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Donne di poca fede? Uno sguardo diacronico sulla secolarizzazione femminile in Italia

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Donne di poca fede?

Uno sguardo diacronico sulla secolarizzazione femminile in Italia

Stefania Palmisano e Lorenzo Todesco (Università di Torino)

stefania.palmisano@unito.it lorenzo.todesco@unito.it

Women of little faith? A diachronic view of Italian female Secularisation (Abstract)

The gender aspect has been largely ignored in analyses of secularisation processes, although the latter subject has been widely debated by sociologists of religion. Italy is no exception: whereas the little research done into the topic from a diachronic perspective has generally focussed on the population as a whole, the studies analysing men’s and women’s religiosity separately have been characterized by a synchronic approach. This is why we know little or nothing about the secularisation process among women in Italy. This article aims at filling in the gap by presenting an initial analysis of female religious change over three decades from the various dimensions constituting the concept of religiosity. The 4 waves of European Values Study supply the fundamental data used. The analyses show that in the period under investigation female secularisation did not increase, which finding is here interpreted in the light of specific theoretical perspectives on female secularisation applied to the Italian context.

L’approccio di genere è per lo più ignorato nell’analisi dei processi di secolarizzazione, che pure è un argomento ampiamente battuto dalla sociologia delle religioni. Il nostro paese non costituisce un’eccezione: gli studi che hanno analizzato separatamente la religiosità di uomini e donne sono caratterizzati da un approccio sincronico, mentre le poche ricerche che hanno studiato l’argomento da un punto di vista diacronico si sono generalmente focalizzate sulla popolazione nel suo complesso. Per questa ragione, poco o nulla si sa sull’andamento del processo di secolarizzazione tra le donne in Italia. Questo lavoro mira a colmare tale lacuna, proponendo una prima analisi dei cambiamenti femminili nell’arco di un trentennio nelle diverse dimensioni in cui il concetto di religiosità si articola. Le basi dati utilizzate sono le 4 edizioni dello European Values Study. Le analisi rivelano che tra le donne la secolarizzazione non è aumentata nel periodo considerato; questo risultato viene interpretato alla luce di alcune prospettive teoriche sulla secolarizzazione femminile applicate al contesto italiano.

1. Introduzione

Nell’analisi del rapporto fra religione e modernità la questione del cambiamento religioso si è imposta al centro della riflessione sociologica, diventando uno dei temi più vivacemente discussi: secolarizzazione vs desecolarizzazione, calo della pratica e indebolimento delle credenze vs ripresa della pratica e reincantamento del mondo, crisi delle vocazioni vs potenza del carisma sono i termini con cui è spesso descritto il dibattito sulla persistenza della religione nella società contemporanea.

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Anche in Italia, a seconda del periodo considerato, della sensibilità teorica ed epistemologica nonché delle dimensioni della religiosità prese in esame, sono state proposte letture diverse del cambiamento religioso, senza giungere a conclusioni unanimemente condivise. In questa sede non intendiamo ripercorrere i contributi su secolarizzazione e desecolarizzazione che hanno alimentato il dibattito sulla religiosità degli italiani. Ci preme invece far notare come la ricerca finora disponibile sia contraddistinta da costrutti teorici e approcci di analisi “ciechi al genere”. È stato sì messo in luce che le donne sono più religiose degli uomini, ma i paradigmi chiave impiegati dai sociologi per spiegare il cambiamento religioso sono rimasti fino a un recentissimo passato estranei a un approccio di genere. È stato così per la teoria della secolarizzazione che, sebbene negli intenti sia stata impiegata per fare luce sulla disaffiliazione dalla religione di uomini e donne, è di fatto costruita per spiegare soltanto quella maschile.

Coerentemente con l’argomento trattato in questo numero monografico della rivista – dedicato a donne, religioni e relazioni di genere – si intende qui proporre una prima analisi dei mutamenti nella religiosità femminile avvenuti nel nostro paese nell’arco di un trentennio. Ci focalizziamo sull’universo femminile perché intendiamo contribuire a colmare una sorprendente lacuna del dibattito sociologico: l’assenza di dati empirici sull’evoluzione recente della vita religiosa delle italiane – un vuoto ancora più significativo se confrontato con l’abbondanza degli studi sulla religiosità della popolazione italiana nel complesso. Tali mutamenti, osservati con un approccio di genere, saranno interpretati nella cornice del processo di secolarizzazione. Si tratta di un argomento di indubbio rilievo, dal momento che in tutti i paesi cristiani – e il nostro non fa eccezione – le donne hanno sempre costituito lo zoccolo duro dei fedeli e, per alcuni osservatori, esse starebbero abbandonando le chiese a un tasso più elevato degli uomini1; tuttavia, come si vedrà, la ricerca a riguardo in Italia è estremamente limitata.

L’articolo è strutturato come segue. Una rassegna delle principali teorie sulla secolarizzazione femminile verrà presentata nel prossimo paragrafo. Nel terzo paragrafo si illustra la ricerca empirica effettuata in Italia sul tema e se ne evidenziano i limiti. I paragrafi successivi sono dedicati a esporre le motivazioni dello studio e gli aspetti metodologici. I risultati sono illustrati nel sesto paragrafo, cui segue la discussione degli stessi alla luce del dibattito più ampio sulla religiosità degli italiani. Infine, trovano spazio alcune brevi considerazioni conclusive.

2. La secolarizzazione femminile: prospettive teoriche a confronto

Le teorie finora utilizzate per analizzare la secolarizzazione nei paesi occidentali – come quella, appunto, della secolarizzazione (Wilson 1976), o quella dell’economia religiosa (Stark e Bainbridge 1985; Stark e Iannacone 1994) – non hanno mai preso in considerazione l’ipotesi della presenza di differenze di genere in questo processo, assumendo implicitamente che i meccanismi che lo caratterizzano siano gli stessi per uomini e donne. Solo in tempi molto recenti è stato messo in luce come la secolarizzazione femminile abbia uno statuto epistemico differente da quella maschile, e dunque sia necessario elaborare prospettive teoriche nuove che mettano a tema le specificità delle donne. Secondo Woodhead (2008), una delle prime studiose a rivendicare una lettura femminista dei paradigmi chiave nella sociologia della religione, molte teorie che si propongono di spiegare la secolarizzazione presuppongono una storia al maschile. L’idea dell’autrice è che le diverse declinazioni della teoria della secolarizzazione individuino ora in uno, ora in un altro aspetto del processo di modernizzazione (razionalizzazione, burocratizzazione, urbanizzazione, individualizzazione) le cause del declino religioso, ma, a prescindere da quella privilegiata, esse restituiscono un racconto comune: quello di un lavoratore che lascia il villaggio per la città dove, per effetto della “gabbia di ferro della burocrazia”, la comunità è soppiantata dalla società, il significato della vita diventa meno importante dell’efficienza e la legge della competizione

1 Pew Research Center, March 22, 2016, The Gender gap in Religion Around the World, http:// www.pewforum.org/files/2016/03/Religion-and-Gender-Full-Report.pdf

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rimpiazza quella della co-operazione. In questo passaggio il mondo si fa disincantato, la religione smarrisce le sue tradizionali funzioni, l’etica del lavoro e del sacrificio perde la sua rilevanza, e il lavoratore cessa di essere religioso.

Le critiche femministe (Marler 2008; Neitz 2014) concordano sul fatto che la teoria della secolarizzazione si applichi soltanto al lavoratore – uomo – che abbandona la “sacra volta” (Berger 1967). Per la donna l’industrializzazione assume un altro volto: l’esclusione dalla sfera pubblica e il confinamento in casa. Lei rimane un’abitante del villaggio, sebbene in città, traghettatrice di antiche tradizioni (anche religiose) e soccorritrice dell’uomo nella transizione alla modernità (Hochschild 2003). Per gli uomini la casa diventa non soltanto il luogo della cura ma anche quello della continuità, un regno incantato preservato dalla donna e volto a compensare e ingentilire le aspettative e i rigori della burocrazia. In tal modo, la religione non è esclusa dal mondo moderno, ma solo riallocata: sotto il controllo ultimo del Dio padre e di professionisti religiosi maschi, essa diventa il lavoro delle donne, associato alla cura della sfera domestica.

La maggiore religiosità delle donne rispetto agli uomini è un dato noto nell’ambito della sociologia delle religioni, che ha innescato numerosi tentativi di spiegazione (tra cui Voas et al. 2013; Schnabel 2015). Scarsa è, invece, la riflessione teorica che si propone di spiegare le ragioni della disaffiliazione femminile: perché a un certo punto le donne abbandonano le chiese? A questa domanda hanno cercato di dare risposta 3 prospettive teoriche – primi contributi sul tema – che, sebbene si richiamino le une alle altre, mettono in evidenza cause diverse di secolarizzazione femminile2.

La teoria più condivisa vede la causa principale della secolarizzazione femminile nell’entrata delle donne nel mercato del lavoro. Secondo Swatos 1994, xi), questo cambiamento è stato più decisivo per il declino delle chiese nella società americana di qualsiasi eventuale “crisi di credenza”. Di questa idea è anche Marler (2008), che compara la frequenza ai riti di donne che occupano posizioni diverse nel mercato del lavoro in Gran Bretagna e Stati Uniti3. Secondo questa studiosa, in linea con alcune ricerche classiche dedicate al rapporto tra uso del tempo e frequenza ai riti (tra le altre, Azzi e Ehrenberg 1975), il fattore che spiega la minore pratica delle donne lavoratrici rispetto alle altre è la mancanza di tempo4. Di altro avviso sono certi autori (De Vaus e McAllister 1987; Woodhead 2008) che, sebbene concordino sul lavoro come causa principale di disaffiliazione femminile, sollevano dubbi sul fatto che sia soltanto il poco tempo a indurre le donne a sacrificare la partecipazione religiosa. Secondo loro ciò sarebbe il risultato di una decisione consapevole, maturata in un clima in cui “il lavoro, per le donne, rimpiazza la religione come fonte di stima” (De Vaus e McAllister 1987, 480) e “la vita delle donne lavoratrici si fa sempre più simile a quella degli uomini” (Woodhead 2008, 147). Questi contributi suggeriscono che le donne al lavoro sono investite dalle stesse forze disincantanti e razionalizzanti che avevano già colpito gli uomini nell’era dell’industrializzazione.

La seconda teoria in esame – introdotta e sviluppata dallo storico inglese Callum Brown (2001; 2007), ampiamente citata e al tempo stesso criticata nella comunità dei sociologi, – imputa l’uscita delle donne dalle chiese alla rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Secondo Brown (2007), tanto la conquista della libertà sessuale quanto del diritto di decidere di sé stesse e del proprio corpo hanno spinto le donne ad abbandonare i modelli di femminilità tradizionalmente associati all’idea cristiana di pietas, le cui radici si rintracciano nel puritanesimo post-vittoriano. Quei modelli,

2 Per ragioni di economia espositiva tralasciamo le critiche che queste teorie hanno sollecitato nella discussione sociologica.

3 Il trend che ella descrive vede le donne che lavorano a tempo pieno all’ultimo posto nella partecipazione al culto, dopo le pensionate, le casalinghe e le lavoratrici part-time.

4Questo filone di ricerca fa riferimento in maniera generica alla mancanza di tempo, senza precisare le ragioni che la producono. Secondo Woodhead (2008), asserire che la teoria della secolarizzazione si applichi alle donne lavoratrici come agli uomini è un grave errore perché, così facendo, si trascura il fatto che, anche una volta entrate nel mercato del lavoro, le donne continuano a farsi carico delle attività domestiche e di cura. Questa “doppia presenza” (Balbo, 1978) – di cui gli uomini non hanno esperienza – ha implicazioni non trascurabili sulla sfera religiosa delle donne (per approfondimenti, si rimanda a Woodhead 2008).

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subordinati all’autorità maschile, validavano la figura della donna “pia”: casta, modesta, obbediente, sottomessa al proprio uomo e votata a mitigarne i suoi peggiori eccessi per il bene della famiglia. L’uscita delle donne dalle chiese e, più in generale, il nuovo ordine morale portato dal mutamento dei costumi sessuali e dal femminismo si rifletterebbero, per Brown, nelle statistiche sulla popolazione: l’aumento delle nascite fuori dal matrimonio, la diminuzione dei battesimi e delle nozze religiose.

La terza prospettiva teorica prende anch’essa le mosse dalla rivoluzione culturale degli anni Sessanta, ma – più che focalizzarsi sulla conquista della libertà sessuale – individua quale causa di secolarizzazione femminile l’ascesa in molte congregazioni religiose di un’agenda femminista votata all’equità di genere (Woodhead 2007). Con il suo paternalismo sacro e la sua enfasi sulle virtù del gentil sesso, il cristianesimo è stato accusato, fin dalla prima ondata femminista, di essere “irrimediabilmente patriarcale” (Stanton, 1898). È tuttavia la seconda ondata femminista che fa di questa critica il motore delle rivendicazioni della soggettività femminile contro un cristianesimo che avvalla l’egemonia maschile (Woodhead 2007,). Animate da questa nuova consapevolezza, molte donne abbandonano la religione denunciando il loro risentimento per la condizione di marginalità cui sono condannate nelle chiese, arruolate nell’evangelizzazione dei bambini o nelle pulizie dei locali, ma tenute fuori dai ruoli apicali (Eccles 2012)5.

3. La ricerca empirica in Italia

L’eco del dibattito teorico sulla secolarizzazione femminile rimane, tuttavia, molto lontano dal nostro paese. In Italia gli studi sulla religiosità che analizzano separatamente uomini e donne (Cesareo et al. 1995; Garelli, Guizzardi e Pace 2003; Segatti, Brunelli 2010; Cartocci 2011; Garelli 2011; Crespi e Ruspini 2014; Garelli 2016) – e quindi permettono di fare luce sulle specificità di queste ultime – adottano generalmente una prospettiva sincronica: a parte sporadiche eccezioni per qualche singola analisi, questi studi si focalizzano quindi su un solo punto nel tempo. Questo approccio, tuttavia, non permette di tematizzare adeguatamente l’analisi del mutamento, elemento di primo piano del processo di secolarizzazione, così come della realtà sociale più generalmente intesa. Tale processo, infatti, fa proprio riferimento alla progressiva perdita di controllo da parte dell’autorità religiosa su un numero di ambiti della società che va a crescere nel corso del tempo. Più precisamente, in questa sede intendiamo per secolarizzazione quella che la sociologia riconosce come la definizione classica: “il processo per il quale il pensiero, la pratica e le istituzioni religiose perdono significato sociale” (Wilson, 1976). Come sottolineato da Sciolla (1988), la secolarizzazione implica un riferimento al tempo e di conseguenza la necessità di utilizzare serie storiche di dati.

Un altro filone di ricerca ha invece analizzato il processo di secolarizzazione attraverso una prospettiva diacronica, confrontando più analisi cross-section ripetute a partire da basi dati caratterizzate da un grado più o meno elevato di comparabilità. Da questi studi emerge, come mostrano Vezzoni e Biolcati-Rinaldi (2015), un sostanziale accordo sull’andamento della secolarizzazione dal dopoguerra fino agli anni Ottanta nella popolazione italiana: ad un aumento di questo fenomeno, iniziato a metà degli anni Sessanta e giunto fino agli anni Settanta (Acquaviva e Stella, 1989), fa seguito negli anni Ottanta una fase di stabilità (Ricolfi 1988; Sciolla 1988; Garelli 1991; Cartocci 2011). Letture divergenti si annoverano invece per l’analisi del periodo successivo, dagli anni Novanta ad oggi. Alle tesi dell’“effetto cattolico” (Diotallevi 2002) e del “revival

5 Proprio la conquista del potere sacro – l’accesso ai ministeri ordinati – induce altre donne a ingaggiare ardue battaglie affinché il sacerdozio venga esteso all’universo femminile. Sebbene sia questo un tema che, di recente, ha richiamato l’attenzione degli studiosi (Page, 2014), vale la pena richiamare un contributo seminale in materia: quello di Mark Chaves (1998) sulle strategie di ordinazione di ministri donne in più di cento denominazioni cristiane in America, nonché sui conflitti che tale innovazione ha prodotto all’interno delle congregazioni. L’idea dell’autore è che le politiche definite da ogni denominazione per l’ordinazione delle donne siano da interpretarsi come repertori simbolici a favore o contro le richieste di equità di genere avanzate dalle diverse chiese e dai loro gruppi femministi.

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religioso” (Introvigne e Stark 2005, Barone 2006) è stata contrapposta quella del declino, sostenuta da alcuni studi (Marchisio e Pisati 1999; Pisati 2000; Vezzoni e Biolcati-Rinaldi 2015) che segnalano una tendenza negativa di lungo periodo più che una semplice flessione momentanea. Tale tendenza è ulteriormente confermata da studi più recenti (Castegnaro 2011; Garelli 2016; Diotallevi 2017).

Questo filone di ricerca – seppure più adatto dell’approccio sincronico allo studio del processo di secolarizzazione – è però caratterizzato da 2 limiti. In primo luogo, la dimensione di genere rimane sostanzialmente trascurata, e di conseguenza non si effettuano analisi separate per uomini e donne. Nulla si sa, dunque, dei termini in cui la secolarizzazione avviene – se avviene – tra queste ultime. In secondo luogo, i mutamenti nella religiosità vengono analizzati utilizzando un’unica variabile, la frequenza alla messa. Si tratta di una scelta discutibile, i cui limiti sono riconosciuti dagli stessi autori delle ricerche (si vedano, ad esempio, Vezzoni e Biolcati-Rinaldi 2015): già da molto tempo, infatti, numerosi studi hanno messo in luce come la religiosità sia un concetto multidimensionale (Glock 1964; Dejong et al., 1976). L’unico lavoro che costituisce una parziale eccezione a questi limiti è quello, ormai piuttosto datato, di Marchisio e Pisati (1999). Questi autori presentano alcuni dati separati per uomini e donne relativi alla frequenza alla messa in vari punti del tempo, utilizzando basi dati diverse più o meno comparabili. I risultati evidenziano come la frequenza delle donne sia diminuita in modo sostanziale tra la metà degli anni Cinquanta fino all’inizio degli anni Settanta; tra questo periodo e la fine degli anni Novanta il dato è fluttuante, facendo registrare nel complesso un ulteriore calo nella partecipazione femminile alla messa, seppure notevolmente più contenuto rispetto a quello emerso nel periodo precedente.

4. Motivazione dello studio

Scopo di questo studio è proporre una prima analisi dei mutamenti nella religiosità delle donne avvenuti nel nostro paese nell’arco di un trentennio, interpretandoli nella cornice del processo di secolarizzazione femminile. Questo lavoro presenta 3 principali aspetti innovativi rispetto alla ricerca esistente. In primo luogo, trova qui spazio il dibattito teorico sulla secolarizzazione femminile, un argomento mai messo a tema nei precedenti studi. Inoltre, le analisi proposte permettono di fare luce per la prima volta in modo sistematico sui mutamenti avvenuti nel corso del tempo nella religiosità delle donne. Infine, a differenza degli altri studi a carattere diacronico, viene qui adottato un concetto di religiosità multidimensionale, operativizzato attraverso più variabili. Considerando le caratteristiche del mercato del lavoro e del contesto culturale e religioso italiano, appare ragionevole attendersi che i mutamenti nella religiosità delle donne stiano avvenendo lentamente e con un andamento incerto. La secolarizzazione femminile, come detto, può essere dovuta ad almeno 3 fattori: l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, la conquista della libertà sessuale e del diritto di decidere di sé stesse e del proprio corpo e la definizione di un’agenda femminista votata all’equità di genere anche in campo religioso. In tutti questi ambiti, il nostro paese non appare certo all’avanguardia, anzi. Per quanto riguarda la posizione delle donne nel mercato del lavoro, l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Unione Europea. Nel 2016, il tasso di occupazione femminile del nostro paese è stato del 51,6%: solo la Grecia ha fatto peggio (Eurostat 2017).

Relativamente alla conquista della libertà sessuale, molte cose sono cambiate negli ultimi decenni; nonostante ciò, rispetto ai costumi sessuali delle donne l’Italia si conferma un paese ancora relativamente conservatore. A riguardo, alcune studiose (Bertone et al. 2011; Leccardi 2009) fanno notare che, sebbene vi sia stato un profondo mutamento culturale con il passaggio dall’ideale del “conservarsi” per il matrimonio a quello della sperimentazione, la persistenza di rappresentazioni differenziate della sessualità maschile e femminile continua a comportare, seppure in forme nuove, una valutazione differenziata del comportamento dei due sessi. Ciò si traduce, anche per le donne

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dei nostri giorni, in una difficoltà a individuare e a gestire i confini dell’accettabilità sociale delle loro scelte e, di conseguenza, in un tendenziale contenimento dei propri desideri e comportamenti sessuali.

Rispetto alla questione dell’emancipazione della donna e della parità di genere all’interno della Chiesa Cattolica, va osservato che in Italia le fedeli non si sono mobilitate su tali fronti, sebbene proprio nel mondo cattolico sia nato il più grande movimento di suore per la difesa dei diritti delle donne in campo religioso e non solo (la Conferenza delle Superiori Religiose degli Stati Uniti d’America). Va in questa direzione l’analisi di Berzano (2000), quando scrive che le donne, nella Chiesa Cattolica italiana, costituiscono ancora, per vari aspetti, una maggioranza silenziosa. Secondo l’autore, nonostante la riflessione di donne teologhe che hanno approfondito le questioni relative alla presenza femminile nella Chiesa (compresa quella dell’accesso agli ordini sacri) e nonostante una significativa letteratura6 che ha evidenziato la sottile sottomissione delle donne in tutti i settori ecclesiali, non si è formato un movimento visibile e propositivo capace di imporre la discussione su tale violenza simbolica, paradossale proprio perché invisibile alle sue stesse vittime. Il fatto che questa rivendicazione non assuma la modalità della voice è ulteriormente confermata da Donadi (2014), quando osserva che, in generale, le donne italiane disattendono silenziosamente le aspettative della Chiesa.

5. I dati, le dimensioni della religiosità e le variabili utilizzate

Lo studio del mutamento di un fenomeno sociale e delle sue dinamiche richiede dati che soddisfino almeno due condizioni: da una parte, il periodo coperto deve essere sufficientemente lungo, dall’altra le diverse basi dati devono presentare un elevato livello di comparabilità (Pisati 2000). La documentazione empirica più adatta a questo tipo di analisi è quella ricavata tramite indagini

cross-section ripetute, ossia la stessa indagine riproposta nel corso del tempo alla medesima popolazione

utilizzando campioni diversi. Questo tipo di indagine fornisce un quadro aggiornato della popolazione ad ogni nuova campagna di raccolta dei dati, permettendo così un’analisi a livello aggregato delle trasformazioni nel corso del tempo (Duncan e Kalton 1987). Alla luce di tali considerazioni, per analizzare i mutamenti e le persistenze nella religiosità delle donne italiane si è deciso di utilizzare le basi dati dell’European Values Study (EVS), un’indagine cross-section ripetuta effettuata nei diversi paesi europei. Entrando maggiormente nei dettagli, si è qui utilizzato l’EVS Longitudinal Data File, che raccoglie i dati e la documentazione relativi ai 48 paesi europei che hanno partecipato alle 4 rilevazioni dell’EVS finora disponibili. Nel nostro paese, tali rilevazioni sono state effettuate nel 1981, nel 1990, nel 1999 e nel 2009. Dunque, i dati coprono un lasso di tempo di quasi 30 anni, più che sufficiente per un’analisi di lungo periodo del fenomeno di nostro interesse. Utilizzando anche altri dati – ad esempio, quelli raccolti nell’ambito delle indagini dell’Eurobarometro – si sarebbe potuto ampliare il periodo di analisi, ma molto si sarebbe perso rispetto alla comparabilità dei dati e soprattutto alla disponibilità di variabili che permettono di operativizzare le diverse dimensioni della religiosità. Al contrario, i dati relativi all’Italia dell’EVS

Longitudinal Data File presentano un elevato grado di comparabilità: l’universo di riferimento è lo

stesso (la popolazione maggiorenne), così come la tecnica di rilevazione (intervista faccia a faccia con questionario standardizzato). Inoltre, le variabili qui utilizzate sono esattamente le stesse nelle diverse edizioni dell’indagine, a parte un unico caso cui si farà riferimento poco sotto. Un altro pregio dell’EVS è quello di indagare in modo approfondito la religiosità degli intervistati: ad essa è dedicata un’intera sezione del questionario. Questa ricchezza informativa permette di analizzare la religiosità come concetto multidimensionale, operativizzando le diverse dimensioni tramite più

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variabili. Un limite dei dati della EVS – peraltro comune a diverse basi dati comparate – è la contenuta numerosità campionaria: 1.348 casi, di cui 683 donne, nell’edizione del 1981, 2.018 casi, di cui 1.053 donne, in quella del 1990, 2.000 casi, di cui 1.041 donne, in quella del 1999 e 1.519 casi, di cui 788 donne, in quella del 2009. Sui problemi che ciò implica, si tornerà poco sotto. Un problema ben noto e discusso (Pisati 2000; Barone 2006; Castegnaro e Dalla Zuanna 2006; Rossi e Scappini 2010; Vezzoni e Biolcati-Rinaldi 2015), di cui tenere conto nell’analisi dei mutamenti nella religiosità, è quello della sovrastima della partecipazione alla messa. Gli italiani tendono a dichiarare una partecipazione regolare più alta di quella effettivamente rilevata (si vedano a questo proposito Castegnaro e Dalla Zuanna 2006), con tutta probabilità per un problema di desiderabilità sociale. Un’ulteriore ragione di questa discrepanza potrebbe essere che la domanda relativa alla partecipazione alla messa venga intesa come rilevazione del livello generale di adesione alla Chiesa e alla propria religione, più che come rilevazione puntuale di un comportamento (Castegnaro e Dalla Zuanna 2006). La sovrastima sembra essere particolarmente accentuata nelle indagini Multiscopo prodotte dall’Istat nel corso degli anni Novanta (Pisati 2000), ma la sua entità è ben lontana dall’essere chiara: come ricordato da Barone (2006), le valutazioni a riguardo sono molto discordanti, passando da un fattore pari a 2 a un modesto fattore 1,1.

In quale misura il problema di sovrastima riguarda le analisi presentate in questo studio? In primo luogo, va ribadito che qui la religiosità non è operativizzata solo attraverso la partecipazione alla messa, a differenza di quanto fatto in quasi tutte le ricerche diacroniche disponibili. La sovrastima che colpisce il dato relativo a tale partecipazione può avere lo stesso effetto sulle altre variabili che concorrono a definire il concetto di religiosità? Probabilmente in una certa misura sì, anche se Castegnaro e Dalla Zuanna (2006) sostengono che il problema potrebbe essere accentuato proprio rispetto alla partecipazione alla messa, precetto che la grande maggioranza degli italiani ha ben chiaro fin dall’infanzia e che per la Chiesa Cattolica ha grande rilievo. Va inoltre considerato che questo lavoro si focalizza sulle donne, che, come noto, evidenziano livelli di religiosità superiori a quelli degli uomini. È già stato ampiamente messo in luce (de Vaus e McAllister, 1987; Trzebiatowska e Bruce, 2012) come siano proprio le donne le custodi della tradizione religiosa e, dunque, le responsabili della sua trasmissione intergenerazionale. Perciò, è lecito aspettarsi che il problema della sovrastima della religiosità sia particolarmente presente tra le donne, poiché è proprio per loro che risulta più socialmente desiderabile conformarsi alle attese nell’ambito dei comportamenti religiosi.

La sovrastima della religiosità non costituirebbe un problema particolarmente grave in uno studio – come questo – focalizzato sui mutamenti temporali, a patto che rimanga costante nel periodo considerato. Un assunto, tuttavia, forte e non facilmente sostenibile. Secondo Barone (2006), è lecito attendersi che la sovrastima della partecipazione religiosa diminuisca nel corso del tempo, dal momento che in una società che si percepisce sempre più secolarizzata il distacco dalla pratica regolare pone meno problemi in termini di desiderabilità sociale. A livello più generale, Vezzoni e Biolcati-Rinaldi (2015) sostengono che la sovrastima della partecipazione religiosa sia legata all’andamento reale di quest’ultima: un declino della frequenza alla messa implica una riduzione della desiderabilità sociale ad essa legata, e quindi porterà a una diminuzione della sovrastima. L’opposto avverrà in caso di aumento della partecipazione religiosa. Dunque, il calo (o la crescita) della partecipazione religiosa – e più generalmente parlando della religiosità – sarà sempre dovuto a due distinte componenti, difficilmente scindibili a livello analitico: una componente principale dovuta al reale calo (o crescita), e una componente secondaria dovuta al calo (o crescita) della sovrastima. Queste considerazioni saranno da tenere a mente nella lettura dei risultati di questo studio.

Come noto, esiste una vasta letteratura che ha analizzato le diverse dimensioni del concetto di religiosità, – a partire dagli studi pioneristici di Glock (1964), ripresi successivamente da altri autori (tra cui Sciolla 1988, Ricolfi 1988). Sulla scia di ulteriori proposte (Segatti e Brunelli, 2010), si è qui deciso di fare riferimento alle seguenti dimensioni, che mirano a conciliare le riflessioni teoriche con le variabili dedicate alla religiosità disponibili nelle 4 edizioni dell’EVS:

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1) La dimensione spirituale, relativa ai contenuti della fede dell’intervistato rispetto alla credenza in Dio e alle credenze ultime. Le variabili utilizzate sono: credenza in Dio; credenza nella vita dopo la morte; credenza nell’inferno; credenza nel paradiso.

2) La dimensione identitaria/culturale, relativa al ruolo e all’importanza della religione nella costruzione dell’identità degli intervistati. Le variabili utilizzate sono: definizione di sé come appartenente alla religione Cattolica; definizione di sé come persona religiosa; importanza della religione nella vita; importanza del trasmettere ai figli la fede religiosa; importanza della condivisione della fede per il successo del matrimonio.

3) La dimensione comportamentale, relativa ai comportamenti che derivano dall’adesione ai precetti della religione Cattolica. Le variabili utilizzate sono: frequenza di partecipazione alla messa domenicale; frequenza della preghiera al di fuori della partecipazione ai riti7; appartenenza a organizzazioni religiose.

4) La dimensione istituzionale, relativa al rapporto degli intervistati con la Chiesa Cattolica in quanto istituzione e all’adesione ai precetti della Chiesa su determinati comportamenti. Le variabili utilizzate sono: fiducia riposta nella Chiesa; valutazione sulla capacità della Chiesa di dare risposte adeguate rispetto ai problemi morali, ai bisogni spirituali, ai problemi della vita familiare e a quelli sociali; un indice di adesione ai precetti della Chiesa su aborto, divorzio, eutanasia, suicidio e adulterio8.

Le analisi proposte nel prossimo paragrafo sono di carattere eminentemente descrittivo, come spesso avviene quando si prende in considerazione un fenomeno sociale – in questo caso, l’andamento temporale della secolarizzazione nella popolazione femminile – su cui si sa ancora molto poco. Le analisi fanno riferimento ai campioni di donne italiane della EVS nel loro complesso: date le numerose variabili di religiosità considerate, sarebbe improbo, per ragioni di spazio, proporre analisi separate per certe caratteristiche socio-demografiche che pure sarebbero di interesse, come ad esempio l’età e l’istruzione. La contenuta numerosità campionaria della EVS non permetterebbe, in ogni caso, analisi particolarmente sofisticate. Nella discussione dei risultati di ricerca, si farà comunque un riferimento a differenze nella religiosità di donne appartenenti a coorti di età diverse.

Le analisi sono state effettuate utilizzando i pesi contenuti nelle diverse edizioni della EVS, come suggerito anche dalla documentazione che accompagna i dati. Si tratta di pesi che riportano alcune caratteristiche socio-demografiche del campione, come il sesso e l’età, alla loro distribuzione nella popolazione. Per quanto l’uso dei pesi sia spesso oggetto di discussione, in questo caso appare particolarmente indicato dal momento che nell’edizione dell’EVS del 1981 è stato effettuato un sovracampionamento (200 casi) di giovani 18-24 anni.

6. Risultati

L’analisi dei dati relativi ai mutamenti nel corso del tempo nelle diverse dimensioni della religiosità femminile fa emergere un quadro che non porta sostegno all’ipotesi di una tendenza chiara e univoca alla secolarizzazione delle donne9. Rispetto alla dimensione spirituale della religiosità, i

7 Tra tutte le variabili qui utilizzate, si tratta dell’unico caso in cui il dato non è perfettamente comparabile tra le varie edizioni dell’EVS, poiché le categorie di risposta sono leggermente cambiate. Il problema è stato risolto ricodificando la variabile nella dicotomia “Non pregare mai” vs “Pregare almeno qualche volta”, poiché le differenze nella categorizzazione non riguardano chi non prega mai.

8 Si tratta di un indice (α = 0,81) costituito dalla media delle risposte degli intervistati a una batteria di domande che indagano quanto siano ritenuti giustificabili alcuni comportamenti. Le possibili risposte vanno da 1 (mai giustificato) a 10 (sempre giustificato). Le donne che manifestano un’alta adesione ai precetti della Chiesa sui comportamenti qui considerati, a cui si farà riferimento nel paragrafo 6, si collocano nei punteggi 1-3 dell’indice.

9 Le numerosità campionarie sui cui sono basate le analisi di seguito presentate variano a seconda dell’anno considerato e del numero di casi mancanti della variabile in esame: si va da un minimo di 622 casi dell’indice di adesione ai precetti

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dati evidenziano un incremento nelle credenze ultime (figura 1): aumenta la percentuale di donne che dichiara di credere nella vita dopo la morte (dal 54,7% al 65,6%), nell’inferno (dal 39,0% al 47,9%, con un trend che rimane però invariato nell’ultimo decennio) e nel paradiso (dal 51,1% al 57,3%10, anche questo caso con un dato stabile tra il 1999 e il 2009). Rimane invece stabile nel corso del tempo – ed elevatissima, attorno al 90% – la percentuale di donne che crede in Dio (figura 1), sia pure con leggere fluttuazioni statisticamente significative, ma di scarso rilievo nella sostanza. Era difficile aspettarsi che questo dato – seguendo quelli sulle credenze ultime – potesse ulteriormente aumentare, dal momento che nel 1981 sfiorava la quasi totalità della popolazione femminile; stupisce piuttosto che la percentuale di donne credenti in Dio non sia diminuita, essendo in partenza così elevata e facendo riferimento a un periodo in cui la società viene percepita sempre più secolarizzata.

Figura 1. Percentuale di donne 18+ anni che dichiara di credere in Dio e nelle credenze ultime. Italia, 1981-2009.

* = Differenza statisticamente significativa rispetto all’anno precedente, p-value <0,05. Fonte: European Values Study

Per quanto riguarda la dimensione identitaria/culturale, il dato relativo alla religione di appartenenza è invece in linea con l’ipotesi di un aumento della secolarizzazione femminile. Tra il 1981 e il 2009 la percentuale di donne che si dichiarano cattoliche è passata dal 94,8% all’85,7%; pur rimanendo molto alta, si registra un calo che si avvicina ai 10 punti percentuali11. Va comunque sottolineato che nell’ultimo decennio il trend è rimasto sostanzialmente immutato (era l’85,9% nel 1999). Un altro dato appare però in controtendenza rispetto a questo: la percentuale di donne che si definiscono religiose – non quindi necessariamente cattoliche – è rimasta molto elevata e stabile nel trentennio considerato, attorno al 90% delle intervistate. Anche i dati relativi all’importanza della religione in diversi aspetti della vita non confermano l’ipotesi di un aumento univoco e

della Chiesa nel 1981, a un massimo di 1.053 casi della variabile relativa all’appartenenza a organizzazioni religiose nel 1990.

10 La differenza tra questi due dati è statisticamente significativa.

11 Quando nel testo si fa riferimento all’aumento o alla diminuzione di una determinata percentuale rispetto a un'altra non riportate in figura, la differenza è sempre statisticamente significativa.

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generalizzato della secolarizzazione femminile (figura 2). La percentuale di donne che considera la religione importante è leggermente cresciuta nell’ultimo ventennio (quasi 4 punti percentuali)12, attestandosi anche in questo caso su livelli molto alti, circa l’80% delle intervistate. È invece nettamente aumentata, seppure con un trend piuttosto irregolare, la percentuale di donne che ritengono importante trasmettere ai figli la fede religiosa, passata dal 29,4% del 1981 al 41,5% del 2009: un aumento di oltre 12 punti percentuali. La percentuale di donne che considera importante la condivisione della fede per il successo del matrimonio è rimasta invece sostanzialmente stabile, pur facendo registrare un incremento nell’ultimo decennio: il dato è passato dal 61,4% del 1999 al 66,8% del 2009.

Figura 2. Percentuale di donne 18+ anni che definisce la religione importante in diversi aspetti della vita. Italia, 1981-2009.

* = Differenza statisticamente significativa rispetto all’anno precedente, p-value <0,05. Fonte: European Values Study

Spostando l’attenzione sulla dimensione comportamentale della religiosità, emerge un altro dato che porta sostegno all’ipotesi di un aumento della secolarizzazione femminile; si tratta di quello relativo alla frequenza alla messa, su cui come detto si basa molta della ricerca sulla religiosità in Italia. Nel nostro paese si registra negli ultimi 10 anni un calo delle donne che praticano regolarmente – ossia, che vanno a messa almeno una volta a settimana –, passate dal 49,7% del 1999 al 40,7% del 2009. Tra il 1981 e il 1999 non si riscontrano invece variazioni di particolare rilievo. Il dato relativo alla frequenza alla preghiera al di fuori delle funzioni religiose, tuttavia, non conferma questo trend: la percentuale di chi non prega mai è rimasta sostanzialmente stabile nell’ultimo ventennio13, passando dall’8,5% del 1990 al 9,4% del 2009. Prendendo in considerazione solo l’ultimo decennio (1999 vs 2009), si registra però un leggero aumento di chi non prega mai (3 punti percentuali). Anche un ultimo dato relativo alla dimensione comportamentale non conferma l’ipotesi di una netta

12 La differenza tra il dato del 1990 e quello del 2009 è statisticamente significativa. Il dato relativo al 1981 non è disponibile.

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diminuzione della religiosità delle donne: se si analizza l’andamento della partecipazione alle organizzazioni religiose, emerge che la percentuale di donne che ne fa parte è leggermente aumentata tra il 1981 e il 1999, passando dal 9,2% al 13,1%, per poi stabilizzarsi nel decennio successivo.

Figura 3. Percentuale di donne 18+ anni che ritiene che la Chiesa dia risposte adeguate rispetto a una serie di temi. Italia, 1981-2009.

* = Differenza statisticamente significativa rispetto all’anno precedente, p-value <0,05. Fonte: European Values Study

Infine, anche prendendo in considerazione la dimensione istituzionale della religiosità, emergono dati contraddittori rispetto all’ipotesi di un forte aumento della secolarizzazione femminile. Da una parte, la percentuale di donne che dichiara di riporre molta o abbastanza fiducia nella Chiesa non è diminuita nell’ultimo trentennio, rimanendo attestata attorno al 70%. Dall’altra, è invece nettamente aumentata la percentuale di donne che ritiene che la Chiesa dia risposte adeguate a temi di sua stretta competenza, come i bisogni spirituali e i problemi morali (figura 3). Rispetto ai primi, il dato è passato dal 48,7% del 1981 al 71,7% del 2009, con una crescita di 23 punti percentuali. Per quanto riguarda i secondi, l’aumento è stato di 15 punti percentuali tra il 1981 e il 1999, con il dato che ha fatto registrare una flessione di poco più di 6 punti nell’ultimo decennio. Un andamento diverso si riscontra invece per temi meno riconducibili alla stretta dottrina della Chiesa, come i problemi sociali e quelli della vita familiare (figura 3): in questo caso, la percentuale di donne che ritiene adeguate le risposte della Chiesa non è sostanzialmente cambiata nel corso del tempo. Un ultimo dato rilevante in linea con l’ipotesi di un aumento della secolarizzazione femminile è quello relativo all’adesione delle donne rispetto ai precetti della Chiesa su aborto, divorzio, eutanasia, suicidio e adulterio. La percentuale di intervistate che dichiarano un’alta adesione a questi precetti

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diminuisce tra il 1981 e il 1990, passando dal 72,8% al 61,7%14: un calo di circa 11 punti percentuali. Il dato è poi rimasto stabile nei due decenni successivi.

7. Discussione

I risultati esposti nel paragrafo precedente mostrano tendenze contrastanti nelle trasformazioni della religiosità femminile, per certi aspetti inattese, ma, a ben vedere, non così dissimili da quelle rilevate per la popolazione nel suo complesso. In sintesi, il sentimento religioso delle italiane persiste – come testimonia la tenuta o il (più o meno) lieve incremento di alcuni indicatori (la credenza in Dio e nelle verità ultime, la fiducia nella Chiesa, l’importanza della religione nella vita quotidiana e familiare) – ma i comportamenti qualificanti l’appartenenza confessionale (l’identificazione con il cattolicesimo, la partecipazione alla messa, la conformità alla morale della Chiesa) palesano una certa disaffezione, per quanto non particolarmente consistente. Questo allontanamento è indirettamente confermato dai dati – non esaminati in questa sede – che rivelano una crescente diffusione delle nascite fuori dal matrimonio e delle nozze civili (cfr., ad esempio, Istat, 2016), riflessi di scelte sintomatiche del rapporto tra donne e religione. Dunque, la religiosità delle italiane è investita dai processi di secolarizzazione che interessano il nostro Paese, ma questi – come emerge dal presente studio – si rivelano per lo più deboli. Vanno in questa direzione anche i risultati dell’analisi diacronica di Crespi (2014) che, a partire da un confronto di genere tra generazioni fondato sui dati EVS, elabora la tesi di una secolarizzazione femminile a basso impatto. Date le peculiarità del mercato del lavoro e del contesto culturale e religioso italiano, tale esito è prevedibile perché in linea con gli scenari annunciati dalle teorie sulla secolarizzazione femminile illustrate in capo all’articolo: in Italia i tassi di occupazione femminile sono tra i più bassi d’Europa, il livello di conservatorismo nei costumi sessuali delle donne è piuttosto elevato e la voce equità di genere nella Chiesa non è in cima all’agenda delle donne cattoliche. Secondo le ipotesi teoriche, questi elementi contribuiscono a frenare la diffusione della secolarizzazione tra le donne.

Il quadro che abbiamo tracciato fin qui induce a prospettare uno scenario in parte differente da quello cui allude un allarmistico modo di pensare, diffuso specialmente in contesti ecclesiastici, secondo cui le italiane starebbero fuggendo dalla Chiesa Cattolica minando irrimediabilmente il futuro della religione in Italia. Questa convinzione nasce dal fatto che diversi studi con approccio sincronico (Segatti e Brunelli 2010, Castegnaro 2010; Matteo 2012) hanno messo in luce come le giovani donne evidenzino una minore religiosità, più simile a quella dei loro coetanei maschi che a quella delle loro madri. Questo, in prospettiva, porta a ipotizzare che nei prossimi decenni la secolarizzazione tra le donne potrebbe aumentare in modo consistente. Quello che invece emerge – per la prima volta – da questa ricerca è che, se si considera la popolazione delle donne nell’ultimo trentennio, la secolarizzazione è solo debolmente aumentata. Un ulteriore elemento merita di essere menzionato: una ricognizione delle varie edizioni della EVS – non qui riportata per ragioni di spazio – segnala come già nel 1981 ci fossero significative differenze in termini di religiosità tra le coorti di donne, con le più giovani nettamente meno religiose delle meno giovani. Per molti aspetti, tali differenze sono anche maggiori rispetto a quelle emerse nei dati del 2009. Dunque, la presenza di una coorte giovanile più secolarizzata non porta necessariamente, nei decenni successivi, a una massiccia secolarizzazione nella popolazione nel suo complesso. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che la religiosità delle giovani donne si rafforzi lungo il corso di vita. In questa direzione vanno Bengtson, Putney e Harris (2013) nelle conclusioni della loro ricerca sulla trasmissione intergenerazionale della religione negli Stati Uniti. Questi autori sottolineano che, con l’avanzare degli anni, la religiosità giovanile si fa più simile a quella dei propri genitori grazie al ruolo educativo giocato da questi ultimi, passando da una visione individualizzata di Dio a una visione convenzionale o, anche, dal rifiuto della religione a un’adesione totale. Per le italiane, dunque, tanto la socializzazione religiosa matrilineare quanto la filiazione a catene di generazioni devote

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potrebbero rappresentare alcuni tra i fattori in grado di spiegare la crescita di religiosità in età adulta.

Per comprendere meglio i risultati esposti nel paragrafo precedente, entriamo nei dettagli della discussione delle singole analisi qui proposte. L’esame della dimensione spirituale – in particolare rispetto alle credenze ultime (l’aldilà, il paradiso e l’inferno) – mostra un aumento dell’adesione delle donne italiane a quelle che la Chiesa presenta come verità che provengono da una rivelazione divina e orientano i fedeli a una salvezza ultraterrena. Come noto (Wilson 1985), in tutte le nazioni occidentali il declino delle credenze religiose è più basso del declino della pratica, in quanto credere risulterebbe meno impegnativo del praticare. Perciò, l’incremento della propensione a credere negli insegnamenti della Chiesa circa il destino eterno dell’essere umano rivela che le donne italiane sono oggi, più di prima, interpellate dalle domande sulla ‘vita dopo la morte’ sottese alle verità ultime. Andrebbe approfondito, in ricerche future, se tale incremento nelle credenze possa essere interpretabile come un riflesso sulla dimensione intellettuale (o cognitiva) della fede di quel fenomeno di “reincantamento del mondo” che caratterizza l’esperienza religiosa contemporanea (Partridge 2004) e che, come è stato fatto osservare anche per l’Italia (Garelli 2011), sarebbe maggiormente avvertito dalle donne – essendo queste più propense a cercare nella propria vita la presenza del sacro e ad aprirsi al rapporto diretto con il mondo soprannaturale.

L’analisi della dimensione identitaria/culturale rivela invece alcune tendenze che paiono cogliere le peculiarità della secolarizzazione femminile in Italia: è diminuita la quota di italiane che si definisce cattolica, ma è rimasta stabile quella di quante si dichiarano religiose. In accordo alla tesi dell’individualizzazione (Pollack e Pickel 2007), questa forbice potrebbe far pensare che le donne italiane abbandonino le chiese per sperimentare ricerche spirituali autonome che approdano, al limite, nell’universo New Age o, come è stato definito, del milieu olistico (Heelas e Woodhead 2005). Ma la verifica dell’unico dato disponibile nell’EVS – la credenza nella reincarnazione – utile a testare l’ipotesi dell’interesse delle donne italiane per la spiritualità alternativa, induce a smentirla. Tale credenza, trasversale a gran parte dell’offerta milieu olistico, si è ridotta nettamente nel trentennio considerato. Se altri indicatori rivelassero una scarsa attrazione delle italiane per la spiritualità alternativa – ma i dati a disposizione non ne consentono la verifica – si potrebbe avvalorare quanto già emerso da altri studi sulla religiosità delle donne italiane (Palmisano 2016): la loro attitudine a personalizzare il rapporto con la religione si esaurisce, sostanzialmente, nell’alveo del cattolicesimo. Si potrebbe, quindi, ipotizzare che queste donne aderiscano a un cattolicesimo de-istituzionalizzato: rimangono, non dissimilmente da una quota rilevante della popolazione italiana, legate ai riferimenti più generali dell’insegnamento cattolico, ma rifuggono, per ragioni che andrebbero approfondite attraverso indagini qualitative, dalla religione istituzionale. La tenuta di questo sentimento, qualsiasi sia l’origine, concorrerebbe a spiegare il valore che esse ancora riservano alla religione: è aumentata la percentuale di coloro che ritengono importante trasmettere ai figli la fede religiosa nonché, seppure con uno scarto più ridotto, la percentuale di quelle per cui è importante la condivisione della fede per il successo del matrimonio.

La frequenza alla messa è un altro dato che conforta l’ipotesi di un’aumentata secolarizzazione femminile. Nel trentennio in esame le praticanti regolari si sono ridotte di 9 punti percentuali, in linea con quanto rilevato da Marchisio e Pisati (1999). Per interpretare correttamente questo dato è tuttavia necessario collocarlo nel periodo storico a cui fa riferimento. La partecipazione alla messa assume un differente significato, personale e sociale, a seconda delle epoche; ciò è tanto più vero nel lasso di tempo qui considerato in cui – come è stato fatto osservare (Heelas e Woodhead 2005) – le modalità ascrittive di espressione religiosa sono soppiantate dalla logica della libera scelta, in risposta al moderno imperativo della ricerca dell’autenticità del sé. Questa avvertenza vale per l’intera popolazione, ma si rivela più stringente per le donne di questo studio, protagoniste di una fase peculiare della storia del cattolicesimo italiano, in cui si fa più profonda l’incrinatura tra istituzione ecclesiastica e universo femminile. Alcune autrici (Scaraffia e Zarri 1994, Donadi 2014) hanno individuato nell’enciclica Humanae vitae (1968) di Paolo VI il principio della fine dell’alleanza tra donne e Chiesa che, nelle loro parole, si disgregherà nei decenni successivi sotto il

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peso di una nuova consapevolezza femminile della distanza tra indicazioni pastorali e coscienza individuale. Ciò detto, va osservato che, sebbene il calo della pratica delle donne sia indiscutibile, non avrebbe destato stupore un decremento ben più ampio dei 9 punti percentuali registrato in 30 anni.

D’altra parte, l’analisi della dimensione comportamentale rivela altri due dati che inducono a problematizzare il quadro della secolarizzazione. In primo luogo, contrariamente a molte aspettative, l’adesione alle organizzazioni religiose restituisce un trend in lieve aumento. In secondo luogo, la diffusione della preghiera personale non risulta in diminuzione. In letteratura, tuttavia, quest’ultimo dato non è considerato come particolarmente utile per confutare l’ipotesi della secolarizzazione perché, come noto (Pace 2007), i processi di secolarizzazione tendono ad erodere più la partecipazione al culto (dimensione della pratica pubblica) che la propensione a pregare fuori dai riti religiosi (dimensione della religiosità personale). Inoltre pregano anche coloro che non si dichiarano religiosi (Giordan e Woodhead 2015).

Infine, l’analisi della dimensione istituzionale conferma in buona parte il quadro fin qui tratteggiato, e conforta l’idea di un rapporto ambivalente tra donne e autorità ecclesiastica. Nel trentennio in esame la fiducia delle donne nella Chiesa è leggermente aumentata. È pure cresciuta la quota di donne che ritiene che la Chiesa dia risposte adeguate rispetto ai problemi morali e spirituali, mentre è rimasta stabile la quota di quante sottoscrivono l’affermazione precedente rispetto ai problemi sociali e della vita familiare. In controtendenza è invece la rispondenza delle donne agli appelli pubblici della Chiesa in campo etico e morale. L’adesione ai precetti che rientrano nelle cosiddette “politiche della morale” (Ozzano e Giorgi 2016) – prostituzione, aborto, divorzio, eutanasia, suicidio e adulterio – ha fatto registrare una diminuzione del consenso. Questi dati suggeriscono che, sebbene le italiane ritengano ancora oggi che sia la Chiesa l’istituzione adeguata a dare risposte rispetto ai problemi morali, di fatto si sono emancipate dalle indicazioni pastorali ed esprimono liberamente le loro opinioni. Tale cambiamento rafforza una tendenza generale già rilevata (Garelli 2011): la stragrande maggioranza degli italiani dichiara che la Chiesa deve tenere fermi i propri principi, senza lasciarsi influenzare dalle opinioni prevalenti, ma di fatto si comporta in maniera autonoma rivendicando libertà di giudizio. Ma i dati qui presentati concorrono a sollevare anche un’altra questione rilevante, quella del rapporto tra religione e diritti delle donne, perché tra i comportamenti che rientrano nelle “politiche della morale” ve ne sono alcuni che rimandano ai temi dell’emancipazione femminile e della parità di genere. Sebbene indagini più approfondite si rendano necessarie per esaminare questo nesso, è lecito ipotizzare, sulla scorta dei risultati di ricerca, una relazione tra l’abbandono di un’identità cattolica forte e la minore adesione ai precetti della Chiesa. Questo snodo ripropone – letta attraverso la lente del genere – la nota dialettica (tra gli altri Scott 2009) tra secolarizzazione e secolarismo15. A riguardo, il lavoro qui presentato si limita a segnalare l’urgenza, per le indagini future, di esplorare se la minore presenza delle donne alla messa e la più ridotta tendenza a definirsi cattoliche (segni di secolarizzazione) possano avere una qualche relazione con la loro maggior apertura in campo valoriale su questioni disciplinate dalla morale della Chiesa (segni di secolarismo).

Conclusioni

Questa ricerca offre un primo sguardo sull’andamento della secolarizzazione femminile in Italia nel corso del tempo, un tema finora largamente inesplorato. Di conseguenza, i risultati qui presentati vanno considerati con le dovute cautele, e le tendenze che emergono necessitano di essere ulteriormente testate in successivi studi. Inoltre, benché la nostra indagine prenda in esame le diverse dimensioni della secolarizzazione femminile, si fonda su un’unica base dati – l’EVS – che pure presenta numerosi pregi. Riteniamo necessario, in indagini future, analizzare il fenomeno utilizzando anche altre basi dati, così da consolidare, o mettere in discussione, questi primi risultati

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di ricerca. Le analisi presentate evidenziano che la secolarizzazione femminile in Italia appare un processo lento e dal segno incerto. Questo primo risultato fa sorgere alcune domande. Ci sono differenze nel trend del fenomeno tra donne con caratteristiche diverse, in primo luogo rispetto all’età e all’istruzione? Queste differenze rimangono costanti o cambiano nel corso del tempo? Quali sono gli effetti di queste differenze sulla religiosità dei decenni successivi? Come si comportano le donne rispetto agli uomini? Assodato che questi ultimi si sono secolarizzati per primi, la religiosità sta oggi cambiando in modo diverso tra i sessi? Esistono prospettive teoriche che forniscono indicazioni in tal senso, utili a guidare la ricerca empirica? Per dare risposta a molte di queste domande è necessario condurre analisi più parsimoniose in termini di variabili di religiosità di quella qui presentata. È quindi richiesta una riflessione teorica – che all’oggi manca – per individuare un ristretto numero di variabili che permettano di operativizzare al meglio le diverse dimensioni del concetto di religiosità. Soprattutto, in termini analitici, occorre domandarsi se i processi di secolarizzazione non siano così evidenti tra le donne perché essi hanno trasformato la loro esperienza religiosa, più profondamente di quanto abbiano fatto per gli uomini. In altri termini, è necessario indagare se le donne rimangano nel cattolicesimo interpretando questa appartenenza sempre più come un’esperienza spirituale che personalizzano reinventando credenze, pratiche, ma anche il rapporto con i precetti e la morale.

Alla luce di queste considerazioni appare chiaro che molte questioni restano ancora aperte, ed è quindi auspicabile una maggiore diffusione dell’approccio di genere nello studio della religiosità. Riferimenti bibliografici

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