione avvenisse a favore di figli illegittimi; inizia da quel momento il periodo di decadenza economica e intellettuale della città56. Con la devoluzione57 del ducato di Ferrara al rango di città di frontiera, il cui territorio doveva servire esclusivamente come avamposto difensivo dello Stato Pontificio, termina il periodo aureo estense. Il trasferimento a Modena della corte estense, della biblioteca e delle collezioni artistiche, contribuì ad aggravare il declino della vita cittadina58. I cambiamenti furono sostanziali: sul territorio si moltiplicarono chiese, conventi, organizzazioni e istituzioni religiose; fu istituito un consiglio di reggenza retrivo e conservatore; fu progettato un sistema d’imposte dirette e indirette, dazi e gabelle che appesantì la pressione

55 C. Bassi, Breve storia di Ferrara, cit., p. 53. 56

Ferrara in < http://www.treccani.it/enciclopedia/ferrara/ > (03/03/2015).

57

Con il termine “devoluzione” si indica la trasmissione o passaggio di un diritto, del godimento di un bene da una persona all’altra, per effetto di una legge, di un contratto, di una disposizione testamentaria. In questo senso si configura come il diritto del proprietario del fondo enfiteutico (il papa) a far cessare l’enfiteusi (agli estensi) riconquistando il dominio utile del fondo. Devoluzione in < http://www.treccani.it/vocabolario/devoluzione/ > (22/03/15).

58

A. Santini, Il mito di Ferrara, Ferrara: voci di una città: rivista semestrale di cultura, informazione e attualità della Fondazione Cassa di risparmio di Ferrara, n. 18 (giu. 2003), Ferrara: Fondazione Cassa di risparmio di Ferrara, 1994, p. 12.

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fiscale sui cittadini; il commercio subì un’inflessione e scomparve quasi del tutto l’attività manifatturiera59. Nonostante la convinzione comune degli storici di considerare il periodo di governo dello stato pontificio, durato quasi centocinquant’anni, un momento di involuzione per Ferrara, i cardinali legati prestarono attenzione alla difesa e valorizzazione del territorio attraverso l’attuazione di opere idrauliche importanti, che permisero di controllare i frequenti disastri naturali che affliggevano il territorio ferrarese.

Per tutto il periodo storico seguente, fino alla metà del settecento, non si registrano accadimenti particolarmente degni di nota a Ferrara.

Dalla dominazione francese all’Unità d’Italia

Nel periodo napoleonico (1796-1814) il territorio ferrarese entra a far parte della Repubblica Cisalpina e del Regno Italico con la denominazione di Dipartimento del Basso Po. Durante questa fase furono attuate diverse riforme amministrative, politiche ed economiche, il ripristino delle libertà e autonomie comunali, l’apertura della vita politica a ceti prima esclusi, l’utilizzo del calendario francese, l’istituzione di servizi di pubblica sicurezza, e altro60. I beni appartenenti alle confraternite e agli istituti religiosi vengono venduti a privati dando così inizio/impulso alla redistribuzione e circolazione della ricchezza.

Con la caduta di Napoleone, dopo le sconfitte di Russia e Lipsia ha inizio il balletto tragico che vede Ferrara nuovamente contesa tra Francia e Austria: nel 1813 gli austriaci tornarono a occupare la città ma sempre nello stesso anno i francesi ripresero il sopravvento. Con il trattato di Vienna cambiò di nuovo l’assetto politico dell’Europa e dell’Italia: Ferrara ritorna a far parte dello Stato Pontificio che la dovrà governare sotto la protezione austriaca.

I moti del 1831 innescarono una fiammata rivoluzionaria: i cittadini insorsero, disarmarono le milizie pontificie, occuparono il castello e istituirono un proprio governo provvisorio, ma poco dopo gli austriaci repressero gli insorti e restaurarono il governo pontificio61.

L’Austria tra il 1847 e il 1859 occupò Ferrara militarmente ma poi questa fu riunita nel Regno d’Italia nel 1860 in seguito ai moti che videro la cacciata del governo pontificio. A proposito

59

G. Giubelli, Ferrara: storia, arte, cultura, cit., p. 155.

60

Ivi, p. 157.

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dell’unificazione italiana, Massimo Felisatti62 afferma: “[…] con l’unità del 1860 l’Italia è fatta, ma a Ferrara c’è quasi o tutto da rifare”. Lo storico rileva la necessità da parte del nuovo governo di dedicarsi alla costruzione di nuovi rapporti politici ed economici tra gli istituti di potere e le masse popolari trascinate nell’avventura risorgimentale.

Ferrara dopo l’Unità e nell’epoca contemporanea

All’indomani del plebiscito del 1860, i nuovi amministratori trovarono una situazione catastrofica dovuta alla grave crisi economica che imperversava sul territorio. Lo sviluppo di opere di bonifica e la conseguente nascita di aziende agricole di notevoli dimensioni, pose le basi per il copioso afflusso di manodopera che portò con sé considerevoli risvolti sociali, sfociati sovente in veri conflitti. Le condizioni di vita del proletariato agricolo erano caratterizzate da malattie, denutrizione, sporcizia, alto tasso di mortalità e analfabetismo. Le rivendicazioni della popolazione si manifestarono a più riprese durante gli scioperi d’Argenta (1897, 1901, 1906, 1907), di Tresigallo (1901), di Massafiscaglia (1913) e nella “Settimana rossa”63 (1914)64.

Dopo la fine della prima guerra mondiale, il fascismo dilagò anche a Ferrara attecchendo soprattutto tra gli appartenenti al ramo agricolo, nonostante la provincia fosse una delle zone più “rosse” dell’Italia. L’anno 1920 segna il momento di massima resistenza delle organizzazioni socialiste e contemporaneamente l’inizio del loro tracollo: la borghesia dei ceti medi e agrari si sentiva accerchiata dalle forze socialiste e cercò di organizzarsi in un’opposizione compatta, nacquero così i Fasci. Durante gli anni della dittatura non mancarono iniziative culturali di un certo prestigio, come le celebrazioni ariostesche della “Ottava d’Oro”, la grande esposizione di pittori ferraresi del Rinascimento, la fondazione del Museo archeologico di Spina, il riordino di biblioteche e archivi, e il ripristino di molti monumenti storici della città65.

La seconda guerra mondiale lasciò segni ben visibili nel tessuto cittadino di Ferrara, la città subì pesanti bombardamenti che distrussero diversi edifici e rasero al suolo tutta la zona industriale.

62

M. Felisatti, Storia di Ferrara, Milano, Camunia Editrice, 1986, p. 40.

63

La settimana rossa fu la conseguenza di un’insurrezione popolare verificatasi in varie città d’Italia, tra il 7 e il 14 giugno 1914, per contestare una serie di riforme messe in atto da Giolitti. La vicenda passò alla storia per un episodio grave: la polizia fece fuoco sui manifestanti. Maximus – Dizionario Enciclopedico, cit., “settimana rossa”, p. 2233.

64

G. Giubelli, Ferrara: storia, arte, cultura, cit., p. 160.

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Nelle tornate elettorali svoltesi dopo il ripristino della democrazia (aprile 1945), saranno riconfermate le lontane radici socialiste della città e sotto questa concezione la provincia sarà governata per oltre sessant’anni66.

Parallelamente alle vicende politiche scorre quella culturale che all’inizio del secolo si rivela particolarmente intensa a Ferrara: artisti come Giorgio De Chirico, Corrado Govoni e Filippo De Pisis, hanno realizzato opere fondamentali nella ricerca poetica pittorica e letteraria dell’epoca. La seconda metà del XX secolo vide la riscoperta e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della città che culmina nel 1995, con il conferimento da parte dell’UNESCO del titolo di “patrimonio mondiale dell’umanità” a Ferrara, come città del Rinascimento67. Nel 1999 la città ricevette un ulteriore riconoscimento per le tipicità del suo territorio, nello specifico il Delta del Po.

66

M. Felisatti, Storia di Ferrara, Milano, cit., p. 40.

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19 2. Ferrara ambiente culturale e artistico: la situazione prima degli anni ‘60

Dopo aver ricostruito la storia di Ferrara, dalle sue origini ai giorni odierni, e aver per questo compreso il luogo nel quale l’intervento culturale e artistico di Farina si è inserito, è opportuno analizzare anche il contesto artistico cittadino, la sua struttura espositiva e le tendenze artistiche fino agli anni ‘60.

Prima del mandato di Farina, l’arte contemporanea a Ferrara non era stata proposta e sostenuta con decisione dal pubblico e dai privati, poche gallerie hanno esposto opere di artisti contemporanei e non si ricordano mostre rilevanti per questo tipo di arte, la città risultava essere non coinvolta in maniera attiva nelle ricerche artistiche del tempo, come invece accadeva per altre città “storiche”68 come Venezia e Milano.

All’inizio degli anni sessanta solo due sono state le mostre degne di nota che furono organizzate e che hanno rappresentato per così dire una fonte d’ispirazione per Farina e per lo sviluppo della sua successiva attività espositiva. Le mostre in questione, il Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945 e il Dopoguerra: la pittura italiana dal 1945 al 1955, hanno avuto come oggetto due periodi artistici considerati oscuri e corrispondenti a momenti storici tragici per la vicenda italiana. La dittatura del regime fascista e la seconda guerra mondiale hanno destabilizzato il mondo dell’arte in maniera significativa e irreversibile. Nonostante il regime non abbia apertamente/integralmente impedito ad artisti non in linea con la politica dell’epoca di continuare a esprimersi, gli artisti hanno risentito del clima vigente e, talvolta, hanno espresso nelle opere il proprio pensiero politico. Nasce in questo momento un movimento di opposizione all’arte di regime e di propaganda che assumerà un certo peso artistico come testimonianza storica del periodo. L’arte di contestazione per diverso tempo è stata etichettata dai critici come arte antifascista, di rivolta, priva di contenuti originali e spunti innovativi, se non nell’attacco politico al regime. Le due mostre trattate sono consecutive e complementari dal punto di vista dei decenni che trattano e cercano di offrire al pubblico una rilettura del periodo in oggetto.

68

Con il termine “storiche” si intende, di tradizione o tradizionalmente considerate come città artistiche. Ad esempio Venezia e Milano vengono considerate di lunga tradizione artistica, proprio per il ruolo e il peso che hanno rivestito nei fermenti dei primi decenni del Novecento.

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20 2.1 Situazione artistica a Ferrara: due mostre di arte contemporanea negli anni ‘60

La mostra il Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945 (1960)

Gli anni sessanta si aprono a Ferrara con una mostra intitolata il Rinnovamento dell’arte in Italia:

1930-1945, che esplora l’arte nata e sviluppatasi durante il periodo fascista. La mostra si è tenuta

nelle magnifiche sale di Casa Romei69 da giugno a settembre 1960, a cura di Antonio Del Guercio70. L’esposizione ha esaminato l’offerta artistica del periodo dal 1930 al 1945, mostrando sia singoli artisti sia movimenti collettivi e facendo dell’arte figurativa il punto cardine della mostra71. L’obiettivo di questa è stato quello di analizzare un periodo storico-artistico talvolta sottovalutato, perché identificato in maniera semplicistica come arte di contestazione al regime, e dare una risposta al seguente interrogativo: è esistito veramente, in quegli anni, un rinnovamento delle arti oppure la rivolta antifascista è coincisa con l’effettivo rinnovamento anche nell’arte?72

Raffaele De Grada73 ha affermato che la situazione artistica dopo il 1930 abbia vissuto un periodo di estrema incertezza in cui il dibattito sull’arte ha rischiato di essere confuso con la polemica storica contingente, e di essere ricondotto alla mera distinzione tra arte fascista e arte di resistenza, classificazione non del tutto corretta e riduttiva. Il periodo in esame merita di essere studiato innanzitutto con un certo distacco temporale e valutato in maniera critica alla luce dei

69

Casa Romei è uno dei complessi architettonici più interessanti della cultura ferrarese perché si tratta dell’unica abitazione nobile ancora esistente e in buone condizioni risalente all’epoca di Leonello e Borso d’Este. Costruita a partire dal 1442, la casa fu completata con logge e dipinti attorno al 1452. L’apparato decorativo della casa rende omaggio al suo committente Giovanni Romei, noto mercante e banchiere rinascimentale. Con l’acquisizione da parte del demanio dello Stato alla fine del XIX, l’edificio viene restaurato e riportato allo splendore primitivo per adibirlo a luogo espositivo. La fruizione al pubblico è stata fortemente limitata fino al 1987, nonostante siano state organizzate alcune mostre di grande risonanza in ambito locale. C. Di Francesco, Casa Romei, in Quaderni di Soprintendenza per i

Beni Ambientali e Architettonici, n. 1, 1995, Angelo Longo Editore, Ravenna, pp. 71-73.

70

Antonio Del Guercio è uno storico dell’arte italiano, specializzato nell’arte moderna e contemporanea. Ha curato ed organizzato diverse mostre in Italia e all’estero, in particolare a Parigi, sua città natale. È stato docente universitario di storia dell’arte contemporanea nelle università di Lecce e Firenze e scrittore di numerosi testi e saggi sull’arte moderna e contemporanea come Conflittualità dell’arte moderna, La pittura del novecento in Italia, Storia dell’arte

presente, Arte e critica d’arte nel centro della modernità ed altri. A. Del Guercio, Arte e vita moderna: situazioni dell’immagine tra Ottocento e Novecento, Editori Riuniti, Roma, 2001, p. 1.

71 A. Rotunno, La pittura alla Mostra di Casa Romei, in Ferrara viva: rivista storica e di attualità, Bologna, 1959, a. II, n.

5-6, 1960, pp. 169-179.

72

E. Riccomini (a cura di), Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945, Bologna, Edizioni Alfa, 1960, p. 11.

73 Raffele De Grada (1916-2010), critico d’arte svizzero, scrittore, professore e politico italiano, aderisce al movimento

artistico Corrente di Treccani e fonda l’omonima rivista, protagonista della rivolta anti-novecentista della pittura lombarda del periodo e fronte di opposizione al regime fascista. Durante la sua carriera collabora con importanti giornali come il Corriere della Sera e realizza pubblicazioni e cataloghi d’arte. S’impegna anche sul fronte politico come dirigente della Federazione milanese del Partito Comunista Italiano e deputato della III legislazione. Diventa membro della commissione artistica della Biennale di Venezia, consigliere del Teatro alla Scala e del Museo Poldi Pezzoli. S. Grasso, Raffaele De Grada, dalla resistenza alla critica d’arte, in Corriere della Sera, 3 ottobre 2010, p. 47.

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fermenti artistici che agitavano l’Italia in quel frangente e degli sviluppi artistici negli altri paesi stranieri.

Gli anni trenta furono caratterizzati da elementi di continuità con il decennio antecedente, soprattutto per quanto concerne le pratiche culturali e artistiche, ma vi furono anche delle novità, nello specifico l’impegno proficuo dello stato per sostenere le arti visive nazionali tramite l’organizzazione di un sistema di contributi finanziari, esposizioni, premi, acquisti e la creazione di enti preposti alla conservazione dei materiali lasciati dagli artisti74. Tutto questo fu disciplinato da leggi che predisposero le basi del sistema espositivo fascista; lo stato metteva così la cultura in primo piano, come strumento di propaganda del regime. La legge del 24 giugno 1929 riconosceva al Sindacato nazionale fascista delle Belle arti il potere di controllo capillare su tutto il territorio italiano tramite la pianificazione e organizzazione di mostre provinciali e regionali75. Questo impianto scardinava quello precedente e toglieva il predominio alle società di amatori e cultori che erano nate nell’Ottocento all’ombra delle accademie d’arte e delle amministrazioni municipali. Le manifestazioni sindacali erano il luogo prediletto per il reclutamento di forze giovani, adeguatamente selezionate, per la partecipazione alle esposizioni vertice del sistema, come la

Quadriennale d’arte (1931) e la Biennale d’arte (1930)76. Questo rigoroso sistema di controllo artistico era nato con l’intento di promuovere la produzione italiana e offrire uno sbocco a un mercato dell’arte piuttosto arretrato77.

La dittatura ebbe quindi pretese d’intervento artistico-culturale: attivo, attraverso la promozione di attività strumentali per ottenere il consenso, e passivo, con la cesura e autarchia verso le forme d’arte che non rispecchiavano lo stile e l’ideale di arte fascista78. In realtà non sarebbe del tutto corretto affermare che il corso pittorico italiano sia stato meccanicamente condizionato dal fascismo o solo subalterno a esso, ma l’intervento del regime si avvertì più come un rafforzamento dei limiti di chiusura entro la tradizione italiana, riducendo drasticamente i contatti con l’estero e la circolazione delle idee oltre confine79.

74 La politica delle arti, in S. Bignami, P. Rusconi, Le arti e il fascismo: Italia anni trenta, Art e Dossier, n. 291 (2012),

Firenze, Giunti Editore, p. 13.

75 Ivi, p. 14. 76 Ibidem. 77 Ivi, p. 15. 78

A. Del Guercio, La pittura del novecento, Collana Storia dell’Arte Italiana, Torino, Utet, 1980, p. 45.

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Gli anni, che vedono la maturazione politica del regime fino allo scoppio della seconda guerra mondiale (1930-45), sono stati soprannominati “anni perduti”, questa mostra ha cercato di eliminare l’accezione dispregiativa attribuita a quel periodo, che fu invece un momento ricco di spunti, contraddizioni e realizzazioni importanti nel settore artistico80. Gli artisti che hanno partecipato alla mostra sono stati selezionati con criteri di merito, per essersi contraddistinti per una certa originalità di percorso artistico, e per aver vissuto in maniera totalizzante il periodo. Sono stati invece esclusi i creativi che avevano già raggiunto la fama nel decennio precedente. Gli artisti che calcarono il palcoscenico in quegli anni avvertirono la necessità e maturarono la consapevolezza di prendere parte a un movimento rinnovatore delle arti, nonostante non vi fosse alla base tra di loro un comune raggruppamento ideologico81. In quel momento di grande fermento artistico, le idee sull’arte erano le più differenti, ma il principio unificatore fu la lotta per la libertà, che divenne il volano del processo di rinnovamento artistico al quale i creativi vi presero parte nella misura in cui ne colsero la forza e l’impulso82.

Le ricerche artistiche dell’epoca spaziavano dallo studio e confutazione della più recente realtà culturale e figurativa italiana allo studio delle fonti e problematiche della modernità europea, in quanto, secondo Argan83, la modernità e lo sviluppo dell’arte non sono lineari e non è nemmeno puntuale84. In ambito nazionale, ma non solo, la fase artistica tra le due guerre appare caratterizzata da segni programmatici meno decisi e perentori rispetto al periodo precedente delle avanguardie storiche85. Questo non significa che la ricerca artistica sia stata meno brillante e convincente solo per la difficoltà a rinchiuderla in una sfera unitaria teorico-programmatica pari a quella delle avanguardie, ma si tratta di comprendere un’apparenza frammentaria e discontinua, reciprocamente contaminata, delle diverse proposte artistiche del periodo. Dalla metà degli anni

80

E. Riccomini (a cura di), Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945, cit., p. 13.

81

Ivi, pp. 15-16.

82

Ivi, p. 17.

83 Giulio Carlo Argan (1909-1992), storico e critico d’arte italiano, dirige la Galleria estense di Modena dal 1933 al 1936

e diventa poi ispettore centrale alla direzione generale delle Antichità e delle Belle Arti dal 1939 al 1955 a Roma. Studioso di fama internazionale, è anche professore universitario dal 1956. È redattore del Dizionario Enciclopedico Italiano, fonda e dirige inoltre la rivista Storia dell’arte. Il suo pensiero razionale attraversa l’arte a trecentosessanta gradi da quella antica a quella contemporanea. Negli anni sessanta il suo pensiero critico è determinante nel dibattito sullo sviluppo delle correnti più moderne: pop art, arte informale, arte povera, arte gestaltica, inoltre, elabora la famosa tesi della morte dell’arte. Vasto fu il campo dei suoi interessi, da problemi generali di metodologia, a singoli periodi o artisti: Walter Gropius e la Bauhaus (1951), Borromini (1951), Architettura barocca in Italia (1957). Pubblicò tra i tanti libri: Intervista sulla fabbrica dell’arte (1980), Occasioni di critica (1981), Storia dell’arte come storia della

città (1983), Arte e critica d’arte (1984), Classico e anticlassico (1984). L’enciclopedia tematica, Milano, L’Espresso, vol.

I, 2005, “Argan Giulio Carlo”, pp. 126-127.

84

E. Riccomini (a cura di), Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945, cit., p. 24.

85

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’20 e soprattutto nei ’30, le ricerche artistiche si allontanano dalle idee di restaurazione e le nuove proposte si articolano in un ventaglio di soluzioni e idee fortemente contrassegnate da una rivendicazione del carattere personale e individuale dei singoli artisti. Le tendenze artistiche, se si vogliono suddividere, si muovono essenzialmente su due fronti: da una parte chi vuole rifarsi rispetto alle avanguardie storiche e utilizzare quegli apporti artistici in un libero e contaminato impiego di nuove strutture del linguaggio artistico, quindi per creare una specie di comunicazione moderna di contenuti e valori passati; dall’altra parte alcuni artisti si agganciano a valori locali tradizionali orientandosi verso una rappresentazione critica delle proprie realtà ambientali (come la pittura americana degli anni ’20,’30 e ’40, Hopper, Shann e altri)86. Questi due orizzonti non sono separati da un limite invalicabile, in Italia la situazione sembra essere più frammentaria rispetto ad altre nazioni come Francia e Usa, perché le basi storiche di una tradizione moderna sono ancora fragili e non si è ancora dimenticata la tradizione pittorica ottocentesca87.

Il supporto a questo tipo di arte rivoluzionaria giunse, in quegli anni, dalla borghesia liberista che nel 1929 fu in grado di acquistare, nonostante le restrizioni del regime, opere artistiche di matrice non fascista e nel 1943 si strutturò in monopoli acquisendo così un’ingente quantità di opere pittoriche88. Durante quel periodo alcuni artisti di quella generazione raggiunsero la fama, vinsero premi e rientrarono a pieno titolo nel mercato degli acquisti ufficiali.

Lo spirito di rinnovamento delle arti si tradusse, da parte degli artisti, nella disperata ricerca di rendere autonoma l’arte italiana, di creare uno sviluppo artistico nazionale aperto anche ad altre esperienze straniere ma non meramente condizionato o succube di esse89. La fine del Novecento, secondo Persico90, è iniziata quando gli artisti hanno spostato la battaglia dal piano mistico a quello politico, in altre parole da un piano ideale a uno pratico91. Negli anni ’30 la nuova

86

Ibidem.

87 Ivi, p. 66. 88

E. Riccomini (a cura di), Rinnovamento dell’arte in Italia: 1930-1945, cit., p. 25.

89

Ivi, p. 20.

90 Edoardo Persico (1900-1936), insegnante, giornalista e critico d’arte italiano. Personalità importante nelle vicende

storico artistiche italiane, prende parte al gruppo dei Sei di Torino, movimento che riveste una parte fondamentale nell’opposizione al Novecento nazionalista e accademico. Fonda una propria casa editrice, e assieme e Pagani dirige la rivista Casabella, esercitando una forte influenza sulla cultura architettonica, diffondendo l’interesse per il Bauhaus e per le opere di alcuni fra i più significativi architetti contemporanei, come Gropius e Wright. È direttore della Galleria di Brera (attuale Galleria del Milione) a Milano, sostenendo giovani artisti come Birolli, Manzù e Sassu. Persico è ricordato per certi scritti che hanno indagato il mondo dell’arte come La città degli uomini d’oggi, Arte romana: la

scultura romana e quattro affreschi della villa dei misteri, Profezia dell’architettura, Punto e a capo con l’architettura, Profezia dell’architettura ed altri. Maximus – Dizionario Enciclopedico, cit., “Persico Edoardo”, p. 1860.

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